Renzi
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Re: Renzi
Mentana attacca: "Renzi è un bullo"
Mentana attacca l'ex premier e spiega così la differenza che passa tra lui e il Cavaliere: "A tutti e due piace piacere, ma il sottotesto di Berlusconi è ‘io sono bravo e non odio nessuno’, quello di Renzi è ‘io sono bravo e gli altri sono dei coglioni’
Francesco Curridori - Dom, 29/01/2017 - 15:53
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“Dal punto di vista politico, Renzi è geneticamente un bullo”. Enrico Mentana, intervistato dal Corriere della Sera, non usa mezzi termini parlando dell’ex premier.
“È un bullo, ma non più di altri sulla scena internazionale”, spiega perché “oggi, se hai una leadership e devi comandare in uno scenario in cui tutto è cambiato, sei bullo. Ma, soprattutto, sei bullo se hai scalato il partito dei dinosauri dal di fuori, se sei uno che ha voglia di comandare e ha coscienza di sé”. Ma, per Mentana “a leadership passa anche attraverso la capacità, che Renzi non ha più, di raccontare un progetto e far sognare. E che neanche il partito ha: qui siamo alla migliore gestione possibile dell’ordinario”. E ancora:“Sei bullo anche se comandi senza che vi sia il riconoscimento generale non solo che hai la voce più bella, ma anche più sentimento e interpretazione del canto. Sono troppo immaginifico?”.
Mentana, poi, ricorda che tutte le riforme fatte da Renzi sono state smontate pezzo a pezzo e “ora anche il jobs act è a rischio di referendum” e, pertanto, al momento, l’ex premier non è più visto come il candidato vincente.“Ora, ha in mano il partito, ma non vedi in lui ricette che guardano avanti”, dice il direttore del Tg La7 aggiungendo che Renzi, dopo una prima fase di governo quasi perfetta, “ha continuato a correre e correre, a cercare la scena internazionale, ma ha rallentato la capacità di analisi della realtà e la capacità riformistica. E non ha fatto nulla per i giovani”. “Il deficit di Renzi - spiega - è che non condivide, non attrae, non fa squadra. Ha un deficit di fiducia nei confronti del prossimo”. Questo non significa, però, che l’ex premier sia politicamente defunto.“Quante volte abbiamo dato per morto Silvio Berlusconi? Eppure, se la Corte di Strasburgo lo riabilita, come è possibile, e si vota nel 2018, potrebbe diventare premier”, profetizza Mentana disegnando uno scenario politico alquanto realistico.
“Ci sono tre forze più grandi delle altre, Cinque Stelle, Pd, Centrodestra. I Cinque Stelle non fanno alleanze e, se non c’è una legge maggioritaria, non possono governare da soli. Quindi – spiega - può governare solo un’alleanza fra Pd e moderati di centrodestra”. Dato che Grillo esclude un’alleanza con Salvini, l’unica possibilità per i Cinquestelle è avere l’appoggio esterno di leghisti e Sel. Una situazione impraticabile e, perciò, l’ipotesi più prevedibile è una grande coalizione Pd-Forza Italia dove “Berlusconi potrebbe dire ‘facciamo la staffetta, mezza legislatura faccio il premier io, mezza la fa uno del Pd’. Dunque, Renzi è morto? Non se, parlando di Berlusconi che ha 80 anni, è ipotizzabile vederlo ancora premier. Anche se non è né probabile né auspicabile un premier ottantenne”. Mentana, per quanto riguarda il Partito democratico, si chiede: “nel futuro, il Pd che sarà? Di centro? Di sinistra? Qual è la sua promessa? Vale anche per il centrodestra. I partiti sono strutture novecentesche, barcollano. È il momento degli outsider. Trump rappresenta i repubblicani o è un uomo forte alternativo all’establishment?”.
Su Grillo, che ha minacciato di querelare dopo il suo post sulle giurie popolari per i giornalisti, dice che improvvisa ogni giorno la sua linea politica“nel tentativo di dare una risposta d’ordine a un problema che emerge quando, non l’ultimo peone, ma parlamentari importanti mettono in discussione la linea del movimento”. Il governo Gentiloni, per Mentana, è come “l’effetto-bar”. "Quando tu corri tanto, corri , corri, fai la maratona e bevi dalla borraccia al volo, poi ti fermi e vai al bar e uno e ti chiede cosa vuoi, dici 'che bello'. L’effetto - bar di Gentiloni è questo. Con Renzi si è corso, Gentiloni è uno che non ti pone ogni mezza giornata il dilemma se seguirlo o no. Cos’ha dichiarato Gentiloni oggi? Niente. Che pace”. Al di di queste battute Gentiloni viene descritto come una persona per bene, intega “sempre uguale a se stesso, disponibile e gentile, che sia in auge o no”, mentre la differenza tra Renzi e Berlusconi, Mentana la spiega così: “A tutti e due piace piacere, ma il sottotesto di Berlusconi è ‘io sono bravo e non odio nessuno’, quello di Renzi è ‘io sono bravo e gli altri sono dei coglioni’. È il diverso approccio di uno che ha comandato molto e di uno che voleva andare a comandare”.
Mentana attacca l'ex premier e spiega così la differenza che passa tra lui e il Cavaliere: "A tutti e due piace piacere, ma il sottotesto di Berlusconi è ‘io sono bravo e non odio nessuno’, quello di Renzi è ‘io sono bravo e gli altri sono dei coglioni’
Francesco Curridori - Dom, 29/01/2017 - 15:53
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“Dal punto di vista politico, Renzi è geneticamente un bullo”. Enrico Mentana, intervistato dal Corriere della Sera, non usa mezzi termini parlando dell’ex premier.
“È un bullo, ma non più di altri sulla scena internazionale”, spiega perché “oggi, se hai una leadership e devi comandare in uno scenario in cui tutto è cambiato, sei bullo. Ma, soprattutto, sei bullo se hai scalato il partito dei dinosauri dal di fuori, se sei uno che ha voglia di comandare e ha coscienza di sé”. Ma, per Mentana “a leadership passa anche attraverso la capacità, che Renzi non ha più, di raccontare un progetto e far sognare. E che neanche il partito ha: qui siamo alla migliore gestione possibile dell’ordinario”. E ancora:“Sei bullo anche se comandi senza che vi sia il riconoscimento generale non solo che hai la voce più bella, ma anche più sentimento e interpretazione del canto. Sono troppo immaginifico?”.
