Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
FANTASMI DI LOTTA E DI POLTRONA
1 feb 2017 09:37
TUTTI CONTRO RENZI
- IL “LISTONE” D’ALEMA SEDUCE L’EX NEMICO VENDOLA CHE PROVA A COINVOLGERE ANCHE PISAPIA
- BERSANI NON ESCLUDE PIÙ LA SCISSIONE: “NON MINACCIO NÉ GARANTISCO NULLA”
- DA EMILIANO A BOCCIA, PARTE LA RACCOLTA FIRME PER ANDARE SUBITO AL CONGRESSO
Giovanna Casadio per “la Repubblica”
«Nella vita pubblica ci sono troppi risentimenti e pochi grandi sentimenti, io mi iscrivo alla categoria dei sentimenti». È la premessa di Nichi Vendola, che apre a D’Alema e a un listone della sinistra. Sei anni fa, nel 2010 D’Alema faceva la guerra a Vendola, ricandidato governatore della Puglia e Nichi gli rendeva pan per focaccia.
Ora Vendola a sorpresa scommette su D’Alema: «Guardo con molto interesse a quello che si sta muovendo, all’impegno di D’Alema, che mi auguro faccia qualche autocritica. Perché Renzi non l’ha portato la cicogna, ma è frutto di una storia e dell’idea che il compito della sinistra sia fare la destra, questo è il blairismo. Nessuna alleanza con il Pd renziano, ma osservo che il giocattolo si sta rompendo nelle mani di Renzi».
Tutto si muove nel centrosinistra. Di scissione si parla apertamente nel Pd, dopo la nascita del movimento Consenso di D’Alema che viene stimato intorno al 10%. E ieri Pierluigi Bersani, l’ex segretario dem che ha sempre ripetuto non avrebbe lasciato il Pd neppure con le cannonate, non si mostra più tanto fermo: «Scissione? Non minaccio nulla né garantisco nulla. Porrò a Renzi delle questioni e sentirò la risposta. C’è un piccolo oggetto che si chiama Italia e io chiederò delle risposte su questo e poi mi regolerò».
Nel caotico passaggio di queste ore, Vendola - leader dell’ex Sel e in vista della nascita ufficiale di Sinistra Italiana nel congresso del 17-19 febbraio prossimo a Rimini indica la possibile “reunion”, soprattutto se si vota a giugno: «Interessante è il lavoro di Luigi De Magistris, il sindaco di Napoli; la discussione aperta nel Pd; quello che si muove sotto la cenere nei 5Stelle».
E Giuliano Pisapia, l’ex sindaco di Milano, che sta sondando e organizzando in tutta Italia il Campo progressista? Vendola risponde: «Pisapia è stato un amministratore eccellente, è una personalità della sinistra. Penso abbia sbagliato l’analisi della società italiana non comprendendo cosa stava accadendo con il referendum sulla riforma costituzionale e che il fronte del No con Cgil, Arci e Movimenti era la base sociale della sinistra. Lui ha fatto fatica a vederlo e ha immaginato ci potesse essere un restyling del centrosinistra con Renzi. Ma la sinistra non può allearsi con i voucher, con la “buona scuola”. Però nella ricostruzione della sinistra Pisapia ci deve essere, sarebbe infelice se non ci fosse, sono convinto ci sia».
E nel movimento di Pisapia, tentato dal listone di sinistra, colloqui e contatti sono in corso. Con Michele Emiliano, ad esempio. Il governatore della Puglia si prepara a sfidare Renzi. Per questo chiede il congresso anticipato del Pd, convinto, come del resto i bersaniani, che sia l’unica opportunità per evitare la scissione. Ieri Emiliano e Francesco Boccia hanno fatto partire la piattaforma “primailcongresso”, raccolta di firme online tra gli iscritti. E il governatore pugliese minaccia il ricorso alle carte bollate se Renzi non ascolta. Nel listone della sinistra ci’è Emiliano, se si precipita verso le elezioni e nel Pd si arriva alla scissione.
Bersani rincara: «In tutti i partiti del mondo prima di andare al voto si fa il punto su programma e leadership. Qui c’è una questione democratica, non solo per l’Italia ma per il Pd. Sennò la cosa diventa veramente seria, saremmo all’inedito». Allarme di 19 segretari regionali (non ci sono quelli di Basilicata e Puglia) del Pd: «Evocare la scissione e parlare di carte bollate è da irresponsabili».
Tra i molti nodi da sbrogliare c’è anche la spaccatura di Sinistra Italiana. Arturo Scotto, capogruppo alla Camera, ha chiesto di congelare il congresso di febbraio trasformandolo in una kermesse della sinistra. Scotto si è candidato alla segreteria contro il coordinatore Nicola Fratoianni. È disposto a un passo indietro e ha chiesto a Fratoianni di farlo a sua volta.
«Perché tutto il paesaggio politico sta cambiando»: motiva Scotto. Fratoianni replica: «Se c’è una svolta nel Pd ne discutiamo sul serio, ma per ora c’è solo l’attesa di una svolta. Preferisco guardare a De Magistris e ai movimenti». Clima teso, al punto che il gruppo di Scotto e del vice presidente della Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio hanno anche pensato di non partecipare al congresso di Rimini. Problemi anche di equilibrio nel tesseramento: dai 4 mila tesserati della fine del 2016 si è passati a 22 mila.
1 feb 2017 09:37
TUTTI CONTRO RENZI
- IL “LISTONE” D’ALEMA SEDUCE L’EX NEMICO VENDOLA CHE PROVA A COINVOLGERE ANCHE PISAPIA
- BERSANI NON ESCLUDE PIÙ LA SCISSIONE: “NON MINACCIO NÉ GARANTISCO NULLA”
- DA EMILIANO A BOCCIA, PARTE LA RACCOLTA FIRME PER ANDARE SUBITO AL CONGRESSO
Giovanna Casadio per “la Repubblica”
«Nella vita pubblica ci sono troppi risentimenti e pochi grandi sentimenti, io mi iscrivo alla categoria dei sentimenti». È la premessa di Nichi Vendola, che apre a D’Alema e a un listone della sinistra. Sei anni fa, nel 2010 D’Alema faceva la guerra a Vendola, ricandidato governatore della Puglia e Nichi gli rendeva pan per focaccia.
Ora Vendola a sorpresa scommette su D’Alema: «Guardo con molto interesse a quello che si sta muovendo, all’impegno di D’Alema, che mi auguro faccia qualche autocritica. Perché Renzi non l’ha portato la cicogna, ma è frutto di una storia e dell’idea che il compito della sinistra sia fare la destra, questo è il blairismo. Nessuna alleanza con il Pd renziano, ma osservo che il giocattolo si sta rompendo nelle mani di Renzi».
Tutto si muove nel centrosinistra. Di scissione si parla apertamente nel Pd, dopo la nascita del movimento Consenso di D’Alema che viene stimato intorno al 10%. E ieri Pierluigi Bersani, l’ex segretario dem che ha sempre ripetuto non avrebbe lasciato il Pd neppure con le cannonate, non si mostra più tanto fermo: «Scissione? Non minaccio nulla né garantisco nulla. Porrò a Renzi delle questioni e sentirò la risposta. C’è un piccolo oggetto che si chiama Italia e io chiederò delle risposte su questo e poi mi regolerò».
Nel caotico passaggio di queste ore, Vendola - leader dell’ex Sel e in vista della nascita ufficiale di Sinistra Italiana nel congresso del 17-19 febbraio prossimo a Rimini indica la possibile “reunion”, soprattutto se si vota a giugno: «Interessante è il lavoro di Luigi De Magistris, il sindaco di Napoli; la discussione aperta nel Pd; quello che si muove sotto la cenere nei 5Stelle».
E Giuliano Pisapia, l’ex sindaco di Milano, che sta sondando e organizzando in tutta Italia il Campo progressista? Vendola risponde: «Pisapia è stato un amministratore eccellente, è una personalità della sinistra. Penso abbia sbagliato l’analisi della società italiana non comprendendo cosa stava accadendo con il referendum sulla riforma costituzionale e che il fronte del No con Cgil, Arci e Movimenti era la base sociale della sinistra. Lui ha fatto fatica a vederlo e ha immaginato ci potesse essere un restyling del centrosinistra con Renzi. Ma la sinistra non può allearsi con i voucher, con la “buona scuola”. Però nella ricostruzione della sinistra Pisapia ci deve essere, sarebbe infelice se non ci fosse, sono convinto ci sia».
E nel movimento di Pisapia, tentato dal listone di sinistra, colloqui e contatti sono in corso. Con Michele Emiliano, ad esempio. Il governatore della Puglia si prepara a sfidare Renzi. Per questo chiede il congresso anticipato del Pd, convinto, come del resto i bersaniani, che sia l’unica opportunità per evitare la scissione. Ieri Emiliano e Francesco Boccia hanno fatto partire la piattaforma “primailcongresso”, raccolta di firme online tra gli iscritti. E il governatore pugliese minaccia il ricorso alle carte bollate se Renzi non ascolta. Nel listone della sinistra ci’è Emiliano, se si precipita verso le elezioni e nel Pd si arriva alla scissione.
