Diario della caduta di un regime.

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UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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UncleTom ha scritto:Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)


LA GUERRA PER BANDE CHE STA PORTANDO AL TERMINE L’ESPERIENZA REPUBBLICANA NATA DALLA RESISTENZA.


CRONACA DELLE VOCI DALL’OLTRETOMBA



IL PARERE DEL PROFETA FONDATORE DELLA RELIGIONE BUNGA-BUNGA, IN PIENA ESPANSIONE


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"Impossibile votare a giugno
E sarebbe da irresponsabili"

Chiara Sarra


Berlusconi: "Non si può portare alle urne il Paese in queste condizioni". E a Salvini: "Non sarà candidato premier"

Chiara Sarra - Dom, 12/02/2017 - 09:53

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Votare a giugno? Sarebbe "da irresponsabili". Parola di Silvio Berlusconi che in un'intervista a Repubblica chiede alla politica di evitare una legge elettorale affrettata e solo per andare subito alle urne.

"Le elezioni prima di novembre sono impossibili. Portare il Paese alle urne in queste condizioni è da irresponsabili", ha spiegato il Cavaliere, "È meglio impiegare due-tre mesi in più ed arrivare al voto con una legge elettorale che funzioni, piuttosto che votare subito in una situazione come l'attuale, senza aver neppure armonizzato i sistemi elettorali di Senato e Camera". Del resto, aggiunge, l'unica condizione perché si possa votare a inizio estate è che ci sian "un grande accordo sui meccanismi elettorali". Accordo "che per ora non vedo".



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Per quanto riguarda la legge elettorale, però, Forza Italia non ha cambiato idea: c'è bisogno di un sistema completamente proporzionale. "Se gli elettori decideranno di dare la maggioranza a un partito o a uno schieramento, questo legittimamente governerà, e naturalmente ci auguriamo di essere noi", dice l'ex premier, "Se non decideranno questo, sarà inevitabile successivamente al voto fare qualche tipo di coalizione".

n ogni caso Berlusconi dice no a un premio di maggioranza: "Significherebbe consegnare il governo del Paese a una minoranza relativamente ristretta", spiega, "Il premio di coalizione è forse meno irragionevole del premio di lista, che indurrebbe a forzature senza senso, ma non è la soluzione del problema. Qualunque tipo di correttivo maggioritario ha senso in uno scenario bipolare. Oggi in Italia lo scenario è tripolare e quindi il polo che prevalesse poco al di sopra del 30% necessiterebbe di un
premio vicino al 25%, assolutamente eccessivo".

Di una cosa però il leader di Forza Italia è certo: Matteo Salvini non sarà il candidato premier di una eventuale coalizione di centrodestra. "Lui lo sa che non può esserlo", assicura, "In privato mi abbraccia, dice che ho ragione io. Poi in pubblico fa un po' lo sbruffoncello. ma ormai lo conosco". E aggiunge: "Sul programma siamo d'accordo al 95%. Solo sull'uscita dall'euro siamo in disaccordo".
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Re: Diario della caduta di un regime.

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IL VIRUS DELL’IMBECILLOCOCCO STA FACENDO UNA STRAGE IRREVERSIBILE, E IL MINISTERO DELLA SANITA’ SE NE FREGA.




Salvini: "Lega al governo? Dopo Brexit e Trump niente è impossibile"
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La Repubblica

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ROMA - Lega al governo? Per il leader leghista Matteo Salvini "dopo Brexit e Trump niente è impossibile". Lo ha detto rispondendo a una domanda di Maria Latella su SkyTg24. E su una possibile alleanza con Grillo, per raggiungere il 30%, risponde: "Lui cambia idea ogni quarto d'ora. Io cerco di avere un progetto concreto. Io sono partito con la Lega al 3%, ora i sondaggi ci danno al 14%. Posso supporre che gli italiani, se un messaggio è chiaro, onesto, pulito e concreto lo votino in massa. Dopo Brexit e Trump niente è impossibile". E attacca chi al governo c'è stato finora, facendo il male del Paese, escludendo ogni forma di accordo. "Questa Europa di cui tutti si lamentano oggi è governata da Renzi e Berlusconi, dai socialisti e dai popolari", dunque "chi ha affamato i popoli non si siederà mai al tavolo con me".

E, commentando l'intervista di Silvio Berlusconi oggi su Repubblica, afferma: "Innanzitutto, far esprime cittadini non è mai da irresponsabili. Tanta gente ha paura del voto e ha paura di perdere consenso. E chi dice voto a ottobre è come chi dice di votare nel 2037. Tutti hanno capito - prosegue Salvini - che chi dice che le leggi elettorali devono essere omogenee tira a campare, per portare a casa un anno di stipendi per deputati e senatori e ha paura del voto".
E sul no di Berlusconi a Salvini candidato premier della destra, il segretario della Lega ribatte: "Non sapevo di sapere così tante cose inconsapevolmente. Chiamerò Berlusconi ogni mattina. Chi sfida Renzi lo scelgono gli italiani. Non è tempo delle dinastie. Sono pronto a girare tutta l'Italia per prendere il consenso e con buona pace di Berlusconi se italiani sceglieranno Salvini se ne faranno una ragione".
E sull'affermazione di Berlusconi secondo cui tra Fi e Lega vi sarebbe un accordo al 95%: "Gli posso dare ragione quando parla del Milan ma se in ballo c'è il destino dell'Italia dico che non può tenere il piede in due scarpe: un po' con Salvini e un po' con il Pd, un po' con Salvini e un po' con l'euro, un po' con la Merkel e un po' con Salvini. Non prendiamo in giro la gente: o va bene la moneta tedesca o la moneta italiana. Il giornale di casa sua, tra l'altro, sono giorni che scrive che sarebbe meglio uscire dall'euro. Si mettessero d'accordo a casa Berlusconi. Chiunque si voglia alleare con noi su questo deve avere le idee chiare e l'euro è fallito. Se non c'è accordo su punti più importanti...".
Per Salvini "il sistema proporzionale è l'anticamera dell'inciucio. Berlusconi lo dice: 'e poi bisognerebbe andare a votare con una grande coalizione'. Se pensa di chiedere voti di centrodestra e poi andare a votare con il centrosinistra lo dica prima. Preferire italiani scegliessero chiaramente: sinistra, Grillo o alternativa. Non è più il tempo delle dinastie".