Mentana, poi, ricorda che tutte le riforme fatte da Renzi sono state smontate pezzo a pezzo e “ora anche il jobs act è a rischio di referendum” e, pertanto, al momento, l’ex premier non è più visto come il candidato vincente.“Ora, ha in mano il partito, ma non vedi in lui ricette che guardano avanti”, dice il direttore del Tg La7 aggiungendo che Renzi, dopo una prima fase di governo quasi perfetta, “ha continuato a correre e correre, a cercare la scena internazionale, ma ha rallentato la capacità di analisi della realtà e la capacità riformistica. E non ha fatto nulla per i giovani”. “Il deficit di Renzi - spiega - è che non condivide, non attrae, non fa squadra. Ha un deficit di fiducia nei confronti del prossimo”. Questo non significa, però, che l’ex premier sia politicamente defunto.“Quante volte abbiamo dato per morto Silvio Berlusconi? Eppure, se la Corte di Strasburgo lo riabilita, come è possibile, e si vota nel 2018, potrebbe diventare premier”, profetizza Mentana disegnando uno scenario politico alquanto realistico.
“Ci sono tre forze più grandi delle altre, Cinque Stelle, Pd, Centrodestra. I Cinque Stelle non fanno alleanze e, se non c’è una legge maggioritaria, non possono governare da soli. Quindi – spiega - può governare solo un’alleanza fra Pd e moderati di centrodestra”. Dato che Grillo esclude un’alleanza con Salvini, l’unica possibilità per i Cinquestelle è avere l’appoggio esterno di leghisti e Sel. Una situazione impraticabile e, perciò, l’ipotesi più prevedibile è una grande coalizione Pd-Forza Italia dove “Berlusconi potrebbe dire ‘facciamo la staffetta, mezza legislatura faccio il premier io, mezza la fa uno del Pd’. Dunque, Renzi è morto? Non se, parlando di Berlusconi che ha 80 anni, è ipotizzabile vederlo ancora premier. Anche se non è né probabile né auspicabile un premier ottantenne”. Mentana, per quanto riguarda il Partito democratico, si chiede: “nel futuro, il Pd che sarà? Di centro? Di sinistra? Qual è la sua promessa? Vale anche per il centrodestra. I partiti sono strutture novecentesche, barcollano. È il momento degli outsider. Trump rappresenta i repubblicani o è un uomo forte alternativo all’establishment?”.
Su Grillo, che ha minacciato di querelare dopo il suo post sulle giurie popolari per i giornalisti, dice che improvvisa ogni giorno la sua linea politica“nel tentativo di dare una risposta d’ordine a un problema che emerge quando, non l’ultimo peone, ma parlamentari importanti mettono in discussione la linea del movimento”. Il governo Gentiloni, per Mentana, è come “l’effetto-bar”. "Quando tu corri tanto, corri , corri, fai la maratona e bevi dalla borraccia al volo, poi ti fermi e vai al bar e uno e ti chiede cosa vuoi, dici 'che bello'. L’effetto - bar di Gentiloni è questo. Con Renzi si è corso, Gentiloni è uno che non ti pone ogni mezza giornata il dilemma se seguirlo o no. Cos’ha dichiarato Gentiloni oggi? Niente. Che pace”. Al di di queste battute Gentiloni viene descritto come una persona per bene, intega “sempre uguale a se stesso, disponibile e gentile, che sia in auge o no”, mentre la differenza tra Renzi e Berlusconi, Mentana la spiega così: “A tutti e due piace piacere, ma il sottotesto di Berlusconi è ‘io sono bravo e non odio nessuno’, quello di Renzi è ‘io sono bravo e gli altri sono dei coglioni’. È il diverso approccio di uno che ha comandato molto e di uno che voleva andare a comandare”.
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Re: Renzi
LA POLITICA NON E' LA SUA PROFESSIONE.......
La tentazione di Renzi: arruolare Boldrini e Pisapia nel Pd
L'ex premier sarebbe pronto a candidare la presidente della Camera insieme a Giuliano Pisapia per rilanciare l'anima di sinistra del Pd
Luca Romano - Mar, 31/01/2017 - 11:35
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"Pisapia e Boldrini li candiderà il Pd": la frase l'ha attribuita Repubblica all'ex premier Matteo Renzi, impegnato nelle trame per formare le liste dem nelle prossime elezioni.
Che, se tutto va come deve, dovrebbero essere fissate nella prima metà di giugno.
Una delle possibili insidie per il segretario potrebbe essere quella di una scissione a sinistra, con D'Alema pronto a portarsi via una fetta del partito, che - parola di Baffino - varrebbe fino al 10% dei voti. Per tamponare quest'emorragia di consensi Renzi ha dunque in mente di arruolare la presidente della Camera e l'ex sindaco di Milano.
Si tratta di due volti molto noti, non solo a sinistra, e almeno nel caso di Pisapia, di personalità che possono godere di una discreta stima, se non proprio di popolarità, anche al di fuori del perimetro della sinistra dura e pura. Includendoli, magari come indipendenti, nelle liste del Pd, Renzi potrebbe silenziare chi lo accusa di mettersi alla testa di un partito di centro.
Non solo. Sia Pisapia che la Boldrini hanno sempre dato prova di notevole lealtà all'ex premier, pur partendo da premesse politiche differenti. Due profili politici in grado, eventualmente, di lavorare come "pontieri" per tenere insieme le varie anime del partito.
Se i diretti interessati siano disposti ad accettare, certo, è tutto da vedere.
La tentazione di Renzi: arruolare Boldrini e Pisapia nel Pd
L'ex premier sarebbe pronto a candidare la presidente della Camera insieme a Giuliano Pisapia per rilanciare l'anima di sinistra del Pd
Luca Romano - Mar, 31/01/2017 - 11:35
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"Pisapia e Boldrini li candiderà il Pd": la frase l'ha attribuita Repubblica all'ex premier Matteo Renzi, impegnato nelle trame per formare le liste dem nelle prossime elezioni.
Che, se tutto va come deve, dovrebbero essere fissate nella prima metà di giugno.
Una delle possibili insidie per il segretario potrebbe essere quella di una scissione a sinistra, con D'Alema pronto a portarsi via una fetta del partito, che - parola di Baffino - varrebbe fino al 10% dei voti. Per tamponare quest'emorragia di consensi Renzi ha dunque in mente di arruolare la presidente della Camera e l'ex sindaco di Milano.
Si tratta di due volti molto noti, non solo a sinistra, e almeno nel caso di Pisapia, di personalità che possono godere di una discreta stima, se non proprio di popolarità, anche al di fuori del perimetro della sinistra dura e pura. Includendoli, magari come indipendenti, nelle liste del Pd, Renzi potrebbe silenziare chi lo accusa di mettersi alla testa di un partito di centro.
Non solo. Sia Pisapia che la Boldrini hanno sempre dato prova di notevole lealtà all'ex premier, pur partendo da premesse politiche differenti. Due profili politici in grado, eventualmente, di lavorare come "pontieri" per tenere insieme le varie anime del partito.
Se i diretti interessati siano disposti ad accettare, certo, è tutto da vedere.
