La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
"L'apocalisse è ora", parola di Steve Bannon, il guru di Trump. E la guerra è vicina...
The Huffington Post | Di Paul Blumenthal, JM Rieger
Pubblicato: 09/02/2017 17:02 CET Aggiornato: 2 ore fa
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WASHINGTON – Nel 2009, lo storico David Kaiser, allora professore del Naval War College di Newport (Rhode Insland) ricevette una chiamata da tale Steve Bannon.
Bannon voleva intervistare Kaiser per un documentario a cui stava lavorando, basato sulla Teoria Generazionale di William Strauss e Neil Howe. Kaiser, studioso di Strauss e Howe, non conosceva Bannon ma accettò di partecipare. Si recò presso la sede centrale del gruppo attivista conservatore Citenzs United, a Washington, per fare una chiacchierata con Bannon, all’epoca di stanza lì.
Kaiser restò colpito dalla conoscenza che Bannon aveva di Strauss e Howe: stando ai due teorici, la storia americana segue cicli di quattro fasi, scanditi dal susseguirsi di periodi di profonda crisi e di “rinascita”. Queste crisi vengono chiamate “Le quattro svolte” – e Bannon crede che negli Stati Uniti una di queste abbia avuto inizio il 18 settembre del 2008, quando Hank Paulson e Ben Bernanke si presentarono al Campidoglio per chiedere il salvataggio dell’intero sistema bancario internazionale.
“Sapeva tutto della teoria”, disse Kaiser. “Era chiaro che gli piaceva intervistarmi”. Durante l’intervista, Bannon incalzò Kaiser su un punto in particolare. “Stava parlando delle guerre che segnano il culmine delle Quattro Svolte”, ricordò Kaiser. “C’è stata la Rivoluzione Americana, la Guerra Civile, la Seconda Guerra Mondiale. Stanno diventando sempre più grandi. Evidentemente, per la Quarta Svolta si aspettava un conflitto altrettanto esteso. E fece tutto il possibile, ricordo, per fare in modo che lo confermassi in onda”.
Kaiser non credeva che la guerra mondiale fosse predeterminata, perciò obiettò. Quella serie di domande non venne inserita nel documentario, un’opera controversa uscita nel 2010 con il titolo “Generation Zero”.
Bannon, che adesso siede nell’Ala Ovest della Casa Bianca in qualità di principale consigliere del Presidente, è stato descritto come l’uomo dietro le idee centrali della politica di Trump. Ma nelle interviste, nei discorsi, nei pezzi che ha scritto (e soprattutto nel suo appoggio alla teoria di Strauss e Howe) ha dichiarato senza mezzi termini di essere, in primis, un fautore dell’Apocalisse.
Secondo Bannon, siamo nel bel mezzo di una guerra esistenziale, e ogni cosa è parte di questo conflitto. È necessario rompere gli accordi, fare i nomi dei nemici, cambiare la cultura. La conflagrazione globale, se dovesse accadere, proverebbe solo la validità della teoria. Per Bannon, la Quarta Svolta è arrivata. Il Gray Champion (il “Paladino Canuto”, da un racconto di Hawthorne), figura messianica di uomo forte, potrebbe già essere tra noi. L’Apocalisse è adesso.
“Stiamo assistendo”, ha dichiarato Bannon al Washington Post il mese scorso, “alla nascita di un nuovo ordine politico”.
http://www.huffingtonpost.it/2017/02/09 ... _ref=italy
The Huffington Post | Di Paul Blumenthal, JM Rieger
Pubblicato: 09/02/2017 17:02 CET Aggiornato: 2 ore fa
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WASHINGTON – Nel 2009, lo storico David Kaiser, allora professore del Naval War College di Newport (Rhode Insland) ricevette una chiamata da tale Steve Bannon.
Bannon voleva intervistare Kaiser per un documentario a cui stava lavorando, basato sulla Teoria Generazionale di William Strauss e Neil Howe. Kaiser, studioso di Strauss e Howe, non conosceva Bannon ma accettò di partecipare. Si recò presso la sede centrale del gruppo attivista conservatore Citenzs United, a Washington, per fare una chiacchierata con Bannon, all’epoca di stanza lì.
Kaiser restò colpito dalla conoscenza che Bannon aveva di Strauss e Howe: stando ai due teorici, la storia americana segue cicli di quattro fasi, scanditi dal susseguirsi di periodi di profonda crisi e di “rinascita”. Queste crisi vengono chiamate “Le quattro svolte” – e Bannon crede che negli Stati Uniti una di queste abbia avuto inizio il 18 settembre del 2008, quando Hank Paulson e Ben Bernanke si presentarono al Campidoglio per chiedere il salvataggio dell’intero sistema bancario internazionale.
“Sapeva tutto della teoria”, disse Kaiser. “Era chiaro che gli piaceva intervistarmi”. Durante l’intervista, Bannon incalzò Kaiser su un punto in particolare. “Stava parlando delle guerre che segnano il culmine delle Quattro Svolte”, ricordò Kaiser. “C’è stata la Rivoluzione Americana, la Guerra Civile, la Seconda Guerra Mondiale. Stanno diventando sempre più grandi. Evidentemente, per la Quarta Svolta si aspettava un conflitto altrettanto esteso. E fece tutto il possibile, ricordo, per fare in modo che lo confermassi in onda”.
Kaiser non credeva che la guerra mondiale fosse predeterminata, perciò obiettò. Quella serie di domande non venne inserita nel documentario, un’opera controversa uscita nel 2010 con il titolo “Generation Zero”.
Bannon, che adesso siede nell’Ala Ovest della Casa Bianca in qualità di principale consigliere del Presidente, è stato descritto come l’uomo dietro le idee centrali della politica di Trump. Ma nelle interviste, nei discorsi, nei pezzi che ha scritto (e soprattutto nel suo appoggio alla teoria di Strauss e Howe) ha dichiarato senza mezzi termini di essere, in primis, un fautore dell’Apocalisse.
Secondo Bannon, siamo nel bel mezzo di una guerra esistenziale, e ogni cosa è parte di questo conflitto. È necessario rompere gli accordi, fare i nomi dei nemici, cambiare la cultura. La conflagrazione globale, se dovesse accadere, proverebbe solo la validità della teoria. Per Bannon, la Quarta Svolta è arrivata. Il Gray Champion (il “Paladino Canuto”, da un racconto di Hawthorne), figura messianica di uomo forte, potrebbe già essere tra noi. L’Apocalisse è adesso.
“Stiamo assistendo”, ha dichiarato Bannon al Washington Post il mese scorso, “alla nascita di un nuovo ordine politico”.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
UncleTom ha scritto:"L'apocalisse è ora", parola di Steve Bannon, il guru di Trump. E la guerra è vicina...
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Pubblicato: 09/02/2017 17:02 CET Aggiornato: 2 ore fa
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WASHINGTON – Nel 2009, lo storico David Kaiser, allora professore del Naval War College di Newport (Rhode Insland) ricevette una chiamata da tale Steve Bannon.
Bannon voleva intervistare Kaiser per un documentario a cui stava lavorando, basato sulla Teoria Generazionale di William Strauss e Neil Howe. Kaiser, studioso di Strauss e Howe, non conosceva Bannon ma accettò di partecipare. Si recò presso la sede centrale del gruppo attivista conservatore Citenzs United, a Washington, per fare una chiacchierata con Bannon, all’epoca di stanza lì.
Kaiser restò colpito dalla conoscenza che Bannon aveva di Strauss e Howe: stando ai due teorici, la storia americana segue cicli di quattro fasi, scanditi dal susseguirsi di periodi di profonda crisi e di “rinascita”. Queste crisi vengono chiamate “Le quattro svolte” – e Bannon crede che negli Stati Uniti una di queste abbia avuto inizio il 18 settembre del 2008, quando Hank Paulson e Ben Bernanke si presentarono al Campidoglio per chiedere il salvataggio dell’intero sistema bancario internazionale.
“Sapeva tutto della teoria”, disse Kaiser. “Era chiaro che gli piaceva intervistarmi”. Durante l’intervista, Bannon incalzò Kaiser su un punto in particolare. “Stava parlando delle guerre che segnano il culmine delle Quattro Svolte”, ricordò Kaiser. “C’è stata la Rivoluzione Americana, la Guerra Civile, la Seconda Guerra Mondiale. Stanno diventando sempre più grandi. Evidentemente, per la Quarta Svolta si aspettava un conflitto altrettanto esteso. E fece tutto il possibile, ricordo, per fare in modo che lo confermassi in onda”.
Kaiser non credeva che la guerra mondiale fosse predeterminata, perciò obiettò. Quella serie di domande non venne inserita nel documentario, un’opera controversa uscita nel 2010 con il titolo “Generation Zero”.
Bannon, che adesso siede nell’Ala Ovest della Casa Bianca in qualità di principale consigliere del Presidente, è stato descritto come l’uomo dietro le idee centrali della politica di Trump. Ma nelle interviste, nei discorsi, nei pezzi che ha scritto (e soprattutto nel suo appoggio alla teoria di Strauss e Howe) ha dichiarato senza mezzi termini di essere, in primis, un fautore dell’Apocalisse.
Secondo Bannon, siamo nel bel mezzo di una guerra esistenziale, e ogni cosa è parte di questo conflitto. È necessario rompere gli accordi, fare i nomi dei nemici, cambiare la cultura. La conflagrazione globale, se dovesse accadere, proverebbe solo la validità della teoria. Per Bannon, la Quarta Svolta è arrivata. Il Gray Champion (il “Paladino Canuto”, da un racconto di Hawthorne), figura messianica di uomo forte, potrebbe già essere tra noi. L’Apocalisse è adesso.
“Stiamo assistendo”, ha dichiarato Bannon al Washington Post il mese scorso, “alla nascita di un nuovo ordine politico”.
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HO TRASCURATO LA SECONDA PARTE. CHIEDO SCUSA.
Strauss è morto nel 2007 e Howe non ha voluto rilasciare commenti. Ma i libri parlano per loro. Il primo, Generations (pubblicato nel 1991), sosteneva l’idea che la storia procede per cicli di quattro fasi ripetitivi e prevedibili, e che l’America stava, e sta, attraversando la parte finale dell’ultimo ciclo. (In “Generations”, Strauss e Howe furono forse i primi ad usare il termine Millennials, per descrivere i giovani di oggi).
La teoria di Strauss e Howe si basa su una serie di archetipi generazionali – gli Artisti, i Profeti, i Nomadi e gli Eroi – che sembrano usciti da una serie di romanzi distopici per i cosiddetti “young adults”. Per concludersi, ogni ciclo (o saeculum) impiega dagli ottanta ai cento anni, secondo il calcolo di Strauss e Howe. The Fourth Turning (“La Quarta Svolta), pubblicato nel 1997, si concentra su quest’ultima, apocalittica parte del ciclo.
Strauss e Howe ipotizzano che durante la crisi della Quarta Svolta, un leader inaspettato emergerà da una generazione precedente per guidare la nazione, e condurre quella che definiscono la generazione “eroe” (in questo caso, i millennials) ad un nuovo ordine. Questa persona è conosciuta come il Grey Champion (il Paladino Canuto). Un’elezione o un altro evento – forse una guerra – porteranno la porteranno al potere, e il suo regime governerà durante la crisi.
“I vincitori avranno quindi il potere di seguire il loro piano, più forte e meno incrementalista. Un piano a lungo sognato e di cui i loro avversari sono stati minacciosamente avvertiti”, scrivono Strauss e Howe nel libro. “Il nuovo regime s’installerà per tutta la durata della crisi. A prescindere dalla sua ideologia, questa nuova leadership riaffermerà l’autorità pubblica ed esigerà sacrifici privati. Se un tempo i leader sono stati inclini ad alleviare le pressioni sociali, adesso le inaspriranno per controllare gli interessi della nazione”.
I modelli ciclici dell’analisi storica vengono impiegati dagli studiosi, di tanto in tanto, ha spiegato Sean Wilentz, professore di storia americana alla Princeton University. Ma questa idea non ha attecchito tra gli storici o gli attori politici. “Non è solo un’idea. È finzione, è tutto inventato”, ha detto Wilentz parlando dei modelli storici ciclici. “Non c’è niente di concreto. Sono frutto della fantasia”.
Michael Lind, storico e co-fondatore di New America Foundation, una think-tank liberale, ha definito la teoria di Strauss e Howe “pseudoscienza” ed affermato che “le loro previsioni sul futuro dell’America sono vaghe quanto quelle dei biscotti della fortuna”.
Ma Bannon ha abboccato.
“Questa è la quarta grande crisi della storia Americana”, ha dichiarato ai membri della Liberty Restoration Foundation, organizzazione no-profit conservatrice, nel 2011. “Abbiamo avuto la Rivoluzione, la Guerra Civile. Abbiamo avuto la Grande Depressione e la Seconda Guerra Mondiale. Questa è la quarta grande svolta della storia americana”.
Le crisi più gravi “si presentano dopo cicli di circa 80 o 100 anni”, ha dichiarato Bannon in occasione di una conferenza organizzata dal gruppo femminile repubblicano “Project GoPink”, lo stesso anno. “E da qui ai prossimi dieci o venti anni affronteremo questa crisi, e avremo di fronte due scelte: rimanere il paese che ci è stato lasciato in eredità o diventare qualcosa di completamente diverso”.