Bersani rincara: «In tutti i partiti del mondo prima di andare al voto si fa il punto su programma e leadership. Qui c’è una questione democratica, non solo per l’Italia ma per il Pd. Sennò la cosa diventa veramente seria, saremmo all’inedito». Allarme di 19 segretari regionali (non ci sono quelli di Basilicata e Puglia) del Pd: «Evocare la scissione e parlare di carte bollate è da irresponsabili».
Tra i molti nodi da sbrogliare c’è anche la spaccatura di Sinistra Italiana. Arturo Scotto, capogruppo alla Camera, ha chiesto di congelare il congresso di febbraio trasformandolo in una kermesse della sinistra. Scotto si è candidato alla segreteria contro il coordinatore Nicola Fratoianni. È disposto a un passo indietro e ha chiesto a Fratoianni di farlo a sua volta.
«Perché tutto il paesaggio politico sta cambiando»: motiva Scotto. Fratoianni replica: «Se c’è una svolta nel Pd ne discutiamo sul serio, ma per ora c’è solo l’attesa di una svolta. Preferisco guardare a De Magistris e ai movimenti». Clima teso, al punto che il gruppo di Scotto e del vice presidente della Regione Lazio, Massimiliano Smeriglio hanno anche pensato di non partecipare al congresso di Rimini. Problemi anche di equilibrio nel tesseramento: dai 4 mila tesserati della fine del 2016 si è passati a 22 mila.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Bersani: “Se Renzi forza e rifiuta il congresso, il Pd è finito: rifacciamo l’Ulivo”
Politica
Non solo D'Alema. Anche l'ex segretario si dice pronto a un nuovo soggetto "largo, plurale, democratico". "Mi piacerebbe un confronto, nel partito spazi sempre più ristretti". E anche Vendola sembra pronto a partecipare all'operazione
di F. Q. | 1 febbraio 2017
commenti (119)
211
Più informazioni su: Matteo Renzi, PD, Pier Luigi Bersani
Aveva detto che dal Pd se ne sarebbe andato solo se l’avessero preso a calci. Ora quel momento sembra essere diventato più vicino. Dopo Massimo D’Alema e Nichi Vendola, dopo le proteste di Michele Emiliano e Enrico Rossi, ora tocca a Pierluigi Bersani: “Se Renzi forza – dice l’ex segretario del partito , rifiutando il Congresso e una qualunque altra forma di confronto e di contendibilità della linea politica e della leadership per andare al voto, è finito il Pd. E non nasce la cosa 3 di D’Alema, di Bersani o di altri, ma un soggetto ulivista, largo, plurale, democratico”. A chi chiede se un faccia a faccia con il leader gli basterebbe, Bersani risponde di non voler incontrare Renzi: “Parlo in pubblico. E mi piacerebbe farlo nel Pd, dove è preoccupante il restringimento degli spazi democratici”.
La distanza tra Bersani e Renzi resta su molte cose. Le riforme necessarie, le misure che servono alla ripresa economica e alla crescita. E anche la legge elettorale. Dice Bersani che “siamo passati in poche settimane da un sistema che era il record mondiale del maggioritario a un iper-proporzionale senza bussola, senza discutere”. Se si estende la legge elettorale della Camera al Senato si ha “una legge che garantisce l’ingovernabilità. Rende necessario un accordo con Berlusconi e neanche basta”. Per l’ex ministro “vanno tolti i capilista bloccati che portano a una Camera formata per il 70 per cento di nominati. E considero una provocazione allargare al Senato questo scempio. Possiamo discutere o no? E per favore: evitiamo le volgarità dei discorsi sulle seggiole. Io, Speranza, altri abbiamo dimostrato che noi ai posti semmai rinunciamo, in nome delle battaglie sui principi. È offensivo dire che vuole posti chi sta dicendo che bisogna abolire l’aberrazione dei nominati”.
E non c’entra nemmeno la vicenda dei vitalizi, evocata ieri Renzi. “E’ inaccettabile” quella frase, per Bersani. “Ci può star tutto nella vita, comprese le diverse opinioni, però se buttiamo anche a mare la dignità del Parlamento non si capisce dove andiamo. Non può insultare il Parlamento. I vitalizi non ci sono più dal 2012 e ci sono qui dentro deputati 30enni che non sono qui ad aspettare i 65 anni per avere qualche euro di contributi. Non so se siano bersaniani o renziani: oggi ne ho visto qualcuno che piangeva. Gente onesta, perbene, che fa la politica perché ci crede. Perché non si vive di solo pane. Il rispetto conta”.
Un ragionamento che finisce per coinvolgere, necessariamente, il governo Gentiloni, che sarebbe la vittima sacrificale delle elezioni anticipate. “Il governo deve governare. Gentiloni vuole governare? Un presidente del Consiglio giura sulla Costituzione, non facciamo vedere un autolicenziamento in streaming alla direzione del Pd” dice Bersani nell’intervista. Renzi “vuole andare al voto per evitare Congresso, manovra, referendum Cgil… La sconfitta, andando avanti così, non è evitabile. Napolitano ha ragione, ma io non dico che non si può votare prima della scadenza. Dico andiamoci con ordine, dopo Congresso e con una legge elettorale decente”.
In questi movimenti sotterranei, resta alla finestra Sinistra Italiana: star fermi o chiusi, in questa congiuntura, sarebbe un’idiozia, è il ragionamento. E’ il punto di partenza di Nichi Vendola e degli esponenti ex Sel: nessuna alleanza con Renzi ma, anzi, imporsi come avversari, a sinistra, del segretario Pd. Da qui la volontà di guardare con interesse non solo alle mosse di D’Alema ma anche ai sommovimenti della minoranza Pd, tenendo ben presente che un’eventuale lista di sinistra potrebbe anche includere personaggi di “peso” come Luigi De Magistris e Giuliano Pisapia. “Guardo con molto interesse a quello che si sta muovendo, all’impegno di D’Alema, che mi auguro faccia qualche autocritica”, è il pensiero che Vendola consegna alla Repubblica. Mentre Nicola Fratoianni, in un’intervista al Manifesto, sottolinea come le mosse di D’Alema “cambino” il quadro: “Sono stato tante volte in dissenso con D’Alema, ma da ultimo ho condiviso il suo No e molte delle cose che ho sentito sabato”, spiega Fratoianni. Trovando, sulla stessa scia, anche Stefano Fassina. “Pur mantenendo autonomia di visione, vogliamo stabilire relazioni con chi si muove sulla nostra lunghezza d’onda”, è il tweet dell’ex vice ministro dell’Economia. Tappa fondamentale sarà il congresso fondativo di Sinistra Italiana, in programma il 17 febbraio.
Politica
Non solo D'Alema. Anche l'ex segretario si dice pronto a un nuovo soggetto "largo, plurale, democratico". "Mi piacerebbe un confronto, nel partito spazi sempre più ristretti". E anche Vendola sembra pronto a partecipare all'operazione
di F. Q. | 1 febbraio 2017
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211
Più informazioni su: Matteo Renzi, PD, Pier Luigi Bersani
Aveva detto che dal Pd se ne sarebbe andato solo se l’avessero preso a calci. Ora quel momento sembra essere diventato più vicino. Dopo Massimo D’Alema e Nichi Vendola, dopo le proteste di Michele Emiliano e Enrico Rossi, ora tocca a Pierluigi Bersani: “Se Renzi forza – dice l’ex segretario del partito , rifiutando il Congresso e una qualunque altra forma di confronto e di contendibilità della linea politica e della leadership per andare al voto, è finito il Pd. E non nasce la cosa 3 di D’Alema, di Bersani o di altri, ma un soggetto ulivista, largo, plurale, democratico”. A chi chiede se un faccia a faccia con il leader gli basterebbe, Bersani risponde di non voler incontrare Renzi: “Parlo in pubblico. E mi piacerebbe farlo nel Pd, dove è preoccupante il restringimento degli spazi democratici”.
La distanza tra Bersani e Renzi resta su molte cose. Le riforme necessarie, le misure che servono alla ripresa economica e alla crescita. E anche la legge elettorale. Dice Bersani che “siamo passati in poche settimane da un sistema che era il record mondiale del maggioritario a un iper-proporzionale senza bussola, senza discutere”. Se si estende la legge elettorale della Camera al Senato si ha “una legge che garantisce l’ingovernabilità. Rende necessario un accordo con Berlusconi e neanche basta”. Per l’ex ministro “vanno tolti i capilista bloccati che portano a una Camera formata per il 70 per cento di nominati. E considero una provocazione allargare al Senato questo scempio. Possiamo discutere o no? E per favore: evitiamo le volgarità dei discorsi sulle seggiole. Io, Speranza, altri abbiamo dimostrato che noi ai posti semmai rinunciamo, in nome delle battaglie sui principi. È offensivo dire che vuole posti chi sta dicendo che bisogna abolire l’aberrazione dei nominati”.
