Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Alla fine della tre giorni della " Costituente delle idee" Civati conclude dicendo "Noi proponiamo che si faccia un'unica lista di sinistra alle elezioni politiche, ma che non sia composta solo di ceto politico o abbia strani acronimi.
Basterebbe chiamarla SINISTRA, INCLUDE GIà TUTTO
Basterebbe chiamarla SINISTRA, INCLUDE GIà TUTTO
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Lunedì 27 Febbraio 2017 | IL FATTO QUOTIDIANO |- POLITICA » 5
L’INTERVISTA
Antonio Pizzinato
Lo storico segretario
della Cgil e il bilancio
(in rosso) della sinistra
di governo: “Si è scordata
i diritti e la Costituzione
“Miei cari Max e Bersani, è tardi per uscire dal Pd”
» ANTONELLO CAPORALE
Era il primo della fila ora – d isciplinato – accetta di stare in coda. È stato segretario generale della Cgil, ora è membro del direttivo del suo circolo. Ha avuto potere, oggi è un felice nullatenente. Chi è abituato a immaginare la politica solo come comando vada a lezione da Antonio Pizzinato. Ottantacinque anni tra qualche mese. È stato garzone, poi operaio, quindi sindacalista. È stato segretario generale della Cgil, poi deputato e senatore. Oggi militante semplice.
Pizzinato, vogliamo ricordare quando la indicarono come successore di Luciano Lama?
Era il 1986. Ringraziai i compagni ma chiesi comprensione. Non ero preparato a quell’incarico e lo dissi: mi serve un po’ di tempo per formarmi meglio. Sa, un salto di quel genere. I compagni rifiutarono. Mi dissero che avrei dovuto accettare senza se e senza ma. E così feci.
A rileggere ora le sue preoccupazioni viene da sorridere.
E perché mai? Quel che manca alla sinistra è l’umiltà e la concretezza. Il potere per il comando è una traiettoria di vita che non ci appartiene. Anche per questo ho rifiutato di iscrivermi nel Pd. Non mi convinceva. Ho preso la tessera della Sinistra italiana.
Ma umiltà può anche significare modestia, assenza di talento.
Per fare politica ci vuole passione e poi talento. Se il talento manca nelle dosi giuste bisogna ricorrere a un impegno meticoloso. Bisogna prepararsi, leggere e studiare. Quando era operaio della Borletti condusse una battaglia, che vinse, per la scuola s e ra l e . Così si cambia la società. Noi volevamo imparare, eravamo a corto di studi e volevamo sopperire. Perciò facemmo una battaglia perché le aziende agevolassero il nostro compito e ottenemmo una piccola ma decisiva riduzione dell’orario di lavoro e il finanziamento dei corsi.
Oggi sarebbe incredibile, forse impossibile.
Partiamo dalla realtà, vediamo cosa dice alla sinistra questo dato. Solo nella mia Lombardia ci sono 343 sezioni aperte e attive dell’Anpi. E il 40 per cento degli iscritti ha un’età inferiore ai cinquant’anni. Non essendo un’associazione di reduci in procinto di essere tumulati, chiedo: esiste un altro partito o movimento che possa eguagliare queste cifre? E qual è il motivo di questo e n tu s i as m o verso i partigiani? Rispondo: è la Costituzione. Hanno combattuto per dare a ll ’Italia una carta di diritti che sollevasse l’ultimo dalla sua condizione. La stella polare è l’articolo 3: “. ..è compito della Repubblica rimuovere gli osta coli di ordine economico e sociale e via dicendo...”.
Bastava che la sinistra la tenesse a mente.
Esatto. Prendere alla lettera il dettato costituzionale significa fare una rivoluzione nel costume, nei rapporti di forza sociali. Rimuovere gli ostacoli è un obiettivo tecnicamente rivoluzionario. Invece questi pensano solo a raggiungere il comando nel più breve tempo possibile.
Non apprezza la scelta di Bersani e D’Alema di lasciare il Pd?
Troppo tardi. E sono stati inerti troppo a lungo. In questi tre anni di governo Renzi cosa hanno fatto?
Ha ricevuto quindici giorni fa dalla Camusso la tessera numero 1 della Cgil.
A quindici anni presi la prima, a 85 ho in tasca l’ultima. Vede quanto tempo è passato? Altro che velocità, la politica ha bisogno di assecondare la vita, darle qualità e sviluppo.
Come quando il Pci la mandò in Unione sovietica a studiare .
Quattro anni, tra il ‘58 e il ‘61. Era una scuola superiore di politica. Trovavi cinesi e americani, africani e scandinavi. Mi mandarono in Cecenia e in Siberia a vedere cosa fosse il mondo. Lasciamo stare per un momento il contesto, parliamo del merito: c’è una scuola di politica in Italia? Una scuola seria dove devi studiare e pure a lungo? Se la sinistra perde il pensiero, cioè la traiettoria della sua azione, non è per caso che nessuno studia più? Tutti comandano, ma nessuno sa. Sono stato sottosegretario al Lavoro. Il primo giorno che presi possesso dell’ufficio trovai in agenda due telefonate: una del presidente della Repubblica, allora era Cossiga, l’altra del presidente del Consiglio. Volevano parlarmi e desideravano che io illustrassi le mie idee. Secondo lei Renzi a chi ha telefonato? Pa r l a rs i . No: la parola magica della sinistra è partecipazione. Se tu escludi, chiudi la tua porta, corri al riparo dei vetri oscurati della tua auto di Stato chi mai conoscerai,
cosa saprai della vita?
Abbiamo detto che la sua dote principale è l’umiltà.
Conoscere i propri limiti è una grande virtù. Non fui riconfermato sottosegretario e mi mandarono al Senato in commissione Bilancio. Lì trovai un capogruppo preparato, Enrico Morando, che mi insegnò un sacco di cose. Per me è stata una ricchezza apprendere e trovare un compagno disponibile a rendermi agevole quel nuovo compito.
Oggi chi insegna?
Tutti autodidatti. È un armata Brancaleone. Se il Parlamento scade a livello di bar sport, quale sarà la qualità delle sue leggi, dove troverà le competenze per scorgere nelle pieghe di un codicillo una ingiustizia o un favore?
Non tutti sono Pizzinato, da Sesto San Giovanni.
Ho vissuto sempre qui, nel cuore di quella che era la fabbrica, il motore umano del Novecento.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
L’INTERVISTA
Antonio Pizzinato
Lo storico segretario
della Cgil e il bilancio
(in rosso) della sinistra
di governo: “Si è scordata
i diritti e la Costituzione
“Miei cari Max e Bersani, è tardi per uscire dal Pd”
» ANTONELLO CAPORALE
Era il primo della fila ora – d isciplinato – accetta di stare in coda. È stato segretario generale della Cgil, ora è membro del direttivo del suo circolo. Ha avuto potere, oggi è un felice nullatenente. Chi è abituato a immaginare la politica solo come comando vada a lezione da Antonio Pizzinato. Ottantacinque anni tra qualche mese. È stato garzone, poi operaio, quindi sindacalista. È stato segretario generale della Cgil, poi deputato e senatore. Oggi militante semplice.
Pizzinato, vogliamo ricordare quando la indicarono come successore di Luciano Lama?
Era il 1986. Ringraziai i compagni ma chiesi comprensione. Non ero preparato a quell’incarico e lo dissi: mi serve un po’ di tempo per formarmi meglio. Sa, un salto di quel genere. I compagni rifiutarono. Mi dissero che avrei dovuto accettare senza se e senza ma. E così feci.
A rileggere ora le sue preoccupazioni viene da sorridere.
E perché mai? Quel che manca alla sinistra è l’umiltà e la concretezza. Il potere per il comando è una traiettoria di vita che non ci appartiene. Anche per questo ho rifiutato di iscrivermi nel Pd. Non mi convinceva. Ho preso la tessera della Sinistra italiana.
Ma umiltà può anche significare modestia, assenza di talento.