Salvini a Unomattina

http://www.msn.com/it-it/notizie/politi ... spartandhp
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Re: Diario della caduta di un regime.

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SE L’ITALIANO MEDIO SI FOSSE PREOCCUPATO DI PIU’ DELLA VITA IN COMUNE, DELLA VITA SOCIALE, ADESSO NON SAREMMO ALLA FINE DELLA SECONDA REPUBBLICA E QUASI CERTAMENTE ALLA FINE DEL SISTEMA REPUBBLICANO VOLUTO SUBITO DOPO LA CADUTA DEL FASCISMO.



COMINCIAMO DAL M5S.


Che Grillo possa fare il capo politico è da escludere. Perché certi errori si pagano e si pagano duramente.

Dopo l’avventura di Marino, un uomo politico avrebbe dovuto capire che la situazione a Roma poteva essere risolta solo e soltanto trovando un nuovo Attila o Gengis Khan.

Ma Grillo non è un uomo politico. E’ solo un comico prestato alla politica.

Proporre una ragazza di 38 anni è stato un errore politico madornale.

E adesso i 5S lo stanno pagando con gli interessi.

Un uomo politico avrebbe dovuto prevedere il deterioramento del quadro politico generale.

La mancanza di uomini politici idonei ad affrontare la situazione in perenne emergenza, adagiata su un piano inclinato che scivola sempre più in basso.

La lotta politica si fa quindi sempre più aspra e dura man mano che passano i giorni.

Nell’arena politica ci sono rimasti solo sciacalli con la bramosia di prendere il potere per ottenere il proprio tornaconto.

E questo tipo di sciacalli sono disposti a tutto.

Lo stiamo vedendo da mesi con la Raggi.

E’ una scemenza pazzesca pretendere che questa giovane donna possa comportarsi come Attila o Gengis Khan.

Colpendo la Raggi, il sistema, marcio fino al collo, intende dimostrare che il M5S non è idoneo a governare il Paese.

CONTINUA
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Re: Diario della caduta di un regime.

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UncleTom ha scritto:SE L’ITALIANO MEDIO SI FOSSE PREOCCUPATO DI PIU’ DELLA VITA IN COMUNE, DELLA VITA SOCIALE, ADESSO NON SAREMMO ALLA FINE DELLA SECONDA REPUBBLICA E QUASI CERTAMENTE ALLA FINE DEL SISTEMA REPUBBLICANO VOLUTO SUBITO DOPO LA CADUTA DEL FASCISMO.



COMINCIAMO DAL M5S.


Che Grillo possa fare il capo politico è da escludere. Perché certi errori si pagano e si pagano duramente.

Dopo l’avventura di Marino, un uomo politico avrebbe dovuto capire che la situazione a Roma poteva essere risolta solo e soltanto trovando un nuovo Attila o Gengis Khan.

Ma Grillo non è un uomo politico. E’ solo un comico prestato alla politica.

Proporre una ragazza di 38 anni è stato un errore politico madornale.

E adesso i 5S lo stanno pagando con gli interessi.

Un uomo politico avrebbe dovuto prevedere il deterioramento del quadro politico generale.

La mancanza di uomini politici idonei ad affrontare la situazione in perenne emergenza, adagiata su un piano inclinato che scivola sempre più in basso.

La lotta politica si fa quindi sempre più aspra e dura man mano che passano i giorni.

Nell’arena politica ci sono rimasti solo sciacalli con la bramosia di prendere il potere per ottenere il proprio tornaconto.

E questo tipo di sciacalli sono disposti a tutto.

Lo stiamo vedendo da mesi con la Raggi.

E’ una scemenza pazzesca pretendere che questa giovane donna possa comportarsi come Attila o Gengis Khan.

Colpendo la Raggi, il sistema, marcio fino al collo, intende dimostrare che il M5S non è idoneo a governare il Paese.

CONTINUA


CONTINUA


Nella fase finale della Seconda Repubblica i partiti hanno completamente perso la loro caratteristica identitaria, ben precisa nella Prima Repubblica e in parte nella fase iniziale della Seconda.

La lotta politica si è trasformata in guerra per bande per conquistare le poltrone del “mangia-mangia”.

E all’interno dei partiti la guerra per bande si è accentuata ed è diventata la regola.

Il distacco dall’elettorato è totale. La politica non esiste più, ed è stata sostituita dalla narrazione per invogliare l’elettore a scegliere una banda piuttosto che un’altra.

Il PD è un caso classico.

Tutti contro tutti solo per la poltrona.

Pd, Emiliano e Rossi attaccano Renzi. Vicesegretario Guerini: “Basta logoramento, oltre livello di guardia”

Politica
In una nota del Pd vengono smentiti i virgolettati di Renzi su dimissioni immediate, congresso ad aprile ed elezioni a giugno o settembre. Gli sfidanti su tutte le furie. Emiliano: "Non può essere il nostro candidato e non può catalizzare la nuova sinistra". Rossi: "Presa in giro, si dimetta come Bersani"
di F. Q. | 12 febbraio 2017
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Più informazioni su: Direzione PD, Enrico Rossi, Matteo Renzi, Michele Emiliano, Romano Prodi