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Re: Renzi
Politica
Matteo Renzi, vi spiego perché vuole votare subito
di Andrea Scanzi | 1 febbraio 2017
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Più informazioni su: Governo Gentiloni, Italicum, Matteo Renzi, PD
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Andrea Scanzi
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“Se i disgustati dal partito se ne andranno, rimarranno solo i disgustosi”. E’ una frase che mi ha colpito molto. L’ha pronunciata giorni fa uno dei molti sostenitori di Benoit Hamon, espressione della cosiddetta sinistra radicale, che ha vinto le primarie socialiste francesi. Altri suoi sostenitori ritenevano che lo sconfitto Valls avesse pagato lo spostamento verso il centro del partito, snaturandolo e rovinandolo, “proprio come Renzi in Italia”. La frase sui disgustati & disgustosi ben si adatta al Pd: se quelli che amano il partito, e più in generale una certa idea “socialista”, non si muovono a salvarlo, i disgustati cresceranno sempre più (già adesso sono a livelli di guardia) e rimarranno solo i “disgustosi”.
Il Pd ci ha tristemente abituato ai penultimatum. Fino al 4 dicembre la minoranza dem, tranne Civati (che infatti se n’è andato) e pochi altri, era un’Armata Brancaleone di Don Abbondio. In questo senso D’Alema, che mi ha sempre attratto come una jam session tra Bianca Atzei e il Poro Schifoso, ha avuto il coraggio di gridare il suo “no” al referendum e di descrivere Renzi per quel che era, è e sarà: ovvero niente. Evidentemente, per far dire qualcosa di sinistra a D’Alema, serviva Renzi. E da questo si capisce come anche Matteo, nel suo piccolo, una ragione di vita politica forse ce l’abbia.
Molte cose, adesso, sono cambiate. Dopo il meraviglioso Golgota del 4 dicembre, che – ve lo ricordo – è ora Festa Nazionale della Torcida Inesausta e ha per inno Another Brick In The Wall Part 2, il tappo è alfine saltato. Renzi non ha più il partito sotto controllo. Le parole di Emiliano sono durissime. Le parole di Rossi sono durissime. Un ipotetico partito dalemiano è accreditato al 12-14%, che con questa legge elettorale (di merda) non è poco. Persino Bersani non esclude più la scissione. E la stessa vittoria di Hamon dice che c’è spazio per la sinistra. Certo, permane qualche pontiere, tipo Speranza – il cui carisma non smette di accecarci – e Cuperlo, ma lo strappo pare irrecuperabile.
La coperta di Renzi è sempre più corta e lui pare sempre più bollito (c’mon). Eppure il Podista Bolso di Rignano, che non va mai – mai – dato per finito, vuole le elezioni subito. Perché? La Consulta, se possibile, ha reso l’Italicum (ennesimo troiaio renziano) persino più inverecondo. Via il ballottaggio, permangono però i capilista bloccati e le multicandidature. Siamo di fronte a un proporzionale con premio di maggioranza al 40%. Il premio va però alla lista e non alla coalizione: quindi, salvo miracoli (?), non va a nessuno. Siamo passati dall’Italicum all’Itatroiaium. Che culo.
Renzi è a oggi lontano dal 40%. Neanche due mesi fa ha preso un cazzotto prodigioso (si vola) e nessuno che lo odiava il 4 dicembre ha certo cambiato idea. Eppure lui vuole andare a votare subito, a costo di far saltare Gentiloni, magari sulla (ovviamente impopolare) manovra correttiva. Perché?
1. Perché Renzi è un politico debole e sopravvalutato. La Storia, tra cent’anni, si butterà in terra dal ridere pensando a come un paese civile arrivò a credere a un tizio così improponibile. Renzi, di per sé impalpabile, non ne indovina una dalle Europee 2014 e ha il talento di Gabriel Garko. E’ convinto che il 40% che ha votato “sì” sia suo e quindi lo voterà ad aprile o giugno. Idolo.
2. Perché ha reagito al calvario delizioso del 4 dicembre (vamos) fingendo di avere preso un buffetto in testa e non un treno in faccia. Come se nulla fosse successo. Ora, come ha scritto lunedì Galli della Loggia sul Corriere della Sera, si comporta mestamente come un capocorrente qualsiasi, che sta sempre al telefono e spartisce poltrone, convinto che nulla sia cambiato. Una prece.
3. Perché teme che la sua parabola, a oggi meravigliosamente discendente (daje), scenda sempre più col passare dei mesi. Più lui attende, più lui crolla. We hope so, man.
4. Perché –soprattutto – vuole tenere il partito sotto scacco, negando il Congresso, facendo fuori la minoranza (limite terzo mandato), candidando solo i fedelissimi (capilista bloccati) e garantendosi almeno un’altra legislatura in posizione di comando. Non è che Renzi voglia votare subito per vincere, sebbene un po’ ci speri (e in questo paese tutto è possibile, anzitutto l’Apocalisse): vuole votare subito per garantirsi un vitalizio personale. Un futuro politico. Un extratime di ribalta suppletiva.
Ed è qui che, ancora, tocca alla minoranza (minoranza?): quando l’avversario è nella polvere, non si perde tempo: gli si dà, politicamente, il colpo di grazia. Altrimenti poi quello prima o poi rialza la testa. E ricomincia a fare danni. Tanti danni. Del resto è l’unica cosa che sa fare.
Matteo Renzi, vi spiego perché vuole votare subito
di Andrea Scanzi | 1 febbraio 2017
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“Se i disgustati dal partito se ne andranno, rimarranno solo i disgustosi”. E’ una frase che mi ha colpito molto. L’ha pronunciata giorni fa uno dei molti sostenitori di Benoit Hamon, espressione della cosiddetta sinistra radicale, che ha vinto le primarie socialiste francesi. Altri suoi sostenitori ritenevano che lo sconfitto Valls avesse pagato lo spostamento verso il centro del partito, snaturandolo e rovinandolo, “proprio come Renzi in Italia”. La frase sui disgustati & disgustosi ben si adatta al Pd: se quelli che amano il partito, e più in generale una certa idea “socialista”, non si muovono a salvarlo, i disgustati cresceranno sempre più (già adesso sono a livelli di guardia) e rimarranno solo i “disgustosi”.
Il Pd ci ha tristemente abituato ai penultimatum. Fino al 4 dicembre la minoranza dem, tranne Civati (che infatti se n’è andato) e pochi altri, era un’Armata Brancaleone di Don Abbondio. In questo senso D’Alema, che mi ha sempre attratto come una jam session tra Bianca Atzei e il Poro Schifoso, ha avuto il coraggio di gridare il suo “no” al referendum e di descrivere Renzi per quel che era, è e sarà: ovvero niente. Evidentemente, per far dire qualcosa di sinistra a D’Alema, serviva Renzi. E da questo si capisce come anche Matteo, nel suo piccolo, una ragione di vita politica forse ce l’abbia.