Per fare politica ci vuole passione e poi talento. Se il talento manca nelle dosi giuste bisogna ricorrere a un impegno meticoloso. Bisogna prepararsi, leggere e studiare. Quando era operaio della Borletti condusse una battaglia, che vinse, per la scuola s e ra l e . Così si cambia la società. Noi volevamo imparare, eravamo a corto di studi e volevamo sopperire. Perciò facemmo una battaglia perché le aziende agevolassero il nostro compito e ottenemmo una piccola ma decisiva riduzione dell’orario di lavoro e il finanziamento dei corsi.
Oggi sarebbe incredibile, forse impossibile.
Partiamo dalla realtà, vediamo cosa dice alla sinistra questo dato. Solo nella mia Lombardia ci sono 343 sezioni aperte e attive dell’Anpi. E il 40 per cento degli iscritti ha un’età inferiore ai cinquant’anni. Non essendo un’associazione di reduci in procinto di essere tumulati, chiedo: esiste un altro partito o movimento che possa eguagliare queste cifre? E qual è il motivo di questo e n tu s i as m o verso i partigiani? Rispondo: è la Costituzione. Hanno combattuto per dare a ll ’Italia una carta di diritti che sollevasse l’ultimo dalla sua condizione. La stella polare è l’articolo 3: “. ..è compito della Repubblica rimuovere gli osta coli di ordine economico e sociale e via dicendo...”.
Bastava che la sinistra la tenesse a mente.
Esatto. Prendere alla lettera il dettato costituzionale significa fare una rivoluzione nel costume, nei rapporti di forza sociali. Rimuovere gli ostacoli è un obiettivo tecnicamente rivoluzionario. Invece questi pensano solo a raggiungere il comando nel più breve tempo possibile.
Non apprezza la scelta di Bersani e D’Alema di lasciare il Pd?
Troppo tardi. E sono stati inerti troppo a lungo. In questi tre anni di governo Renzi cosa hanno fatto?
Ha ricevuto quindici giorni fa dalla Camusso la tessera numero 1 della Cgil.
A quindici anni presi la prima, a 85 ho in tasca l’ultima. Vede quanto tempo è passato? Altro che velocità, la politica ha bisogno di assecondare la vita, darle qualità e sviluppo.
Come quando il Pci la mandò in Unione sovietica a studiare .
Quattro anni, tra il ‘58 e il ‘61. Era una scuola superiore di politica. Trovavi cinesi e americani, africani e scandinavi. Mi mandarono in Cecenia e in Siberia a vedere cosa fosse il mondo. Lasciamo stare per un momento il contesto, parliamo del merito: c’è una scuola di politica in Italia? Una scuola seria dove devi studiare e pure a lungo? Se la sinistra perde il pensiero, cioè la traiettoria della sua azione, non è per caso che nessuno studia più? Tutti comandano, ma nessuno sa. Sono stato sottosegretario al Lavoro. Il primo giorno che presi possesso dell’ufficio trovai in agenda due telefonate: una del presidente della Repubblica, allora era Cossiga, l’altra del presidente del Consiglio. Volevano parlarmi e desideravano che io illustrassi le mie idee. Secondo lei Renzi a chi ha telefonato? Pa r l a rs i . No: la parola magica della sinistra è partecipazione. Se tu escludi, chiudi la tua porta, corri al riparo dei vetri oscurati della tua auto di Stato chi mai conoscerai,
cosa saprai della vita?
Abbiamo detto che la sua dote principale è l’umiltà.
Conoscere i propri limiti è una grande virtù. Non fui riconfermato sottosegretario e mi mandarono al Senato in commissione Bilancio. Lì trovai un capogruppo preparato, Enrico Morando, che mi insegnò un sacco di cose. Per me è stata una ricchezza apprendere e trovare un compagno disponibile a rendermi agevole quel nuovo compito.
Oggi chi insegna?
Tutti autodidatti. È un armata Brancaleone. Se il Parlamento scade a livello di bar sport, quale sarà la qualità delle sue leggi, dove troverà le competenze per scorgere nelle pieghe di un codicillo una ingiustizia o un favore?
Non tutti sono Pizzinato, da Sesto San Giovanni.
Ho vissuto sempre qui, nel cuore di quella che era la fabbrica, il motore umano del Novecento.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Può essere che prima fosse troppo presto. Poi oggi i nuovi partiti se non sono aiutati dall'informazione non vanno da nessuna parte. E' sempre un rischio e quindi ci hanno provato in tutti i modi a vedere se potevano riprendersi il partito.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Ingrandimento
Rai, regioni, sindacati, giunte e intellettuali: così la scissione Pd riguarda tutti
L’onda d’urto della rottura dei dem stravolge l’intera galassia della sinistra con conseguenze in molti campi. E rischia di trascinare con sé il governo Gentiloni
di Marco Damilano
01 marzo 2017
Rai, regioni, sindacati, giunte e intellettuali: così la scissione Pd riguarda tutti
Un disastro di proporzioni enormi. O, addirittura, la catastrofe cosmica. «Non è una scissione, è una conflagrazione», garantisce in questi giorni di tormento uno che di rotture a sinistra se ne intende, per averle subite fuori e dentro il suo partito, l’ultimo segretario del Pci Achille Occhetto. «Non è soltanto la fine del Pd, termina un intero campo magnetico. L’effetto sarà disastroso». E non riguarda il ceto politico, i deputati e i senatori chiamati ad aderire al nuovo soggetto politico. Con l’addio al Partito democratico di Massimo D’Alema e di Pier Luigi Bersani, e di Roberto Speranza e del presidente toscano Enrico Rossi, è l’intera galassia di sinistra che si mette in movimento. Il più grande sindacato, la Cgil.
Le giunte regionali e comunali rette dal Pd e dal centrosinistra. Il cortile degli intellettuali. Viale Mazzini, Saxa Rubra, la Rai: la potente gauche televisiva. Tutti pronti a schierarsi e soprattutto a dividersi, c’è l’imbarazzo della scelta. Per chi resta dentro il Pd, ci sono i candidati alla segreteria: Matteo Renzi, Michele Emiliano, Andrea Orlando. Per chi esce, nell’area di governo almeno due opzioni: il movimento di D’Alema e Bersani o quello che sta costruendo l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Per chi vuole spingersi oltre, la Sinistra italiana di Nichi Vendola e del neo-segretario Nicola Fratoianni, Possibile di Pippo Civati (candidato alla segreteria del Pd contro Renzi nel precedente congresso), Rifondazione comunista, sopravvissuta alla scissione di un quarto di secolo fa.
Nel 1990-91 il passaggio dal Pci al Pds e l’addio di chi non ci stava si consumò tra lacrime, divorzi, film d’autore (il documentario di Nanni Moretti “La cosa”, “Mario Maria e Mario” di Ettore Scola), lo psicodramma dei pensatori organici, spiazzati dalla svolta di Occhetto e contrari al cambio di nome e di simbolo. «Per molti di voi il Pci è un bambolotto di pezza», li strapazzò Fabio Mussi, negli anni successivi passato anche lui per una scissione (fuori dai Ds per non aderire al Pd, oggi in Sinistra italiana),e scatenò reazioni furiose.
Convegni, raccolte di firme, famiglie divise. «Occhetto ha deciso di gettare il Pci dalla finestra», gridò di dolore lo scrittore Paolo Volponi. Anche se non tutti condivisero l’entusiasmo o il lutto. «Non vedo né un funerale, né un parto», constatò Luigi Pintor, lui la radiazione l’aveva subita dodici anni prima con il gruppo del Manifesto: una scissione forzata. Un’affermazione che nel 2017 torna di attualità: la conflagrazione dell’anno centenario della rivoluzione d’Ottobre, la fine del mondo Pd, avviene senza schianto, con un lamento, come aveva scritto T. S. Eliot. Ma non sarà meno sofferta, per i mondi della sinistra. O rancorosa.