“Basta con la tattica del logoramento“. Il vicesegretario del Pd Lorenzo Guerini risponde a chi ha attaccato Matteo Renzi, in ultimo luogo per la sua ambiguità sulle dimissioni. “Si è superato il livello di guardia”, incalza Guerini, che pone a tutti una ferrea condizione: “Domani si terrà una direzione in cui il segretario dirà in modo chiaro la prospettiva che intende proporre al partito e al Paese. Da lì, dalla proposta che verrà avanzata ognuno, mi auguro, assumerà responsabilmente una posizione chiara“.
“A dicembre ci è stato chiesto di non fare subito il congresso, poi no elezioni senza congresso, poi no alle primarie, poi sì al congresso ma non “troppo anticipato” – aggiunge ancora Guerini – A tutti vorrei rispondere così: se si anticipa il congresso lo si anticipa davvero, senza formule fantasiose, ma con le procedure e la strada indicata dallo statuto e cioè convenzioni nei circoli e poi elezione del segretario con primarie aperte. Punto”.
La direzione del Pd è programmata per le 14.30 di lunedì. Intanto il partito in una nota ha smentito i virgolettati attribuiti a Renzi circa una pronta volontà di rassegnare le dimissioni domani per accelerare il congresso ad aprile e votare a giugno o al massimo a settembre. “Renzi parlerà solo domani”, precisa la nota. E tuttavia l’indiscrezione ha subito innescato una serie di reazioni come fosse cosa fatta. Su tutte, quella dei rivali dichiarati Emiliano e Rossi, entrambi a Firenze – proprio la città di Renzi – per l’iniziativa federativa “Può nascere un fiore. Di nuovo, la sinistra”. In platea molti esponenti della sinistra dem che cercano conferme all’annuncio e trovano invece la smentita.
Esulta, ma con cautela, il governatore della Puglia Michele Emiliano: “Quindi, ha ceduto. Ma è sicuro che ha ceduto e si dimette? Perché può darsi che stanotte cambi idea come gli capita spesso. È chiaro che era inevitabile dimettersi da segretario”. L’ambiguità delle scelte di Renzi manda su tutte le furie anche l’altro candidato alla segreteria Pd Enrico Rossi: “Questa è una presa di giro. Bisogna che Renzi dia le dimissioni come ha annunciato di dare, come ha già fatto Bersani, poi una segreteria di garanzia come quella di Epifani che ci porti a fare il congresso e a discutere sulla linea politica”. “Tutto questo agitarsi – ha aggiunto Rossi – non mi pare che sia nelle corde del Paese. Il Paese ha bisogno come i nostri elettori, cittadini, iscritti, di una discussione seria ed un governo che dia delle risposte”.
Governo che, secondo Emiliano, non potrebbe in ogni caso avere Renzi come candidato, né come catalizzatore del progetto federativo che si muove a sinistra. Perché “normalmente sbaglia le scelte e ci porta alla sconfitta”. Sarebbe una “rovina”, attacca ancora. “Una campagna elettorale fatta con l’immagine di Renzi leader del Partito democratico per noi sarebbe una rovina”, ha detto nel corso di una intervista a RaiNews24. “Anche le correnti che hanno sostenuto Renzi – ha rilevato – sanno che Renzi non può continuare a guidare il partito. Sanno di avere un leader che, nei momenti topici, normalmente sbaglia le scelte e ci porta la sconfitta”.
Il tam tam degli antirenziani doc è blindare l’annuncio prima che passi. “Per aprire una nuova stagione abbiamo bisogno di onestà intellettuale”, sottolinea Alfredo D’Attorre. “Questi tre anni di governo Renzi ci consegnano un fallimento, anche nella fase apicale della parabola renziana. Le condizioni del paese lo dimostrano. Ma se vogliamo costruire un nuovo centrosinistra non c’e una mitica età pre-renziana a cui tornare. Noi dobbiamo chiudere questa parentesi, che è una coda, non è il futuro”.
Anche Francesco Boccia mette all’angolo Renzi: “Dobbiamo fare un congresso vero, chi farà il segretario del Pd non è il padrone del Pd, il primo dovere che ha è di ascoltare tutti. Un partito che pensa che le politiche pubbliche debbano basarsi sui bonus e non sui diritti non può essere un partito di sinistra”. Per Boccia serve tempo per discutere in una fase congressuale “cosa non abbia funzionato nel governo del Paese con Renzi.” Del resto, ricorda, “io non ho trovato sinistra quando è stato fatto amministratore delegato di Mps l’ad di Jp Morgan”.
Aleggia nella sala anche un’altra anticipazione. E’ l’intervista di Romano Prodi realizzata per Di Martedì che viene anticipata oggi, alla vigilia della direzione. Prodi da una parte auspica che non si corra al voto, dall’altra guarda con favore i movimenti della sinistra innescati delle uscite di Giuliano Pisapia. “Bisogna votare a fine legislatura – dice il Professore – con una legge che preveda il collegio uninominale perché con la crisi dei partiti almeno si conosce chi è il candidato, un piccolo collegio e uno deve conquistarsi gli elettori”. E poi l’apertura sul progettio federativo dell’ex sindaco di Milano: “Ho una stima personale per Pisapia, la proposta vedremo come si articolerà. Ho passato tutta la mia vita politica per mettere assieme i riformismi, cattolico, socialista, liberale, in modo da creare un paese nuovo…”.
di F. Q. | 12 febbraio 2017
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ASPETTANDO I TEMPI CHE VERRANO, NELL'INDIFFERENZA GENERALE.



13 feb 2017 12:05

FASCISTELLI 2.0


- CRESCONO IN RETE I LICEALI NOSTALGICI DEL DUCE E DEL VENTENNIO


- SU FACEBOOK “GIOVANI FASCISTI ITALIANI” CONTA 70 MILA ISCRITTI, CHE ESALTANO MUSSOLINI E PREDICANO VIOLENZA CONTRO STRANIERI E OMOSESSUALI



- NON E' UN CASO ISOLATO: SONO DECINE I GRUPPI SOCIAL DI ESTREMA DESTRA



Paolo Di Paolo per “la Repubblica”

«Buon sabato fascista, camerati!». No, non è il 1937. È il 10 febbraio 2017, sono le due di notte e Roberto D. lancia il suo saluto alla comunità dei Giovani Fascisti Italiani.
Quasi 70mila iscritti. L’ultimo video postato – un montaggio di discorsi di Mussolini – conta 48mila visualizzazioni, 1.067 condivisioni, più di 1.300 commenti: «Solo a guardarlo nei video emana un fascino incredibile, pensate vederlo e sentirlo dal vivo!» (Cristian B.), «Ti ringrazio per tutto quello che hai fatto per questa Italia. Se tu fossi qui ora! Onore a te Duce! A noi» (Luca C.).