E non c’entra nemmeno la vicenda dei vitalizi, evocata ieri Renzi. “E’ inaccettabile” quella frase, per Bersani. “Ci può star tutto nella vita, comprese le diverse opinioni, però se buttiamo anche a mare la dignità del Parlamento non si capisce dove andiamo. Non può insultare il Parlamento. I vitalizi non ci sono più dal 2012 e ci sono qui dentro deputati 30enni che non sono qui ad aspettare i 65 anni per avere qualche euro di contributi. Non so se siano bersaniani o renziani: oggi ne ho visto qualcuno che piangeva. Gente onesta, perbene, che fa la politica perché ci crede. Perché non si vive di solo pane. Il rispetto conta”.
Un ragionamento che finisce per coinvolgere, necessariamente, il governo Gentiloni, che sarebbe la vittima sacrificale delle elezioni anticipate. “Il governo deve governare. Gentiloni vuole governare? Un presidente del Consiglio giura sulla Costituzione, non facciamo vedere un autolicenziamento in streaming alla direzione del Pd” dice Bersani nell’intervista. Renzi “vuole andare al voto per evitare Congresso, manovra, referendum Cgil… La sconfitta, andando avanti così, non è evitabile. Napolitano ha ragione, ma io non dico che non si può votare prima della scadenza. Dico andiamoci con ordine, dopo Congresso e con una legge elettorale decente”.
In questi movimenti sotterranei, resta alla finestra Sinistra Italiana: star fermi o chiusi, in questa congiuntura, sarebbe un’idiozia, è il ragionamento. E’ il punto di partenza di Nichi Vendola e degli esponenti ex Sel: nessuna alleanza con Renzi ma, anzi, imporsi come avversari, a sinistra, del segretario Pd. Da qui la volontà di guardare con interesse non solo alle mosse di D’Alema ma anche ai sommovimenti della minoranza Pd, tenendo ben presente che un’eventuale lista di sinistra potrebbe anche includere personaggi di “peso” come Luigi De Magistris e Giuliano Pisapia. “Guardo con molto interesse a quello che si sta muovendo, all’impegno di D’Alema, che mi auguro faccia qualche autocritica”, è il pensiero che Vendola consegna alla Repubblica. Mentre Nicola Fratoianni, in un’intervista al Manifesto, sottolinea come le mosse di D’Alema “cambino” il quadro: “Sono stato tante volte in dissenso con D’Alema, ma da ultimo ho condiviso il suo No e molte delle cose che ho sentito sabato”, spiega Fratoianni. Trovando, sulla stessa scia, anche Stefano Fassina. “Pur mantenendo autonomia di visione, vogliamo stabilire relazioni con chi si muove sulla nostra lunghezza d’onda”, è il tweet dell’ex vice ministro dell’Economia. Tappa fondamentale sarà il congresso fondativo di Sinistra Italiana, in programma il 17 febbraio.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
LA FRANTUMAZIONE INFINITA
IL PUNTO DI VISTA DI UNA SACERDOTESSA RENZIANA IN FORZA AL CORRIERE DELLA SERA
il retroscena
«Sì alle primarie». La mossa di Renzi
per non perdere Bersani
Arturo Parisi: dove c’è D’Alema non può esserci Ulivo. «Dirsi ulivisti equivale a dirsi impegnati a frenare e ricucire ogni divisione»
di Maria Teresa Meli
shadow
All’apparenza sembra un grido di guerra: «Se Renzi tira dritto è finito il Pd e rinasce un nuovo Ulivo», dice Bersani all’Huffington Post. Un grido accompagnato da un’ipotesi suggestiva, per evitare che la ventilata scissione abbia il sapore di un’operazione di ex pci al seguito di D’Alema. Peccato che uno degli autori dell’Ulivo si incarichi di sconfessare Bersani. Parla Arturo Parisi: «L’Ulivo è stato dall’inizio il segno dell’unità contro ogni separazione. Dirsi ulivisti equivale a dirsi impegnati a frenare e ricucire ogni divisione». E in privato, con gli amici, Parisi è ancora più tranchant: «Dove c’è D’Alema non ci può essere l’Ulivo e lo sa bene Prodi». Anche Gianni Cuperlo, impressionato per il «clima di scontro», boccia l’idea: «L’Ulivo senza Pd non esiste». Non sembra particolarmente attirata dalla prospettiva nemmeno Rosy Bindi, che pure sui divanetti di Montecitorio dice peste e corna di Renzi.
«Pier Luigi, fai qualcosa»
Ma la notizia si cela, come spesso accade in politica, nei dettagli. È in un passaggio dell’intervista di Bersani all’Huffington: «Per anticipare il congresso servono le dimissioni del segretario, evidentemente non si vuole dimettere. Ora dico io, chiamalo come vuoi, congresso, primarie, ma un luogo di confronto e di contendibilità lo chiedo». Ecco la parola magica: primarie. È questa la risposta indiretta alla mediazione che Guerini e Orfini hanno tentato di fare tra la minoranza e il segretario: «Con le primarie non se ne andranno», hanno assicurato i due a Renzi. Già, perché invece a inizio settimana spirava un’altra aria. Una pessima aria. A pranzo con Davide Zoggia, Danilo Leva, Nico Stumpo e Roberto Speranza, Bersani ha raccolto il grido di dolore dei suoi: «Noi non reggiamo più, non si può andare avanti così, se restiamo sembra che lo facciamo per un piatto di lenticchie, cioè per qualche candidatura, Pier Luigi, fai qualcosa». Insomma, i quarantenni spingevano per la scissione.
Italicum e sentenza della Consulta, che cosa succede ora? Il (possibile) bonus-lista e lo schema per coalizioni. I due sistemi
Italicum e sentenza della Consulta, che cosa succede ora? Il (possibile) bonus-lista e lo schema per coalizioni. I due sistemi
Italicum e sentenza della Consulta, che cosa succede ora? Il (possibile) bonus-lista e lo schema per coalizioni. I due sistemi
Italicum e sentenza della Consulta, che cosa succede ora? Il (possibile) bonus-lista e lo schema per coalizioni. I due sistemi
Prev Next
Le strade possibili
Penultimatum
Ma Bersani ha fatto un ultimo tentativo. Ha lasciato capire che la minoranza può non strappare se le viene concesso qualcosa, altrimenti è pronta ad andare via. Un penultimatum. Guerini e Orfini hanno spinto in questa direzione. E Renzi ci ha riflettuto su con i suoi, al Nazareno: «Ragazzi, la minoranza si accontenterebbe anche delle primarie. Ragioniamoci». Così il segretario conta di tenere dentro Bersani, gli altri per lui non sono rilevanti. Quindi si decide di affidare la risposta a Orfini, ospite della trasmissione tv di Bianca Berlinguer: «Qualora ci dovesse essere un’accelerazione del voto, non faremmo in tempo a fare il Congresso, ma se c’è l’esigenza di ridiscutere con quale candidato andiamo alle elezioni, come chiede Bersani, potremmo tranquillamente trovare il modo di fare le primarie». Ufficialmente, ieri, dal fronte della minoranza non è giunta nessuna risposta. I bersaniani temono che Renzi si rimangi la profferta, che comunque è per loro «un fatto positivo». Ma se primarie saranno, in molti pensano a Michele Emiliano come candidato da contrapporre a Renzi. E la minoranza spera di prendere una percentuale più alta dell’ultima volta e di ottenere così più seggi sicuri.
«Più caos c’è, più prende voti»
I bersaniani, tramite i loro ambasciatori, hanno avanzato un’altra richiesta. Renzi l’ha riassunta così ai suoi riuniti al Nazareno: «Poi chiedono anche il premio di coalizione al posto di quello di lista, ma i 5 Stelle non vogliono. Va bene che Grillo in realtà non vuole andare alle elezioni. Gli conviene che si vada a febbraio 2018 perché secondo lui più caos c’è, più prende voti». Perdendo tempo, secondo Renzi, si fa il gioco di Grillo, come già avvenne nel 2013, dopo che Bersani non era riuscito a ottenere le elezioni anticipate. Il segretario lo ha ricordato anche a Napolitano, nella telefonata di solidarietà che gli ha fatto, in seguito agli attacchi dei leghisti.
1 febbraio 2017 (modifica il 1 febbraio 2017 | 23:52)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
IL PUNTO DI VISTA DI UNA SACERDOTESSA RENZIANA IN FORZA AL CORRIERE DELLA SERA
il retroscena
«Sì alle primarie». La mossa di Renzi
per non perdere Bersani
Arturo Parisi: dove c’è D’Alema non può esserci Ulivo. «Dirsi ulivisti equivale a dirsi impegnati a frenare e ricucire ogni divisione»
di Maria Teresa Meli
shadow
All’apparenza sembra un grido di guerra: «Se Renzi tira dritto è finito il Pd e rinasce un nuovo Ulivo», dice Bersani all’Huffington Post. Un grido accompagnato da un’ipotesi suggestiva, per evitare che la ventilata scissione abbia il sapore di un’operazione di ex pci al seguito di D’Alema. Peccato che uno degli autori dell’Ulivo si incarichi di sconfessare Bersani. Parla Arturo Parisi: «L’Ulivo è stato dall’inizio il segno dell’unità contro ogni separazione. Dirsi ulivisti equivale a dirsi impegnati a frenare e ricucire ogni divisione». E in privato, con gli amici, Parisi è ancora più tranchant: «Dove c’è D’Alema non ci può essere l’Ulivo e lo sa bene Prodi». Anche Gianni Cuperlo, impressionato per il «clima di scontro», boccia l’idea: «L’Ulivo senza Pd non esiste». Non sembra particolarmente attirata dalla prospettiva nemmeno Rosy Bindi, che pure sui divanetti di Montecitorio dice peste e corna di Renzi.