Basta vedere il tweet di Giancarlo Leone del 19 febbraio, mentre si stava concludendo l’assemblea della discordia del Pd da cui è partito il lungo addio di Bersani: «La parola di oggi è scissione. Quella di domani sarà comunicazione. Ma non necessariamente faranno rima». Per capire cosa intendesse dire l’ex dirigente Rai di lunghissimo corso, democristiano doc, bisognava attendere quarantotto ore. Quando alle nove su Raitre è apparsa Bianca Berlinguer per l’esordio in prima serata del suo talk-show “Cartabianca”.
Più che bianca, carta rossa: rosso lo studio, rossa la scenografia, rosso fiammante il vestito della giornalista-conduttrice. E rossi gli ospiti. Massimo D’Alema, a raccontare il progetto del nuovo movimento con poche, crude parole: «Non vogliamo restare divisi tutta la vita. Siamo divisi perché c’è Renzi. Se Renzi viene rimosso, il centrosinistra tornerà unito». Il capo della Fiom Maurizio Landini. Con l’aggiunta della cantante Fiorella Mannoia, rossa anche lei, e di Luigi Di Maio del M5S. Del Pd renziano neppure l’ombra. Nella stessa serata, su La7, nella trasmissione di Giovanni Floris “Di martedì”, c’era l’altro leader uscente, Pier Luigi Bersani
http://espresso.repubblica.it/attualita ... =HEF_RULLO
Rai, regioni, sindacati, giunte e intellettuali: così la scissione Pd riguarda tutti
L’onda d’urto della rottura dei dem stravolge l’intera galassia della sinistra con conseguenze in molti campi. E rischia di trascinare con sé il governo Gentiloni
di Marco Damilano
01 marzo 2017
Rai, regioni, sindacati, giunte e intellettuali: così la scissione Pd riguarda tutti
Un disastro di proporzioni enormi. O, addirittura, la catastrofe cosmica. «Non è una scissione, è una conflagrazione», garantisce in questi giorni di tormento uno che di rotture a sinistra se ne intende, per averle subite fuori e dentro il suo partito, l’ultimo segretario del Pci Achille Occhetto. «Non è soltanto la fine del Pd, termina un intero campo magnetico. L’effetto sarà disastroso». E non riguarda il ceto politico, i deputati e i senatori chiamati ad aderire al nuovo soggetto politico. Con l’addio al Partito democratico di Massimo D’Alema e di Pier Luigi Bersani, e di Roberto Speranza e del presidente toscano Enrico Rossi, è l’intera galassia di sinistra che si mette in movimento. Il più grande sindacato, la Cgil.
Le giunte regionali e comunali rette dal Pd e dal centrosinistra. Il cortile degli intellettuali. Viale Mazzini, Saxa Rubra, la Rai: la potente gauche televisiva. Tutti pronti a schierarsi e soprattutto a dividersi, c’è l’imbarazzo della scelta. Per chi resta dentro il Pd, ci sono i candidati alla segreteria: Matteo Renzi, Michele Emiliano, Andrea Orlando. Per chi esce, nell’area di governo almeno due opzioni: il movimento di D’Alema e Bersani o quello che sta costruendo l’ex sindaco di Milano Giuliano Pisapia. Per chi vuole spingersi oltre, la Sinistra italiana di Nichi Vendola e del neo-segretario Nicola Fratoianni, Possibile di Pippo Civati (candidato alla segreteria del Pd contro Renzi nel precedente congresso), Rifondazione comunista, sopravvissuta alla scissione di un quarto di secolo fa.
Nel 1990-91 il passaggio dal Pci al Pds e l’addio di chi non ci stava si consumò tra lacrime, divorzi, film d’autore (il documentario di Nanni Moretti “La cosa”, “Mario Maria e Mario” di Ettore Scola), lo psicodramma dei pensatori organici, spiazzati dalla svolta di Occhetto e contrari al cambio di nome e di simbolo. «Per molti di voi il Pci è un bambolotto di pezza», li strapazzò Fabio Mussi, negli anni successivi passato anche lui per una scissione (fuori dai Ds per non aderire al Pd, oggi in Sinistra italiana),e scatenò reazioni furiose.
Convegni, raccolte di firme, famiglie divise. «Occhetto ha deciso di gettare il Pci dalla finestra», gridò di dolore lo scrittore Paolo Volponi. Anche se non tutti condivisero l’entusiasmo o il lutto. «Non vedo né un funerale, né un parto», constatò Luigi Pintor, lui la radiazione l’aveva subita dodici anni prima con il gruppo del Manifesto: una scissione forzata. Un’affermazione che nel 2017 torna di attualità: la conflagrazione dell’anno centenario della rivoluzione d’Ottobre, la fine del mondo Pd, avviene senza schianto, con un lamento, come aveva scritto T. S. Eliot. Ma non sarà meno sofferta, per i mondi della sinistra. O rancorosa.
Basta vedere il tweet di Giancarlo Leone del 19 febbraio, mentre si stava concludendo l’assemblea della discordia del Pd da cui è partito il lungo addio di Bersani: «La parola di oggi è scissione. Quella di domani sarà comunicazione. Ma non necessariamente faranno rima». Per capire cosa intendesse dire l’ex dirigente Rai di lunghissimo corso, democristiano doc, bisognava attendere quarantotto ore. Quando alle nove su Raitre è apparsa Bianca Berlinguer per l’esordio in prima serata del suo talk-show “Cartabianca”.
Più che bianca, carta rossa: rosso lo studio, rossa la scenografia, rosso fiammante il vestito della giornalista-conduttrice. E rossi gli ospiti. Massimo D’Alema, a raccontare il progetto del nuovo movimento con poche, crude parole: «Non vogliamo restare divisi tutta la vita. Siamo divisi perché c’è Renzi. Se Renzi viene rimosso, il centrosinistra tornerà unito». Il capo della Fiom Maurizio Landini. Con l’aggiunta della cantante Fiorella Mannoia, rossa anche lei, e di Luigi Di Maio del M5S. Del Pd renziano neppure l’ombra. Nella stessa serata, su La7, nella trasmissione di Giovanni Floris “Di martedì”, c’era l’altro leader uscente, Pier Luigi Bersani
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
SE MIO NONNO AVESSE LE RUOTE,......SAREBBE UN TRAM.
(Vecchio detto milanese)
LIBRE news
Recensioni
segnalazioni.
Magaldi: dal Pd solo macerie, dov’è il Piano-B per l’Italia?
Scritto il 02/3/17 • nella Categoria: idee Condividi
Quella italiana è la situazione più magmatica ma anche più feconda di tutta Europa.
E la partita fondamentale per il futuro della democrazia nel mondo si gioca in Europa, più ancora che negli Stati Uniti, perché gli Usa, grazie all’uragano Trump, troveranno nuove condizioni di riflessione, sui valori progressisti e sui valori conservatori.
Quindi, grazie alla “cura Trump”, una cura da cavallo, vedo che lì il processo virtuoso si è già avviato. Naturalmente in molti fanno fatica a capirlo, ma capiranno col tempo.
In altri paesi ci sono troppi incancrenimenti, con brontosauri di epoche ormai da superare, finti socialdemocratici che finiscono con l’allearsi con partiti più o meno popolari.
In Italia invece la situazione è più fluida: grazie anche al Movimento 5 Stelle, che ha rotto la finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, si sono aperti nuovi giochi, che adesso vengono moltiplicati da questa crisi interna al Pd, animata da vecchie cariatidi che vanno a costituire gruppi sedicenti democratici e sedicenti progressisti.
Come un sergente di caserma, Bersani imponeva ai parlamentari del Pd di votare come un sol uomo il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio in Costituzione, le misure suicide e nefaste del governo Monti.
Che si presenti oggi come una prospettiva progressista e pretenda di criticare Renzi sul versante dell’attenzione ai problemi sociali fa ridere i polli. Dietro Bersani, poi, ci sono giovanotti che si sono trovati a fare i capigruppo alla Camera di un grande partito come il Pd, e parlo di Roberto Speranza.