“L’Occidente giudaico-cristiano è al collasso. Sta implodendo. E lo sta facendo sotto i nostri occhi, E il contraccolpo sarà terribile”. La Guerra è vicina, ha avvertito Bannon. Anzi, è già qui.
“Da un lato c’è l’espansionismo dell’Islam, dall’altro quello della Cina”, ha detto ad un programma radiofonico nel 2016. “Sono determinati, sono arroganti. Sono in marcia. E pensano che l’Occidente giudaico-cristiano stia battendo in ritirata”.
“Contro l’Islam radicale, siamo in guerra da cent’anni”, ha dichiarato nel 2011 a Political Vindication Radio. “Nei prossimi cinque o dieci anni, combatteremo nel Mar Cinese Meridionale, non è così?”, è stata la domanda di Bannon durante un’intervista con il biografo di Reagan, Lee Edwards.
“Siamo in Guerra aperta contro l’islamofascismo jihadista”, ha affermato in un discorso tenuto in occasione di una conferenza in Vaticano nel 2014. “La diffusione di questa guerra, per come la vedo io, corre più veloce della capacità dei governi di affrontarla”.
Nel 2015, in un programma radiofonico, Bannon ha descritto il modo in cui gestiva Breitbart, il sito di notizie di estrema destra di cui era direttore all’epoca. “C’è la guerra”, disse, “Tutti i giorni, scendiamo in guerra. L’America è in guerra, in guerra. Noi siamo in guerra”.
Per affrontare questa minaccia, secondo Bannon, l’Occidente giudaico-cristiano deve rispondere al fuoco per non essere sconfitto, come accaduto quando Costantinopoli cadde nelle mani dei Turchi Ottomani nel 1453. Nel 2016 ha definito l’Islam una “religione di sottomissione” – confutando la dichiarazione del Presidente George W. Bush che, dopo l’undici settembre, la definì una religione di pace. Nel 2007 Bannon ha buttato giù una bozza di trattamento cinematografico per un documentario. L’opera avrebbe parlato di una “quinta colonna” composta da gruppi appartenenti alla comunità musulmana, dai media, da organizzazioni ebraiche e agenzie governative che opererebbero per rovesciare il governo e imporre la legge islamica.
“È evidente che negli Stati Uniti esista una quinta colonna”, è stato l’avvertimento di Bannon nel luglio del 2016. “C’è del marcio proprio al cuore dell’Occidente giudaico-cristiano”, ha affermato nel novembre del 2015. “Il secolarismo ha fiaccato la forza dell’occidente giudaico-cristiano nella difesa dei suoi ideali”, ha sostenuto durante la conferenza in Vaticano. La classe aristocratica di Washington e i media, sostiene, sono in combutta con l’intera religione islamica e con la Cina espansionista per indebolire l’America giudaico-cristiana.
Questo tipo di conflitto esistenziale è al centro delle previsioni di Strauss e Howe. Ci sono quattro possibili esiti per la Quarta Svolta e tre di questi includono una sorta di crollo su larga scala. L’America potrebbe “rinascere” e attenderemo altri ottanta o cento anni per un nuovo ciclo, che culminerà in una nuova crisi. Il mondo di oggi – l’era della Storia Occidentale che Strauss e Howe credevano iniziata nel quindicesimo secolo – potrebbe finire. Possiamo “risparmiare l’era moderna ma segnare la fine della nostra nazione”. Oppure affrontare “la fine dell’uomo” in una guerra mondiale che porterà ad un “Armageddon omnicida”.
Ora, una persona che crede in queste previsioni così vaghe e infondate siede alla Casa Bianca come braccio destro del Presidente.
“Dovremo affrontare periodi bui prima di rivedere di nuovo la luce del mattino in America”, minacciava Bannon nel 2010. “Dovremo farci carico di un’enorme sofferenza. Chi sostiene che non siamo destinati a soffrire vi sta prendendo in giro, questo è quello che penso”. “Questo movimento”, ha affermato a novembre, “sta crescendo”.
Traduzione di Milena Sanfilippo
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Russia pronta alla guerra bianca
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La fine dell’epoca sovietica aveva smilitarizzato l’Artico. Ma negli ultimi anni il vento è cambiato. Anzi il vento nuovo che soffia nelle zone più fredde del pianeta ha portato la Russia a progettare un nuovo sistema per presidiare il territorio. Diverse basi lungo la “Northern Sea Route”, che collega lo Stretto di Bering con il mare di Kara, sono recuperate e potenziate dopo anni di abbandono dalla caduta del regime dei soviet.
Il Cremlino sotto la guida di Vladimir Putin ha deciso di rilanciare la presenza militare nell’area. In molti casi con una capacità militare superiore a quella dell’epoca precedente. Il progetto di “riconquista” dell’Artico parte nel 2012 ma si concretizza dal 2015 quando vengono rese operative sei nuove basi, 16 punti di appoggio per i sommergibili atomici e 13 campi di volo. Non solo. Nelle aree occidentali nella penisola di Kola è stato dispiegato un sistema anti missile S-400 a difesa della Flotta del Nord, una delle principali flotte russe.
Dopo la fine dell’Urss, il ritorno sull’Artico
“Sotto la guida di Gorbachev e Yelsinn il nostro confine artico è stato messo a nudo, ma ora tutto sta per essere ripristinato”. Ne è convinto Pavel Makarevich, capo della società geografica russa. Questo ritorno all’Artico non è passato inosservato dalle parti d Washington. Il nuovo segretario alla difesa James Mattis ha confermato che per gli Usa “è controproducente lasciare questa parte del mondo”. Questa situazione complica non poco i piani dell’amministrazione Trump, che mirava a una distensione con la Russia di Putin. Intanto la prima mossa del Pentagono è stata di inviare 330 Marines in Norvegia. I soldati americani saranno di stanza nella base di Vaernes dover resteranno per sei mesi prorogabili a un anno. Il contingente è molto piccolo, ma è significativo il fatto che per la prima volta, dalla fine della Seconda guerra mondiale, truppe straniere arrivino in Norvegia.
Durante l’Urss la presenza armata sull’Artico si fondava sulla potenza di fuoco nucleare, in particolare con il volo dei grandi bombardieri in un’ottica di deterrenza nucleare. Questo nuovo ritorno tra i ghiacci del Polo ha invece una valenza diversa. Si tratta di un presidio diffuso pensato per un eventuale guerra convenzionale. Paradossalmente se la potenza è diminuita, sono aumentati uomini e mezzi. Sergai Shoigu, il ministro della difesa russo, ha confermato che nel 2017 verranno ripristinate, o create da zero, altre sei strutture militari.
Decine di basi per presidiare la rotta del Nord
Tra la miriade di basi due sono state completate a tempo di record. Quella ad Alexandra island e quella a Kotelny Island. La prima si trova nell’arcipelago di Franz Josef Land mentre la seconda è ancora più a Est, un’isola del gruppo delle Anžu, l’arcipelago della Nuova Siberia. Alexandra presenta una base che può ospitare 150 truppe che volendo possono sopravvivere in completa autonomia per almeno 18 mesi. La struttura, che ricorda un trifoglio ed è stata colorata con i colori della bandiera della Federazione, verrà presto integrata con una nuova pista di atterraggio. L’idea è quella di renderla ideale sia per i MiG-21 fighters, caccia progettati per abbattere i bombardieri di lungo raggio, che per i bombardieri SU-34.
Stessa struttura a trifoglio anche per Kotelny Island. In questo caso gli investimenti sono stati maggiori. L’isola, a 2.700 miglia da Mosca, ospiterà 250 uomini ben protetti con un sistema di difesa missilistica. Non solo. Sull’isola è stato anche installato un sistema di rilevazione radar per monitorare il traffico in tutto l’Artico orientale. In più è stato migliorato il porto per l’attracco delle navi e si sta ultimando la realizzazione di un aeroporto militare.
Non solo petrolio, una rotta per puntare al commercio
Mikhail Barabanov, responsabile del Moscow Defense Brief ha spiegato a Reuters che «La modernizzazione delle forze nell’Artico e la creazione di strutture sta avvenendo ad un ritmo senza precedenti, mai visto in epoca sovietica». L’investimento imponente voluto da Putin non ha lasciato nulla al caso. Il capo del Cremlino ha infatti promesso di investire 650 miliardi di dollari per modernizzare il 70% dell’esercito russo entro il 2020. Nel 2014 è stato creato un apposito comando l’Arctic Joint Strategic Command, con sede a Severomorsk, un centro sulla penisola di Kara all’imboccatura della ‘Northern Sea Route’. Le forze navali che fanno capo al Comando sono quelle della Flotta del Nord mentre le truppe di terra sono composte dalla 200esima brigata motorizzata e 80esima, che è stata istituita appositamente nel 2015. Nemmeno l’Urss ha mai avuto brigate artiche attrezzate specificatamente per la guerra oltre il Circolo polare. Per la fine del 2017 è prevista la creazione di una terza brigata e la nascita anche di una sorta di guardia costiera artica.
Un altro membro della società geografica russa, Denis Moiseev spiega che «Le nuove basi che abbiamo edificato sono sul territorio russo a differenza di quello che fanno altri Paesi». La scelta di investire così tante risorse al Polo è spiegata così da Moiseev: «Altri Paesi stanno avanzando i propri confini sull’Artico. Il nostro esercito deve essere pronto ad operare in tutto il territorio e in condizioni estreme».
Ma la scelta di Mosca di puntare tutto sull’Artico non deriva solamente da scelte di difesa. I cambiamenti climatici e la progressiva riduzione dei ghiacci apre le porte alle risorse che offre la regione. Secondo la società geologica americana il sottosuolo artico avrebbe un patrimonio di 412 miliardi di barili di greggio per oltre il 22% dell’interno patrimonio di petrolio e gas naturale. Se è vero che le sanzioni dovute alla guerra in Ucraina potrebbero rendere eccessivamente costose le estrazioni, è anche vero che la Russia ha una potenza necessaria a resistere e gli investimenti fatti a Nord fanno parte di una visione a lungo termine.
Ma questi investimenti hanno anche un’altra ragione. La dipartita dello strato di ghiaccio rende la rotta nordica molto appetibile. Il sogno di Mosca sarebbe quello di poterla trasformare in una sorte di nuova Suez. Di far aumentare sempre di più il volume di traffici commerciali dallo Stretto di Bering all’Oceano Atlantico e vice versa, guardando soprattutto a oriente. Una mossa tutt’altro che avventata se pensiamo alla lunghezza del percorso e al rischio pirateria che i mercantili asiatici, specialmente cinesi, devono affrontare passando verso Sud. Non a caso Grigory Stratiy, ex governatore della regione nordica di Murmansk, ha raccontato che c’è un forte interessa nella rotta nordica da parte di nazioni asiatiche anche grazie al piano di costruzione di nuove rompighiaccio che garantirebbe il passaggio marittimo per tutto l’anno.
• Feb 11, 2017
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La fine dell’epoca sovietica aveva smilitarizzato l’Artico. Ma negli ultimi anni il vento è cambiato. Anzi il vento nuovo che soffia nelle zone più fredde del pianeta ha portato la Russia a progettare un nuovo sistema per presidiare il territorio. Diverse basi lungo la “Northern Sea Route”, che collega lo Stretto di Bering con il mare di Kara, sono recuperate e potenziate dopo anni di abbandono dalla caduta del regime dei soviet.
Il Cremlino sotto la guida di Vladimir Putin ha deciso di rilanciare la presenza militare nell’area. In molti casi con una capacità militare superiore a quella dell’epoca precedente. Il progetto di “riconquista” dell’Artico parte nel 2012 ma si concretizza dal 2015 quando vengono rese operative sei nuove basi, 16 punti di appoggio per i sommergibili atomici e 13 campi di volo. Non solo. Nelle aree occidentali nella penisola di Kola è stato dispiegato un sistema anti missile S-400 a difesa della Flotta del Nord, una delle principali flotte russe.
Dopo la fine dell’Urss, il ritorno sull’Artico
“Sotto la guida di Gorbachev e Yelsinn il nostro confine artico è stato messo a nudo, ma ora tutto sta per essere ripristinato”. Ne è convinto Pavel Makarevich, capo della società geografica russa. Questo ritorno all’Artico non è passato inosservato dalle parti d Washington. Il nuovo segretario alla difesa James Mattis ha confermato che per gli Usa “è controproducente lasciare questa parte del mondo”. Questa situazione complica non poco i piani dell’amministrazione Trump, che mirava a una distensione con la Russia di Putin. Intanto la prima mossa del Pentagono è stata di inviare 330 Marines in Norvegia. I soldati americani saranno di stanza nella base di Vaernes dover resteranno per sei mesi prorogabili a un anno. Il contingente è molto piccolo, ma è significativo il fatto che per la prima volta, dalla fine della Seconda guerra mondiale, truppe straniere arrivino in Norvegia.
Durante l’Urss la presenza armata sull’Artico si fondava sulla potenza di fuoco nucleare, in particolare con il volo dei grandi bombardieri in un’ottica di deterrenza nucleare. Questo nuovo ritorno tra i ghiacci del Polo ha invece una valenza diversa. Si tratta di un presidio diffuso pensato per un eventuale guerra convenzionale. Paradossalmente se la potenza è diminuita, sono aumentati uomini e mezzi. Sergai Shoigu, il ministro della difesa russo, ha confermato che nel 2017 verranno ripristinate, o create da zero, altre sei strutture militari.