«Pier Luigi, fai qualcosa»
Ma la notizia si cela, come spesso accade in politica, nei dettagli. È in un passaggio dell’intervista di Bersani all’Huffington: «Per anticipare il congresso servono le dimissioni del segretario, evidentemente non si vuole dimettere. Ora dico io, chiamalo come vuoi, congresso, primarie, ma un luogo di confronto e di contendibilità lo chiedo». Ecco la parola magica: primarie. È questa la risposta indiretta alla mediazione che Guerini e Orfini hanno tentato di fare tra la minoranza e il segretario: «Con le primarie non se ne andranno», hanno assicurato i due a Renzi. Già, perché invece a inizio settimana spirava un’altra aria. Una pessima aria. A pranzo con Davide Zoggia, Danilo Leva, Nico Stumpo e Roberto Speranza, Bersani ha raccolto il grido di dolore dei suoi: «Noi non reggiamo più, non si può andare avanti così, se restiamo sembra che lo facciamo per un piatto di lenticchie, cioè per qualche candidatura, Pier Luigi, fai qualcosa». Insomma, i quarantenni spingevano per la scissione.
Italicum e sentenza della Consulta, che cosa succede ora? Il (possibile) bonus-lista e lo schema per coalizioni. I due sistemi
Italicum e sentenza della Consulta, che cosa succede ora? Il (possibile) bonus-lista e lo schema per coalizioni. I due sistemi
Italicum e sentenza della Consulta, che cosa succede ora? Il (possibile) bonus-lista e lo schema per coalizioni. I due sistemi
Italicum e sentenza della Consulta, che cosa succede ora? Il (possibile) bonus-lista e lo schema per coalizioni. I due sistemi
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Le strade possibili
Penultimatum
Ma Bersani ha fatto un ultimo tentativo. Ha lasciato capire che la minoranza può non strappare se le viene concesso qualcosa, altrimenti è pronta ad andare via. Un penultimatum. Guerini e Orfini hanno spinto in questa direzione. E Renzi ci ha riflettuto su con i suoi, al Nazareno: «Ragazzi, la minoranza si accontenterebbe anche delle primarie. Ragioniamoci». Così il segretario conta di tenere dentro Bersani, gli altri per lui non sono rilevanti. Quindi si decide di affidare la risposta a Orfini, ospite della trasmissione tv di Bianca Berlinguer: «Qualora ci dovesse essere un’accelerazione del voto, non faremmo in tempo a fare il Congresso, ma se c’è l’esigenza di ridiscutere con quale candidato andiamo alle elezioni, come chiede Bersani, potremmo tranquillamente trovare il modo di fare le primarie». Ufficialmente, ieri, dal fronte della minoranza non è giunta nessuna risposta. I bersaniani temono che Renzi si rimangi la profferta, che comunque è per loro «un fatto positivo». Ma se primarie saranno, in molti pensano a Michele Emiliano come candidato da contrapporre a Renzi. E la minoranza spera di prendere una percentuale più alta dell’ultima volta e di ottenere così più seggi sicuri.
«Più caos c’è, più prende voti»
I bersaniani, tramite i loro ambasciatori, hanno avanzato un’altra richiesta. Renzi l’ha riassunta così ai suoi riuniti al Nazareno: «Poi chiedono anche il premio di coalizione al posto di quello di lista, ma i 5 Stelle non vogliono. Va bene che Grillo in realtà non vuole andare alle elezioni. Gli conviene che si vada a febbraio 2018 perché secondo lui più caos c’è, più prende voti». Perdendo tempo, secondo Renzi, si fa il gioco di Grillo, come già avvenne nel 2013, dopo che Bersani non era riuscito a ottenere le elezioni anticipate. Il segretario lo ha ricordato anche a Napolitano, nella telefonata di solidarietà che gli ha fatto, in seguito agli attacchi dei leghisti.
1 febbraio 2017 (modifica il 1 febbraio 2017 | 23:52)
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
PERCHE’ FRANTUMAZIONE INFINITA
Arturo Parisi: dove c’è D’Alema non può esserci Ulivo. «Dirsi ulivisti equivale a dirsi impegnati a frenare e ricucire ogni divisione»
Nessuno è più credibile, ne D’Alema ne Parisi.
Ci doveva pensare nel 2007, prima della nascita di quel broccolo di Pd. La Democrazia Cristiana 2.0.
Ecco perché siamo in regime di frantumazione continua e costante.
D’altra parte anche i politici di centrosinistra hanno pensato solo ed esclusivamente alla loro poltrona.
Come finisse questo Paese(a puttane), per loro è sempre stato secondario.
Per questo ci troviamo in questa condizione.
Fine della Seconda Repubblica e fine dell’esperienza repubblicana.
Arturo Parisi: dove c’è D’Alema non può esserci Ulivo. «Dirsi ulivisti equivale a dirsi impegnati a frenare e ricucire ogni divisione»
Nessuno è più credibile, ne D’Alema ne Parisi.
Ci doveva pensare nel 2007, prima della nascita di quel broccolo di Pd. La Democrazia Cristiana 2.0.
Ecco perché siamo in regime di frantumazione continua e costante.
D’altra parte anche i politici di centrosinistra hanno pensato solo ed esclusivamente alla loro poltrona.
Come finisse questo Paese(a puttane), per loro è sempre stato secondario.
Per questo ci troviamo in questa condizione.
Fine della Seconda Repubblica e fine dell’esperienza repubblicana.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
2 feb 2017 15:31
HASTA LA SCONFICTA, SIEMPRE!
- LE MAGICHE PREVISIONI DEI LEADER DELLA SINISTRA
- DA VELTRONI A BERSANI, DA CUPERLO A D’ALEMA, NON NE HANNO MAI AZZECCATA UNA. TUTTI I LORO FARI SI SONO SPENTI: HOLLANDE, ZAPATERO, BLAIR, TSIPRAS, OBAMA….
Mattia Feltri per “la Stampa”
Gianni Cuperlo (è vero, non bisognerebbe mai cominciare una rubrica con la parola Cuperlo, scoraggia la lettura, ma Cuperlo è simpatico e intelligente, fidatevi), insomma Gianni Cuperlo ha detto che Benoît Hamon, vincitore delle primarie socialiste in Francia, è «un ammonimento per il Pd», e anche per «una sinistra che ha detto troppi sì alle ricette dei nostri avversari».
Un po' come Walter Veltroni («Con José Luis Zapatero il pendolo della storia sta tornando a oscillare verso la nostra direzione») poco prima che l'esercito di Zapatero sparasse sui clandestini; e un po' come Massimo D' Alema («Caro Blair, la tua straordinaria vittoria premia quella sinistra che ha avuto il coraggio di rinnovarsi») poco prima che Blair facesse la guerra a fianco di George W. Bush; e un po' come Bersani («La vittoria di François Hollande può essere un passo determinante per invertire il ciclo disastroso della destra»), poco prima che Hollande andasse nei consensi sotto Marine Le Pen;
e un po' come Stefano Fassina («Renzi dovrebbe imparare dal discorso di verità che Syriza e Tsipras fanno»), due ore prima che Tsipras si consegnasse alla Trojka; e un po' come D' Alema, di nuovo lui («la vittoria di Barack Obama è la sconfitta della cultura di Silvio Berlusconi»), molto prima che Obama, sconfitta la cultura di Berlusconi, vedesse sorgere la cultura di Donald Trump. Ecco, siamo proprio curiosi di vedere quale carognata combinerà adesso Hamon alla sinistra italiana.
HASTA LA SCONFICTA, SIEMPRE!
- LE MAGICHE PREVISIONI DEI LEADER DELLA SINISTRA
- DA VELTRONI A BERSANI, DA CUPERLO A D’ALEMA, NON NE HANNO MAI AZZECCATA UNA. TUTTI I LORO FARI SI SONO SPENTI: HOLLANDE, ZAPATERO, BLAIR, TSIPRAS, OBAMA….
Mattia Feltri per “la Stampa”
Gianni Cuperlo (è vero, non bisognerebbe mai cominciare una rubrica con la parola Cuperlo, scoraggia la lettura, ma Cuperlo è simpatico e intelligente, fidatevi), insomma Gianni Cuperlo ha detto che Benoît Hamon, vincitore delle primarie socialiste in Francia, è «un ammonimento per il Pd», e anche per «una sinistra che ha detto troppi sì alle ricette dei nostri avversari».