Come si fa a pensare che le speranze di nuovo progressismo in Italia siano affidate a personaggi modestissimi, che hanno ancora molta gavetta da fare?
Magari avrà dei talenti nascosti, di cui non ci siamo accorti, ma non ricordo, da Speranza (e nemmeno da Bersani) uno straccio di idea complessiva di sviluppo democratico del paese, in senso alternativo e progressista.
L’unica alternativa mi sembra quella al potere, di Renzi.
Non lo è D’Alema, vecchio arnese, brontosauro come pochi, che ha avuto la chance di governare l’Italia da Palazzo Chigi e dirigere quello che è stato il Pds-Ds.
Questo personaggio, che ha fatto molti denari e che vive nel lusso, oggi diventa uno dei capifila di queste istanze socialisteggianti? Fa ridere i polli, insieme a Bersani e a Speranza.
Quella del Pd è una vicenda di lotte di potere, e i cittadini la vedono come tale, nessuno si inganna.
Al di là della retorica di facciata, anche all’interno del Pd tutti capiscono che è una lotta per il potere.
Costoro non hanno alcuna idea diversa da quelle di Renzi, e l’hanno dimostrato nel fiancheggiamento del governo Monti, ma si sentono emarginati e marginalizzati.
Vale per tutti l’esempio di Emiliano, che ha deciso di rimanere ma era tra i grandi sostenitori di Renzi.
Ma Renzi non l’ha considerato troppo, nel governo della Regione Puglia, e così Emiliano l’ha fatto capire – anche pateticamente: sembrava un’amante che si sente trascurata e rimprovera il partner.
Questa crisi nel Pd è un dibattito di potere – non sulle idee, non sui progetti per il paese. L’ha fatto anche Fassina, prima ancora, andando a fondare Sinistra Italiana: quando ha fatto il viceministro era del tutto accondiscendente alla linea allora di Saccomanni, salvo qualche distinguo per avere un po’ di platea, e ricordo – nell’imminenza delle elezioni 2013 – le dichiarazioni rese da Fassina e Bersani, a grandi quotidiani internazionali, per rassicurare tutti sul fatto che il governo Bersani, con Fassina candidato al dicastero dell’economia, sarebbe stato nella continuità col governo Monti.
Quindi, tutti quanti – dai nuovi sgangherati gruppi parlamentari sedicenti democratico-progressisti a Sinistra Italiana – non rappresentano il futuro progressista e democratico (keynesiano, rooseveltiano) per l’Italia.
L’Italia ha bisogno di una prospettiva ampia, che riguardi tanto l’economia che la vita delle istituzioni, ma anche le prospettive estere e un orizzonte di leadership nel Mediterraneo.
Per far questo c’è bisogno di un nuovo soggetto politico, partitico, che si chiami “partito” e non “movimento”, come i partitini che pensano di accattivarsi gli elettori del Movimento 5 Stelle.
C’è bisogno di un ritorno ai partiti solidi: non si tratta di tornare all’antico, alla Prima Repubblica, ma di recuperare il meglio dell’esperienza del passato.
I partiti devono avere correnti e pluralismo: limpida dialettica interna, anziché la “notte dei lunghi coltelli” che si sta consumando nel Pd.
Ho molto ottimismo, perché molte cose di muovono e, in Italia, questo magma sarà fecondissimo.
(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a David Gramiccioli durante la diretta a “Colors Radio” il 27 febbraio 2017, nella quale Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, ha annunciato l’imminente lancio di un nuovo partito, “democratico e progressista”).
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Magaldi: dal Pd solo macerie, dov’è il Piano-B per l’Italia?
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Quella italiana è la situazione più magmatica ma anche più feconda di tutta Europa.
E la partita fondamentale per il futuro della democrazia nel mondo si gioca in Europa, più ancora che negli Stati Uniti, perché gli Usa, grazie all’uragano Trump, troveranno nuove condizioni di riflessione, sui valori progressisti e sui valori conservatori.
Quindi, grazie alla “cura Trump”, una cura da cavallo, vedo che lì il processo virtuoso si è già avviato. Naturalmente in molti fanno fatica a capirlo, ma capiranno col tempo.
In altri paesi ci sono troppi incancrenimenti, con brontosauri di epoche ormai da superare, finti socialdemocratici che finiscono con l’allearsi con partiti più o meno popolari.
In Italia invece la situazione è più fluida: grazie anche al Movimento 5 Stelle, che ha rotto la finta alternanza tra centrodestra e centrosinistra, si sono aperti nuovi giochi, che adesso vengono moltiplicati da questa crisi interna al Pd, animata da vecchie cariatidi che vanno a costituire gruppi sedicenti democratici e sedicenti progressisti.
Come un sergente di caserma, Bersani imponeva ai parlamentari del Pd di votare come un sol uomo il Fiscal Compact e il pareggio di bilancio in Costituzione, le misure suicide e nefaste del governo Monti.
Che si presenti oggi come una prospettiva progressista e pretenda di criticare Renzi sul versante dell’attenzione ai problemi sociali fa ridere i polli. Dietro Bersani, poi, ci sono giovanotti che si sono trovati a fare i capigruppo alla Camera di un grande partito come il Pd, e parlo di Roberto Speranza.
Come si fa a pensare che le speranze di nuovo progressismo in Italia siano affidate a personaggi modestissimi, che hanno ancora molta gavetta da fare?
Magari avrà dei talenti nascosti, di cui non ci siamo accorti, ma non ricordo, da Speranza (e nemmeno da Bersani) uno straccio di idea complessiva di sviluppo democratico del paese, in senso alternativo e progressista.
L’unica alternativa mi sembra quella al potere, di Renzi.
Non lo è D’Alema, vecchio arnese, brontosauro come pochi, che ha avuto la chance di governare l’Italia da Palazzo Chigi e dirigere quello che è stato il Pds-Ds.
Questo personaggio, che ha fatto molti denari e che vive nel lusso, oggi diventa uno dei capifila di queste istanze socialisteggianti? Fa ridere i polli, insieme a Bersani e a Speranza.
Quella del Pd è una vicenda di lotte di potere, e i cittadini la vedono come tale, nessuno si inganna.
Al di là della retorica di facciata, anche all’interno del Pd tutti capiscono che è una lotta per il potere.
Costoro non hanno alcuna idea diversa da quelle di Renzi, e l’hanno dimostrato nel fiancheggiamento del governo Monti, ma si sentono emarginati e marginalizzati.
Vale per tutti l’esempio di Emiliano, che ha deciso di rimanere ma era tra i grandi sostenitori di Renzi.
Ma Renzi non l’ha considerato troppo, nel governo della Regione Puglia, e così Emiliano l’ha fatto capire – anche pateticamente: sembrava un’amante che si sente trascurata e rimprovera il partner.
Questa crisi nel Pd è un dibattito di potere – non sulle idee, non sui progetti per il paese. L’ha fatto anche Fassina, prima ancora, andando a fondare Sinistra Italiana: quando ha fatto il viceministro era del tutto accondiscendente alla linea allora di Saccomanni, salvo qualche distinguo per avere un po’ di platea, e ricordo – nell’imminenza delle elezioni 2013 – le dichiarazioni rese da Fassina e Bersani, a grandi quotidiani internazionali, per rassicurare tutti sul fatto che il governo Bersani, con Fassina candidato al dicastero dell’economia, sarebbe stato nella continuità col governo Monti.
Quindi, tutti quanti – dai nuovi sgangherati gruppi parlamentari sedicenti democratico-progressisti a Sinistra Italiana – non rappresentano il futuro progressista e democratico (keynesiano, rooseveltiano) per l’Italia.
L’Italia ha bisogno di una prospettiva ampia, che riguardi tanto l’economia che la vita delle istituzioni, ma anche le prospettive estere e un orizzonte di leadership nel Mediterraneo.
Per far questo c’è bisogno di un nuovo soggetto politico, partitico, che si chiami “partito” e non “movimento”, come i partitini che pensano di accattivarsi gli elettori del Movimento 5 Stelle.