Molte cose, adesso, sono cambiate. Dopo il meraviglioso Golgota del 4 dicembre, che – ve lo ricordo – è ora Festa Nazionale della Torcida Inesausta e ha per inno Another Brick In The Wall Part 2, il tappo è alfine saltato. Renzi non ha più il partito sotto controllo. Le parole di Emiliano sono durissime. Le parole di Rossi sono durissime. Un ipotetico partito dalemiano è accreditato al 12-14%, che con questa legge elettorale (di merda) non è poco. Persino Bersani non esclude più la scissione. E la stessa vittoria di Hamon dice che c’è spazio per la sinistra. Certo, permane qualche pontiere, tipo Speranza – il cui carisma non smette di accecarci – e Cuperlo, ma lo strappo pare irrecuperabile.
La coperta di Renzi è sempre più corta e lui pare sempre più bollito (c’mon). Eppure il Podista Bolso di Rignano, che non va mai – mai – dato per finito, vuole le elezioni subito. Perché? La Consulta, se possibile, ha reso l’Italicum (ennesimo troiaio renziano) persino più inverecondo. Via il ballottaggio, permangono però i capilista bloccati e le multicandidature. Siamo di fronte a un proporzionale con premio di maggioranza al 40%. Il premio va però alla lista e non alla coalizione: quindi, salvo miracoli (?), non va a nessuno. Siamo passati dall’Italicum all’Itatroiaium. Che culo.
Renzi è a oggi lontano dal 40%. Neanche due mesi fa ha preso un cazzotto prodigioso (si vola) e nessuno che lo odiava il 4 dicembre ha certo cambiato idea. Eppure lui vuole andare a votare subito, a costo di far saltare Gentiloni, magari sulla (ovviamente impopolare) manovra correttiva. Perché?
1. Perché Renzi è un politico debole e sopravvalutato. La Storia, tra cent’anni, si butterà in terra dal ridere pensando a come un paese civile arrivò a credere a un tizio così improponibile. Renzi, di per sé impalpabile, non ne indovina una dalle Europee 2014 e ha il talento di Gabriel Garko. E’ convinto che il 40% che ha votato “sì” sia suo e quindi lo voterà ad aprile o giugno. Idolo.
2. Perché ha reagito al calvario delizioso del 4 dicembre (vamos) fingendo di avere preso un buffetto in testa e non un treno in faccia. Come se nulla fosse successo. Ora, come ha scritto lunedì Galli della Loggia sul Corriere della Sera, si comporta mestamente come un capocorrente qualsiasi, che sta sempre al telefono e spartisce poltrone, convinto che nulla sia cambiato. Una prece.
3. Perché teme che la sua parabola, a oggi meravigliosamente discendente (daje), scenda sempre più col passare dei mesi. Più lui attende, più lui crolla. We hope so, man.
4. Perché –soprattutto – vuole tenere il partito sotto scacco, negando il Congresso, facendo fuori la minoranza (limite terzo mandato), candidando solo i fedelissimi (capilista bloccati) e garantendosi almeno un’altra legislatura in posizione di comando. Non è che Renzi voglia votare subito per vincere, sebbene un po’ ci speri (e in questo paese tutto è possibile, anzitutto l’Apocalisse): vuole votare subito per garantirsi un vitalizio personale. Un futuro politico. Un extratime di ribalta suppletiva.
Ed è qui che, ancora, tocca alla minoranza (minoranza?): quando l’avversario è nella polvere, non si perde tempo: gli si dà, politicamente, il colpo di grazia. Altrimenti poi quello prima o poi rialza la testa. E ricomincia a fare danni. Tanti danni. Del resto è l’unica cosa che sa fare.
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Re: Renzi
PINOCCHIO MUSSOLONI E LA STAGIONE DEI VELENI INCROCIATI
Giallo sui regali da premier: "Renzi non li ha restituiti"
I dubbi sui regali ricevuti da Matteo Renzi quando era a capo di Palazzo Chigi. Nel registro dei doni appare solo una statuetta. Giallo sui rolex
Claudio Cartaldo - Gio, 02/02/2017 - 11:57
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Che fine fanno i regali che ministri, capi di Stato, Re e Regine portano in dono a Palazzo Chigi? In teoria i presidenti del Consiglio dovrebbero restituirli, soprattutto se questi superano il valore di 300 euro.
Bene. È sorto un giallo, però, sui beni ricevuti da Matteo Renzi quando era premier: secondo il Fatto Quotidiano, infatti, il segretario del Pd avrebbe restituito solo una statuetta. E i Rolex?
Facciamo un passo indietro. Nel registro dei doni di rappresentanza forniti dal Dipartimento per i Servizi strumentali di Palazzo Chigi risulta soltanto una restituzione da parte di Matteo Renzi: una statuetta, "senza indicazione di destinazione", che gli era stata donata dal sovrano dell'Arabia Saudita durante la visita a Ryad del novembre del 2015. Si tratta dello stesso viaggio istituzionale che portò al giallo sui rolex, quando i funzionari italiani arrivarono quasi alle mani perché alcuni avevano ricevuto in regalo orologi meno preziosi di altri. Alcune scatole donate dai Sauditi contenevano Rolex da 20mila euro, altre orologi da 4mila. Gli sfortunati si arrabbiarono, tanto da rischiare una rissa. Così alla fine Renzi decise di sequestrare tutti i regali e di metterli "nella disponibilità della presidenza del Consiglio".
Il fatto è che di tutti i regali ricevuti da Renzi non c'è traccia nel registro dei doni fornito da Palazzo Chigi. Non c'è la bicicletta donata dal giapponese Shinzo Abe, non c'è il Rolex donato dai sauditi insieme alla famosa statuetta, non ci sono gli altri orologi della "rissa a Ryad" né la torcia olimpica. Nel documento appaiono invece i regali restituiti nel tempo da Gianni Letta, Maria Carmela Lanzetta, Graziano Delrio e Enrico Costa. Il dipartimento ha precisato al Fatto che i doni che devono essere registrati nel documento inviato sono solo quelli ricevuti "in ragione dell'ufficio che ricoprono pro-tempore, in occasione di visite ufficiali o di incontri, da parte di autorità o delegazioni italiane o straniere e che, secondo gli usi di cerimoniale, abbiano carattere protocollare d'uso e cortesia". Eppure una legge approvata da Romano Prodi prevede che i componenti del governo e i loro familiari non possono tenere omaggi di valore superiore ai 300 euro.