Un po' come Walter Veltroni («Con José Luis Zapatero il pendolo della storia sta tornando a oscillare verso la nostra direzione») poco prima che l'esercito di Zapatero sparasse sui clandestini; e un po' come Massimo D' Alema («Caro Blair, la tua straordinaria vittoria premia quella sinistra che ha avuto il coraggio di rinnovarsi») poco prima che Blair facesse la guerra a fianco di George W. Bush; e un po' come Bersani («La vittoria di François Hollande può essere un passo determinante per invertire il ciclo disastroso della destra»), poco prima che Hollande andasse nei consensi sotto Marine Le Pen;
e un po' come Stefano Fassina («Renzi dovrebbe imparare dal discorso di verità che Syriza e Tsipras fanno»), due ore prima che Tsipras si consegnasse alla Trojka; e un po' come D' Alema, di nuovo lui («la vittoria di Barack Obama è la sconfitta della cultura di Silvio Berlusconi»), molto prima che Obama, sconfitta la cultura di Berlusconi, vedesse sorgere la cultura di Donald Trump. Ecco, siamo proprio curiosi di vedere quale carognata combinerà adesso Hamon alla sinistra italiana.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Il re è nudo. Finalmente una voce autorevole della sinistra mondiale?????
LIBRE news
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segnalazioni.
Linera: la globalizzazione è morta, Trump ne è il becchino
Scritto il 04/2/17 • nella Categoria: idee Condividi
Il re è nudo. Finalmente una voce autorevole della sinistra mondiale – il vicepresidente boliviano Alvaro G. Linera – ha il coraggio di dirlo forte e chiaro: la globalizzazione è morta. Incapaci di interpretare i sintomi dell’evento (dalla Brexit alla vittoria elettorale di Trump, senza trascurare il no del popolo italiano alla “riforma” costituzionale renziana – ennesima sconfitta referendaria dopo quelle subite in Francia, Irlanda e Grecia dal fronte liberal-socialdemocratico europeista) la maggioranza degli intellettuali post e neomarxisti rifiutano di prendere atto di quello che appare un vero e proprio cambio d’epoca. Il paradosso consiste nel fatto che quanto sta avvenendo è l’esito inevitabile di processi che loro stessi hanno contribuito a mettere in luce: finanziarizzazione dell’economia, de-democratizzazione dei sistemi politici, ristrutturazione tecnologica, guerra di classe dall’alto contro sindacati, movimenti e ogni forma di resistenza organizzata delle classi subordinate, crescita oscena delle disuguaglianze, immiserimento di settori sempre più ampi della popolazione mondiale, ecc.
Dimenticano, fra le altre cose, di avere scritto e detto che la crisi è un fenomeno eminentemente politico, che si spiega a partire dai rapporti di forza fra classi sociali (e fra nazioni dominanti e nazioni dominate: urge rileggersi Samir Amin), e non dalle “leggi” dell’economia. Perché stupirsi, dunque, se la rottura si manifesta come brusco ritiro del consenso popolare alle élite che sfruttano e opprimono? Il fatto è che, a causa della totale insipienza politica, culturale e organizzativa delle sinistre “radicali” (quelle socialdemocratiche sono da tempo passate al nemico), tale rivolta avviene sotto le insegne del populismo di destra. Scandalizzati dal “tradimento” delle masse, i suddetti intellettuali gridano al pericolo fascista e convergono nel “fronte unito contro il populismo” guidato da partiti, istituzioni, media che fino a ieri indicavano al pubblico disprezzo. Così assistiamo a performance imbarazzanti come quella dell’ex nemico pubblico numero uno dell’ordine capitalista, Toni Negri, che intervistato da “La7”, difende una globalizzazione che avrebbe diffuso benessere, uguaglianza e democrazia (su che pianeta vive?), con argomenti analoghi a quelli del “compagno” Xi Jinping (lo stesso che vende il proprio popolo allo sfruttamento selvaggio delle imprese multinazionali) il quale ha riscosso, con il suo discorso a Davos, il plauso delle élite liberiste dimentiche delle sue credenziali totalitarie.
Questa confusione mentale nasce dal fatto che post e neomarxisti non si sono mai emancipati da una visione della storia come un processo lineare e necessario verso il progresso: unificazione dei mercati mondiali= sviluppo delle forze produttive=creazione delle condizioni per la transizione al socialismo guidata – ça va sans dire – da lor signori (o, nella versione post operaista, autogestita dalle avanguardie del “lavoro cognitivo”). Invece la storia non è un processo lineare e, mentre la mondializzazione è associata al capitalismo dalle sue lontane origini mercantiliste, la globalizzazione nelle forme che ha assunto negli ultimi decenni è (o meglio è stata) una fase contingente destinata a esaurirsi come quella culminata e terminata fra fine Ottocento e primo Novecento. «La globalizzazione», scrive Linera, «come meta-racconto, questo è, come orizzonte politico-ideologico capace di canalizzare le speranze collettive verso un unico destino che permettesse di realizzare tutte le possibili aspettative di benessere, è esplosa in mille pezzi».
Laddove la subordinazione delle condizioni di esistenza dell’intero pianeta alla valorizzazione del capitale, scandita dai cicli egemonici delle nazioni che si sono succedute alla guida del processo, è sempre stata imposta con la forza delle armi, quella attuale si è fondata anche su un progetto ideologico, sulla costruzione di un senso comune legittimante (Gramsci docet) cui anche le sinistre hanno attivamente contribuito. L’egemonia, scrive ancora Linera, ha iniziato a incrinarsi dopo la nascita dei governi rivoluzionari che in America Latina hanno avviato il tentativo di una transizione, se non al socialismo, verso modelli politici, sociali e culturali post neoliberisti. Altre cause di crisi si sono aggiunte in tutto il mondo – dagli Stati Uniti, all’Europa, al vicino e lontano Oriente – fino a determinare il crollo che oggi è sotto i nostri occhi: «Donald Trump non è il boia dell’ideologia trionfalista della libera impresa, bensì il medico legale al quale tocca ufficializzare una morte clandestina». Viviamo un tempo di incertezza assoluta, conclude Linera, un tempo che può essere fertile nella misura in cui spazzerà via le certezze ereditarie, obbligandoci a costruire nuove certezze con le particelle del caos «che si lascia dietro la morte delle narrazioni passate».
(Carlo Formenti, “La globalizzazione è morta”, da “Micromega” del 27 gennaio 2017).
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Linera: la globalizzazione è morta, Trump ne è il becchino
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Il re è nudo. Finalmente una voce autorevole della sinistra mondiale – il vicepresidente boliviano Alvaro G. Linera – ha il coraggio di dirlo forte e chiaro: la globalizzazione è morta. Incapaci di interpretare i sintomi dell’evento (dalla Brexit alla vittoria elettorale di Trump, senza trascurare il no del popolo italiano alla “riforma” costituzionale renziana – ennesima sconfitta referendaria dopo quelle subite in Francia, Irlanda e Grecia dal fronte liberal-socialdemocratico europeista) la maggioranza degli intellettuali post e neomarxisti rifiutano di prendere atto di quello che appare un vero e proprio cambio d’epoca. Il paradosso consiste nel fatto che quanto sta avvenendo è l’esito inevitabile di processi che loro stessi hanno contribuito a mettere in luce: finanziarizzazione dell’economia, de-democratizzazione dei sistemi politici, ristrutturazione tecnologica, guerra di classe dall’alto contro sindacati, movimenti e ogni forma di resistenza organizzata delle classi subordinate, crescita oscena delle disuguaglianze, immiserimento di settori sempre più ampi della popolazione mondiale, ecc.
Dimenticano, fra le altre cose, di avere scritto e detto che la crisi è un fenomeno eminentemente politico, che si spiega a partire dai rapporti di forza fra classi sociali (e fra nazioni dominanti e nazioni dominate: urge rileggersi Samir Amin), e non dalle “leggi” dell’economia. Perché stupirsi, dunque, se la rottura si manifesta come brusco ritiro del consenso popolare alle élite che sfruttano e opprimono? Il fatto è che, a causa della totale insipienza politica, culturale e organizzativa delle sinistre “radicali” (quelle socialdemocratiche sono da tempo passate al nemico), tale rivolta avviene sotto le insegne del populismo di destra. Scandalizzati dal “tradimento” delle masse, i suddetti intellettuali gridano al pericolo fascista e convergono nel “fronte unito contro il populismo” guidato da partiti, istituzioni, media che fino a ieri indicavano al pubblico disprezzo. Così assistiamo a performance imbarazzanti come quella dell’ex nemico pubblico numero uno dell’ordine capitalista, Toni Negri, che intervistato da “La7”, difende una globalizzazione che avrebbe diffuso benessere, uguaglianza e democrazia (su che pianeta vive?), con argomenti analoghi a quelli del “compagno” Xi Jinping (lo stesso che vende il proprio popolo allo sfruttamento selvaggio delle imprese multinazionali) il quale ha riscosso, con il suo discorso a Davos, il plauso delle élite liberiste dimentiche delle sue credenziali totalitarie.