C’è bisogno di un ritorno ai partiti solidi: non si tratta di tornare all’antico, alla Prima Repubblica, ma di recuperare il meglio dell’esperienza del passato.
I partiti devono avere correnti e pluralismo: limpida dialettica interna, anziché la “notte dei lunghi coltelli” che si sta consumando nel Pd.
Ho molto ottimismo, perché molte cose di muovono e, in Italia, questo magma sarà fecondissimo.
(Gioele Magaldi, dichiarazioni rilasciate a David Gramiccioli durante la diretta a “Colors Radio” il 27 febbraio 2017, nella quale Magaldi, fondatore del Movimento Roosevelt, ha annunciato l’imminente lancio di un nuovo partito, “democratico e progressista”).
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
QUANDO ANDIAMO DAL MEDICO PERCHE’ LA NOSTRA “MACCHINA” NON FUNZIONA PIU’ REGOLARMENTE, O PROVOCA DOLORI, CIRCA LA PARTE IN AVARIA, PRETENDIAMO CHE CI VISITI E SCOPRA COSA NON FUNZIONA.
IN ALTERNATIVA, SE TUTTO PROCEDE COME PRIMA, DOPO LE PRIME INDICAZIONI DI CURA, PRETENDIAMO CHE CI INDIRIZZI PER FARE ESAMI ULTERIORI E APPROFONDITI.
STRANAMENTE, NON LO PRETENDIAMO, PER QUANTO RIGUARDA LA VITA SOCIALE.
PERCHE'???????????????????????????????????????????
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Crolla la grande truffa della sinistra, che ha tradito il popolo
Scritto il 02/3/17 • nella Categoria: idee Condividi
La sinistra non è solo allo sbando – è al completo collasso perché la classe operaia si è accorta del tradimento della sinistra e del suo abbandono della classe operaia per costruire ricchezza personale e potere.
La fonte dell’angoscia rabbiosa che scuote il campo progressista del Partito Democratico non è il presidente Trump – è il completo collasso della sinistra a livello globale.
Per capire questo crollo, dobbiamo rivolgerci (ancora una volta) alla comprensione profonda che Marx aveva dello Stato e del capitalismo.
Non stiamo parlando del marxismo culturale che gli americani conoscono a livello superficiale, ma del nocciolo della sua analisi economica che, come notava Sartre, viene insegnata al solo fine di screditarla.
Il marxismo culturale attinge anch’esso da Engels e Marx.
Nell’uso moderno, il marxismo culturale indica l’aperto scardinamento dei valori tradizionali – la famiglia, la comunità, la fede religiosa, i diritti di proprietà e un governo centrale limitato – in favore di un cosmopolitismo senza radici e uno Stato centrale espansivo e onnipotente che sostituisce la comunità, la fede e i diritti di proprietà con meccanismi di controllo statalista che impongono la dipendenza dallo Stato stesso, e una mentalità secondo la quale l’individuo è colpevole di pensiero anti-statalista fino a prova contraria, determinata dalle regole dello Stato stesso.
La critica di Marx al capitalismo è di natura economica: il capitale e il lavoro sono in eterno conflitto.
Nell’analisi di Marx il capitale ha la meglio fino a che le contraddizioni interne del capitalismo non erodono dall’interno le sue capacità di controllo.
Il capitale non domina solo il lavoro; domina anche lo Stato.
Perciò la versione “statale” del capitalismo che domina a livello globale non è una coincidenza o un’anomalia – è l’unico esito possibile di un sistema nel quale il capitale è la forza dominante.
Per contrastare il dominio del capitale sono sorti i movimenti politici socialdemocratici, per strappare alcune misure dalle mani del capitale e volgerle in favore del lavoro.
I movimenti socialdemocratici sono stati ampiamente aiutati dal “quasi crollo” della prima versione del capitalismo statale [cartel capitalism] durante la Grande Depressione, quando la cancellazione del debito deteriorato avrebbe comportato la distruzione dell’intero sistema bancario e azzoppato la funzione principale del capitalismo, quella di far crescere il capitale stesso tramite un’espansione del debito.
I padroni del capitale, decimati, capirono di avere un’unica scelta: resistere fino ad essere rovesciati dall’anarchismo o dal comunismo, oppure cedere un po’ della loro ricchezza e del loro potere ai partiti socialdemocratici in cambio di stabilità sociale, politica ed economica.
In termini generali si direbbe che la sinistra favorisce il lavoro (i cui diritti sono protetti dallo Stato) mentre la destra favorisce il capitale (i cui diritti sono ugualmente protetti dallo Stato).
Ma nel corso degli ultimi 25 anni di neoliberalismo globalizzato, i movimenti socialdemocratici hanno abbandonato il lavoro per abbracciare la ricchezza e il potere che gli venivano offerti dal capitale.
L’essenza della globalizzazione è questa: il lavoro viene mercificato mentre il capitale mobile è libero di girare in qualsiasi angolo del mondo per cercare il costo del lavoro minore possibile.
Al contrario del capitale, il lavoro è molto meno mobile, non è in grado di spostarsi fluidamente e senza frizioni come fa il capitale, alla ricerca di opportunità e di scarsità da sfruttare a proprio vantaggio.
Il neoliberalismo – l’apertura dei mercati e delle frontiere – permette al capitale di schiacciare il lavoro senza alcuno sforzo.
I socialdemocratici, nel momento in cui abbracciano l’idea dei “confini aperti”, istituzionalizzano l’apertura all’immigrazione; questa disintegra il valore della forza lavoro dato dalla sua scarsità sul mercato interno, e permette di abbassarne il prezzo grazie al lavoro degli immigrati, a tutto vantaggio del desiderio del capitale di abbattere i costi.
La globalizzazione, la finanza neoliberale e le politiche di immigrazione determinano il crollo della sinistra e la vittoria del capitale.
Ora è il capitale a dominare totalmente lo Stato e le sue strutture clientelari – i partiti politici, le lobby, i contributi alle campagne elettorali, le fondazioni di beneficienza che operano a pagamento, e tutte le altre strutture del capitalismo di Stato.
Per nascondere il crollo della difesa economica del lavoro da parte della sinistra, i sostenitori della sinistra e la macchina delle pubbliche relazioni hanno sostituito i movimenti per la giustizia sociale alle lotte per acquisire sicurezza economica e capitale.
Questo è riuscito alla perfezione, e decine di milioni di autoproclamati “progressisti” si sono bevuti la Grande Truffa della sinistra, secondo la quale le campagne di “giustizia sociale” in nome di gruppi sociali emarginati sarebbero la vera caratteristica distintiva dei movimenti progressisti e socialdemocratici.
Questo giochetto da prestigiatore, questo abbraccio delle campagne per la “giustizia sociale” economicamente neutre, ha mascherato il fatto che i partiti socialdemocratici avevano intanto gettato il lavoro nel tritacarne della globalizzazione, dell’apertura all’immigrazione e della libera circolazione del capitale, che intanto era tutto contento dell’abbandono del lavoro da parte della sinistra.
Nel frattempo i furboni della sinistra si sono ingozzati delle concessioni elargite dal capitale in cambio del loro tradimento.
Vengono in mente i “guadagni” di Bill e Hillary Clinton per 200 milioni di dollari, e innumerevoli altri esempi di arricchimenti personali da parte di autoproclamati “difensori” del lavoro.
La sinistra non è solo allo sbando – è al crollo totale – ora che la classe lavoratrice si è svegliata e si è resa conto del tradimento e dell’abbandono da parte di chi si è occupato solo del proprio interesse personale.
Chiunque lo neghi non si è ancora reso conto della Grande Truffa della Sinistra.
(Charles Hugh-Smith, “Crolla la grande truffa della sinistra”, dal blog “Of Two Minds” del 23 gennaio 2017, ripreso da “Voci dall’Estero”).
IN ALTERNATIVA, SE TUTTO PROCEDE COME PRIMA, DOPO LE PRIME INDICAZIONI DI CURA, PRETENDIAMO CHE CI INDIRIZZI PER FARE ESAMI ULTERIORI E APPROFONDITI.