Decine di basi per presidiare la rotta del Nord
Tra la miriade di basi due sono state completate a tempo di record. Quella ad Alexandra island e quella a Kotelny Island. La prima si trova nell’arcipelago di Franz Josef Land mentre la seconda è ancora più a Est, un’isola del gruppo delle Anžu, l’arcipelago della Nuova Siberia. Alexandra presenta una base che può ospitare 150 truppe che volendo possono sopravvivere in completa autonomia per almeno 18 mesi. La struttura, che ricorda un trifoglio ed è stata colorata con i colori della bandiera della Federazione, verrà presto integrata con una nuova pista di atterraggio. L’idea è quella di renderla ideale sia per i MiG-21 fighters, caccia progettati per abbattere i bombardieri di lungo raggio, che per i bombardieri SU-34.
Stessa struttura a trifoglio anche per Kotelny Island. In questo caso gli investimenti sono stati maggiori. L’isola, a 2.700 miglia da Mosca, ospiterà 250 uomini ben protetti con un sistema di difesa missilistica. Non solo. Sull’isola è stato anche installato un sistema di rilevazione radar per monitorare il traffico in tutto l’Artico orientale. In più è stato migliorato il porto per l’attracco delle navi e si sta ultimando la realizzazione di un aeroporto militare.
Non solo petrolio, una rotta per puntare al commercio
Mikhail Barabanov, responsabile del Moscow Defense Brief ha spiegato a Reuters che «La modernizzazione delle forze nell’Artico e la creazione di strutture sta avvenendo ad un ritmo senza precedenti, mai visto in epoca sovietica». L’investimento imponente voluto da Putin non ha lasciato nulla al caso. Il capo del Cremlino ha infatti promesso di investire 650 miliardi di dollari per modernizzare il 70% dell’esercito russo entro il 2020. Nel 2014 è stato creato un apposito comando l’Arctic Joint Strategic Command, con sede a Severomorsk, un centro sulla penisola di Kara all’imboccatura della ‘Northern Sea Route’. Le forze navali che fanno capo al Comando sono quelle della Flotta del Nord mentre le truppe di terra sono composte dalla 200esima brigata motorizzata e 80esima, che è stata istituita appositamente nel 2015. Nemmeno l’Urss ha mai avuto brigate artiche attrezzate specificatamente per la guerra oltre il Circolo polare. Per la fine del 2017 è prevista la creazione di una terza brigata e la nascita anche di una sorta di guardia costiera artica.
Un altro membro della società geografica russa, Denis Moiseev spiega che «Le nuove basi che abbiamo edificato sono sul territorio russo a differenza di quello che fanno altri Paesi». La scelta di investire così tante risorse al Polo è spiegata così da Moiseev: «Altri Paesi stanno avanzando i propri confini sull’Artico. Il nostro esercito deve essere pronto ad operare in tutto il territorio e in condizioni estreme».
Ma la scelta di Mosca di puntare tutto sull’Artico non deriva solamente da scelte di difesa. I cambiamenti climatici e la progressiva riduzione dei ghiacci apre le porte alle risorse che offre la regione. Secondo la società geologica americana il sottosuolo artico avrebbe un patrimonio di 412 miliardi di barili di greggio per oltre il 22% dell’interno patrimonio di petrolio e gas naturale. Se è vero che le sanzioni dovute alla guerra in Ucraina potrebbero rendere eccessivamente costose le estrazioni, è anche vero che la Russia ha una potenza necessaria a resistere e gli investimenti fatti a Nord fanno parte di una visione a lungo termine.
Ma questi investimenti hanno anche un’altra ragione. La dipartita dello strato di ghiaccio rende la rotta nordica molto appetibile. Il sogno di Mosca sarebbe quello di poterla trasformare in una sorte di nuova Suez. Di far aumentare sempre di più il volume di traffici commerciali dallo Stretto di Bering all’Oceano Atlantico e vice versa, guardando soprattutto a oriente. Una mossa tutt’altro che avventata se pensiamo alla lunghezza del percorso e al rischio pirateria che i mercantili asiatici, specialmente cinesi, devono affrontare passando verso Sud. Non a caso Grigory Stratiy, ex governatore della regione nordica di Murmansk, ha raccontato che c’è un forte interessa nella rotta nordica da parte di nazioni asiatiche anche grazie al piano di costruzione di nuove rompighiaccio che garantirebbe il passaggio marittimo per tutto l’anno.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
NordCorea, la Cina condanna lancio di missili ma di "no a provocazioni dall'Onu"
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La Cina si oppone ai test balistici e nucleari della Corea del Nord che "violano le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu", ma invita tutte le parti coinvolte a "esercitare moderazione" e a "evitare provocazioni reciproche" al fine di tutelare pace e stabilità nella penisola coreana. Sulla stessa lunghezza d'onda anche la Russia che ha a sua volta sottolineato la necessità di astenersi da azioni che potrebbero far aumentare la tensione".
La Cina cerca di fare da mediatore nella crisi aperta da Pyongyang. Ufficialmente si oppone ai test balistici e nucleari della Corea del Nord che "violano le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu", ma invita tutte le parti coinvolte a "esercitare moderazione" e a "evitare provocazioni reciproche" al fine di tutelare pace e stabilità nella penisola coreana: è il commento del portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang, sul lancio del missile a media gittata fatto da Pyongyang, il primo dall'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca.
Mosca molto preoccupata per lancio missili - La Russia invece è molto preoccupata per gli ultimi testi missilistici ed esorta tutte le parti coinvolte a mantenere la calma e ad astenersi da qualsiasi azione che possa portare a una escalation delle tensioni nella penisola coreana. Lo ha reso noto il ministero degli Esteri russo citato dall'agenzia di stampa Ria.
Riunione emergenza del Consiglio di Sicurezza Onu - Il Consiglio di sicurezza dell'Onu si riunirà nelle prossime ore in una seduta di emergenza per discutere del lancio del missile a medio raggio realizzato ieri dalla Corea del Nord. Lo rende noto un portavoce della missione ucraina, che questo mese detiene la presidenza dei lavori del massimo organismo Onu, spiegando che la riunione avverrà a porte chiuse alle 17 locali (le 23 in Italia). La seduta di emergenza è stata richiesta da Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti.
Kim Jong-un continua a spaventare il mondo
http://www.msn.com/it-it/notizie/mondo/ ... spartandhp
24/34
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La Cina si oppone ai test balistici e nucleari della Corea del Nord che "violano le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu", ma invita tutte le parti coinvolte a "esercitare moderazione" e a "evitare provocazioni reciproche" al fine di tutelare pace e stabilità nella penisola coreana. Sulla stessa lunghezza d'onda anche la Russia che ha a sua volta sottolineato la necessità di astenersi da azioni che potrebbero far aumentare la tensione".
La Cina cerca di fare da mediatore nella crisi aperta da Pyongyang. Ufficialmente si oppone ai test balistici e nucleari della Corea del Nord che "violano le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza Onu", ma invita tutte le parti coinvolte a "esercitare moderazione" e a "evitare provocazioni reciproche" al fine di tutelare pace e stabilità nella penisola coreana: è il commento del portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang, sul lancio del missile a media gittata fatto da Pyongyang, il primo dall'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca.
Mosca molto preoccupata per lancio missili - La Russia invece è molto preoccupata per gli ultimi testi missilistici ed esorta tutte le parti coinvolte a mantenere la calma e ad astenersi da qualsiasi azione che possa portare a una escalation delle tensioni nella penisola coreana. Lo ha reso noto il ministero degli Esteri russo citato dall'agenzia di stampa Ria.
Riunione emergenza del Consiglio di Sicurezza Onu - Il Consiglio di sicurezza dell'Onu si riunirà nelle prossime ore in una seduta di emergenza per discutere del lancio del missile a medio raggio realizzato ieri dalla Corea del Nord. Lo rende noto un portavoce della missione ucraina, che questo mese detiene la presidenza dei lavori del massimo organismo Onu, spiegando che la riunione avverrà a porte chiuse alle 17 locali (le 23 in Italia). La seduta di emergenza è stata richiesta da Giappone, Corea del Sud e Stati Uniti.
Kim Jong-un continua a spaventare il mondo
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Re: La Terza Guerra Mondiale
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Mishra: l’età della rabbia, nell’Occidente senza più futuro
Scritto il 18/2/17 • nella Categoria: Recensioni Condividi
Un’arma letale nel cuore e nella mente di una gioventù cosmopolita smarrita e senza radici, in cerca di un senso alla sua esistenza, mentre scivoliamo verso quella che probabilmente sarà la più lunga tra le guerre mondiali. Ogni tanto ecco che esce un libro che strappa e rapisce lo spirito del tempo, che risplende con un diamante pazzo: “L’età della Rabbia” (The Age of Anger) di Pankaj Mishra, autore del ‘precursore’ “Dalle rovine dell’Impero”, potrebbe anche essere l’ultimo avatar. Considerate questo libro come l’ultima (concettualmente parlando) arma letale nei cuori e nelle menti di una gioventù smarrita cosmopolita alla ricerca di una vera ‘chiamata’, mentre scivoliamo verso la più lunga (“infinita”, direbbe il Pentagono) tra le guerre mondiali, una guerra civile globale (che nel mio libro del 2007 “Globalistan” definivo “guerra liquida”). In sostanza, Mishra (prodotto perfetto dell’Est che incontra l’Ovest) sostiene che è impossibile comprendere il presente se prima non riconosciamo quel malessere nostalgico di fondo che contraddice l’ideale del liberalismo cosmopolita – «la società commerciale cosmopolita di individui razionali egoisti» concettualizzata originariamente dall’Illuminismo di Montesquieu, Adam Smith, Voltaire e Kant.
Alla fine il vincitore nella Storia è uno sterile concetto di bonario Illuminismo. Nella norma, avrebbero dovuto prevalere il razionalismo, l’umanesimo, l’universalismo e la democrazia liberale. Ma sarebbe stato «chiaramente troppo sconcertante», scrive Mishra, «riconoscere che la politica totalitaria abbia cristallizzato le correnti ideologiche (razzismo scientifico, razionalismo sciovinista, imperialismo, tecnicismo, politica estetizzata, ingegnerie sociali)» che già scuotevano l’Europa alla fine del 19 ° secolo. Quindi, evocando T.S. Eliot, per poter inquadrare «quel mezzo sguardo all’indietro, sopra la spalla, verso il terrore primivito» che alla fine ha condotto all’Ovest contro il Resto del Mondo, dobbiamo tornare ai precursori. “Distruggi il palazzo di cristallo”. Prendete Pushkin, “Eugene Onegin”, «il primo di molti ‘uomini superflui’ della narrativa russa», con il suo cappello Bolivar, che tiene stretti a sé una statua di Napoleone e un ritratto di Byron, come la Russia, che tenta di recuperare il suo ritardo con l’Occidente, «gioventù senza radici, prodotto di massa con una concezione quasi “byroniana” di libertà, gonfiata ulteriormente dal romanticismo tedesco».
I migliori critici dell’Illuminismo dovevano per forza essere tedeschi o russi, in ritardo nella modernità politico-economica. Dostoevsky: la società dominata dalla guerra di tutti contro tutti, dove la maggioranza era condannata a perdere. Due anni prima di pubblicare il sorprendente “Memorie dal Sottosuolo” Dostoevskij, durante il suo viaggio in Europa occidentale, aveva già osservato una società dominata da una guerra di tutti contro tutti, dove la maggior parte era condannata a perdere. A Londra, nel 1862, al Salone Internazionale al Crystal Palace, Dostoevskij ebbe un’illuminazione («E ti arriva un’idea colossale…che il trionfo e la vittoria erano lì. Quasi inizi a temere qualcosa»). Per quanto stupito, Dostoevskij fu molto acuto nell’osservare quanto la civiltà materialista si nutrisse non solo del suo proprio fascino, ma anche della sua potenza militare e marittima.
La letteratura russa finì con il cristallizzare il crimine casuale come il paradigma dell’individualità che assapora l’identità e afferma la propria volontà (che poi ritroviamo nel 20° secolo nell’icona beat William Burroughs, il quale sosteneva che sparare a caso sulla folla fosse per lui il massimo del brivido). La pista era aperta: le orde di “mendicanti dissoluti” (Beggars Banquet) potevano iniziare a bombardare il Crystal Palace – anche se, ci ricorda Mishra, «gli intellettuali al Cairo, a Calcutta, a Tokyo e a Shanghai leggevano Jeremy Bentham, Adam Smith, Thomas Paine, Herbert Spencer e John Stuart Mill», per comprendere il segreto in eterna espansione della borghesia capitalistica. E questo dopo che Rousseau, nel 1749, aveva posto la prima pietra della rivolta moderna contro la modernità, ora ridotta in mille schegge, in un deserto di echi contrastanti, mentre ritroviamo il Crystal Palace riflesso in mille ghetti luccicanti in tutto il mondo.