Questa confusione mentale nasce dal fatto che post e neomarxisti non si sono mai emancipati da una visione della storia come un processo lineare e necessario verso il progresso: unificazione dei mercati mondiali= sviluppo delle forze produttive=creazione delle condizioni per la transizione al socialismo guidata – ça va sans dire – da lor signori (o, nella versione post operaista, autogestita dalle avanguardie del “lavoro cognitivo”). Invece la storia non è un processo lineare e, mentre la mondializzazione è associata al capitalismo dalle sue lontane origini mercantiliste, la globalizzazione nelle forme che ha assunto negli ultimi decenni è (o meglio è stata) una fase contingente destinata a esaurirsi come quella culminata e terminata fra fine Ottocento e primo Novecento. «La globalizzazione», scrive Linera, «come meta-racconto, questo è, come orizzonte politico-ideologico capace di canalizzare le speranze collettive verso un unico destino che permettesse di realizzare tutte le possibili aspettative di benessere, è esplosa in mille pezzi».
Laddove la subordinazione delle condizioni di esistenza dell’intero pianeta alla valorizzazione del capitale, scandita dai cicli egemonici delle nazioni che si sono succedute alla guida del processo, è sempre stata imposta con la forza delle armi, quella attuale si è fondata anche su un progetto ideologico, sulla costruzione di un senso comune legittimante (Gramsci docet) cui anche le sinistre hanno attivamente contribuito. L’egemonia, scrive ancora Linera, ha iniziato a incrinarsi dopo la nascita dei governi rivoluzionari che in America Latina hanno avviato il tentativo di una transizione, se non al socialismo, verso modelli politici, sociali e culturali post neoliberisti. Altre cause di crisi si sono aggiunte in tutto il mondo – dagli Stati Uniti, all’Europa, al vicino e lontano Oriente – fino a determinare il crollo che oggi è sotto i nostri occhi: «Donald Trump non è il boia dell’ideologia trionfalista della libera impresa, bensì il medico legale al quale tocca ufficializzare una morte clandestina». Viviamo un tempo di incertezza assoluta, conclude Linera, un tempo che può essere fertile nella misura in cui spazzerà via le certezze ereditarie, obbligandoci a costruire nuove certezze con le particelle del caos «che si lascia dietro la morte delle narrazioni passate».
(Carlo Formenti, “La globalizzazione è morta”, da “Micromega” del 27 gennaio 2017).
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
SALDI DI FINE STAGIONE (REPUBBLICANA)
4 feb 2017 12:56
CUPERLO MANNARO: “A RENZI UN CONSIGLIO FRATERNO, CERCA IL BENE DELLA TUA COMUNITÀ, DIMETTITI DOMANI E CONVOCA IL CONGRESSO. COSÌ POTREMO MISURARE TUTTI, NON SOLO MATTEO, SU UNA SERIE DI SCONFITTE”
(ANSA) - "Al segretario un consiglio fraterno, cerca il bene della tua comunità, dimettiti domani e convoca il congresso". Lo ha chiesto Gianni Cuperlo nel corso di una affollatissima assemblea della sua componente, nella sede del Pd. "Così ci potremo misurare tutti - ha aggiunto - non solo Renzi, su una serie di sconfitte".
Nel corso di un lungo intervento dedicato in larga parte all'analisi del trumpismo e ai rischi che questo comporta per tutto l'Occidente, Cuperlo ha esortato, di fronte ad un mondo che cambia, tutto il centrosinistra a ricostruirsi e soprattutto ha auspicato che il Pd si rifondi. "Per troppo tempo ognuno di noi ha parlato ai propri - ha sottolineato - ma un partito così è destinato a spegnersi presto".
4 feb 2017 12:56
CUPERLO MANNARO: “A RENZI UN CONSIGLIO FRATERNO, CERCA IL BENE DELLA TUA COMUNITÀ, DIMETTITI DOMANI E CONVOCA IL CONGRESSO. COSÌ POTREMO MISURARE TUTTI, NON SOLO MATTEO, SU UNA SERIE DI SCONFITTE”
(ANSA) - "Al segretario un consiglio fraterno, cerca il bene della tua comunità, dimettiti domani e convoca il congresso". Lo ha chiesto Gianni Cuperlo nel corso di una affollatissima assemblea della sua componente, nella sede del Pd. "Così ci potremo misurare tutti - ha aggiunto - non solo Renzi, su una serie di sconfitte".
Nel corso di un lungo intervento dedicato in larga parte all'analisi del trumpismo e ai rischi che questo comporta per tutto l'Occidente, Cuperlo ha esortato, di fronte ad un mondo che cambia, tutto il centrosinistra a ricostruirsi e soprattutto ha auspicato che il Pd si rifondi. "Per troppo tempo ognuno di noi ha parlato ai propri - ha sottolineato - ma un partito così è destinato a spegnersi presto".
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
“Dimettiti da segretario e convoca il congresso”
Pd, l’ultimatum di Cuperlo a Matteo Renzi
L’appello dell’ex presidente del partito al leader: “Costruisci le condizioni per una stagione diversa”
Ma per lui le pulsioni di scissione di Bersani che D’Alema sono operazioni da Armata Brancaleone
Foto Andreoli Emilio - LaPresse 15 12 2013 - Milano (Italia) Politica Assemblea Nazionale PD Partito Democratico presso MICO Milano Congressi Nella foto:
Politica
“Al segretario un consiglio fraterno, cerca il bene della tua comunità, dimettiti domani e convoca il congresso”. Gianni Cuperlo sceglie un’assemblea nella sede del Partito democratico per dire la sua sul tema della scissione minacciata da Bersani e da tutta l’ala sinistra. E anche il suo punto di vista suona come un ultimatum
di F. Q.
Pd, Cuperlo a Renzi: “Dimettiti subito e convoca il congresso”. Ma per lui la scissione è da Armata Brancaleone
Politica
L'ex presidente del partito, leale sul referendum in cambio di modifiche all'Italicum mai fatte, lancia un appello al segretario: "Costruisci le condizioni per una stagione diversa". Ma abbandona sia Bersani che D'Alema e le loro pulsioni "separatiste" facendo trasmettere all'assemblea della sua corrente una clip del film di Monicelli
di F. Q. | 4 febbraio 2017
commenti (127)
826
Più informazioni su: Gianni Cuperlo, Matteo Renzi
Dimissioni subito e congresso. A chiederlo al segretario del Pd Matteo Renzi è il più collaborativo della minoranza del Pd. Anzi, colui che ha dichiarato di votare Sì al referendum costituzionale in cambio di alcune modifiche all’Italicum (poi mai fatte). Gianni Cuperlo apre l’assemblea della sua corrente, SinistraDem, al Nazareno e manda al segretario “un consiglio fraterno: cerca il bene della tua comunità, dimettiti domani e convoca il congresso“. L’ex presidente del partito usa il testo di una canzone di Eros Ramazzotti (di 32 anni fa): “Se hai a cuore il destino del Pd e della sinistra, per citare Eros ora che si avvicina Sanremo, ‘Fermati un istante‘. Non per tutta la vita ma ora costruisci le condizioni per una stagione diversa”. Nel corso di un lungo intervento dedicato in larga parte all’analisi del trumpismo e ai rischi che questo comporta per tutto l’Occidente, Cuperlo ha esortato, di fronte ad un mondo che cambia, tutto il centrosinistra a ricostruirsi e soprattutto ha auspicato che il Pd si rifondi. “Per troppo tempo ognuno di noi ha parlato ai propri – ha sottolineato – ma un partito così è destinato a spegnersi presto”.
Nello stesso momento, però, con un’altra citazione – questa volta cinematografica – Cuperlo abbandona anche il resto della minoranza (Pierluigi Bersani) e il vecchio leader, del quale è stato delfino, Massimo D’Alema. Anzi, quasi li prende in giro. In apertura dell’assemblea è stata trasmessa una clip di L’armata Brancaleone alle Crociate: “Ite anca voi dove volete, ma da un’altra parte…”. Un modo ironico per criticare ogni iniziativa scissionista, che, nella volontà dei promotori del video rischia di disperdere le forze e dividere mortalmente la sinistra italiana. Sono battute del film citate anche dallo stesso Cuperlo nel suo intervento. “Dobbiamo farla finita l’era in cui la formula vincente era ‘mi candido’. Vedo molte personalità che coltivano ognuno il proprio recinto. Ma tutto ciò non verrà compreso dal nostro popolo”. La critica, senza citarle esplicitamente, è alle tante iniziative sorte a sinistra del Pd.
Per Cuperlo, dunque, “serve un’alternativa – dice – che non può prescindere dal Pd, ma non quello di oggi”. Secondo l’ex contendente di Renzi alle primarie, il congresso è l’ultima occasione per ritrovare una coesione: “Così ci potremo misurare tutti e non solo Renzi, su una serie di sconfitte. Per troppo tempo ognuno di noi ha parlato ai propri, ma un partito così è destinato a spegnersi presto”.