«Mi dispiace per il modo in cui venne giustiziato, se questo non fosse avvenuto, forse ancora oggi sarebbe tra noi», scrivono insieme Cristian e Debora. Lui fa volontariato, condivide immagini di Padre Pio e di Putin. Ha vent’anni. Luca B., adolescente anche lui, tra moto e canzoni di Fedez, scrive: «Quel momento in cui la prof nomina il duce e stranamente si girano tutti verso di te». Sulla pagina dei Giovani Fascisti – bloccata due anni fa dopo un’inchiesta di Repubblica.it e poi riaperta – commenta con due parole una foto di Mussolini: «Onore sempre».


Li abbiamo chiamati, per decenni, “nostalgici”. Impossibile, per anagrafe, che lo siano, eppure così si atteggiano i frequentatori di questi gruppi social, profili Instagram in cui, accanto a un Mussolini sorridente, si legge la seguente raccomandazione: «Ragazzi! Non sorridete, se non avete un sorriso come il suo».

Semplice goliardia? Da decenni, con sonnolenta e colpevole indifferenza, abbiamo smesso di preoccuparci. Lasciamo che a Genova – è successo l’altroieri – i militanti di un’ultradestra dichiaratamente razzista, antisemita, fascista fingano di radunarsi per un convegno. Lasciamo che a Predappio, la città natale di Mussolini, si svolgano ogni anno raduni commemorativi e messe in suffragio.

Folklore inoffensivo? Nel forlivese c’è chi vorrebbe riaccendere il faro che veniva acceso quando Mussolini soggiornava in Romagna. Legittima promozione turistica? Lasciamo che esistano siti internet (mussolini.net, ilduce.net, ilventennio.it) da cui è possibile acquistare una scatola di “caffè nero del camerata”, adesivi, anelli, felpe con frasi e simboli fascisti; a cinque euro, anche un manganello.

«Bellissimo e massiccio busto di Mussolini di 35 centimetri in polvere di marmo», 60 euro. Eppure esistono una disposizione costituzionale e una legge del 1952 in tema di apologia di fascismo. La mancata onorificenza tedesca ai due agenti italiani che hanno ucciso l’attentatore di Berlino Anis Amri è stata motivata con la presenza di frasi e immagini neofasciste sui loro profili Facebook. E si tratta di due trentenni.

Mentre negli Stati Uniti – come raccontava ieri su questo giornale Federico Rampini – la galassia dei conservatori si stringe intorno a Steve Bannon nel segno di Julius Evola, D’Annunzio e Mussolini, noi lasciamo che pagine come “Vessilli Neri” rispolverino manifesti autarchici in chiave xenofoba, che 43mila “Fascisti uniti per l’Italia” discutano di come mettere tutti gli extracomunitari «contro un muro e giù una raffica di mitra come ai vecchi tempi».

E a proposito della contro-manifestazione antifascista di sabato a Genova, sulla pagina Facebook di Forza Nuova senza perifrasi si invita a bastonare tutti «come al G8». È lo stesso luogo “virtuale” in cui si scambiano pareri su come cominciare a combattere concretamente la guerra contro gli stranieri «stupratori» e contro i «profughi gay»: «legnate sui denti», evirazioni e gas.

Abituati a non stupirci più dell’alta marea di violenza e volgarità che inonda i social, rischiamo di lasciare senza argini un contagio pericoloso. Un misto di ignoranza abissale, grettezza, aggressività si autolegittima come “opinione politica”, approfittando anche del nostro silenzio. Ci fa sorridere che un liceale inneggi a Mussolini? Bene: siamo forse più colpevoli di lui. E a furia di liquidare il politicamente corretto per non apparire retorici e buonisti, abbiamo lasciato crescere una folla di “nostalgici” fuori tempo massimo, cultori di un passato riscritto e propagandato a uso della propria stessa demenza.
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

IN DATA 6 NOVEMBRE 2012 L'APOLOGIA DEL FASCISMO ERA ANCORA UN REATO.

PER MIA COLPEVOLE DISATTENZIONE ORA NON LO E' PIU'????????????????

MI SONO PERSO QUALCOSA????????

QUALCUNO NE SA DI PIU??????????

ME LO FACCIA SAPERE

GRAZIE.








Cronaca

L’apologia di fascismo è ancora un reato



di Fabio Sabatini | 6 novembre 2012

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http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/11 ... to/404744/



Più informazioni su: Daniela Santanchè, Fascismo, Fascisti, Isabella Rauti, Neofascismo, Pino Rauti

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La vera notizia di ieri è che in pieno centro di Roma c’è stata l’apoteosi dell’apologia di fascismo, e nessuno si è indignato. Poi, la notizia secondaria è che la terza carica dello Stato, che dovrebbe rappresentare tutti, avrebbe partecipato volentieri a un evento che prevedibilmente si sarebbe trasformato in un festival del saluto romano. Se non l’ha fatto, è solo perché l’hanno cacciato.

Ci sono buoni motivi per cui l’apologia di fascismo è un reato (commesso da chiunque “pubblicamente esalti esponenti, principi, fatti o metodi del fascismo, oppure le sue finalità antidemocratiche”, secondo il dettato della legge).

Lo scopo principale della norma è prevenire la ricostituzione di un partito fascista che con la sua attività politica e militare (leggi violenza squadrista) possa mettere a repentaglio la vita democratica di un paese. Ma c’è un’altra ragione per cui ritengo sia importante far rispettare la legge (e quindi denunciare ed eventualmente perseguire i responsabili del reato). L’apologia di fascismo è offensiva.

Gridare slogan fascisti sollevando in segno di saluto romano braccia tatuate di fasci littori nel corso di un rito apologetico collettivo equivale a insultare apertamente la sensibilità di tutti coloro che credono nella democrazia e disapprovano i crimini compiuti dal regime fascista. La deportazione degli ebrei, l’eliminazione fisica degli oppositori politici, la soppressione della libertà di espressione (non c’è certo bisogno di elencarli tutti).

Se un corteo andasse in giro per la città alzando cartelli con su scritto “a morte gli ebrei” (o i gay, o le donne, per dire), chiunque se ne sentirebbe offeso. Allo stesso modo, gli eventi che ieri hanno accompagnato il funerale di Pino Rauti hanno offeso molti cittadini.