“Illuminato: sei morto”. Mishra attribuisce l’idea del suo libro a Nietzsche che commentava l’epica querelle tra l’invidioso plebeo Rousseau e il sereno aristocratico Voltaire – il quale salutò la London Stock Exchange, quando divenne pienamente operativa, come una realizzazione secolare dell’armonia sociale. Ma alla fine fu Nietzsche che si oppose in maniera esemplare, come feroce detrattore sia del capitalismo liberale che del socialismo, rendendo l’allettante promessa di Zarathustra un magnetico Santo Graal agli occhi dei bolscevichi (Lenin, tuttavia, lo detestava), della sinistra di Lu Xun in Cina, dei fascisti, degli anarchici, delle femministe e delle orde di esteti scontenti. Mishra ci ricorda anche come «gli antimperialisti asiatici e i baroni ladroni americani hanno attinto a piene mani da Herbert Spencer, il primo pensatore veramente globale», che dopo aver letto Darwin coniò il mantra della “sopravvivenza del più adatto”. Nietzsche fu l’ultimo cartografo del Risentimento. Max Weber inquadrò profeticamente il mondo moderno come una “gabbia di ferro” da cui può sfuggire solo un leader carismatico. E l’icona anarchica Michail Bakunin, da parte sua, nel 1869 aveva già concettualizzato il “rivoluzionario” come colui che recide «ogni legame con l’ordine sociale e con l’intero mondo civilizzato… Lui è il suo nemico più spietato e continua ad esistere per un unico scopo: distruggerlo».
Sfuggendo all’Incubo della Storia del Modernista Supremo James Joyce – dalla gabbia di ferro della modernità, appunto – è scoppiata in modo incontrollato e ben al di fuori dei confini dell’Europa una secessione militante viscerale, «da una civiltà fondata sul progresso graduale controllato da fiduciari liberal-democratici». Ideologie anche radicalmente contrarie sono comunque sorte in simbiosi dal vortice culturale del tardo 19° secolo, dal fondamentalismo islamico al sionismo, dal nazionalismo indù al bolscevismo, dal nazismo al fascismo e al rinnovato imperialismo. Non solo la seconda guerra mondiale, ma anche l’attuale finale di partita è stato brillantemente visualizzato nel 1930 dal tragico Walter Benjamin, quando già metteva in guardia contro l’auto-alienazione del genere umano, finalmente in grado di «provare nella propria distruzione il massimo piacere estetico possibile». Gli jihadisti di oggi in streaming fai-da-te non sono altro che la sua versione pop, mentre l’Isis tenta di proporsi come negazione estrema delle miserie della modernità (neo-liberale).
“L’era del Risentimento”. Tessendo flussi coloriti di politica e di impollinazioni incrociate letterarie, Mishra si prende il suo tempo per impostare la scena del Grande Dibattito tra quelle masse del mondo in via di sviluppo – la cui esistenza è stata etichettata dall’Occidente Atlantista («storie di violenza ancora largamente riconosciuta») e dalle élite della modernità liquida (Bauman) che hanno ceduto alla quella selezionata parte del mondo a cui si attribuiscono, dopo l’Illuminismo, le più grandi scoperte e innovazioni scientifiche, filosofiche, artistiche e letterarie. Questo va ben al di là di un semplice dibattito tra Est e Ovest. Non riusciremo a comprendere l’attuale guerra civile globale, questo «mix intenso di invidia e senso di umiliazione ed impotenza» post-modernista, e post-verità, se non tentiamo di «smantellare l’architettura concettuale e intellettuale dell’Occidente vincitore nella storia», che deriva dalla storia ipertrionfalista dei successi americani. Anche al culmine della guerra fredda, il teologo statunitense Reinhold Niebuhr si beffava dei «tiepidi fanatici della civiltà occidentale» e della loro fede cieca nel fatto che ogni società è destinata ad evolversi come hanno fatto, a volte, una manciata di paesi occidentali. E questo – ironia! – mentre il culto liberale internazionalista del progresso scimmiottava platealmente il sogno marxista della rivoluzione internazionale.
(Pepe Escobar, “L’erà della rabbia”, da “Asia Times” del 4 febbraio 2017, tradotto da “Skoncertata63” per “Come Don Chisciotte”).
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Mishra: l’età della rabbia, nell’Occidente senza più futuro
Scritto il 18/2/17 • nella Categoria: Recensioni Condividi
Un’arma letale nel cuore e nella mente di una gioventù cosmopolita smarrita e senza radici, in cerca di un senso alla sua esistenza, mentre scivoliamo verso quella che probabilmente sarà la più lunga tra le guerre mondiali. Ogni tanto ecco che esce un libro che strappa e rapisce lo spirito del tempo, che risplende con un diamante pazzo: “L’età della Rabbia” (The Age of Anger) di Pankaj Mishra, autore del ‘precursore’ “Dalle rovine dell’Impero”, potrebbe anche essere l’ultimo avatar. Considerate questo libro come l’ultima (concettualmente parlando) arma letale nei cuori e nelle menti di una gioventù smarrita cosmopolita alla ricerca di una vera ‘chiamata’, mentre scivoliamo verso la più lunga (“infinita”, direbbe il Pentagono) tra le guerre mondiali, una guerra civile globale (che nel mio libro del 2007 “Globalistan” definivo “guerra liquida”). In sostanza, Mishra (prodotto perfetto dell’Est che incontra l’Ovest) sostiene che è impossibile comprendere il presente se prima non riconosciamo quel malessere nostalgico di fondo che contraddice l’ideale del liberalismo cosmopolita – «la società commerciale cosmopolita di individui razionali egoisti» concettualizzata originariamente dall’Illuminismo di Montesquieu, Adam Smith, Voltaire e Kant.
Alla fine il vincitore nella Storia è uno sterile concetto di bonario Illuminismo. Nella norma, avrebbero dovuto prevalere il razionalismo, l’umanesimo, l’universalismo e la democrazia liberale. Ma sarebbe stato «chiaramente troppo sconcertante», scrive Mishra, «riconoscere che la politica totalitaria abbia cristallizzato le correnti ideologiche (razzismo scientifico, razionalismo sciovinista, imperialismo, tecnicismo, politica estetizzata, ingegnerie sociali)» che già scuotevano l’Europa alla fine del 19 ° secolo. Quindi, evocando T.S. Eliot, per poter inquadrare «quel mezzo sguardo all’indietro, sopra la spalla, verso il terrore primivito» che alla fine ha condotto all’Ovest contro il Resto del Mondo, dobbiamo tornare ai precursori. “Distruggi il palazzo di cristallo”. Prendete Pushkin, “Eugene Onegin”, «il primo di molti ‘uomini superflui’ della narrativa russa», con il suo cappello Bolivar, che tiene stretti a sé una statua di Napoleone e un ritratto di Byron, come la Russia, che tenta di recuperare il suo ritardo con l’Occidente, «gioventù senza radici, prodotto di massa con una concezione quasi “byroniana” di libertà, gonfiata ulteriormente dal romanticismo tedesco».
I migliori critici dell’Illuminismo dovevano per forza essere tedeschi o russi, in ritardo nella modernità politico-economica. Dostoevsky: la società dominata dalla guerra di tutti contro tutti, dove la maggioranza era condannata a perdere. Due anni prima di pubblicare il sorprendente “Memorie dal Sottosuolo” Dostoevskij, durante il suo viaggio in Europa occidentale, aveva già osservato una società dominata da una guerra di tutti contro tutti, dove la maggior parte era condannata a perdere. A Londra, nel 1862, al Salone Internazionale al Crystal Palace, Dostoevskij ebbe un’illuminazione («E ti arriva un’idea colossale…che il trionfo e la vittoria erano lì. Quasi inizi a temere qualcosa»). Per quanto stupito, Dostoevskij fu molto acuto nell’osservare quanto la civiltà materialista si nutrisse non solo del suo proprio fascino, ma anche della sua potenza militare e marittima.
La letteratura russa finì con il cristallizzare il crimine casuale come il paradigma dell’individualità che assapora l’identità e afferma la propria volontà (che poi ritroviamo nel 20° secolo nell’icona beat William Burroughs, il quale sosteneva che sparare a caso sulla folla fosse per lui il massimo del brivido). La pista era aperta: le orde di “mendicanti dissoluti” (Beggars Banquet) potevano iniziare a bombardare il Crystal Palace – anche se, ci ricorda Mishra, «gli intellettuali al Cairo, a Calcutta, a Tokyo e a Shanghai leggevano Jeremy Bentham, Adam Smith, Thomas Paine, Herbert Spencer e John Stuart Mill», per comprendere il segreto in eterna espansione della borghesia capitalistica. E questo dopo che Rousseau, nel 1749, aveva posto la prima pietra della rivolta moderna contro la modernità, ora ridotta in mille schegge, in un deserto di echi contrastanti, mentre ritroviamo il Crystal Palace riflesso in mille ghetti luccicanti in tutto il mondo.
“Illuminato: sei morto”. Mishra attribuisce l’idea del suo libro a Nietzsche che commentava l’epica querelle tra l’invidioso plebeo Rousseau e il sereno aristocratico Voltaire – il quale salutò la London Stock Exchange, quando divenne pienamente operativa, come una realizzazione secolare dell’armonia sociale. Ma alla fine fu Nietzsche che si oppose in maniera esemplare, come feroce detrattore sia del capitalismo liberale che del socialismo, rendendo l’allettante promessa di Zarathustra un magnetico Santo Graal agli occhi dei bolscevichi (Lenin, tuttavia, lo detestava), della sinistra di Lu Xun in Cina, dei fascisti, degli anarchici, delle femministe e delle orde di esteti scontenti. Mishra ci ricorda anche come «gli antimperialisti asiatici e i baroni ladroni americani hanno attinto a piene mani da Herbert Spencer, il primo pensatore veramente globale», che dopo aver letto Darwin coniò il mantra della “sopravvivenza del più adatto”. Nietzsche fu l’ultimo cartografo del Risentimento. Max Weber inquadrò profeticamente il mondo moderno come una “gabbia di ferro” da cui può sfuggire solo un leader carismatico. E l’icona anarchica Michail Bakunin, da parte sua, nel 1869 aveva già concettualizzato il “rivoluzionario” come colui che recide «ogni legame con l’ordine sociale e con l’intero mondo civilizzato… Lui è il suo nemico più spietato e continua ad esistere per un unico scopo: distruggerlo».
Sfuggendo all’Incubo della Storia del Modernista Supremo James Joyce – dalla gabbia di ferro della modernità, appunto – è scoppiata in modo incontrollato e ben al di fuori dei confini dell’Europa una secessione militante viscerale, «da una civiltà fondata sul progresso graduale controllato da fiduciari liberal-democratici». Ideologie anche radicalmente contrarie sono comunque sorte in simbiosi dal vortice culturale del tardo 19° secolo, dal fondamentalismo islamico al sionismo, dal nazionalismo indù al bolscevismo, dal nazismo al fascismo e al rinnovato imperialismo. Non solo la seconda guerra mondiale, ma anche l’attuale finale di partita è stato brillantemente visualizzato nel 1930 dal tragico Walter Benjamin, quando già metteva in guardia contro l’auto-alienazione del genere umano, finalmente in grado di «provare nella propria distruzione il massimo piacere estetico possibile». Gli jihadisti di oggi in streaming fai-da-te non sono altro che la sua versione pop, mentre l’Isis tenta di proporsi come negazione estrema delle miserie della modernità (neo-liberale).
“L’era del Risentimento”. Tessendo flussi coloriti di politica e di impollinazioni incrociate letterarie, Mishra si prende il suo tempo per impostare la scena del Grande Dibattito tra quelle masse del mondo in via di sviluppo – la cui esistenza è stata etichettata dall’Occidente Atlantista («storie di violenza ancora largamente riconosciuta») e dalle élite della modernità liquida (Bauman) che hanno ceduto alla quella selezionata parte del mondo a cui si attribuiscono, dopo l’Illuminismo, le più grandi scoperte e innovazioni scientifiche, filosofiche, artistiche e letterarie. Questo va ben al di là di un semplice dibattito tra Est e Ovest. Non riusciremo a comprendere l’attuale guerra civile globale, questo «mix intenso di invidia e senso di umiliazione ed impotenza» post-modernista, e post-verità, se non tentiamo di «smantellare l’architettura concettuale e intellettuale dell’Occidente vincitore nella storia», che deriva dalla storia ipertrionfalista dei successi americani. Anche al culmine della guerra fredda, il teologo statunitense Reinhold Niebuhr si beffava dei «tiepidi fanatici della civiltà occidentale» e della loro fede cieca nel fatto che ogni società è destinata ad evolversi come hanno fatto, a volte, una manciata di paesi occidentali. E questo – ironia! – mentre il culto liberale internazionalista del progresso scimmiottava platealmente il sogno marxista della rivoluzione internazionale.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
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Libratus: quando saranno i computer a dichiarare la guerra
Scritto il 23/2/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet
Ricordate lo storico sorpasso dell’intelligenza umana da parte di quella artificiale? Era il 1997, esattamente 20 anni fa. Fu allora che per la prima volta il campione del mondo di scacchi, Garry Kasparov, dovette arrendersi di fronte alla forza bruta di Deep Blue, una mostruosa macchina da calcolo progettata dalla Ibm, capace di elaborare oltre 200 milioni di mosse al secondo (vedi “Man vs. Machine”). A nulla era valsa l’intelligenza dell’essere umano, poiché la sua capacità di elaborare variabili imprevedibili (3 mosse al secondo) era stata semplicemente schiacciata dalla potenza di calcolo di questo nuovo mostro cibernetico. Quello degli scacchi, si diceva però, era un gioco interamente prevedibile, in quanto tutte le variabili sono note ad ambedue i giocatori. In altre parole, i pezzi sulla scacchiera sono noti ad ambedue i giocatori, e per quanto alto sia il numero delle variabili in gioco, il loro esito finale può essere comunque computabile. Onore alla macchina, quindi, ma sempre forza bruta rimaneva. Ora invece è accaduto, per la prima volta nella storia, che un computer sia riuscito a battere ripetutamente quattro fra i più famosi giocatori di poker al mondo.