STRANAMENTE, NON LO PRETENDIAMO, PER QUANTO RIGUARDA LA VITA SOCIALE.
PERCHE'???????????????????????????????????????????
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Crolla la grande truffa della sinistra, che ha tradito il popolo
Scritto il 02/3/17 • nella Categoria: idee Condividi
La sinistra non è solo allo sbando – è al completo collasso perché la classe operaia si è accorta del tradimento della sinistra e del suo abbandono della classe operaia per costruire ricchezza personale e potere.
La fonte dell’angoscia rabbiosa che scuote il campo progressista del Partito Democratico non è il presidente Trump – è il completo collasso della sinistra a livello globale.
Per capire questo crollo, dobbiamo rivolgerci (ancora una volta) alla comprensione profonda che Marx aveva dello Stato e del capitalismo.
Non stiamo parlando del marxismo culturale che gli americani conoscono a livello superficiale, ma del nocciolo della sua analisi economica che, come notava Sartre, viene insegnata al solo fine di screditarla.
Il marxismo culturale attinge anch’esso da Engels e Marx.
Nell’uso moderno, il marxismo culturale indica l’aperto scardinamento dei valori tradizionali – la famiglia, la comunità, la fede religiosa, i diritti di proprietà e un governo centrale limitato – in favore di un cosmopolitismo senza radici e uno Stato centrale espansivo e onnipotente che sostituisce la comunità, la fede e i diritti di proprietà con meccanismi di controllo statalista che impongono la dipendenza dallo Stato stesso, e una mentalità secondo la quale l’individuo è colpevole di pensiero anti-statalista fino a prova contraria, determinata dalle regole dello Stato stesso.
La critica di Marx al capitalismo è di natura economica: il capitale e il lavoro sono in eterno conflitto.
Nell’analisi di Marx il capitale ha la meglio fino a che le contraddizioni interne del capitalismo non erodono dall’interno le sue capacità di controllo.
Il capitale non domina solo il lavoro; domina anche lo Stato.
Perciò la versione “statale” del capitalismo che domina a livello globale non è una coincidenza o un’anomalia – è l’unico esito possibile di un sistema nel quale il capitale è la forza dominante.
Per contrastare il dominio del capitale sono sorti i movimenti politici socialdemocratici, per strappare alcune misure dalle mani del capitale e volgerle in favore del lavoro.
I movimenti socialdemocratici sono stati ampiamente aiutati dal “quasi crollo” della prima versione del capitalismo statale [cartel capitalism] durante la Grande Depressione, quando la cancellazione del debito deteriorato avrebbe comportato la distruzione dell’intero sistema bancario e azzoppato la funzione principale del capitalismo, quella di far crescere il capitale stesso tramite un’espansione del debito.
I padroni del capitale, decimati, capirono di avere un’unica scelta: resistere fino ad essere rovesciati dall’anarchismo o dal comunismo, oppure cedere un po’ della loro ricchezza e del loro potere ai partiti socialdemocratici in cambio di stabilità sociale, politica ed economica.
In termini generali si direbbe che la sinistra favorisce il lavoro (i cui diritti sono protetti dallo Stato) mentre la destra favorisce il capitale (i cui diritti sono ugualmente protetti dallo Stato).
Ma nel corso degli ultimi 25 anni di neoliberalismo globalizzato, i movimenti socialdemocratici hanno abbandonato il lavoro per abbracciare la ricchezza e il potere che gli venivano offerti dal capitale.
L’essenza della globalizzazione è questa: il lavoro viene mercificato mentre il capitale mobile è libero di girare in qualsiasi angolo del mondo per cercare il costo del lavoro minore possibile.
Al contrario del capitale, il lavoro è molto meno mobile, non è in grado di spostarsi fluidamente e senza frizioni come fa il capitale, alla ricerca di opportunità e di scarsità da sfruttare a proprio vantaggio.
Il neoliberalismo – l’apertura dei mercati e delle frontiere – permette al capitale di schiacciare il lavoro senza alcuno sforzo.
I socialdemocratici, nel momento in cui abbracciano l’idea dei “confini aperti”, istituzionalizzano l’apertura all’immigrazione; questa disintegra il valore della forza lavoro dato dalla sua scarsità sul mercato interno, e permette di abbassarne il prezzo grazie al lavoro degli immigrati, a tutto vantaggio del desiderio del capitale di abbattere i costi.
La globalizzazione, la finanza neoliberale e le politiche di immigrazione determinano il crollo della sinistra e la vittoria del capitale.
Ora è il capitale a dominare totalmente lo Stato e le sue strutture clientelari – i partiti politici, le lobby, i contributi alle campagne elettorali, le fondazioni di beneficienza che operano a pagamento, e tutte le altre strutture del capitalismo di Stato.
Per nascondere il crollo della difesa economica del lavoro da parte della sinistra, i sostenitori della sinistra e la macchina delle pubbliche relazioni hanno sostituito i movimenti per la giustizia sociale alle lotte per acquisire sicurezza economica e capitale.
Questo è riuscito alla perfezione, e decine di milioni di autoproclamati “progressisti” si sono bevuti la Grande Truffa della sinistra, secondo la quale le campagne di “giustizia sociale” in nome di gruppi sociali emarginati sarebbero la vera caratteristica distintiva dei movimenti progressisti e socialdemocratici.
Questo giochetto da prestigiatore, questo abbraccio delle campagne per la “giustizia sociale” economicamente neutre, ha mascherato il fatto che i partiti socialdemocratici avevano intanto gettato il lavoro nel tritacarne della globalizzazione, dell’apertura all’immigrazione e della libera circolazione del capitale, che intanto era tutto contento dell’abbandono del lavoro da parte della sinistra.
Nel frattempo i furboni della sinistra si sono ingozzati delle concessioni elargite dal capitale in cambio del loro tradimento.
Vengono in mente i “guadagni” di Bill e Hillary Clinton per 200 milioni di dollari, e innumerevoli altri esempi di arricchimenti personali da parte di autoproclamati “difensori” del lavoro.
La sinistra non è solo allo sbando – è al crollo totale – ora che la classe lavoratrice si è svegliata e si è resa conto del tradimento e dell’abbandono da parte di chi si è occupato solo del proprio interesse personale.
Chiunque lo neghi non si è ancora reso conto della Grande Truffa della Sinistra.
(Charles Hugh-Smith, “Crolla la grande truffa della sinistra”, dal blog “Of Two Minds” del 23 gennaio 2017, ripreso da “Voci dall’Estero”).
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
......VOCI DALL'OLTRETOMBA......
| IL FATTO QUOTIDIANO | Lunedì 6 Marzo 2017
L’INTERVISTA
” Guglielmo Epifani “Bisogna ricostruire la sinistra: è rimasta
senza benzina e nel prossimo Parlamento rischia di non avere voce
“Il Pd renziano è una casa crollata,
forse ne siamo usciti troppo tardi”
» ANTONELLO CAPORALE
l Pd resterà il partito della Nazione, i Cinque Stelle saranno il movimento della Nazione. Figurarsi la destra così a suo agio con l’idea di raccogliere di tutto sotto l’egida del nazionalismo. Solo la sinistra nel prossimo Parlamento rischierà di non avere la forza e la voce che la sua storia per tanti anni le ha consegnato”.
E di chi sarà la colpa? Lei, Guglielmo Epifani, è stato segretario del Pd, Pierluigi Bersani pure, Massimo D’Alema ha guidato i Ds, l’ex socio di maggioranza. Il vostro addio quasi scivola via nel silenzio. Temo che gli elettori di sinistra si sono accorti prima di voi che quel partito stava prendendo una brutta strada.
Forse abbiamo ritardato la decisione. Ma chi ha avuto una responsabilità così grande ha anche una difficoltà grandissima a giungere alla soluzione senz’appello. Il tempo è passato e non ricordiamo oggi quel che costò non votare – per esempio – la fiducia sulla legge elettorale.