Il feretro è stato accompagnato sia all’ingresso sia all’uscita dalla chiesa da braccia tese nel saluto fascista. Centinaia di persone, sull’attenti e con le braccia tese, hanno intonato motti del ventennio mussoliniano, alternati a cori più moderni, come il “boia chi molla” che si sente ogni domenica negli stadi. Ma nessuno si è indignato.

Ci si è indignati invece per il trattamento riservato dai militanti fascisti a Gianfranco Fini, che ha ricevuto ingiurie, spintoni e, riportano i cronisti, anche sputi. Con l’approvazione, a quanto pare, dei leader della destra. Dopo il funerale, Daniela Santanché ha scritto su Twitter: “Fini, che vergogna presentarsi al funerale di una sua vittima”.


Santanché non è una figura politica qualsiasi: è quasi certa la sua candidatura alle primarie del Pdl, cioè di quel partito che da quasi venti anni pretende di rappresentare i “moderati” e i cattolici italiani. Ve la immaginate presidente del Pdl, e magari Presidente del Consiglio?

Pochi infine hanno notato che il Presidente della Camera, che ben conosce gli ambienti neofascisti e certamente poteva prevedere i riti apologetici che hanno accompagnato la cerimonia funebre, non abbia provato alcun disagio all’idea di prendervi parte.
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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NEL POZZO NERO, SOTTO LE MACERIE, MENTRE IMPAZZA L'EPIDEMIA DI IMBECILLOCOCCO, E MANCANO I PUNTI DI RIFERIMENTO





13 feb 2017 12:50

DAVIGO, LEVATEJE IL VINO!


- "A 25 ANNI DI MANI PULITE, L’ITALIA E’ PIU’ CORROTTA DI PRIMA"


– BENE, LA SOLUZIONE? ELIMINIAMO I REATI!


- "LA DEPENALIZZAZIONE PER SFOLTIRE I PROCESSI"


- “QUALCHE POLITICO E’ PERBENE, MA I MECCANISMI TALVOLTA FAVORISCONO IL MALAFFARE”








Giuseppe Guastella per il Corriere della Sera



A 25 anni da Mani pulite, in Italia è cambiato poco o nulla?


«È drammatico quanto poco sia cambiata la situazione e quanto sulla corruzione peggiori la deriva dell' Italia nel panorama internazionale».



Un Paese corrotto?

«A livelli diversi, finalità e modalità diverse. È un Paese che sta morendo. C' è sfiducia, la gente non va più a votare, espatria».



Ci vuole una rivoluzione culturale?

«Bisogna cominciare dalla scuola».



Migliore l' Italia degli anni di Mani pulite?

«L' effetto domino non fu innescato da un sussulto di coscienza civile, ma dal fatto che erano finiti i soldi».


Lei sostiene che per la corruzione ci vorrebbe un doppio binario, come per la mafia.


«Bisognerebbe introdurre alcune delle norme che valgono per i mafiosi».



Ad esempio?


«Un sistema premiale forte e serio e le operazioni sotto copertura».



La corruzione spesso è alimentata da fondi neri esteri, sempre più difficili da aggredire.


«È un problema internazionale. L' assistenza giudiziaria internazionale è un relitto ottocentesco che richiede tempi talmente lunghi, incompatibili con la durata di un processo».



Corruzione «Simonia secolarizzata». Cioè?

«Nella Chiesa c' è il sacerdote che vende cose sacre, nello stato c' è il funzionario pubblico che vende le cose che per lui dovrebbero essere sacre, perché ha giurato fedeltà alla Repubblica».



Il pool Mani pulite ha fatto errori?

«Secondo me, no. Ha fatto quello che poteva. Se non ci avessero cambiato le leggi a partita in corso, saremmo andati avanti. Molte leggi possono avere su il nome dell' imputato».



Forse fino a un' epoca determinata.



«Sì, poi è cambiata la maggioranza e da allora le fanno più sofisticate. Ad esempio, la legge Severino non contrasta la corruzione ma è stata gabellata per una legge che la contrasta».



Monti, il premier di allora, non era sospettabile di essere vicino ai corrotti.

«Quella legge l' ha fatta il Parlamento. Ricordo che il ministro della Giustizia rispose alle obiezioni: "Era il massimo che si potesse fare in quel momento con quelle Camere"».



I vostri rappresentanti dissero che era una buona legge, come nel caso di quella sull' autoriciclaggio. C' è anche un problema vostro?

«Certo che c' è anche un problema della magistratura, ma cerchiamo di capirci, gioca anche molto il modo di fare leggi dovuto all' incompetenza della pubblica amministrazione che, purtroppo, non è più quella di cento fa, fatta di funzionari competenti e con il senso dello Stato. Quando ho incontrato la prima volta il ministro Orlando, gli ho fatto presente che la depenalizzazione che avevano fatto non serviva a niente perché toglieva solo le briciole ma alcuni reati depenalizzati avevano l' effetto non di ridurre il carico di lavoro, ma di aumentarlo. Mi rispose che l' Anm aveva dato parere favorevole, io gli dissi che non sarebbe accaduto più perché avevamo costituito delle commissioni interne».



Ha un giudizio molto negativo sui politici.

«Ce ne sono anche perbene, ma i meccanismi talvolta favoriscono il malaffare».



Cosa ne pensa di chi, come i 5 Stelle, ha introdotto codici interni legati alle inchieste?

«La politica non deve agganciarsi ad atti formali nel giudizio, ma a una valutazione autonoma dei fatti. Si può cacciare uno che è innocente o tenerlo se è colpevole. Sono due valutazioni diverse, una è politica, l' altra di giustizia».



Non si introduce così un' inversione del principio di non colpevolezza?


«Non è così. Molte volte non c' è bisogno di aspettare la sentenza per far scattare la responsabilità politica, ma in questo Paese non avviene mai, neanche di fronte ai casi evidenti».



Prendiamo il caso di Roma e della sindaca Raggi, è un caso controverso.

«Premesso che non parlo dei procedimenti in corso, in qualche caso la politica può dire "aspetto di vedere come va finire" o "mi sono fatto un' idea", ma non può dire sempre "aspettiamo le sentenze". Significa caricare sulla decisione del giudice la selezione della classe politica».



I politici dovrebbero darsi codici di comportamento?

«Secondo me sì. Basta anche il buonsenso».