Il M5S è già andato all'attacco, chiedendo segretario del Pd di "dire la verità ed essere trasparente". "Che fine hanno fatto e dove sono tutti i doni ricevuti da Renzi e dai suoi delegati nel corso del proprio incarico di governo e che appartengono a tutti i cittadini italiani?", tuona la sentatrice Laura Bottici. "Il M5S ha ottenuto una sentenza del TAR che obbligava proprio palazzo Chigi a rendere pubblici i registri dei doni, ma Renzi ha preferito opporsi al Consiglio di Stato attraverso gli avvocati pagati da tutti i cittadini. Renzi impari a rispettare il Parlamento e i cittadini e sia trasparente. Mostri il registro integrale con la precisa indicazione delle missioni in cui ha ricevuto doni e dica finalmente la verità a tutti gli italiani". Sul caso dei rolex ricevuti a Ryad, peraltro, il deputato di Sel Franco Bordo aveva presentato una interrogazione a risposta scritta diretta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. L'atto parlamentare porta la data dell'11 gennaio 2016 e un anno dopo ancora nessuno si è fatto sentire. Silenzio assoluto. Rimane solo il ticchettio dei Rolex.
Giallo sui regali da premier: "Renzi non li ha restituiti"
I dubbi sui regali ricevuti da Matteo Renzi quando era a capo di Palazzo Chigi. Nel registro dei doni appare solo una statuetta. Giallo sui rolex
Claudio Cartaldo - Gio, 02/02/2017 - 11:57
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Che fine fanno i regali che ministri, capi di Stato, Re e Regine portano in dono a Palazzo Chigi? In teoria i presidenti del Consiglio dovrebbero restituirli, soprattutto se questi superano il valore di 300 euro.
Bene. È sorto un giallo, però, sui beni ricevuti da Matteo Renzi quando era premier: secondo il Fatto Quotidiano, infatti, il segretario del Pd avrebbe restituito solo una statuetta. E i Rolex?
Facciamo un passo indietro. Nel registro dei doni di rappresentanza forniti dal Dipartimento per i Servizi strumentali di Palazzo Chigi risulta soltanto una restituzione da parte di Matteo Renzi: una statuetta, "senza indicazione di destinazione", che gli era stata donata dal sovrano dell'Arabia Saudita durante la visita a Ryad del novembre del 2015. Si tratta dello stesso viaggio istituzionale che portò al giallo sui rolex, quando i funzionari italiani arrivarono quasi alle mani perché alcuni avevano ricevuto in regalo orologi meno preziosi di altri. Alcune scatole donate dai Sauditi contenevano Rolex da 20mila euro, altre orologi da 4mila. Gli sfortunati si arrabbiarono, tanto da rischiare una rissa. Così alla fine Renzi decise di sequestrare tutti i regali e di metterli "nella disponibilità della presidenza del Consiglio".
Il fatto è che di tutti i regali ricevuti da Renzi non c'è traccia nel registro dei doni fornito da Palazzo Chigi. Non c'è la bicicletta donata dal giapponese Shinzo Abe, non c'è il Rolex donato dai sauditi insieme alla famosa statuetta, non ci sono gli altri orologi della "rissa a Ryad" né la torcia olimpica. Nel documento appaiono invece i regali restituiti nel tempo da Gianni Letta, Maria Carmela Lanzetta, Graziano Delrio e Enrico Costa. Il dipartimento ha precisato al Fatto che i doni che devono essere registrati nel documento inviato sono solo quelli ricevuti "in ragione dell'ufficio che ricoprono pro-tempore, in occasione di visite ufficiali o di incontri, da parte di autorità o delegazioni italiane o straniere e che, secondo gli usi di cerimoniale, abbiano carattere protocollare d'uso e cortesia". Eppure una legge approvata da Romano Prodi prevede che i componenti del governo e i loro familiari non possono tenere omaggi di valore superiore ai 300 euro.
Il M5S è già andato all'attacco, chiedendo segretario del Pd di "dire la verità ed essere trasparente". "Che fine hanno fatto e dove sono tutti i doni ricevuti da Renzi e dai suoi delegati nel corso del proprio incarico di governo e che appartengono a tutti i cittadini italiani?", tuona la sentatrice Laura Bottici. "Il M5S ha ottenuto una sentenza del TAR che obbligava proprio palazzo Chigi a rendere pubblici i registri dei doni, ma Renzi ha preferito opporsi al Consiglio di Stato attraverso gli avvocati pagati da tutti i cittadini. Renzi impari a rispettare il Parlamento e i cittadini e sia trasparente. Mostri il registro integrale con la precisa indicazione delle missioni in cui ha ricevuto doni e dica finalmente la verità a tutti gli italiani". Sul caso dei rolex ricevuti a Ryad, peraltro, il deputato di Sel Franco Bordo aveva presentato una interrogazione a risposta scritta diretta alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. L'atto parlamentare porta la data dell'11 gennaio 2016 e un anno dopo ancora nessuno si è fatto sentire. Silenzio assoluto. Rimane solo il ticchettio dei Rolex.
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Re: Renzi
DE PROFUNDIS
Politica
Matteo Renzi e il suo delirio di presunta onnipotenza
di Andrea Scanzi | 5 febbraio 2017
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Andrea Scanzi
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Ci sono due maniere di reagire a una batosta. La prima è far tesoro degli errori, trarne insegnamento e ripartire. La seconda è far finta di nulla. La prima è la strada giusta, la seconda quella più facile. Matteo Renzi, il “politico” più sopravvalutato degli ultimi 214 anni, ha ovviamente scelto la seconda strada.
Le cronache renziane degli ultimi giorni sono esilaranti. Lo descrivono come un uomo che ha perso (definitivamente) il senno e il sonno: alle 5 del mattino è già lì che smessaggia ordini a caso. Fabrizio D’Esposito, ieri sul Fatto, ha ben raccontato la “sindrome da bunker” di questo pesce smisuratamente piccolo (nelle qualità), frainteso da molti (da me no) per fenomeno.
Pare che molti, nel Pd, parlino ora di lui chiamandolo “pazzo”. “Che dice il pazzo?”, “Che fa il pazzo?”. Lo prendono in giro tutti e vien quasi da difenderlo. Lui stesso è passato in dieci giorni da frasi come “Legge elettorale in dieci giorni o subito al voto” alla brusca frenata delle ultime ore. Prima non voleva concedere il Congresso, adesso sì. Prima voleva votare subito, ora si può aspettare. Prima comandava solo lui, e se avesse vinto il “sì” non ce lo saremmo levato di torno per vent’anni, ora piagnucola che non può più gestire da solo il Pd. Non si è arreso, e mai lo farà, ma vacilla e scalcia a caso. E tutto questo è divertente parecchio.
Doveva ritirarsi per sempre se avesse vinto il “no”, ma chiaramente non è stato di parola. Così, dopo il discorso strappalacrime del 4 dicembre (lo ha scritto Baricco?), ha detto che se ne sarebbe stato a Pontassieve a fare triathlon. Magari per perdere qualche chilo e il mento al cubo. Non gli è riuscito neanche quello. I colleghi di partito, raccontava sempre ieri D’Esposito, lo guardano e ridono sadici: “Hai visto il Pazzo come è ingrassato?”. Davvero: vien voglia di difenderlo. A Rimini, per il suo (pietoso) rientro, ha pure ordinato quattro panini in due ore. Fame di potere, ma anche fame e basta. Fame nervosa e compulsiva.