Cuperlo vuole “un congresso diverso, aperto. E per il segretario penso a una personalità che si dedica solo a questo, che non fa anche il sindaco, non guida una regione, non fa il premier, non fa il ministro”. Cuperlo bocciato così l’ipotesi di scissione: “In un passaggio simile, l’idea di spezzare un progetto sul quale la sinistra italiana ha scommesso se stessa non rappresenta un balzo in avanti ma un ritorno all’antico”. Tuttavia ammette che “ci sono tanti orfani a cui serve una casa”, per cui, sottolinea: “La nostra prova è cercare di costruirla”. Quindi, ammonisce la segreteria del Pd a non “indossare l’elmetto, combattere ciecamente con il solo appello all’unità”, perché “se il confronto si riduce all’ennesimo duello si va verso una sconfitta storica”.
Ieri Renzi aveva provato a correre ai ripari, mentre mezzo partito sembrava pronto a fare i bagagli. “Non posso più dettare la linea da solo” aveva detto in un colloquio con il Corriere della Sera, aprendo alla minoranza interna su congresso e rinvio delle elezioni. E, dopo aver ammesso gli errori nella campagna elettorale per il referendum del 4 dicembre scorso, ha detto che potrebbe non essere lui il prossimo premier: “Io presidente del Consiglio? Magari potrebbe toccare ancora a Paolo Gentiloni, o a Graziano Delrio”. Renzi ha chiuso velocemente la questione: “Primarie, congresso, va bene tutto“. Ecco, anche per Cuperlo la scelta è “tutto”.
Pd, l’ultimatum di Cuperlo a Matteo Renzi
L’appello dell’ex presidente del partito al leader: “Costruisci le condizioni per una stagione diversa”
Ma per lui le pulsioni di scissione di Bersani che D’Alema sono operazioni da Armata Brancaleone
Foto Andreoli Emilio - LaPresse 15 12 2013 - Milano (Italia) Politica Assemblea Nazionale PD Partito Democratico presso MICO Milano Congressi Nella foto:
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“Al segretario un consiglio fraterno, cerca il bene della tua comunità, dimettiti domani e convoca il congresso”. Gianni Cuperlo sceglie un’assemblea nella sede del Partito democratico per dire la sua sul tema della scissione minacciata da Bersani e da tutta l’ala sinistra. E anche il suo punto di vista suona come un ultimatum
di F. Q.
Pd, Cuperlo a Renzi: “Dimettiti subito e convoca il congresso”. Ma per lui la scissione è da Armata Brancaleone
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L'ex presidente del partito, leale sul referendum in cambio di modifiche all'Italicum mai fatte, lancia un appello al segretario: "Costruisci le condizioni per una stagione diversa". Ma abbandona sia Bersani che D'Alema e le loro pulsioni "separatiste" facendo trasmettere all'assemblea della sua corrente una clip del film di Monicelli
di F. Q. | 4 febbraio 2017
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Dimissioni subito e congresso. A chiederlo al segretario del Pd Matteo Renzi è il più collaborativo della minoranza del Pd. Anzi, colui che ha dichiarato di votare Sì al referendum costituzionale in cambio di alcune modifiche all’Italicum (poi mai fatte). Gianni Cuperlo apre l’assemblea della sua corrente, SinistraDem, al Nazareno e manda al segretario “un consiglio fraterno: cerca il bene della tua comunità, dimettiti domani e convoca il congresso“. L’ex presidente del partito usa il testo di una canzone di Eros Ramazzotti (di 32 anni fa): “Se hai a cuore il destino del Pd e della sinistra, per citare Eros ora che si avvicina Sanremo, ‘Fermati un istante‘. Non per tutta la vita ma ora costruisci le condizioni per una stagione diversa”. Nel corso di un lungo intervento dedicato in larga parte all’analisi del trumpismo e ai rischi che questo comporta per tutto l’Occidente, Cuperlo ha esortato, di fronte ad un mondo che cambia, tutto il centrosinistra a ricostruirsi e soprattutto ha auspicato che il Pd si rifondi. “Per troppo tempo ognuno di noi ha parlato ai propri – ha sottolineato – ma un partito così è destinato a spegnersi presto”.
Nello stesso momento, però, con un’altra citazione – questa volta cinematografica – Cuperlo abbandona anche il resto della minoranza (Pierluigi Bersani) e il vecchio leader, del quale è stato delfino, Massimo D’Alema. Anzi, quasi li prende in giro. In apertura dell’assemblea è stata trasmessa una clip di L’armata Brancaleone alle Crociate: “Ite anca voi dove volete, ma da un’altra parte…”. Un modo ironico per criticare ogni iniziativa scissionista, che, nella volontà dei promotori del video rischia di disperdere le forze e dividere mortalmente la sinistra italiana. Sono battute del film citate anche dallo stesso Cuperlo nel suo intervento. “Dobbiamo farla finita l’era in cui la formula vincente era ‘mi candido’. Vedo molte personalità che coltivano ognuno il proprio recinto. Ma tutto ciò non verrà compreso dal nostro popolo”. La critica, senza citarle esplicitamente, è alle tante iniziative sorte a sinistra del Pd.
Per Cuperlo, dunque, “serve un’alternativa – dice – che non può prescindere dal Pd, ma non quello di oggi”. Secondo l’ex contendente di Renzi alle primarie, il congresso è l’ultima occasione per ritrovare una coesione: “Così ci potremo misurare tutti e non solo Renzi, su una serie di sconfitte. Per troppo tempo ognuno di noi ha parlato ai propri, ma un partito così è destinato a spegnersi presto”.
Cuperlo vuole “un congresso diverso, aperto. E per il segretario penso a una personalità che si dedica solo a questo, che non fa anche il sindaco, non guida una regione, non fa il premier, non fa il ministro”. Cuperlo bocciato così l’ipotesi di scissione: “In un passaggio simile, l’idea di spezzare un progetto sul quale la sinistra italiana ha scommesso se stessa non rappresenta un balzo in avanti ma un ritorno all’antico”. Tuttavia ammette che “ci sono tanti orfani a cui serve una casa”, per cui, sottolinea: “La nostra prova è cercare di costruirla”. Quindi, ammonisce la segreteria del Pd a non “indossare l’elmetto, combattere ciecamente con il solo appello all’unità”, perché “se il confronto si riduce all’ennesimo duello si va verso una sconfitta storica”.
Ieri Renzi aveva provato a correre ai ripari, mentre mezzo partito sembrava pronto a fare i bagagli. “Non posso più dettare la linea da solo” aveva detto in un colloquio con il Corriere della Sera, aprendo alla minoranza interna su congresso e rinvio delle elezioni. E, dopo aver ammesso gli errori nella campagna elettorale per il referendum del 4 dicembre scorso, ha detto che potrebbe non essere lui il prossimo premier: “Io presidente del Consiglio? Magari potrebbe toccare ancora a Paolo Gentiloni, o a Graziano Delrio”. Renzi ha chiuso velocemente la questione: “Primarie, congresso, va bene tutto“. Ecco, anche per Cuperlo la scelta è “tutto”.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
IlFattoQuotidiano.it / Politica
Renzi ha un problema: l’Ulivo 2.0 di D’Alema e Bersani è una cosa seria. “Se non apre al dialogo finiranno lui e il Pd”
di Pierluigi Giordano Cardone | 2 febbraio 2017
Non ha ancora un nome né contorni definiti, ma il nuovo progetto politico di Massimo D’Alema (con annessa minaccia di scissione) è una cosa seria. Molto seria. E fa paura a Renzi e ai vertici del Partito Democratico. Al pari delle parole di Bersani, che all’Huffington Post ha preannunciato la creazione di un Ulivo 2.0 in caso di risposte ancora negative alle richieste di confronto da parte della minoranza dem. La questione, spiegano a ilfattoquotidiano.it fonti interne al partito, non è tanto il congresso e la data in cui farlo, quanto l’esigenza non più rimandabile di un cambio di metodo e di rotta nella segreteria dell’ex Rottamatore. Tradotto: basta con l’uomo solo al comando. In ballo c’è il futuro del Pd che, come sottolineano i sondaggi, non arriverebbe al 25% in caso di scissione dalemiana. Al contrario il listone unico della sinistra (copyright Vendola) punta seriamente a stravolgere i piani di Renzi.
Le adesioni sono in continuo aumento: il rischio è che a breve possano garantire la propria presenza anche pezzi grossi della galassia del centrosinistra. Nichi Vendola già c’è, al pari del governatore toscano Enrico Rossi. Resta da capire il futuro di Giuliano Pisapia e, soprattutto, di Michele Emiliano. Di più: c’è addirittura chi vede l’ex sindaco di Bari come possibile candidato premier della formazione dalemiana. Emiliano contro Renzi, insomma, come ormai accade da qualche anno a questa parte. Secondo la fonte del fatto.it l’ipotesi non è peregrina, anche se molto dipenderà dalla legge elettorale con cui si andrà a votare: con il maggioritario, del resto, l’indicazione di un papabile presidente del Consiglio non è contemplata, al contrario di quanto accadrebbe in caso di urne con i partiti uniti in coalizione.