Non c' è il rischio di finire nel moralismo?

«Se mi mandano in udienza con un collega che si è saputo che ruba, io non vado perché chi ci vede pensa che siamo uguali. Io non rubo».



L' Anm accoglie pm e giudici. Non le sembra forte dire che il codice di procedura penale è fatto per farla fare franca ai farabutti?

«Il nostro giudice è vincolato da un sistema di inutilizzabilità sconfortante perché una prova acquisita, valida nei confronti di un imputato, diventa inutilizzabile per un altro se è stata acquisita a termini delle indagini preliminari scaduti. Il giudice è messo nella condizione di dover scegliere tra rispettare la legge rinunciando a fare giustizia o tentare di fare giustizia forzando la legge. È inaccettabile. E allora è normale che uno venga arrestato e poi assolto. Se non volevano questo non dovevano scrive il codice così, oppure dovevano dirci di non arrestare più».


Riporta una frase del generale Dalla Chiesa che diceva: che c' è chi parla di manette facili e chi di ingiustizia che assolve. Ingiustizia?


«L' ingiustizia può essere nella legge oltre che negli uomini, se la legge è contraria al senso comune di giustizia, e molte delle norme che applichiamo lo sono. Ora la minaccia del carcere non è credibile perché il codice penale è uno spaventapasseri, da lontano fa paura, quando ci si avvicina appare innocuo. In galera ci va chi è così sciocco da farsi arrestare in flagranza e gli appartenenti alla criminalità organizzata. Gli altri in media ci vanno di meno».



Lei è un giudice, un suo imputato potrebbe avere difficoltà leggendo: «Ne prendiamo pochi e quando li prendiamo vengono condannati a pene esigue che non vengono fatte scontare».


«Nel nostro sistema il rispetto delle regole formali, che il più delle volte non hanno nessuna utilità, vanifica la ricostruzione storica dei fatti. A un certo punto ho lasciato la Procura per fare il giudice in appello, volevo capire come mai le sentenze venissero quasi sempre riformate. Ho visto che era vero quello che mi aveva insegnato un anziano magistrato che diceva che i giudici del tribunale sono come i padri, severi quando è necessario, quelli della Corte d' appello come i nonni, di regola rovinano i nipoti. Dato che su cento ricorsi in appello, 98 sono degli imputati condannati, si cominciano a vedere i problemi solo con una certa ottica e spesso è impossibile resistere alla tentazione di ridurre le pene. Bisognerebbe cambiare anche l' appello».



Solo carcere? E l' esecuzione esterna?


«Dipende dai reati e dal tipo degli imputati».



E stato mai tentato di forzare le regole?

«No. Le ho sempre rispettate, e anche quando ero convinto che l' imputato fosse colpevole l' ho assolto se la prova era inutilizzabile, pensando che era un mascalzone che l' aveva fatta franca».



Un sistema che protegge l' impunità?

«In un sistema ben ordinato, un innocente non deve essere assolto, non deve neppure andare a giudizio perché per lui il processo è una tragedia. I filtri dovrebbero essere all' inizio».



Qual è la priorità?

«La depenalizzazione. Il problema della giustizia è il numero dei processi. O abbiamo il coraggio di dire che va drasticamente ridotto o non se ne uscirà mai. Nel penale basta intervenire con una massiccia depenalizzazione e introdurre meccanismi di deterrenza delle impugnazioni, quelli che ci sono, sono risibili».


La politica invece va su una strada diversa e introduce nuovi reati come l' omicidio stradale .

«Cose prive di senso. Per l' omicidio stradale la pena è talmente alta che tra un po' a qualcuno converrà dire che voleva ammazzare per rispondere di omicidio volontario».



Che ne dice dei suoi colleghi dell' Anm dell' Emilia Romagna dopo il comunicato sulla decisione del Tribunale del riesame?


«Non lo conosco, non posso sapere tutto».




È stata trovata la decisione di un collegio prima dell' udienza. L' Anm locale ha detto che poi altri giudici hanno confermato la decisione dei primi che si erano astenuti...


«Bisogna distinguere l' ipocrisia dal malcostume. Un giudice diligente non potendo ricordare a memoria decine di processi al giorno, si appunta lo studio che fa. L' ho sempre fatto, ma non firmo gli appunti e non li metto nel fascicolo».



E allora, a cosa serve la discussione?


«Si può cambiare la decisione».



Lei lo fa?


«Quando un avvocato dice cose che non avevo notato, raro, o che mi convincono, cambio opinione perché solo gli imbecilli non lo fanno».
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Re: Diario della caduta di un regime.

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ER PIU’ DE’ HARDCORE.

IL CENTRODESTRA E COSI’ SFASCIATO DA ATTACCARSI AI FANTASMI DEL PASSATO.

A TUTTI I COSTI, NEL MEZZO DI UNA GUERRA FURIBONDA TRA BANDE, SI FA’ CREDERE ALL’EX CAV. CHE ER MEIO E’ ANCORA LUI.

ANCHE L’ALTRO FANTASMA, UMBERTINO BOSSI, DA CASSANO MAGNAGO, SI E’RIFATTO SENTIRE ALCUNI GIORNI ADDIETRO, ADDUCENDO CHE IL PD E’ ALLO SFASCIO, E I 5S NON SONO IN GRADO DI GOVERNARE.

SOLO LUI E SILVIO POSSONO VINCERE.

VINCERE, IL TANGO DELLE MUMMIE.

INTANTO IL SALUMIERE DI CORSO MAGENTA FA SAPERE CHE POTREBBE DIVENTARE PREMIER.

TEMPI ADDIETRO, QUANDO NON SI ERA IN QUESTO KAOS, SI DICEVA:

SE NON SON MATTI NON LI VOGLIAMO



Cavaliere ancora leader mentre chi l'ha tradito non conta più niente
Da Fini a Casini, quanti comprimari hanno provato a sostituirlo. Con esiti disastrosi
Gian Maria De Francesco - Lun, 13/02/2017 - 10:09


Roma - Da oltre dieci anni i comprimari del centrodestra cercano di smontare la leadership di Silvio Berlusconi.