I renziani della prima ora sono imbarazzati, quelli della seconda – e terza, e quarta – già provano a scendere. Mattarella e Napolitano lo stanno scaricando. Gentiloni è già più amato di lui dagli italiani. In tre anni ha dilapidato tanto (purtroppo non tutto. Siate vigili, sempre). Ieri Cuperlo lo ha zimbellato con agio. Enrico Rossi e Michele Emiliano lo mazzolano di continuo. Bersani ha ritrovato pigolo. D’Alema, quando parla di lui, sembra Garrincha sulla fascia destra ai Mondiali del ’58. Sette italiani su dieci sono (giustamente) contrari ad andare al voto subito. Il Pd è sceso sotto il 30% (cala anche il M5S, e come qui previsto a trarre vantaggio dal clima generale è il centrodestra). Le sue smargiassate pre-referendum hanno portato alla reazione di Bruxelles, che ovviamente pagheremo noi. Persino Padoan, adesso, lo critica. Lui finge che vada tutto bene, come faceva suo padre Berlusconi quando si chiudeva dentro Palazzo Grazioli immaginandosi Napoleone.
Quello di Renzi è un calvario certo fantozziano e mediamente esilarante. E’ in difficoltà totale, ma può ancora rialzarsi. E se si rialza, poi non fa prigionieri: sarebbe il disastro. La minoranza (minoranza?) deve sconfiggerlo una volta per tutte, oppure andarsene dal Pd. M5S e centrodestra non devono dargli tregua. Colpite, infierire, abbattete (politicamente, eh). Lasciate Renzi al suo delirio di presunta onnipotenza. Lasciatelo col suo cavallo frainteso per regno, come il Riccardo III di Shakespeare. Fategli guidare un Partito Renzi pieno di nulla. E riconsegnatelo all’unico ruolo politico che merita: la più assoluta insignificanza. E’ stato già imbarazzante, per questo paese, vederlo segretario Pd e Presidente del Consiglio, oscenamente riverito da troppi cortigiani dichiarati o mascherati: adesso basta. Basta. C’è un limite anche al ridicolo. Cioè a Renzi
Politica
Matteo Renzi e il suo delirio di presunta onnipotenza
di Andrea Scanzi | 5 febbraio 2017
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Andrea Scanzi
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Ci sono due maniere di reagire a una batosta. La prima è far tesoro degli errori, trarne insegnamento e ripartire. La seconda è far finta di nulla. La prima è la strada giusta, la seconda quella più facile. Matteo Renzi, il “politico” più sopravvalutato degli ultimi 214 anni, ha ovviamente scelto la seconda strada.
Le cronache renziane degli ultimi giorni sono esilaranti. Lo descrivono come un uomo che ha perso (definitivamente) il senno e il sonno: alle 5 del mattino è già lì che smessaggia ordini a caso. Fabrizio D’Esposito, ieri sul Fatto, ha ben raccontato la “sindrome da bunker” di questo pesce smisuratamente piccolo (nelle qualità), frainteso da molti (da me no) per fenomeno.
Pare che molti, nel Pd, parlino ora di lui chiamandolo “pazzo”. “Che dice il pazzo?”, “Che fa il pazzo?”. Lo prendono in giro tutti e vien quasi da difenderlo. Lui stesso è passato in dieci giorni da frasi come “Legge elettorale in dieci giorni o subito al voto” alla brusca frenata delle ultime ore. Prima non voleva concedere il Congresso, adesso sì. Prima voleva votare subito, ora si può aspettare. Prima comandava solo lui, e se avesse vinto il “sì” non ce lo saremmo levato di torno per vent’anni, ora piagnucola che non può più gestire da solo il Pd. Non si è arreso, e mai lo farà, ma vacilla e scalcia a caso. E tutto questo è divertente parecchio.
Doveva ritirarsi per sempre se avesse vinto il “no”, ma chiaramente non è stato di parola. Così, dopo il discorso strappalacrime del 4 dicembre (lo ha scritto Baricco?), ha detto che se ne sarebbe stato a Pontassieve a fare triathlon. Magari per perdere qualche chilo e il mento al cubo. Non gli è riuscito neanche quello. I colleghi di partito, raccontava sempre ieri D’Esposito, lo guardano e ridono sadici: “Hai visto il Pazzo come è ingrassato?”. Davvero: vien voglia di difenderlo. A Rimini, per il suo (pietoso) rientro, ha pure ordinato quattro panini in due ore. Fame di potere, ma anche fame e basta. Fame nervosa e compulsiva.
I renziani della prima ora sono imbarazzati, quelli della seconda – e terza, e quarta – già provano a scendere. Mattarella e Napolitano lo stanno scaricando. Gentiloni è già più amato di lui dagli italiani. In tre anni ha dilapidato tanto (purtroppo non tutto. Siate vigili, sempre). Ieri Cuperlo lo ha zimbellato con agio. Enrico Rossi e Michele Emiliano lo mazzolano di continuo. Bersani ha ritrovato pigolo. D’Alema, quando parla di lui, sembra Garrincha sulla fascia destra ai Mondiali del ’58. Sette italiani su dieci sono (giustamente) contrari ad andare al voto subito. Il Pd è sceso sotto il 30% (cala anche il M5S, e come qui previsto a trarre vantaggio dal clima generale è il centrodestra). Le sue smargiassate pre-referendum hanno portato alla reazione di Bruxelles, che ovviamente pagheremo noi. Persino Padoan, adesso, lo critica. Lui finge che vada tutto bene, come faceva suo padre Berlusconi quando si chiudeva dentro Palazzo Grazioli immaginandosi Napoleone.
Quello di Renzi è un calvario certo fantozziano e mediamente esilarante. E’ in difficoltà totale, ma può ancora rialzarsi. E se si rialza, poi non fa prigionieri: sarebbe il disastro. La minoranza (minoranza?) deve sconfiggerlo una volta per tutte, oppure andarsene dal Pd. M5S e centrodestra non devono dargli tregua. Colpite, infierire, abbattete (politicamente, eh). Lasciate Renzi al suo delirio di presunta onnipotenza. Lasciatelo col suo cavallo frainteso per regno, come il Riccardo III di Shakespeare. Fategli guidare un Partito Renzi pieno di nulla. E riconsegnatelo all’unico ruolo politico che merita: la più assoluta insignificanza. E’ stato già imbarazzante, per questo paese, vederlo segretario Pd e Presidente del Consiglio, oscenamente riverito da troppi cortigiani dichiarati o mascherati: adesso basta. Basta. C’è un limite anche al ridicolo. Cioè a Renzi
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Re: Renzi
Via al congresso, balla anche il governo
Renzi si dimette da segretario Pd
di ELISA CALESSI
Il voto a giugno è ancora la strada
che Matteo Renzi preferisce di
gran lunga. Ma se lunedì, alla direzione
nazionale, il Pd dirà di no, è
pronto a dimettersi da segretario
per avviare subito il congresso. Anche
subito, seduta stante, difronte
al parlamentino dem. «Non ci sto
a fare il bersaglio per mesi»,avrebbe
detto ieri. Del resto è un concetto
che va ripetendo da giorni. «Basta
tiro al piccione», «non mi faccio
logorare per mesi».Contiamoci,
vediamo con chi stanno gli
iscritti e poi si vada pure a scadenza
naturale. Un’opzione che passa,
da statuto, per le dimissioni del
segretario. Ed è una via che Renzi,
dicono al Nazareno, «sta valutando
seriamente». Avrebbe già scelto
anche il reggente, Matteo (...)