Al momento è fantapolitica, anche perché all’interno del Pd ci sono esponenti di spicco che stanno lavorando alacremente per cercare di evitare una scissione che sancirebbe la fine del Partito Democratico, almeno per come è concepito oggi. In tal senso, il ragionamento di Bersani è chiaro: se strappo sarà, morirà il Pd, ma non l’idea fondante del Pd, che era e resta buona. Particolare non di secondo piano: in caso di divisioni, è praticamente scontato che quasi tutti i fondatori abbandoneranno Renzi, col paradosso di dar vita a un soggetto politico che punterà ad affossare il partito che hanno contribuito a creare. Un particolare non di secondo piano, su cui si concentrano gli sforzi degli sherpa interni ai dem. Con un obiettivo ben preciso: aprire al dialogo e far cambiare modus operandi a Renzi, definito in uno stato di “poca lucidità” e di “confusione politica“. L’ultima dimostrazione è stato il messaggino inviato a Giovanni Floris. Con la reprimenda anti-vitalizi il segretario ha scontentato varie anime dem: chi lo accusa di inseguire Beppe Grillo e il suo populismo, chi ai vitalizi neanche pensa più perché ha già maturato il diritto ad averli, i giovani deputati fedeli e non (che non possono ragionare su soldi che vedrebbero a 65 anni) e chi rischia di non essere ricandidato.
Sì, perché ciò che Renzi nel sms non dice è che per abolire davvero i vitalizi dovrebbe non candidare gli attuali parlamentari che, in caso di rielezione, recupererebbero gli anni persi e, quindi, il diritto al vitalizio. “Il messaggio a Floris? Un autogol” lo definisce un parlamentare laico del Pd, secondo cui il segretario con queste mosse sta mettendo a repentaglio la sua sopravvivenza politica: “Se sfascia il Pd dopo la batosta del referendum, Renzi è finito”. Rimedi? Aprire al confronto con le minoranze, e non solo sulla data del congresso, ma anche e soprattutto sulla nuova legge elettorale. In tal senso, le ultime mosse della segreteria sembrano confermare i timori del premier. “Se servono e se si andrà a elezioni anticipate, allora faremo le primarie per la scelta del leader” ha detto il presidente del Pd Matteo Orfini, che si è detto ‘garante dello statuto’. Lo scrittore ed ex magistrato Gianrico Carofiglio, però, ha liquidato così la pseudo apertura di Orfini: “Primarie per la leadership? Come dicono taluni dirigenti del Pd è tecnicamente una sciocchezza“. Difficile dargli torto, visto l’attuale sistema elettorale improntato al proporzionale. Carofiglio, del resto, qualche giorno fa ha declinato l’invito di Renzi ad entrare nella sua nuova segreteria, la cui nascita è stata annunciata da settimane, ma su cui ancora nulla si sa. La chiamano confusione politica.
Renzi ha un problema: l’Ulivo 2.0 di D’Alema e Bersani è una cosa seria. “Se non apre al dialogo finiranno lui e il Pd”
di Pierluigi Giordano Cardone | 2 febbraio 2017
Non ha ancora un nome né contorni definiti, ma il nuovo progetto politico di Massimo D’Alema (con annessa minaccia di scissione) è una cosa seria. Molto seria. E fa paura a Renzi e ai vertici del Partito Democratico. Al pari delle parole di Bersani, che all’Huffington Post ha preannunciato la creazione di un Ulivo 2.0 in caso di risposte ancora negative alle richieste di confronto da parte della minoranza dem. La questione, spiegano a ilfattoquotidiano.it fonti interne al partito, non è tanto il congresso e la data in cui farlo, quanto l’esigenza non più rimandabile di un cambio di metodo e di rotta nella segreteria dell’ex Rottamatore. Tradotto: basta con l’uomo solo al comando. In ballo c’è il futuro del Pd che, come sottolineano i sondaggi, non arriverebbe al 25% in caso di scissione dalemiana. Al contrario il listone unico della sinistra (copyright Vendola) punta seriamente a stravolgere i piani di Renzi.
Le adesioni sono in continuo aumento: il rischio è che a breve possano garantire la propria presenza anche pezzi grossi della galassia del centrosinistra. Nichi Vendola già c’è, al pari del governatore toscano Enrico Rossi. Resta da capire il futuro di Giuliano Pisapia e, soprattutto, di Michele Emiliano. Di più: c’è addirittura chi vede l’ex sindaco di Bari come possibile candidato premier della formazione dalemiana. Emiliano contro Renzi, insomma, come ormai accade da qualche anno a questa parte. Secondo la fonte del fatto.it l’ipotesi non è peregrina, anche se molto dipenderà dalla legge elettorale con cui si andrà a votare: con il maggioritario, del resto, l’indicazione di un papabile presidente del Consiglio non è contemplata, al contrario di quanto accadrebbe in caso di urne con i partiti uniti in coalizione.
Al momento è fantapolitica, anche perché all’interno del Pd ci sono esponenti di spicco che stanno lavorando alacremente per cercare di evitare una scissione che sancirebbe la fine del Partito Democratico, almeno per come è concepito oggi. In tal senso, il ragionamento di Bersani è chiaro: se strappo sarà, morirà il Pd, ma non l’idea fondante del Pd, che era e resta buona. Particolare non di secondo piano: in caso di divisioni, è praticamente scontato che quasi tutti i fondatori abbandoneranno Renzi, col paradosso di dar vita a un soggetto politico che punterà ad affossare il partito che hanno contribuito a creare. Un particolare non di secondo piano, su cui si concentrano gli sforzi degli sherpa interni ai dem. Con un obiettivo ben preciso: aprire al dialogo e far cambiare modus operandi a Renzi, definito in uno stato di “poca lucidità” e di “confusione politica“. L’ultima dimostrazione è stato il messaggino inviato a Giovanni Floris. Con la reprimenda anti-vitalizi il segretario ha scontentato varie anime dem: chi lo accusa di inseguire Beppe Grillo e il suo populismo, chi ai vitalizi neanche pensa più perché ha già maturato il diritto ad averli, i giovani deputati fedeli e non (che non possono ragionare su soldi che vedrebbero a 65 anni) e chi rischia di non essere ricandidato.
Sì, perché ciò che Renzi nel sms non dice è che per abolire davvero i vitalizi dovrebbe non candidare gli attuali parlamentari che, in caso di rielezione, recupererebbero gli anni persi e, quindi, il diritto al vitalizio. “Il messaggio a Floris? Un autogol” lo definisce un parlamentare laico del Pd, secondo cui il segretario con queste mosse sta mettendo a repentaglio la sua sopravvivenza politica: “Se sfascia il Pd dopo la batosta del referendum, Renzi è finito”. Rimedi? Aprire al confronto con le minoranze, e non solo sulla data del congresso, ma anche e soprattutto sulla nuova legge elettorale. In tal senso, le ultime mosse della segreteria sembrano confermare i timori del premier. “Se servono e se si andrà a elezioni anticipate, allora faremo le primarie per la scelta del leader” ha detto il presidente del Pd Matteo Orfini, che si è detto ‘garante dello statuto’. Lo scrittore ed ex magistrato Gianrico Carofiglio, però, ha liquidato così la pseudo apertura di Orfini: “Primarie per la leadership? Come dicono taluni dirigenti del Pd è tecnicamente una sciocchezza“. Difficile dargli torto, visto l’attuale sistema elettorale improntato al proporzionale. Carofiglio, del resto, qualche giorno fa ha declinato l’invito di Renzi ad entrare nella sua nuova segreteria, la cui nascita è stata annunciata da settimane, ma su cui ancora nulla si sa. La chiamano confusione politica.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Blair e Zapatero sono sempre stati moderati e liberisti, prima ancora che guerrafondai e contro gli immigrati.UncleTom ha scritto:2 feb 2017 15:31
HASTA LA SCONFICTA, SIEMPRE!
- LE MAGICHE PREVISIONI DEI LEADER DELLA SINISTRA
- DA VELTRONI A BERSANI, DA CUPERLO A D’ALEMA, NON NE HANNO MAI AZZECCATA UNA. TUTTI I LORO FARI SI SONO SPENTI: HOLLANDE, ZAPATERO, BLAIR, TSIPRAS, OBAMA….
Mattia Feltri per “la Stampa”
Gianni Cuperlo (è vero, non bisognerebbe mai cominciare una rubrica con la parola Cuperlo, scoraggia la lettura, ma Cuperlo è simpatico e intelligente, fidatevi), insomma Gianni Cuperlo ha detto che Benoît Hamon, vincitore delle primarie socialiste in Francia, è «un ammonimento per il Pd», e anche per «una sinistra che ha detto troppi sì alle ricette dei nostri avversari».
Un po' come Walter Veltroni («Con José Luis Zapatero il pendolo della storia sta tornando a oscillare verso la nostra direzione») poco prima che l'esercito di Zapatero sparasse sui clandestini; e un po' come Massimo D' Alema («Caro Blair, la tua straordinaria vittoria premia quella sinistra che ha avuto il coraggio di rinnovarsi») poco prima che Blair facesse la guerra a fianco di George W. Bush;
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