Purtroppo per loro, con esiti infausti. La sfilza dei precedenti dovrebbe suggerire al numero uno del Carroccio, Matteo Salvini, massima prudenza.
Chi si ricorda più, infatti, di Marco Follini? Eppure nel 2005 l'alter ego di Pier Ferdinando Casini era personaggio politico assai potente: aveva ereditato dal collega la segreteria dell'Udc e sedeva come vicepresidente del Consiglio a fianco del cavaliere a Palazzo Chigi. I risultati poco felici per il centrodestra nelle amministrative ed Europee del 2004 e la sconfitta alle Regionali del 2005 lo indussero a tentare il tutto per tutto, provocando una crisi di governo. Il disegno era chiaro: sostituire Berlusconi e ridisegnare un centrodestra più «centrista» nel quale potesse ritagliarsi un ruolo di peso. Il successivo riavvicinamento fra Casini e il Cav con l'approvazione del cosiddetto Porcellum a fine 2005 segnarono la sua inconsistenza. Lasciò anche la segreteria e ripiombò in un anonimato dal quale uscì brevemente un anno e mezzo più tardi solo per fare da stampella al Senato al traballante governo di Romano Prodi.
Non è andata certo meglio al suo amico fraterno Pier Ferdinando: Marco era stato solo il ballon d'essai, l'ex presidente della Camera però credeva possibile scalzare Berlusconi dalla sella: per questo «divorziò» dal centrodestra alla vigilia della più grande manifestazione anti-prodiana di sempre, quella del 2 dicembre 2006. Il calcolo politico era sopraffino: la logica fortemente bipolare del Cav ostacolava i suoi progetto di «grande centro allargato»: unire i moderati di entrambi gli schieramenti e riformare la Dc. Peccato che la caduta di Prodi abbia scompaginato i propri piani rendendolo alfiere di un «terzo polo» al quale solo lui è sopravvissuto, visto che pure l'Udc non lo ha seguito e gli è toccato reinventarsi i «Centristi per l'Europa».
L'unico ad aver avuto qualche chance è stato, però, Gianfranco Fini. L'uomo del «Che fai, mi cacci?», ma anche della casa di Montecarlo, aveva sempre covato ambizioni di premiership. Anche lui sperava in una durata più lunga di Prodi per sostituirsi a Berlusconi, tant'è vero che quando il presidente fondò il Pdl sul predellino, lui parlò di «comiche finali». La comica finale è stata lui: blandito da Napolitano per far saltare la maggioranza di centrodestra, Palazzo Chigi poté ammirarlo solo da visitatore. La storia si è poi incaricata di rottamarlo.
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UN OBITORIO PIENO DI VELENI




Il «nemico numero uno»seduto muto in platea E Matteo lo provoca(senza mai nominarlo)

4/34

Corriere della Sera
Gian Antonio Stella

Un'ora fa


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Par di sentire nell’aria Lucio Battisti: «L’odio feroce, l’odio ruggente / fa male dentro e brucia la mente».

Certo, si sapeva che i due non si piacciono. Troppo simili, in troppe cose. Tutti e due, per citare la vecchia battuta di Fulvia Bandoli, amano «il premier che non deve chiedere mai, quello che usa Arrogance». Sono anni che si beccano come in una mischia di galli. «Il pd renziano è un partito a forte componente personale e anche con un certo carico di arroganza», spiegò ad esempio un paio d’anni fa il Lìder Massimo. Al che l’altro rispose acido: «Ha utilizzato un lessico che non mi appartiene. Espressioni che stanno bene in bocca a una vecchia gloria del wrestling, più che a un ex primo ministro».

C’è chi giura, com’è noto, che sia perché «Baffin di Ferro» aspirava al ruolo di «ministro degli Esteri» dell’Unione Europea e si sia sentito tradito e offeso dalla scelta renziana di investire su Federica Mogherini il peso dei suoi voti dopo le trionfali Europee. Cosa che l’ex giovane pioniere comunista che per la grinta fece esclamare a Palmiro Togliatti «ma questo non è un bambino, è un nano!», nega risolutamente.

Certo è che se ne sono dette di tutti i colori. Di qua il giovane e ambizioso Matteo: «D’Alema è arrabbiato con me perché vorrebbe che gli dicessi: “sì buana, sì buana”». «Lui vuole che io vada in Europa per, diciamo, fare un’esperienza internazionale. Così mi tolgono di torno. Mi dicono: “Vieni qui che ti diamo lo zuccherino... così poi potrai fare il premier”». «D’Alema se non ci fosse bisognerebbe inventarlo, tutte le volte che parla guadagno un punto nei sondaggi».

Di là «Sarcasmo da Rotterdam» (geniale nomignolo inventato da Giuliano Ferrara) che rispondeva rasoiata su rasoiata: «Sarà anche bravo a battere sulla tastiera con tutte e dieci le dita, ma stiamo eleggendo un segretario, non un dattilografo». «Ho cercato di capire quale genere di libri legge. Ma alla fine non l’ho scoperto. Però è un ragazzo brillante». «Renzi è un uomo che divide, che lacera. Sembra essere più interessato a combattere il suo mondo che non i suoi avversari…». «Per ordine dall’alto è iniziato un linciaggio di tipo staliniano. Oggi i trotzkisti da fucilare se il piano quinquennale falliva vengono chiamati gufi». «Io non ho mai insultato nessuno, ma sono oggetto di insulti da bravi che circondano Matteo Renzi». «Non è Giamburrasca, forse lo era prima, non lo è più. La sua è la posizione politica sostenuta dall’establishment». «Vuole fare il rivoluzionario ma tutta la nomenklatura è con lui. È come se avesse voluto prendere la Bastiglia andando con la regina, il re e le baronesse...» «Delle sue riforme non resterà neanche la puzza». Letale.

Fatto sta che, radunati ieri pomeriggio i membri della direzione del partito, Renzi distribuisce qua e là sorrisi e perfino battute distensive ed elegge Max come il Nemico Numero Uno. Simbolo del compagno che non gli interesserebbe trattenere affatto. Ha minacciato la scissione? Prego. Ed ecco l’accenno a chi «diceva che in sei mesi si sarebbe fatta una nuova riforma costituzionale. Ricordate? Ne sono già passati oltre due, di mesi, e non si è manco eletto il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato. Evidente: non possiamo contare su una proposta alternativa».