segue a pagina 8
Renzi si dimette da segretario Pd
di ELISA CALESSI
Il voto a giugno è ancora la strada
che Matteo Renzi preferisce di
gran lunga. Ma se lunedì, alla direzione
nazionale, il Pd dirà di no, è
pronto a dimettersi da segretario
per avviare subito il congresso. Anche
subito, seduta stante, difronte
al parlamentino dem. «Non ci sto
a fare il bersaglio per mesi»,avrebbe
detto ieri. Del resto è un concetto
che va ripetendo da giorni. «Basta
tiro al piccione», «non mi faccio
logorare per mesi».Contiamoci,
vediamo con chi stanno gli
iscritti e poi si vada pure a scadenza
naturale. Un’opzione che passa,
da statuto, per le dimissioni del
segretario. Ed è una via che Renzi,
dicono al Nazareno, «sta valutando
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Re: Renzi
lo sputtanamento cochi e renato
https://www.youtube.com/watch?v=Ooi-BVYtGz8
Economia & Lobby | Di Giordano Cardone e Vendemiale
Ryder Cup, Montali la butta in politica
“Se non fosse caduto il Governo Renzi
avremmo già chiuso la partita tempo fa”
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Re: Renzi
OGNUNO TIRA LA COPERTA DALLA PROPRIA PARTE
Renzi, dimissioni lampo e larghe intese per sfidare i frondisti Pd
Oggi apre il congresso per riprendersi il partito. Voto più lontano e ipotesi accordo con Forza Italia
Roberto Scafuri - Lun, 13/02/2017 - 08:00
commenta
Bei tempi, quelli in cui il minculpop di Matteo Renzi poteva e sapeva disporre a proprio piacimento del coro dei media, imbeccate comprese.
Segno della crisi anche questo, se vogliamo.
Ma soprattutto sintomo di una babele scappata di mano, che non gravita più sul segretario del Pd, ma che spira vorticosamente tra le correnti del Nazareno. Al punto che la marea montante di «voci» degli ultimi giorni si traduceva ieri in un corto circuito del casino. «Ancora una volta diversi quotidiani attribuiscono al segretario del Pd dichiarazioni e virgolettati che non ha mai fatto, né reso ai giornali. Virgolettati, dunque, che sono smentiti. Com'è noto, Renzi interverrà e parlerà domani (oggi, ndr) nella Direzione del Pd», precisava la nota del Pd. Amen.
Scocca così, con l'azzeramento della chiacchiera in libertà, l'ora fatale della piccola storia del Pd. Partito mai partito, nato sbagliato, ora sfibrato dall'assenza di linea e dalle lotte per il potere. Forse addirittura e finalmente vicino all'esito finale: si tratti dell'onesta dissoluzione o di una più ipocrita transumanza nel gregge voluto da Renzi. Anche per il piccolo leader di Rignano sarebbe giunto il momento della verità: annunciare le dimissioni, rimettersi in gioco, come più volte promesso. Lo farà, probabilmente, ma solo come sfida per dimostrarsi ancora in sella, in virtù della solita gara col trucco: il congresso-lampo o «con rito abbreviato», secondo la felice espressione di Michele Emiliano. Il leader si accinge perciò ad accantonare la folle corsa alle elezioni nella quale ha ormai tutti contro, almeno mediaticamente. Anche perché sa benissimo che, con tutti i sistemi elettorali che si possono realisticamente immaginare, l'unica maggioranza possibile per lui dopo le elezioni sarebbe quella con Berlusconi (alla quale, in un'intervista al Corsera, non disse neppure di no, anche se cambierebbe nettamente il suo profilo). Davanti alla Direzione nazionale alla quale ha voluto partecipassero anche i parlamentari, si limiterà perciò a spronare i gruppi a fare presto una legge elettorale (meglio col premio al partito), rivendicando ancora una volta in pompa magna i risultati del suo governo. Con un'incredibile forzatura, inviterà a parlare il ministro Padoan in qualità di testimone su conti in ordine e su una manovra senza tasse. Così mettendo il cappello sul governo Gentiloni, assorbendolo ancor di più nella propria leadership e riducendolo, insomma, da fotocopia a cartavelina. Guai e rimbrotti, invece, saranno tutti per i suoi avversari interni, accusati di «tentato logoramento». Concetti anticipati dal «vice» Guerini, che lamentava ieri il superamento del «livello di guardia». Nyet a «una segreteria di garanzia», cioè allo strumento neutro di tutela della minoranza (i congressi, nelle mani dei leader in carica, sono «poker col morto», ossia con la minoranza sconfitta in partenza: per il regolamento che si vara, per la gestione dei numeri nei circoli). Dunque, chiariva Guerini, «se si anticipa il congresso lo si anticipa davvero, senza formule fantasiose, ma con le procedure esistenti, punto». Un vero aut aut alla minoranza: rinvio delle elezioni contro dimissioni e congresso. Se i bersaniani (parte dei quali ieri era riunita a Firenze) sembrano ancora imballati, l'asse Orlando-Emiliano continua a fare davvero paura ai renziani: prova ne siano i violenti attacchi di ieri (Romano, Fiano, Esposito, Marcucci). Fuoco di copertura per intimorire la discesa in campo del Guardasigilli, pupillo di Napolitano, e consentire all'Anatra zoppa di tornare a volare alto. Eppure, si sa, è proprio quello il momento in cui viene accoppata
Renzi, dimissioni lampo e larghe intese per sfidare i frondisti Pd
Oggi apre il congresso per riprendersi il partito. Voto più lontano e ipotesi accordo con Forza Italia
Roberto Scafuri - Lun, 13/02/2017 - 08:00
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Bei tempi, quelli in cui il minculpop di Matteo Renzi poteva e sapeva disporre a proprio piacimento del coro dei media, imbeccate comprese.
Segno della crisi anche questo, se vogliamo.