Ma un leader se è tale indica agli altri la via, non se la fa indicare, ascolta gli umori della società per tempo, non si stupisce d’un botto del disastro.
Lei non si accorge di un’altra grande difficoltà: il serbatoio della sinistra non ha più benzina anche perché quelli che un tempo sollecitavano un pensiero, stimolavano il partito, non ci sono più. Gli intellettuali sembrano spariti. La classe operaia sta cambiando volto, la borghesia sta scomparendo. Come sparite sono le riviste, spariti i luoghi associativi. Esistono voci che non hanno però la forza di quelle di un tempo. Ora c’è il mondo che si ritrova in internet che dovrebbe fare quel lavoro. La rete non costruisce comunità. Semplicemente collega singoli. Singoli che parlano con altri singoli ma, a dispetto del nome della struttura che li contiene, non producono una rete, una dimensione collettiva di pensiero. Si va al computer ma non si ascolta e spesso nemmeno si parla. È venuta a cadere anche l’abitudine alla riflessione più approfondita, persa la fatica di leggere e imparare. Si svolazza di qua e di là. Un commentino, un altro... un emoticon.
La sinistra non ha più birra in corpo. Ed è depressa.
Le avanzo il tema della progressiva robotizzazione del lavoro. Ci siamo già dentro: migliaia di posti si perderanno perché le macchine faranno al posto nostro, l’intelligenza artificiale sostituirà quella umana. Il lavoro è tutto per la sinistra, figurarsi per uno come me che è stato segretario della Cgil. E qui non siamo allo scontro sulla riduzione dell’orario di lavoro, se portarlo da 40 a 35 o a 30 ore settimanali. Qui tra un po’ si discuterà come lavorare due o tre giorni alla settimana, e come fare che quell’impiego ci tenga in vita, e cosa fare dell’altra vita che resta.
Sono problemi capitali.
È la questione del prossimo futuro, dico prossimo e sposto troppo al di là le lancette. Il problema è il nostro domani. Perciò serve costruire una casa che contenga il pensiero della sinistra che non è un linguaggio morto, è l’unica via d’uscita contro i populismi. Oramai non c’è giorno senza che si accusi qualcuno di populismo. Non le sembra arbitraria quanto propagandistica questa definizione? Vero. Alcune derive xenofobe o razziste o nitidamente di destra vengono assommate, per pigrizia o per necessità di semplificare, al fenomeno populista. Certo che da noi quei movimenti di base che contengono di tutto sembrano avere più benzina di noi. È il tempo della crisi economica e della crisi della democrazia: quando tutto si disconnette ciascuno tenta di provare in solitario la strada della resistenza o del governo. Propositi confusi e velleitari, ma che hanno il carburante sociale che è fatto di disperazione, disillusione e rabbia.
È stato il vostro comportamento a traghettare altrove milioni di voti.
Questioni insieme politiche, etiche, morali. Cosa doveva essere il Pd e cosa è stato? Il Pd è nato storto e temo non avrà vita lunga. Già sento i propositi di Andrea Orlando che dice “ricostruire”. Uguale intento mi sembra quello di Emiliano. Se hai bisogno di ricostruire significa che la casa è cascata.
La casa di Renzi è cascata?
I suoi difetti hanno superato di gran lunga i pregi. Si è posto come dominus, senza voler nemmeno pensare all’ipotesi che fosse utile ascoltare e magari dare voce a chi non la pensava come lui. Cosa ci voleva a immaginare per Enrico Letta un ruolo in Europa? Era un modo per dare ospitalità a un pensiero differente ma vitale nel partito, un modo per dire: guarda che in questa casa le chiavi della porta sono anche tue. E perché mai in questi tre anni Matteo Renzi ha dimenticato di offrire a Pier Luigi Bersani un incarico, un’incombenza, fosse anche solo quella di far esprimere a lui su un determinato problema in Parlamento la posizione del partito. No, Renzi ha fatto il dominus.
Dominus era dal primo istante, dov’è la meraviglia?
Dovevamo attendere, non avevamo scelta. Però alcune devianze sono state possibili anche per errori che abbiamo compiuto noi.
Meno male che lo ammette!
La norma dello statuto che unifica le funzioni di segretario e premier è stata senza dubbio disastrosa.
Non è che siete andati via più per il fatto che Renzi abbia negato a voi visibilità e disconosciuto la titolarità di mettere il veto?
Più che di lei, parlo di Bersani e soprattutto D’Alema. Scelte così difficili non si fanno per risentimento. Non coinvolgi nessuno se la tua appare una reazione personale al potere perduto. No. Il senso dell’amor proprio ferito avrà contribuito a spingere con maggiore nettezza ciò che già era improcrastinabile.
Il Pd in versione Forza Italia rosè.
Un partito pigliatutto: un po’ di qua, un po’ di là. Interessi sovrapposti, aspirazioni a volte incompatibili e la direzione di marcia più marcata verso il centro. In definitiva: il partito della Nazione.
Berlusconi che sembra imbalsamato dall’età e dalla pigrizia riesce ancora a superare il dieci per cento dei voti con Forza Italia. Roba da non crederci. A questo è servito il partito della Nazione?
Gli accordi hanno fatto posto a una linea politica inesistente. Non un pensiero, ma soltanto tanti voti da raccogliere o esprimere. Così il Partito democratico si è trasformato in un votificio. Era quello e quello resterà in futuro. Con Renzi che chiede voti per lui, Orlando idem e pure Emiliano. Ma dov’è il luogo del pensiero? Chi scrive cosa si deve fare e cosa no? Chi corregge al leader la rotta? Per esempio: al Lingotto dove tra qualche giorno si troverà Renzi con i suoi, chi farà la scaletta, chi deciderà i temi da discutere? Lui solo. Gli altri applaudiranno.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
| IL FATTO QUOTIDIANO | Lunedì 6 Marzo 2017
L’INTERVISTA
” Guglielmo Epifani “Bisogna ricostruire la sinistra: è rimasta
senza benzina e nel prossimo Parlamento rischia di non avere voce
“Il Pd renziano è una casa crollata,
forse ne siamo usciti troppo tardi”
» ANTONELLO CAPORALE
l Pd resterà il partito della Nazione, i Cinque Stelle saranno il movimento della Nazione. Figurarsi la destra così a suo agio con l’idea di raccogliere di tutto sotto l’egida del nazionalismo. Solo la sinistra nel prossimo Parlamento rischierà di non avere la forza e la voce che la sua storia per tanti anni le ha consegnato”.
E di chi sarà la colpa? Lei, Guglielmo Epifani, è stato segretario del Pd, Pierluigi Bersani pure, Massimo D’Alema ha guidato i Ds, l’ex socio di maggioranza. Il vostro addio quasi scivola via nel silenzio. Temo che gli elettori di sinistra si sono accorti prima di voi che quel partito stava prendendo una brutta strada.
Forse abbiamo ritardato la decisione. Ma chi ha avuto una responsabilità così grande ha anche una difficoltà grandissima a giungere alla soluzione senz’appello. Il tempo è passato e non ricordiamo oggi quel che costò non votare – per esempio – la fiducia sulla legge elettorale.
Ma un leader se è tale indica agli altri la via, non se la fa indicare, ascolta gli umori della società per tempo, non si stupisce d’un botto del disastro.
Lei non si accorge di un’altra grande difficoltà: il serbatoio della sinistra non ha più benzina anche perché quelli che un tempo sollecitavano un pensiero, stimolavano il partito, non ci sono più. Gli intellettuali sembrano spariti. La classe operaia sta cambiando volto, la borghesia sta scomparendo. Come sparite sono le riviste, spariti i luoghi associativi. Esistono voci che non hanno però la forza di quelle di un tempo. Ora c’è il mondo che si ritrova in internet che dovrebbe fare quel lavoro. La rete non costruisce comunità. Semplicemente collega singoli. Singoli che parlano con altri singoli ma, a dispetto del nome della struttura che li contiene, non producono una rete, una dimensione collettiva di pensiero. Si va al computer ma non si ascolta e spesso nemmeno si parla. È venuta a cadere anche l’abitudine alla riflessione più approfondita, persa la fatica di leggere e imparare. Si svolazza di qua e di là. Un commentino, un altro... un emoticon.