E il voto alle Comunali di Roma? Come dimenticare che «mentre il nostro Roberto Giachetti andava avanti qualcuno telefonava agli assessori per convincerli ad accettare un posto nella giunta di Virginia Raggi?». E dopo aver polemizzato in passato su «qualche governo di sinistra che ha privatizzato la Telecom facendo un regalo ai capitani coraggiosi: ogni riferimento al governo D’Alema è puramente casuale», eccolo tornare sul tema: «Dobbiamo riflettere sulle scelte che abbiamo fatto in questi anni. Per esempio, abbiamo fatto bene a privatizzare tutto quello che abbiamo privatizzato? Abbiamo fatto bene su Telecom?».

Non basta. Torna a battere e ribattere su vecchie storie già rinfacciate in passato al nemico. Come certe vicende bancarie sulle quali D’Alema aveva dato battaglia protestando la sua immacolata innocenza: «Non vedo l’ora che parta questa commissione d’inchiesta sulle banche. Perché è sembrato per mesi che il problema fosse soltanto quello di due o tre banchette toscane. Sarà affascinante discutere delle banche pugliesi, dalla Popolare di Bari alla Banca 121. Ma anche dell’acquisto di Antonveneta… Della Popolare di Vicenza…» Affascinante…

Veleni, veleni, veleni. E ti chiedi: cosa vuole? Punta a far saltare i nervi alla vecchia «volpe del Salento»? Vuole stanare il nemico in sala per farlo uscire allo scoperto? Certo è che quello non fa una piega. Muto. Perché mai dare al giovane e sfacciato avversario la soddisfazione di un cenno di fastidio? Una cosa potete darla per certa: dall’una e dall’altra parte non finirà qui. E meno male che sono dello stesso partito…

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UncleTom
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QUANDO PELLIZZETTI DIMENTICA IL FONDATORE DELLA RELIGIONE BUNGA-BUNGA





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Grillo, Trump, Salvini & company: sicuri che sia roba seria?

Scritto il 14/2/17 • nella Categoria: idee Condividi




Nell’odierna confusione babelica, che qualcuno già etichetta come “post-globalizzazione”, parrebbe prendere forma una bizzarra filiera – tra l’altro accreditata dal feeling tra i diretti interessati – che collegherebbe Donald Trump a Beppe Grillo, Marine Le Pen a Matteo Salvini: la singolare genia dei populisti versione sovranista.


Dunque un capriccioso bancarottiere in preda a turbe iomaniache, un tribuno della plebe affetto da pulsioni cristologiche (sdoppiamento di personalità risalente al 1982, quando il regista Luigi Comencini lo diresse in “Cercasi Gesù”?), una figlia d’arte che amministra il lascito chauvinistico della Francia profonda, un bulletto in carriera.


Maschere certamente differenti, eppure accomunate dalla spiccata e manifesta simpatia nei confronti dei sinistri e inquietanti ceffi della Democratura odierna: da Vladimir Putin a Tayyip Erdogan, al premier ungherese Viktor Orbàn.


Disturbi mentali di tipo dissociativo a parte (leggi, identificazione nel ruolo che si recita), un bel gruppo di furboni; i quali hanno trovato nel campo del cosiddetto “populismo” terreno fertile per le loro aspirazioni ascensionali.


Fermo restando che le rispettive frequentazioni dovrebbero smascherarne le effettive affinità/preferenze sociali: i petrolieri miliardari e i consulenti alla Goldman Sachs che Trump ha riunito nella sala ovale di Washington, gli omologhi carrieristi di estrazione piccolo borghese da frequentare nei momenti di intimità per Beppe Grillo (la bella gente cafonal, tipo Flavio Briatore o l’evasore seriale Gino Paoli).



Combriccole di amici che nulla avrebbero da spartire con le pratiche da ami du peuple; nell’apoteosi dell’imbroglionismo demagogico.


Stravolgimento del significato intrinseco che – nonostante demonizzazioni strumentali – oggi assume il termine “populista”: la denuncia delle politiche anti-popolari imposte in questa fase storica dalle plutocrazie dominanti.


Estraneità che dovrebbero mettere in evidenza le soluzioni di stampo sovranista con cui i demagoghi ammantati di populismo colonizzano in maniera ambigua la vasta area dell’indignazione anti-establishment.


E da cui incassano consistenti dividendi elettorali.




Mentre le masse che si bevono il suddetto imbroglio – assetate di semplificazioni anestetiche, come sono – accreditano alla stregua di panacea miracolosa.




E neppure scorgono l’insanabile contraddizione che condanna al fallimento la ricetta sovranista/populista.


Ossia, mentre si proclamano intenti popolari, si perseguono chiusure protezionistiche; in linea con gli intenti di quella parte dell’establishment che persegue da un ventennio la versione più prevaricatrice nella complessiva strategia reazionaria: l’isolazionismo, tradotto nella blindatura del privilegio in una nuova società rifeudalizzata e castale.



Con le moltitudini ridotte a gregge e relegate in ghetti postdemocratici, dove essere tenute a bada dai demagoghi sedicenti “amici del popolo”.




Il tutto in un’orgia di comunicazioni false e truffaldine, ma sempre improntate alla semplificazione.


Per cui vengono attaccate cose buone e inclusive – quali la globalizzaione cosmopolitica e il processo di unificazione europea – falsamente identificate nei loro esiti degenerati: la globalizzazione finanziaria alla Clinton e l’Unione europea delle banche e dell’austerity.



Non progetti civili che hanno subito una indebita deviazione e da riportare sui giusti binari.


Bensì da distruggere, cancellandone i generosi intenti originari.

All’insegna dell’esclusione di massa mondializzata.

Mentre i demagoghi finto populisti potranno occupare le poltrone pubbliche più elevate, sempre al servizio del nuovo ordine anti-popolare.

(Pierfranco Pellizzetti, “I falsi populisti, da Grillo a Trump e Salvini”, da “Micromega” dell’8 febbraio 2017).



IN PRATICA: RELIGIONE BUNGA-BUNGA, ORA E SIEMPRE.
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