Qui si tratta di una vittoria molto diversa da quella degli scacchi, perché nel poker entra in gioco una variabile che negli scacchi non è presente, ovvero il bluff. Come abbiamo detto, negli scacchi la posizione dei pezzi è nota ad ambedue i giocatori, e si tratta solo di utilizzare la forza bruta del calcolatore per riuscire a battere l’avversario umano. Nel poker invece non tutte le carte sono note ad ambedue i giocatori, e quindi per ciascuno subentra la capacità di “interpretare” le mosse dell’avversario tenendo conto del fatto che possa bluffare. A quanto pare, i progettisti della macchina che ha battuto gli umani a poker, che si chiama Libratus, sono riusciti a creare un algoritmo che tiene presente anche un’eventuale bluff da parte dell’avversario. Per fare questo Libratus procede secondo un ragionamento molto simile al noto “dilemma del prigioniero”, un meccanismo che porta il soggetto a fare una scelta statisticamente meno pericolosa, anche se non necessariamente la migliore per lui. A quanto pare, questo equilibrio statistico (chiamato “equilibrio di Nash”) risulta comunque favorevole alla macchina, che è riuscita a vincere per la stragrande maggioranza delle 120.000 mani di poker giocate contro gli umani.
Il problema è appunto lì, nella parola “statistica”: sui grandi numeri, infatti, la macchina si può garantire di risultare vincitrice nella maggioranza dei casi, ma non potrà mai garantirti di poter vincere una determinata, singola partita. E purtroppo, come dice uno dei creatori del programma, Tuomas Sandholm, «il nostro vero scopo non è quello di battere gli umani a poker. Noi vogliamo sviluppare un tipo di intelligenza artificiale chi aiuti gli uomini a negoziare o a prendere decisioni nelle situazioni in cui non tutti i fatti siano noti». Che cosa succederà allora, nel giorno in cui gli uomini del Pentagono decideranno di affidare ad una macchina, ad esempio, la “partita di poker” contro un giocatore come Kim Jong-Un, il dittatore nordcoreano che minaccia quotidianamente di lanciare una testata nucleare contro la Corea del Sud o contro il Giappone? Perché è proprio questa la classica situazione in cui “non tutti gli elementi sono noti”, e la variabile del bluff rientra decisamente fra le regole del gioco. Ci “accontenteremo” di una probabilità statistica a lungo termine, o riusciremo comunque a rimettere in campo il famoso fattore umano, che almeno in un caso come questo dovrebbe ancora risultare determinante?
(Massimo Mazzucco, “Quando saranno i computer a dichiarare la guerra”, dal blog “Luogo Comune” del 7 febbraio 2017).
Ricordate lo storico sorpasso dell’intelligenza umana da parte di quella artificiale? Era il 1997, esattamente 20 anni fa. Fu allora che per la prima volta il campione del mondo di scacchi, Garry Kasparov, dovette arrendersi di fronte alla forza bruta di Deep Blue, una mostruosa macchina da calcolo progettata dalla Ibm, capace di elaborare oltre 200 milioni di mosse al secondo (vedi “Man vs. Machine”). A nulla era valsa l’intelligenza dell’essere umano, poiché la sua capacità di elaborare variabili imprevedibili (3 mosse al secondo) era stata semplicemente schiacciata dalla potenza di calcolo di questo nuovo mostro cibernetico. Quello degli scacchi, si diceva però, era un gioco interamente prevedibile, in quanto tutte le variabili sono note ad ambedue i giocatori. In altre parole, i pezzi sulla scacchiera sono noti ad ambedue i giocatori, e per quanto alto sia il numero delle variabili in gioco, il loro esito finale può essere comunque computabile. Onore alla macchina, quindi, ma sempre forza bruta rimaneva. Ora invece è accaduto, per la prima volta nella storia, che un computer sia riuscito a battere ripetutamente quattro fra i più famosi giocatori di poker al mondo.
Qui si tratta di una vittoria molto diversa da quella degli scacchi, perché nel poker entra in gioco una variabile che negli scacchi non è presente, ovvero il bluff. Come abbiamo detto, negli scacchi la posizione dei pezzi è nota ad ambedue i giocatori, e si Tuomas Sandholmtratta solo di utilizzare la forza bruta del calcolatore per riuscire a battere l’avversario umano. Nel poker invece non tutte le carte sono note ad ambedue i giocatori, e quindi per ciascuno subentra la capacità di “interpretare” le mosse dell’avversario tenendo conto del fatto che possa bluffare. A quanto pare, i progettisti della macchina che ha battuto gli umani a poker, che si chiama Libratus, sono riusciti a creare un algoritmo che tiene presente anche un’eventuale bluff da parte dell’avversario. Per fare questo Libratus procede secondo un ragionamento molto simile al noto “dilemma del prigioniero”, un meccanismo che porta il soggetto a fare una scelta statisticamente meno pericolosa, anche se non necessariamente la migliore per lui. A quanto pare, questo equilibrio statistico (chiamato “equilibrio di Nash”) risulta comunque favorevole alla macchina, che è riuscita a vincere per la stragrande maggioranza delle 120.000 mani di poker giocate contro gli umani.
Il problema è appunto lì, nella parola “statistica”: sui grandi numeri, infatti, la macchina si può garantire di risultare vincitrice nella maggioranza dei casi, ma non potrà mai garantirti di poter vincere una determinata, singola partita. E purtroppo, come dice uno dei creatori del programma, Tuomas Sandholm, «il nostro vero scopo non è quello di battere gli umani a poker. Noi vogliamo sviluppare un tipo di intelligenza artificiale chi aiuti gli uomini a negoziare o a prendere decisioni nelle situazioni in cui non tutti i fatti siano noti». Che cosa succederà allora, nel giorno in cui gli uomini del Pentagono decideranno di affidare ad una macchina, ad esempio, la “partita di poker” contro un giocatore come Kim Jong-Un, il dittatore nordcoreano che minaccia quotidianamente di lanciare una testata nucleare contro la Corea del Sud o contro il Giappone? Perché è proprio questa la classica situazione in cui “non tutti gli elementi sono noti”, e la variabile del bluff rientra decisamente fra le regole del gioco. Ci “accontenteremo” di una probabilità statistica a lungo termine, o riusciremo comunque a rimettere in campo il famoso fattore umano, che almeno in un caso come questo dovrebbe ancora risultare determinante?
(Massimo Mazzucco, “Quando saranno i computer a dichiarare la guerra”, dal blog “Luogo Comune” del 7 febbraio 2017).
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Libratus: quando saranno i computer a dichiarare la guerra
Scritto il 23/2/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet
Ricordate lo storico sorpasso dell’intelligenza umana da parte di quella artificiale? Era il 1997, esattamente 20 anni fa. Fu allora che per la prima volta il campione del mondo di scacchi, Garry Kasparov, dovette arrendersi di fronte alla forza bruta di Deep Blue, una mostruosa macchina da calcolo progettata dalla Ibm, capace di elaborare oltre 200 milioni di mosse al secondo (vedi “Man vs. Machine”). A nulla era valsa l’intelligenza dell’essere umano, poiché la sua capacità di elaborare variabili imprevedibili (3 mosse al secondo) era stata semplicemente schiacciata dalla potenza di calcolo di questo nuovo mostro cibernetico. Quello degli scacchi, si diceva però, era un gioco interamente prevedibile, in quanto tutte le variabili sono note ad ambedue i giocatori. In altre parole, i pezzi sulla scacchiera sono noti ad ambedue i giocatori, e per quanto alto sia il numero delle variabili in gioco, il loro esito finale può essere comunque computabile. Onore alla macchina, quindi, ma sempre forza bruta rimaneva. Ora invece è accaduto, per la prima volta nella storia, che un computer sia riuscito a battere ripetutamente quattro fra i più famosi giocatori di poker al mondo.
Qui si tratta di una vittoria molto diversa da quella degli scacchi, perché nel poker entra in gioco una variabile che negli scacchi non è presente, ovvero il bluff. Come abbiamo detto, negli scacchi la posizione dei pezzi è nota ad ambedue i giocatori, e si tratta solo di utilizzare la forza bruta del calcolatore per riuscire a battere l’avversario umano. Nel poker invece non tutte le carte sono note ad ambedue i giocatori, e quindi per ciascuno subentra la capacità di “interpretare” le mosse dell’avversario tenendo conto del fatto che possa bluffare. A quanto pare, i progettisti della macchina che ha battuto gli umani a poker, che si chiama Libratus, sono riusciti a creare un algoritmo che tiene presente anche un’eventuale bluff da parte dell’avversario. Per fare questo Libratus procede secondo un ragionamento molto simile al noto “dilemma del prigioniero”, un meccanismo che porta il soggetto a fare una scelta statisticamente meno pericolosa, anche se non necessariamente la migliore per lui. A quanto pare, questo equilibrio statistico (chiamato “equilibrio di Nash”) risulta comunque favorevole alla macchina, che è riuscita a vincere per la stragrande maggioranza delle 120.000 mani di poker giocate contro gli umani.
Il problema è appunto lì, nella parola “statistica”: sui grandi numeri, infatti, la macchina si può garantire di risultare vincitrice nella maggioranza dei casi, ma non potrà mai garantirti di poter vincere una determinata, singola partita. E purtroppo, come dice uno dei creatori del programma, Tuomas Sandholm, «il nostro vero scopo non è quello di battere gli umani a poker. Noi vogliamo sviluppare un tipo di intelligenza artificiale chi aiuti gli uomini a negoziare o a prendere decisioni nelle situazioni in cui non tutti i fatti siano noti». Che cosa succederà allora, nel giorno in cui gli uomini del Pentagono decideranno di affidare ad una macchina, ad esempio, la “partita di poker” contro un giocatore come Kim Jong-Un, il dittatore nordcoreano che minaccia quotidianamente di lanciare una testata nucleare contro la Corea del Sud o contro il Giappone? Perché è proprio questa la classica situazione in cui “non tutti gli elementi sono noti”, e la variabile del bluff rientra decisamente fra le regole del gioco. Ci “accontenteremo” di una probabilità statistica a lungo termine, o riusciremo comunque a rimettere in campo il famoso fattore umano, che almeno in un caso come questo dovrebbe ancora risultare determinante?
(Massimo Mazzucco, “Quando saranno i computer a dichiarare la guerra”, dal blog “Luogo Comune” del 7 febbraio 2017).
Ricordate lo storico sorpasso dell’intelligenza umana da parte di quella artificiale? Era il 1997, esattamente 20 anni fa. Fu allora che per la prima volta il campione del mondo di scacchi, Garry Kasparov, dovette arrendersi di fronte alla forza bruta di Deep Blue, una mostruosa macchina da calcolo progettata dalla Ibm, capace di elaborare oltre 200 milioni di mosse al secondo (vedi “Man vs. Machine”). A nulla era valsa l’intelligenza dell’essere umano, poiché la sua capacità di elaborare variabili imprevedibili (3 mosse al secondo) era stata semplicemente schiacciata dalla potenza di calcolo di questo nuovo mostro cibernetico. Quello degli scacchi, si diceva però, era un gioco interamente prevedibile, in quanto tutte le variabili sono note ad ambedue i giocatori. In altre parole, i pezzi sulla scacchiera sono noti ad ambedue i giocatori, e per quanto alto sia il numero delle variabili in gioco, il loro esito finale può essere comunque computabile. Onore alla macchina, quindi, ma sempre forza bruta rimaneva. Ora invece è accaduto, per la prima volta nella storia, che un computer sia riuscito a battere ripetutamente quattro fra i più famosi giocatori di poker al mondo.
Qui si tratta di una vittoria molto diversa da quella degli scacchi, perché nel poker entra in gioco una variabile che negli scacchi non è presente, ovvero il bluff. Come abbiamo detto, negli scacchi la posizione dei pezzi è nota ad ambedue i giocatori, e si Tuomas Sandholmtratta solo di utilizzare la forza bruta del calcolatore per riuscire a battere l’avversario umano. Nel poker invece non tutte le carte sono note ad ambedue i giocatori, e quindi per ciascuno subentra la capacità di “interpretare” le mosse dell’avversario tenendo conto del fatto che possa bluffare. A quanto pare, i progettisti della macchina che ha battuto gli umani a poker, che si chiama Libratus, sono riusciti a creare un algoritmo che tiene presente anche un’eventuale bluff da parte dell’avversario. Per fare questo Libratus procede secondo un ragionamento molto simile al noto “dilemma del prigioniero”, un meccanismo che porta il soggetto a fare una scelta statisticamente meno pericolosa, anche se non necessariamente la migliore per lui. A quanto pare, questo equilibrio statistico (chiamato “equilibrio di Nash”) risulta comunque favorevole alla macchina, che è riuscita a vincere per la stragrande maggioranza delle 120.000 mani di poker giocate contro gli umani.