Ma soprattutto sintomo di una babele scappata di mano, che non gravita più sul segretario del Pd, ma che spira vorticosamente tra le correnti del Nazareno. Al punto che la marea montante di «voci» degli ultimi giorni si traduceva ieri in un corto circuito del casino. «Ancora una volta diversi quotidiani attribuiscono al segretario del Pd dichiarazioni e virgolettati che non ha mai fatto, né reso ai giornali. Virgolettati, dunque, che sono smentiti. Com'è noto, Renzi interverrà e parlerà domani (oggi, ndr) nella Direzione del Pd», precisava la nota del Pd. Amen.
Scocca così, con l'azzeramento della chiacchiera in libertà, l'ora fatale della piccola storia del Pd. Partito mai partito, nato sbagliato, ora sfibrato dall'assenza di linea e dalle lotte per il potere. Forse addirittura e finalmente vicino all'esito finale: si tratti dell'onesta dissoluzione o di una più ipocrita transumanza nel gregge voluto da Renzi. Anche per il piccolo leader di Rignano sarebbe giunto il momento della verità: annunciare le dimissioni, rimettersi in gioco, come più volte promesso. Lo farà, probabilmente, ma solo come sfida per dimostrarsi ancora in sella, in virtù della solita gara col trucco: il congresso-lampo o «con rito abbreviato», secondo la felice espressione di Michele Emiliano. Il leader si accinge perciò ad accantonare la folle corsa alle elezioni nella quale ha ormai tutti contro, almeno mediaticamente. Anche perché sa benissimo che, con tutti i sistemi elettorali che si possono realisticamente immaginare, l'unica maggioranza possibile per lui dopo le elezioni sarebbe quella con Berlusconi (alla quale, in un'intervista al Corsera, non disse neppure di no, anche se cambierebbe nettamente il suo profilo). Davanti alla Direzione nazionale alla quale ha voluto partecipassero anche i parlamentari, si limiterà perciò a spronare i gruppi a fare presto una legge elettorale (meglio col premio al partito), rivendicando ancora una volta in pompa magna i risultati del suo governo. Con un'incredibile forzatura, inviterà a parlare il ministro Padoan in qualità di testimone su conti in ordine e su una manovra senza tasse. Così mettendo il cappello sul governo Gentiloni, assorbendolo ancor di più nella propria leadership e riducendolo, insomma, da fotocopia a cartavelina. Guai e rimbrotti, invece, saranno tutti per i suoi avversari interni, accusati di «tentato logoramento». Concetti anticipati dal «vice» Guerini, che lamentava ieri il superamento del «livello di guardia». Nyet a «una segreteria di garanzia», cioè allo strumento neutro di tutela della minoranza (i congressi, nelle mani dei leader in carica, sono «poker col morto», ossia con la minoranza sconfitta in partenza: per il regolamento che si vara, per la gestione dei numeri nei circoli). Dunque, chiariva Guerini, «se si anticipa il congresso lo si anticipa davvero, senza formule fantasiose, ma con le procedure esistenti, punto». Un vero aut aut alla minoranza: rinvio delle elezioni contro dimissioni e congresso. Se i bersaniani (parte dei quali ieri era riunita a Firenze) sembrano ancora imballati, l'asse Orlando-Emiliano continua a fare davvero paura ai renziani: prova ne siano i violenti attacchi di ieri (Romano, Fiano, Esposito, Marcucci). Fuoco di copertura per intimorire la discesa in campo del Guardasigilli, pupillo di Napolitano, e consentire all'Anatra zoppa di tornare a volare alto. Eppure, si sa, è proprio quello il momento in cui viene accoppata
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Re: Renzi
CAVALIERE DI GRAN CROCE SUBITOOOO!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!
Briatore: "Così ho aiutato Renzi a ricucire con Trump"
In campagna elettorale Renzi aveva appoggiato la Clinton. Ora è andato a cercare un aggancio con Trump. Briatore gli ha dato una mano
Sergio Rame - Mer, 15/02/2017 - 10:36
Flavio Briatore ha dato una mano a Matteo Renzi a "ricucire" i rapporti con Donald Trump.
Qualche settimana fa, secondo la ricostruzione di Repubblica, l'imprenditore si sarebbe speso in prima persona per "ricucire il filo del dialogo" tra il segretario del Partito democratico e il presidente degli Stati Uniti.
Renzi non è più a Palazzo Chigi. Raggiungere Trump non gli era possibile, almeno non attraverso i propri canali. Così, da "semplice" segretario del Pd, ha avuto bisogno di un ambasciatore che conoscesse personalemente il tyconn e li mettesse in contatto. Ci ha pensato Briatore che è considerato uno dei migliori amici di Trump in Italia. "Sì, si sono parlati - svela il proprietario del Billionaire a Repubblica - ho creato io il canale".
Al momento non è dato sapere di cosa abbiano parlato i due. Non lo sa nemmeno Briatore. "Dovete chiederlo a loro - racconta l'imprenditore - io conosco tante persone nel mondo e quando posso faccio da facilitatore. Non ci vedo nulla di male". D'altra parte, Briatore aveva già messo in contatto Renzi e Trump prima dell'elezione del tycoon a presidente degli Stati Uniti. Chi è a conoscenza del contenuto dei colloqui nega che il segretario dem si sia voluto giustificare dell'endorsement a favore di Hillary Clinton fatto in campagna elettorale.
Briatore: "Così ho aiutato Renzi a ricucire con Trump"
In campagna elettorale Renzi aveva appoggiato la Clinton. Ora è andato a cercare un aggancio con Trump. Briatore gli ha dato una mano
Sergio Rame - Mer, 15/02/2017 - 10:36
Flavio Briatore ha dato una mano a Matteo Renzi a "ricucire" i rapporti con Donald Trump.
Qualche settimana fa, secondo la ricostruzione di Repubblica, l'imprenditore si sarebbe speso in prima persona per "ricucire il filo del dialogo" tra il segretario del Partito democratico e il presidente degli Stati Uniti.
Renzi non è più a Palazzo Chigi. Raggiungere Trump non gli era possibile, almeno non attraverso i propri canali. Così, da "semplice" segretario del Pd, ha avuto bisogno di un ambasciatore che conoscesse personalemente il tyconn e li mettesse in contatto. Ci ha pensato Briatore che è considerato uno dei migliori amici di Trump in Italia. "Sì, si sono parlati - svela il proprietario del Billionaire a Repubblica - ho creato io il canale".
Al momento non è dato sapere di cosa abbiano parlato i due. Non lo sa nemmeno Briatore. "Dovete chiederlo a loro - racconta l'imprenditore - io conosco tante persone nel mondo e quando posso faccio da facilitatore. Non ci vedo nulla di male". D'altra parte, Briatore aveva già messo in contatto Renzi e Trump prima dell'elezione del tycoon a presidente degli Stati Uniti. Chi è a conoscenza del contenuto dei colloqui nega che il segretario dem si sia voluto giustificare dell'endorsement a favore di Hillary Clinton fatto in campagna elettorale.
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