Il problema è appunto lì, nella parola “statistica”: sui grandi numeri, infatti, la macchina si può garantire di risultare vincitrice nella maggioranza dei casi, ma non potrà mai garantirti di poter vincere una determinata, singola partita. E purtroppo, come dice uno dei creatori del programma, Tuomas Sandholm, «il nostro vero scopo non è quello di battere gli umani a poker. Noi vogliamo sviluppare un tipo di intelligenza artificiale chi aiuti gli uomini a negoziare o a prendere decisioni nelle situazioni in cui non tutti i fatti siano noti». Che cosa succederà allora, nel giorno in cui gli uomini del Pentagono decideranno di affidare ad una macchina, ad esempio, la “partita di poker” contro un giocatore come Kim Jong-Un, il dittatore nordcoreano che minaccia quotidianamente di lanciare una testata nucleare contro la Corea del Sud o contro il Giappone? Perché è proprio questa la classica situazione in cui “non tutti gli elementi sono noti”, e la variabile del bluff rientra decisamente fra le regole del gioco. Ci “accontenteremo” di una probabilità statistica a lungo termine, o riusciremo comunque a rimettere in campo il famoso fattore umano, che almeno in un caso come questo dovrebbe ancora risultare determinante?
(Massimo Mazzucco, “Quando saranno i computer a dichiarare la guerra”, dal blog “Luogo Comune” del 7 febbraio 2017).
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Re: La Terza Guerra Mondiale
I timori del Papa: «Il mondo va verso la terza guerra mondiale per l’acqua»
Corriere della Sera
Gian Guido Vecchi
4 ore fa
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© Fornito da Corriere della Sera
CITTÀ DEL VATICANO - «Mi chiedo se siamo in cammino verso una grande guerra mondiale per l’acqua». Francesco parla al seminario organizzato dalla pontificia Accademia delle Scienze nella Casina Pio IV, in Vaticano, 95 studiosi di tutto il mondo riuniti da giovedì per parlare del diritto umano all’acqua. Un tema così drammatico che il Papa, con un’aggiunta a braccio, lo associa alla denuncia, più volte ripetuta, di una «terza guerra mondiale combattuta a pezzi» nel nostro tempo. Pezzi che si potrebbero saldare intorno alla risorsa più preziosa del pianeta. «Le cifre che le Nazioni Unite rivelano sono sconvolgenti e non ci possono lasciare indifferenti: mille bambini muoiono ogni giorno a causa di malattie collegate all’acqua; milioni di persone consumano acqua inquinata», ricorda Francesco: «Si tratta di dati molto gravi; si deve frenare e invertire questa situazione. Non è tardi, ma è urgente prendere coscienza del bisogno di acqua e del suo valore essenziale per il bene dell’umanità».
L’origine
Il Papa richiama la Genesi, «l’acqua è al principio di tutte le cose». Il diritto all’acqua «è determinante per la sopravvivenza delle persone e decide il futuro dell’umanità». Perciò «la questione che trattate non è marginale, bensì fondamentale e molto urgente», spiega: «Fondamentale perché dove c’è acqua c’è vita, e allora la società può sorgere e progredire. E urgente perché la nostra casa comune ha bisogno di protezione». Francesco riprende le riflessioni dell’Enciclica Laudato si’: «Ogni persona ha diritto all’accesso all’acqua potabile e sicura; è un diritto umano essenziale e una delle questioni cruciali nel mondo attuale». Perciò «è necessario attribuire all’acqua la centralità che merita nell’ambito delle politiche pubbliche». Ogni Stato, ricorda, «è chiamato a rendere concreto, anche con strumenti giuridici, quanto indicato dalle risoluzioni approvate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2010 sul diritto umano all’acqua potabile e all’igiene».
Impegno comune
Il rispetto dell’acqua, insomma, «è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani», avverte Francesco: «Se rispetteremo questo diritto come fondamentale, staremo ponendo le basi per proteggere gli altri diritti. Ma se violeremo questo diritto essenziale, come potremo vegliare sugli altri e lottare per loro!». Bisogna quindi coltivare «una cultura della cura e dell’incontro, in cui si uniscano in una causa comune tutte le forze necessarie di scienziati e imprenditori, governanti e politici». Occorre «unire tutte le nostre voci in una stessa causa». Allora «non saranno più voci individuali o isolate, ma il grido del fratello che reclama per mezzo di noi, il grido della Terra che chiede il rispetto e la condivisione responsabile di un bene che è di tutti».
Corriere della Sera
Gian Guido Vecchi
4 ore fa
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CITTÀ DEL VATICANO - «Mi chiedo se siamo in cammino verso una grande guerra mondiale per l’acqua». Francesco parla al seminario organizzato dalla pontificia Accademia delle Scienze nella Casina Pio IV, in Vaticano, 95 studiosi di tutto il mondo riuniti da giovedì per parlare del diritto umano all’acqua. Un tema così drammatico che il Papa, con un’aggiunta a braccio, lo associa alla denuncia, più volte ripetuta, di una «terza guerra mondiale combattuta a pezzi» nel nostro tempo. Pezzi che si potrebbero saldare intorno alla risorsa più preziosa del pianeta. «Le cifre che le Nazioni Unite rivelano sono sconvolgenti e non ci possono lasciare indifferenti: mille bambini muoiono ogni giorno a causa di malattie collegate all’acqua; milioni di persone consumano acqua inquinata», ricorda Francesco: «Si tratta di dati molto gravi; si deve frenare e invertire questa situazione. Non è tardi, ma è urgente prendere coscienza del bisogno di acqua e del suo valore essenziale per il bene dell’umanità».
L’origine
Il Papa richiama la Genesi, «l’acqua è al principio di tutte le cose». Il diritto all’acqua «è determinante per la sopravvivenza delle persone e decide il futuro dell’umanità». Perciò «la questione che trattate non è marginale, bensì fondamentale e molto urgente», spiega: «Fondamentale perché dove c’è acqua c’è vita, e allora la società può sorgere e progredire. E urgente perché la nostra casa comune ha bisogno di protezione». Francesco riprende le riflessioni dell’Enciclica Laudato si’: «Ogni persona ha diritto all’accesso all’acqua potabile e sicura; è un diritto umano essenziale e una delle questioni cruciali nel mondo attuale». Perciò «è necessario attribuire all’acqua la centralità che merita nell’ambito delle politiche pubbliche». Ogni Stato, ricorda, «è chiamato a rendere concreto, anche con strumenti giuridici, quanto indicato dalle risoluzioni approvate dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 2010 sul diritto umano all’acqua potabile e all’igiene».
Impegno comune
Il rispetto dell’acqua, insomma, «è condizione per l’esercizio degli altri diritti umani», avverte Francesco: «Se rispetteremo questo diritto come fondamentale, staremo ponendo le basi per proteggere gli altri diritti. Ma se violeremo questo diritto essenziale, come potremo vegliare sugli altri e lottare per loro!». Bisogna quindi coltivare «una cultura della cura e dell’incontro, in cui si uniscano in una causa comune tutte le forze necessarie di scienziati e imprenditori, governanti e politici». Occorre «unire tutte le nostre voci in una stessa causa». Allora «non saranno più voci individuali o isolate, ma il grido del fratello che reclama per mezzo di noi, il grido della Terra che chiede il rispetto e la condivisione responsabile di un bene che è di tutti».
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Re: La Terza Guerra Mondiale
E MO' CHE SI FA???????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????
INDIFFERENTI COME SEMPRE?
• LIBRE news
• Recensioni
• segnalazioni
Craig Roberts: pazzi criminali, spingeranno Trump in guerra
Scritto il 05/3/17 • nella Categoria: idee Condividi
Non gliene importa nulla se il 10% dell’arsenale nucleare di Usa e Russa basta e avanza per cancellare la vita sul pianeta: al clan dell’intelligence Usa sono bastati 24 giorni – il tempo in cui è rimasto in carica il generale Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale – per archiviare le promesse di distensione, dopo le forti tensioni con Mosca create a freddo dal regime di Obama.
Lo afferma Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan: ai media “presstitute” (“New York Times”, “Washington Post”, “Cnn” e “Nbc”) sono bastate le “fake news” sul conto di Flynn costruite a tavolino da John Brennan, il direttore della Cia voluto da Obama, che «ha costruito dossier falsi» riguardo all’amicizia “pericolosa” tra Flynn e Putin, come documenta Gareth Porter su “Information Clearing House”.
«Rapporti falsi, nessuno dei quali conteneva alcuna prova».
Il movente? Semplice: la minaccia, da parte di Flynn, di ridimensionare il budget militare, 1.000 miliardi di dollari l’anno per gli armamenti e il business della sicurezza.
Risultato: «I media occidentali sono più impegnati a servire il padrone della Cia di quanto non siano a servire la pace tra potenze nucleari».
Sconsolato, un osservatore come Patrick Lawrence dichiara: «Le luci su di noi stanno oscurando.
Siamo stati abbandonati da una stampa che si dimostra incapace di informarci in modo disinteressato.
Sia i media “liberal”, clintoniani, che i giornali e le emittenti, sono servi del potere».
Restano i media “alternativi”, aggiunge Craig Roberts sul suo blog, ma sono tutti sotto attacco: Rt, Usa Watchdog, Alex Jones, Information Clearing House, Global Research, Unz Review.
«A quanto pare, Alex Jones sta già avendo problemi con Google», e centinaia di altri siti web sono in difficoltà: pagine rimosse, articoli non più indicizzati, perdita dei banner pubblicitari.
«Come dicevano i nazisti, tutto quello che serve è la paura: portare il popolo al collasso», scrive Craig Roberts, secondo cui «la presidenza di Trump è effettivamente finita: anche se gli sarà permesso di rimanere in carica, a comandare sarà lo Stato Profondo».
Trump si è già arresto alla linea del Pentagono: ha detto che la Russia deve restituire la Crimea all’Ucraina, mentre in realtà è la Crimea che è tornata, da sola, alla Russia.
In più ha respinto una nuova limitazione delle armi strategiche, il trattato Start con la Russia, affermando che vuole la supremazia Usa negli armamenti nucleari, non la parità.
Dopo appena un mese alla Casa Bianca, scrive Craig Roberts, l’obiettivo di Trump è già cambiato.
Nuove tensioni in vista con la Russia, e non solo: «Ci sono piani per occupare parte della Siria con truppe statunitensi, al fine di evitare che la Siria riesca a riunificarsi con l’aiuto della Russia, come segnala “Global Research”».
Il piano di smembramento che Trump approverebbe?
Parte della Siria andrebbe alla Turchia, un’altra parte ai curdi, mentre una porzione di territorio siriano finirebbe sotto in controllo militare Usa, in modo che Washington possa «mantenere le turbolenze in corso per sempre».
Una catastrofe, per Putin, che contava su Trump per eliminare l’Isis.
«E’ difficile capire se il nuovo regime Trump è più iranofobico o russofobico: l’inclinazione è quella di buttare a mare l’accordo con l’Iran, riaprendo il conflitto con Mosca, oltre che con la Cina».
Certo, osserva Craig Roberts, «è strano vedere i “liberal-progressisti” di sinistra alleati con i guerrafondai contro Trump.
E’ come tirare fuori l’Armageddon nucleare dalla tomba in cui l’avevano sepolto Regan e Gorbaciov».
Così, oggi, «la sinistra americana chiede l’impeachment del presidente il cui obiettivo era migliorare le relazioni con la Russia».
In politica interna, l’obiettivo di Trump erano i posti di lavoro per la classe operaia?
Il problema «lascia fredda la sinistra», che vuole solo «distruggere il “deplorevole” Trump», demonizzato come «razzista, misogino, omofobo».
Chi poi si oppone «all’ideologia neo-conservatrice che sta guidando la politica estera Usa verso l’egemonia mondiale», viene bollato come «agente di Putin».
Aggiunge Craig Roberts: «Il motivo per cui c’è ancora vita sulla Terra dopo più di mezzo secolo di armi nucleari è che i presidenti americani e leader sovietici hanno lavorato insieme per ridurre le tensioni.
Nel corso di questi decenni, ci sono stati numerosi falsi allarmi di missili Icbm in arrivo.
Tuttavia, perché le leadership di entrambi i paesi stavano lavorando insieme per evitare il conflitto nucleare, gli avvertimenti sono stati creduti sia dai sovietici che dagli americani».
Oggi invece la situazione è molto diversa.
Gli ultimi tre presidenti degli Stati Uniti, scrive Craig Roberts, «hanno fatto gli straordinari per aumentare le tensioni tra le due potenze nucleari».
Oggi, poi, «si è lavorato per convincere il governo russo che quello di Washington sia completamente inaffidabile».
Le storie sui collegamenti “russi” di Trump «sono così ovviamente false da essere ridicole, ma i russi stanno vedendo che, nonostante la falsità delle accuse, il consigliere per la sicurezza nazionale di Trump è caduto, e Trump stesso potrebbe essere il prossimo».
In altre parole, conclude Craig Roberts, i russi «stanno osservando che in America i fatti non sono rilevanti per i risultati».
L’avevano già capito dopo «le bugie su Putin, l’Ucraina, la Georgia, e le intenzioni russe verso l’Europa».
Putin è abitualmente chiamato “delinquente”, “assassino”, “il nuovo Hitler” dai politici americani, dalle “presstitutes” della stampa e da Hillary Clinton.
Generali del Pentagono descrivono la Russia come «la principale minaccia per gli Stati Uniti», mentre «comandanti della Nato affermano che l’esercito russo potrebbe occupare i Paesi Baltici e la Polonia in qualsiasi momento».
Sono accuse deliranti, «prive di senso», che però «suggeriscono ai russi l’idea che l’Occidente stia preparando le sue popolazioni per un attacco alla Russia».
In una situazione simile, come si farà a riconoscere eventuali falsi allarmi?
Come potranno mantenere i nervi saldi, gli americani «convinti che Putin e la Russia siano l’incarnazione del male»?
E i russi, a loro volta, come potranno pensare che gli americani non facciano sul serio?
«Questo è il rischio estremo», conclude Craig Roberts: l’Armageddon, pericolo al quale «hanno esposto la vita sulla Terra».
Loro, naturalmente: «I neoconservatori folli, gli idioti, l’avido complesso militare e di sicurezza, i liberal-progressisti di sinistra e generali aggressivi. E le poche voci di avvertimento vengono liquidate come “agenti russi”».
INDIFFERENTI COME SEMPRE?
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Craig Roberts: pazzi criminali, spingeranno Trump in guerra
Scritto il 05/3/17 • nella Categoria: idee Condividi
Non gliene importa nulla se il 10% dell’arsenale nucleare di Usa e Russa basta e avanza per cancellare la vita sul pianeta: al clan dell’intelligence Usa sono bastati 24 giorni – il tempo in cui è rimasto in carica il generale Flynn, consigliere per la sicurezza nazionale – per archiviare le promesse di distensione, dopo le forti tensioni con Mosca create a freddo dal regime di Obama.
Lo afferma Paul Craig Roberts, già viceministro di Reagan: ai media “presstitute” (“New York Times”, “Washington Post”, “Cnn” e “Nbc”) sono bastate le “fake news” sul conto di Flynn costruite a tavolino da John Brennan, il direttore della Cia voluto da Obama, che «ha costruito dossier falsi» riguardo all’amicizia “pericolosa” tra Flynn e Putin, come documenta Gareth Porter su “Information Clearing House”.
«Rapporti falsi, nessuno dei quali conteneva alcuna prova».
Il movente? Semplice: la minaccia, da parte di Flynn, di ridimensionare il budget militare, 1.000 miliardi di dollari l’anno per gli armamenti e il business della sicurezza.
Risultato: «I media occidentali sono più impegnati a servire il padrone della Cia di quanto non siano a servire la pace tra potenze nucleari».
Sconsolato, un osservatore come Patrick Lawrence dichiara: «Le luci su di noi stanno oscurando.
Siamo stati abbandonati da una stampa che si dimostra incapace di informarci in modo disinteressato.
Sia i media “liberal”, clintoniani, che i giornali e le emittenti, sono servi del potere».
Restano i media “alternativi”, aggiunge Craig Roberts sul suo blog, ma sono tutti sotto attacco: Rt, Usa Watchdog, Alex Jones, Information Clearing House, Global Research, Unz Review.
«A quanto pare, Alex Jones sta già avendo problemi con Google», e centinaia di altri siti web sono in difficoltà: pagine rimosse, articoli non più indicizzati, perdita dei banner pubblicitari.
«Come dicevano i nazisti, tutto quello che serve è la paura: portare il popolo al collasso», scrive Craig Roberts, secondo cui «la presidenza di Trump è effettivamente finita: anche se gli sarà permesso di rimanere in carica, a comandare sarà lo Stato Profondo».
Trump si è già arresto alla linea del Pentagono: ha detto che la Russia deve restituire la Crimea all’Ucraina, mentre in realtà è la Crimea che è tornata, da sola, alla Russia.
In più ha respinto una nuova limitazione delle armi strategiche, il trattato Start con la Russia, affermando che vuole la supremazia Usa negli armamenti nucleari, non la parità.
Dopo appena un mese alla Casa Bianca, scrive Craig Roberts, l’obiettivo di Trump è già cambiato.
Nuove tensioni in vista con la Russia, e non solo: «Ci sono piani per occupare parte della Siria con truppe statunitensi, al fine di evitare che la Siria riesca a riunificarsi con l’aiuto della Russia, come segnala “Global Research”».
Il piano di smembramento che Trump approverebbe?
Parte della Siria andrebbe alla Turchia, un’altra parte ai curdi, mentre una porzione di territorio siriano finirebbe sotto in controllo militare Usa, in modo che Washington possa «mantenere le turbolenze in corso per sempre».
Una catastrofe, per Putin, che contava su Trump per eliminare l’Isis.
«E’ difficile capire se il nuovo regime Trump è più iranofobico o russofobico: l’inclinazione è quella di buttare a mare l’accordo con l’Iran, riaprendo il conflitto con Mosca, oltre che con la Cina».
Certo, osserva Craig Roberts, «è strano vedere i “liberal-progressisti” di sinistra alleati con i guerrafondai contro Trump.
E’ come tirare fuori l’Armageddon nucleare dalla tomba in cui l’avevano sepolto Regan e Gorbaciov».
Così, oggi, «la sinistra americana chiede l’impeachment del presidente il cui obiettivo era migliorare le relazioni con la Russia».
In politica interna, l’obiettivo di Trump erano i posti di lavoro per la classe operaia?
Il problema «lascia fredda la sinistra», che vuole solo «distruggere il “deplorevole” Trump», demonizzato come «razzista, misogino, omofobo».
Chi poi si oppone «all’ideologia neo-conservatrice che sta guidando la politica estera Usa verso l’egemonia mondiale», viene bollato come «agente di Putin».
Aggiunge Craig Roberts: «Il motivo per cui c’è ancora vita sulla Terra dopo più di mezzo secolo di armi nucleari è che i presidenti americani e leader sovietici hanno lavorato insieme per ridurre le tensioni.
Nel corso di questi decenni, ci sono stati numerosi falsi allarmi di missili Icbm in arrivo.
Tuttavia, perché le leadership di entrambi i paesi stavano lavorando insieme per evitare il conflitto nucleare, gli avvertimenti sono stati creduti sia dai sovietici che dagli americani».
Oggi invece la situazione è molto diversa.
Gli ultimi tre presidenti degli Stati Uniti, scrive Craig Roberts, «hanno fatto gli straordinari per aumentare le tensioni tra le due potenze nucleari».
Oggi, poi, «si è lavorato per convincere il governo russo che quello di Washington sia completamente inaffidabile».
Le storie sui collegamenti “russi” di Trump «sono così ovviamente false da essere ridicole, ma i russi stanno vedendo che, nonostante la falsità delle accuse, il consigliere per la sicurezza nazionale di Trump è caduto, e Trump stesso potrebbe essere il prossimo».
In altre parole, conclude Craig Roberts, i russi «stanno osservando che in America i fatti non sono rilevanti per i risultati».
L’avevano già capito dopo «le bugie su Putin, l’Ucraina, la Georgia, e le intenzioni russe verso l’Europa».
Putin è abitualmente chiamato “delinquente”, “assassino”, “il nuovo Hitler” dai politici americani, dalle “presstitutes” della stampa e da Hillary Clinton.
Generali del Pentagono descrivono la Russia come «la principale minaccia per gli Stati Uniti», mentre «comandanti della Nato affermano che l’esercito russo potrebbe occupare i Paesi Baltici e la Polonia in qualsiasi momento».
Sono accuse deliranti, «prive di senso», che però «suggeriscono ai russi l’idea che l’Occidente stia preparando le sue popolazioni per un attacco alla Russia».
In una situazione simile, come si farà a riconoscere eventuali falsi allarmi?
Come potranno mantenere i nervi saldi, gli americani «convinti che Putin e la Russia siano l’incarnazione del male»?
E i russi, a loro volta, come potranno pensare che gli americani non facciano sul serio?
«Questo è il rischio estremo», conclude Craig Roberts: l’Armageddon, pericolo al quale «hanno esposto la vita sulla Terra».
Loro, naturalmente: «I neoconservatori folli, gli idioti, l’avido complesso militare e di sicurezza, i liberal-progressisti di sinistra e generali aggressivi. E le poche voci di avvertimento vengono liquidate come “agenti russi”».
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Re: La Terza Guerra Mondiale
STIAMO VIVENDO TEMPI STRAORDINARI. TEMPI RIVOLUZIONARI. TEMPI ESTREMAMENTE DIFFICILI. DOVE I MATTI, COME SEMPRE NON MANCANO MAI.
Corea del Nord lancia quattro missili: tre cadono nel Mar del Giappone. Tokyo, Washington e Seul verso risposta comune
Mondo
Si ritiene si tratti della risposta del regime di Kim Jong-un alle manovre congiunte di Corea del Sud e Stati Uniti, che la scorsa settimana hanno cominciato le annuali esercitazioni militari. Shinzo Abe: "La minaccia ha raggiunto una nuova dimensione". Il portavoce del dipartimento di Stato Usa: "Preparati all’uso di tutte le nostre capacità per rispondere"
di F. Q. | 6 marzo 2017
commenti (25)
242
Più informazioni su: Corea del Nord, Giappone, Kim Jong-un, Missili
Nella tarda serata di domenica in Italia, la Corea del Nord di Kim Jong-un ha lanciato quattro missili balistici verso il mare del Giappone, violando di nuovo le risoluzioni dell’Onu. Tre dei missili, dopo aver volato per circa mille chilometri, sono atterrati nella zona economica esclusiva giapponese, circa 250 chilometri a ovest della prefettura di Akita. Il lancio è ritenuto da Tokyo, Seul e Washington una grave provocazione e gli Usa hanno annunciato di essere pronti “ad usare la piena gamma di capacità a disposizione contro questa crescente minaccia“.
Il lancio è avvenuto alle 7,06 (ore 23,36 di domenica in Italia) da Dongchang-ri, nella costa nord-ovest del Paese. Si ritiene che sia una risposta di Pyongyang alle recenti manovre congiunte di Seul e Washington, che la scorsa settimana hanno cominciato le annuali esercitazioni militari. Venerdì scorso la Corea del Nord aveva minacciato, attraverso il quotidiano statale Rodong Sinmun, di realizzare nuovi test di missili in risposta a quelle esercitazioni, che continueranno fino alla fine di aprile, ritenute le prove generali di un attacco e di “un’invasione” ai suoi danni.
“La minaccia della Corea del Nord ha raggiunto una nuova dimensione”, ha commentato il primo ministro giapponese Shinzo Abe, che ha definito l’iniziativa intollerabile nonché “una grave provocazione” per la sicurezza nazionale. Anche il premier sudcoreano Hwang Kyo-Ahn (che è anche presidente facente funzioni) considera il lancio “una sfida e una grave provocazione alla comunità internazionale” e ha sollecitato, nel corso di una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale, il completamento dell’impianto di difesa antimissile Thaad.
Il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Mark Toner, ha invitato tutti i Paesi a usare ogni canale possibile e mezzo di persuasione per rendere chiaro alla Corea del Nord che ulteriori provocazioni sono da ritenersi inaccettabili e provocheranno conseguenze. Il portavoce, nel resoconto della Yonhap, ha poi invitato Pyongyang ad adempiere agli obblighi internazionali – le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu proibiscono esplicitamente alla Corea del Nord l’uso di tecnologia missilistica balistica – e a mostrare impegno per il ritorno al dialogo sulla denuclearizzazione. “La nostra determinazione a difendere gli alleati, inclusi Corea del Sud e Giappone, di fronte alle minacce resta inattaccabile. Siamo pronti e continueremo a prendere tutte le misure necessarie – ha concluso Toner – per aumentare la nostra prontezza a difesa dei nostri alleati dagli attacchi e siamo preparati all’uso di tutte le nostre capacità per rispondere alle minacce crescenti”.
La Corea del Sud ha dato il via al pronto coordinamento con Usa e Giappone. Kim Kwan-jin, capo dell’Ufficio sulla sicurezza nazionale, ha avuto una conversazione telefonica con l’omologo americano H.R. McMaster, al fine di valutare una risposta comune verso l’ultima provocazione del Nord. L’obiettivo, riferisce l’agenzia Yonhap, è rafforzare la cooperazione con gli alleati per un’ulteriore stretta alle sanzioni e per esercitare maggiori pressioni sulla Corea del Nord. Il ministro degli Esteri sudcoreano Yun Byung-se e il suo omologo nipponico Fumio Kishida hanno confermato in un colloquio telefonico “il lavoro congiunto” per contenere le provocazioni nordcoreane. Kim Hong-kyun, inviato speciale sul nucleare di Pyongyang, ha a sua volta avuto telefonate sull’argomento con le controparti americane e giapponesi. “Stiamo facendo le verifiche per determinare il tipo di missile e la traiettoria seguita: ci vorrà un po’ di tempo per un’analisi finale”, hanno fatto sapere i militari di Seul.
Federica Mogherini, l’alta rappresentante per la politica estera europea, ha espresso la “solidarietà” della Ue a Giappone e Corea del Sud per l’iniziativa nordcoreana, un fatto che dimostra quanto “le sfide alla sicurezza nel mondo sono serie, ed è richiesto che l’Unione europea sia un serio ed affidabile fornitore di sicurezza sia nella nostra regione sia nei luoghi più lontani”.
Anche Pechino critica il regime nordcoreano per quanto successo. “La Cina si oppone alle violazioni delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu da parte della Corea del Nord”, ha detto un portavoce del ministero degli Esteri cinese, che ha invitato alla calma non solo Pyongyang, ma anche Corea del Sud e Stati Uniti.
Pyongyang ha messo a punto test di missili con crescente gittata, incluso uno capace di raggiungere, con tanto di testata nucleare, le coste continentali degli Stati Uniti.
Il 12 febbraio ha provato un nuovo vettore a medio raggio, in quella che è stata la prima provocazione del 2017 e il test per verificare la risposta dell’amministrazione del presidente Donald Trump.
Corea del Nord lancia quattro missili: tre cadono nel Mar del Giappone. Tokyo, Washington e Seul verso risposta comune
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Si ritiene si tratti della risposta del regime di Kim Jong-un alle manovre congiunte di Corea del Sud e Stati Uniti, che la scorsa settimana hanno cominciato le annuali esercitazioni militari. Shinzo Abe: "La minaccia ha raggiunto una nuova dimensione". Il portavoce del dipartimento di Stato Usa: "Preparati all’uso di tutte le nostre capacità per rispondere"
di F. Q. | 6 marzo 2017
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Più informazioni su: Corea del Nord, Giappone, Kim Jong-un, Missili
Nella tarda serata di domenica in Italia, la Corea del Nord di Kim Jong-un ha lanciato quattro missili balistici verso il mare del Giappone, violando di nuovo le risoluzioni dell’Onu. Tre dei missili, dopo aver volato per circa mille chilometri, sono atterrati nella zona economica esclusiva giapponese, circa 250 chilometri a ovest della prefettura di Akita. Il lancio è ritenuto da Tokyo, Seul e Washington una grave provocazione e gli Usa hanno annunciato di essere pronti “ad usare la piena gamma di capacità a disposizione contro questa crescente minaccia“.
Il lancio è avvenuto alle 7,06 (ore 23,36 di domenica in Italia) da Dongchang-ri, nella costa nord-ovest del Paese. Si ritiene che sia una risposta di Pyongyang alle recenti manovre congiunte di Seul e Washington, che la scorsa settimana hanno cominciato le annuali esercitazioni militari. Venerdì scorso la Corea del Nord aveva minacciato, attraverso il quotidiano statale Rodong Sinmun, di realizzare nuovi test di missili in risposta a quelle esercitazioni, che continueranno fino alla fine di aprile, ritenute le prove generali di un attacco e di “un’invasione” ai suoi danni.
“La minaccia della Corea del Nord ha raggiunto una nuova dimensione”, ha commentato il primo ministro giapponese Shinzo Abe, che ha definito l’iniziativa intollerabile nonché “una grave provocazione” per la sicurezza nazionale. Anche il premier sudcoreano Hwang Kyo-Ahn (che è anche presidente facente funzioni) considera il lancio “una sfida e una grave provocazione alla comunità internazionale” e ha sollecitato, nel corso di una riunione del Consiglio di sicurezza nazionale, il completamento dell’impianto di difesa antimissile Thaad.
Il portavoce del Dipartimento di Stato americano, Mark Toner, ha invitato tutti i Paesi a usare ogni canale possibile e mezzo di persuasione per rendere chiaro alla Corea del Nord che ulteriori provocazioni sono da ritenersi inaccettabili e provocheranno conseguenze. Il portavoce, nel resoconto della Yonhap, ha poi invitato Pyongyang ad adempiere agli obblighi internazionali – le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu proibiscono esplicitamente alla Corea del Nord l’uso di tecnologia missilistica balistica – e a mostrare impegno per il ritorno al dialogo sulla denuclearizzazione. “La nostra determinazione a difendere gli alleati, inclusi Corea del Sud e Giappone, di fronte alle minacce resta inattaccabile. Siamo pronti e continueremo a prendere tutte le misure necessarie – ha concluso Toner – per aumentare la nostra prontezza a difesa dei nostri alleati dagli attacchi e siamo preparati all’uso di tutte le nostre capacità per rispondere alle minacce crescenti”.
La Corea del Sud ha dato il via al pronto coordinamento con Usa e Giappone. Kim Kwan-jin, capo dell’Ufficio sulla sicurezza nazionale, ha avuto una conversazione telefonica con l’omologo americano H.R. McMaster, al fine di valutare una risposta comune verso l’ultima provocazione del Nord. L’obiettivo, riferisce l’agenzia Yonhap, è rafforzare la cooperazione con gli alleati per un’ulteriore stretta alle sanzioni e per esercitare maggiori pressioni sulla Corea del Nord. Il ministro degli Esteri sudcoreano Yun Byung-se e il suo omologo nipponico Fumio Kishida hanno confermato in un colloquio telefonico “il lavoro congiunto” per contenere le provocazioni nordcoreane. Kim Hong-kyun, inviato speciale sul nucleare di Pyongyang, ha a sua volta avuto telefonate sull’argomento con le controparti americane e giapponesi. “Stiamo facendo le verifiche per determinare il tipo di missile e la traiettoria seguita: ci vorrà un po’ di tempo per un’analisi finale”, hanno fatto sapere i militari di Seul.
Federica Mogherini, l’alta rappresentante per la politica estera europea, ha espresso la “solidarietà” della Ue a Giappone e Corea del Sud per l’iniziativa nordcoreana, un fatto che dimostra quanto “le sfide alla sicurezza nel mondo sono serie, ed è richiesto che l’Unione europea sia un serio ed affidabile fornitore di sicurezza sia nella nostra regione sia nei luoghi più lontani”.
Anche Pechino critica il regime nordcoreano per quanto successo. “La Cina si oppone alle violazioni delle risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu da parte della Corea del Nord”, ha detto un portavoce del ministero degli Esteri cinese, che ha invitato alla calma non solo Pyongyang, ma anche Corea del Sud e Stati Uniti.
Pyongyang ha messo a punto test di missili con crescente gittata, incluso uno capace di raggiungere, con tanto di testata nucleare, le coste continentali degli Stati Uniti.
Il 12 febbraio ha provato un nuovo vettore a medio raggio, in quella che è stata la prima provocazione del 2017 e il test per verificare la risposta dell’amministrazione del presidente Donald Trump.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
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L’Ucraina in guerra. E’ ufficiale anche per il ministero dell’Interno italiano
di Giulietto Chiesa | 6 marzo 2017
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L’Ucraina è in guerra: è ufficiale perfino per il ministero dell’Interno italiano. Ma non per il ministero degli Esteri che sostiene l’integrità territoriale dell’Ucraina mentre dovrebbe essere evidente (anche leggendo gli accordi di Minsk 1 e 2), che essa è irrimediabilmente compromessa. Nel Donbass e in Crimea. Lo si deduce da una importante decisione della Commissione Territoriale presso la prefettura di Torino per il riconoscimento della protezione internazionale (leggi asilo politico) a una cittadina ucraina residente nella Repubblica Popolare di Donetsk.
Per me è una – duplicemente bella —notizia, che voglio condividere con i miei lettori. La notizia mi è giunta, via Facebook, da Maurizio Marrone, presidente della Rappresentanza italiana della Rpd. Il nome della donna non viene rivelato per evidenti ragioni di sicurezza. Si sa che essa è, appunto, cittadina ucraina, di padre russo e madre azerbajgiana. La signora in questione ha già fatto richiesta del passaporto della Repubblica popolare di Donetsk e si è rivolta direttamente alle autorità italiane senza nemmeno consultare l’Ambasciata ucraina in Italia.
Interessante la motivazione della Commissione. Essa ha ritenuto che “il timore espresso (dalla donna, ndr) in caso di rientro risulta fondato, permanendo per la richiedente un rischio effettivo di essere coinvolta in un conflitto non ancora risolto”. In quanto “la situazione a Donetsk è lungi dall’essersi stabilizzata” e vi “si continua a sparare”. Inoltre ogni tentativo di “raggiungere Donetsk da Kiev è risultato impossibile”.
risoluzione ucraina
Per visione del documento del Ministero dell'Interno, vedi:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03 ... o/3432678/
Questo è il quadro, che è molto diverso dalle veline atlantiste che circolano (quando circolano, perché di regola non si parla della guerra ucraina) sui media italiani. Ovviamente la Commissione non si schiera per nessuna delle parti in conflitto (non era e non è suo compito farlo), ma ritiene implicitamente che lo Stato ucraino non è in condizione di garantire la sicurezza di coloro che afferma essere suoi cittadini, sui quali continua a sparare dal 2014. Infatti l’Ucraina è in guerra con i suoi ex territori, contro i quali afferma di avere ingaggiato una “operazione anti-terroristica”. Questa è la favola cui il governo italiano finge di credere. A nostro rischio e pericolo, poiché l’Ucraina chiede a gran voce di entrare nella Nato e l’Italia non ha ancora detto se intende appoggiare una tale richiesta. A nessuno dovrebbe sfuggire che un tale sviluppo ci coinvolgerebbe in una guerra altrui, suscettibile di allargamenti drammatici.
Brutta storia, che la Commissione torinese, con la sua decisione, squaderna oggettivamente di fronte all’opinione pubblica italiana. Ma c’è anche una bella notizia per me e per gli spettatori di pandoratv.it che io dirigo. La Commissione ha incluso nell’indagine “numerose fonti giornalistiche (tra cui diversi reportage del giornalista italiano Giulietto Chiesa nell’ottobre 2016)”. Il nostro lavoro è dunque servito come fonte per giungere a una decisione saggia e giusta. Della qual cosa siamo felici.
L’Ucraina in guerra. E’ ufficiale anche per il ministero dell’Interno italiano
di Giulietto Chiesa | 6 marzo 2017
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L’Ucraina è in guerra: è ufficiale perfino per il ministero dell’Interno italiano. Ma non per il ministero degli Esteri che sostiene l’integrità territoriale dell’Ucraina mentre dovrebbe essere evidente (anche leggendo gli accordi di Minsk 1 e 2), che essa è irrimediabilmente compromessa. Nel Donbass e in Crimea. Lo si deduce da una importante decisione della Commissione Territoriale presso la prefettura di Torino per il riconoscimento della protezione internazionale (leggi asilo politico) a una cittadina ucraina residente nella Repubblica Popolare di Donetsk.
Per me è una – duplicemente bella —notizia, che voglio condividere con i miei lettori. La notizia mi è giunta, via Facebook, da Maurizio Marrone, presidente della Rappresentanza italiana della Rpd. Il nome della donna non viene rivelato per evidenti ragioni di sicurezza. Si sa che essa è, appunto, cittadina ucraina, di padre russo e madre azerbajgiana. La signora in questione ha già fatto richiesta del passaporto della Repubblica popolare di Donetsk e si è rivolta direttamente alle autorità italiane senza nemmeno consultare l’Ambasciata ucraina in Italia.
Interessante la motivazione della Commissione. Essa ha ritenuto che “il timore espresso (dalla donna, ndr) in caso di rientro risulta fondato, permanendo per la richiedente un rischio effettivo di essere coinvolta in un conflitto non ancora risolto”. In quanto “la situazione a Donetsk è lungi dall’essersi stabilizzata” e vi “si continua a sparare”. Inoltre ogni tentativo di “raggiungere Donetsk da Kiev è risultato impossibile”.
risoluzione ucraina
Per visione del documento del Ministero dell'Interno, vedi:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/03 ... o/3432678/
Questo è il quadro, che è molto diverso dalle veline atlantiste che circolano (quando circolano, perché di regola non si parla della guerra ucraina) sui media italiani. Ovviamente la Commissione non si schiera per nessuna delle parti in conflitto (non era e non è suo compito farlo), ma ritiene implicitamente che lo Stato ucraino non è in condizione di garantire la sicurezza di coloro che afferma essere suoi cittadini, sui quali continua a sparare dal 2014. Infatti l’Ucraina è in guerra con i suoi ex territori, contro i quali afferma di avere ingaggiato una “operazione anti-terroristica”. Questa è la favola cui il governo italiano finge di credere. A nostro rischio e pericolo, poiché l’Ucraina chiede a gran voce di entrare nella Nato e l’Italia non ha ancora detto se intende appoggiare una tale richiesta. A nessuno dovrebbe sfuggire che un tale sviluppo ci coinvolgerebbe in una guerra altrui, suscettibile di allargamenti drammatici.
Brutta storia, che la Commissione torinese, con la sua decisione, squaderna oggettivamente di fronte all’opinione pubblica italiana. Ma c’è anche una bella notizia per me e per gli spettatori di pandoratv.it che io dirigo. La Commissione ha incluso nell’indagine “numerose fonti giornalistiche (tra cui diversi reportage del giornalista italiano Giulietto Chiesa nell’ottobre 2016)”. Il nostro lavoro è dunque servito come fonte per giungere a una decisione saggia e giusta. Della qual cosa siamo felici.
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