La sinistra non ha più birra in corpo. Ed è depressa.
Le avanzo il tema della progressiva robotizzazione del lavoro. Ci siamo già dentro: migliaia di posti si perderanno perché le macchine faranno al posto nostro, l’intelligenza artificiale sostituirà quella umana. Il lavoro è tutto per la sinistra, figurarsi per uno come me che è stato segretario della Cgil. E qui non siamo allo scontro sulla riduzione dell’orario di lavoro, se portarlo da 40 a 35 o a 30 ore settimanali. Qui tra un po’ si discuterà come lavorare due o tre giorni alla settimana, e come fare che quell’impiego ci tenga in vita, e cosa fare dell’altra vita che resta.
Sono problemi capitali.
È la questione del prossimo futuro, dico prossimo e sposto troppo al di là le lancette. Il problema è il nostro domani. Perciò serve costruire una casa che contenga il pensiero della sinistra che non è un linguaggio morto, è l’unica via d’uscita contro i populismi. Oramai non c’è giorno senza che si accusi qualcuno di populismo. Non le sembra arbitraria quanto propagandistica questa definizione? Vero. Alcune derive xenofobe o razziste o nitidamente di destra vengono assommate, per pigrizia o per necessità di semplificare, al fenomeno populista. Certo che da noi quei movimenti di base che contengono di tutto sembrano avere più benzina di noi. È il tempo della crisi economica e della crisi della democrazia: quando tutto si disconnette ciascuno tenta di provare in solitario la strada della resistenza o del governo. Propositi confusi e velleitari, ma che hanno il carburante sociale che è fatto di disperazione, disillusione e rabbia.
È stato il vostro comportamento a traghettare altrove milioni di voti.
Questioni insieme politiche, etiche, morali. Cosa doveva essere il Pd e cosa è stato? Il Pd è nato storto e temo non avrà vita lunga. Già sento i propositi di Andrea Orlando che dice “ricostruire”. Uguale intento mi sembra quello di Emiliano. Se hai bisogno di ricostruire significa che la casa è cascata.
La casa di Renzi è cascata?
I suoi difetti hanno superato di gran lunga i pregi. Si è posto come dominus, senza voler nemmeno pensare all’ipotesi che fosse utile ascoltare e magari dare voce a chi non la pensava come lui. Cosa ci voleva a immaginare per Enrico Letta un ruolo in Europa? Era un modo per dare ospitalità a un pensiero differente ma vitale nel partito, un modo per dire: guarda che in questa casa le chiavi della porta sono anche tue. E perché mai in questi tre anni Matteo Renzi ha dimenticato di offrire a Pier Luigi Bersani un incarico, un’incombenza, fosse anche solo quella di far esprimere a lui su un determinato problema in Parlamento la posizione del partito. No, Renzi ha fatto il dominus.
Dominus era dal primo istante, dov’è la meraviglia?
Dovevamo attendere, non avevamo scelta. Però alcune devianze sono state possibili anche per errori che abbiamo compiuto noi.
Meno male che lo ammette!
La norma dello statuto che unifica le funzioni di segretario e premier è stata senza dubbio disastrosa.
Non è che siete andati via più per il fatto che Renzi abbia negato a voi visibilità e disconosciuto la titolarità di mettere il veto?
Più che di lei, parlo di Bersani e soprattutto D’Alema. Scelte così difficili non si fanno per risentimento. Non coinvolgi nessuno se la tua appare una reazione personale al potere perduto. No. Il senso dell’amor proprio ferito avrà contribuito a spingere con maggiore nettezza ciò che già era improcrastinabile.
Il Pd in versione Forza Italia rosè.
Un partito pigliatutto: un po’ di qua, un po’ di là. Interessi sovrapposti, aspirazioni a volte incompatibili e la direzione di marcia più marcata verso il centro. In definitiva: il partito della Nazione.
Berlusconi che sembra imbalsamato dall’età e dalla pigrizia riesce ancora a superare il dieci per cento dei voti con Forza Italia. Roba da non crederci. A questo è servito il partito della Nazione?
Gli accordi hanno fatto posto a una linea politica inesistente. Non un pensiero, ma soltanto tanti voti da raccogliere o esprimere. Così il Partito democratico si è trasformato in un votificio. Era quello e quello resterà in futuro. Con Renzi che chiede voti per lui, Orlando idem e pure Emiliano. Ma dov’è il luogo del pensiero? Chi scrive cosa si deve fare e cosa no? Chi corregge al leader la rotta? Per esempio: al Lingotto dove tra qualche giorno si troverà Renzi con i suoi, chi farà la scaletta, chi deciderà i temi da discutere? Lui solo. Gli altri applaudiranno.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Ci metto la firma se mi fanno tornare nel periodo 1996-2001.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
L’INTERVISTA
Stefano Rodotà Il professore parla del terremoto a sinistra: “La sconfitta
al referendum è stato solo il detonatore. C’era una gestione chiusa del potere”
“La scissione ha le sue ragioni
Non si sta insieme per forza”
» SILVIA TRUZZI
I tormenti della nostra sinistra, si sa, sono ciclici. Da giorni, sui giornali, grafici e tabelle ricordano tutte le trasformazioni (non solo nominali) dal lontano 1921 fino alla vagheggiata “cosa rosa”. Quali scosse agitano il maggior partito progressista dopo l’umiliazione delle urne di dicembre? Ne abbiamo parlato con Stefano Rodotà, che di quella sinistra è uno dei padri nobili.
Professore, nel Pd il problema è solo “Renzi il rottamatore”?
Renzi ci ha messo molto di suo per arroganza e scarsa considerazione degli altri: non il modo migliore per evitare le separazioni. Ha molte responsabilità ma non è questione di carattere, vorrei che fosse chiaro. Ha fatto una precisa scelta politica decidendo che i toni, i modi e i tempi di questa fase fossero quelli che abbiamo visto.
Che ruolo ha avuto il voto di dicembre nel terremoto a sinistra?
Senza il referendum e senza quel risultato non ci sarebbe stata la scissione. Ma è stato il fattore scatenante, esisteva già una situazione interna al partito completamente predisposta alle lacerazioni. Attorno al leader o presunto tale si è creato un circolo, mi riferisco a quello che viene chiamato il ‘Giglio Magico’, di gestione ristretta, ristrettissima, del potere. Il guaio non è solo Renzi rottamatore, ma una politica che tende a creare giri stretti, quindi escludenti. Un partito è un’entità plurale, dove chi dice ‘noi’ non usa il plurale maiestatis ma parla per una comunità di persone.
Ora si dice: un segretario-premier troppo di destra, un corpo estraneo, si è preso il Pd. Ma che Renzi avesse certe posizioni era chiaro da tempo: basta pensare al Jobs act.
Su questo non c’è dubbio. A chi tardivamente scopre che Renzi non è di sinistra si può solo chiedere, ‘ma dov’eri tu ?’. Mi paiono tentativi di autoassoluzione: in che partito sono vissuti quelli che ora si stupiscono? Cosa hanno votato su Jobs act, Italicum, riforma della Costituzione?
Romano Prodi ha detto “dividersi è un suicidio”. È d'accordo?
No, per nulla. Stare insieme a ogni costo è opportuno? Mi pare evidente che non c’è un confronto politico tra i vari soggetti che sia sufficiente a stare insieme. Ma attenzione: separarsi ha senso se la scelta risulta comprensibile, cioè se non appare alla comunità di riferimento una scelta dettata da interessi personali o di corrente. Detto ciò, rimanere insieme senza ragioni condivise mi pare poco sensato.
Basta riproporre la formula della coalizione ulivista?
Ora come ora non si può riproporre meccanicamente proprio nulla. La situazione è cambiata, ci sono altri protagonisti. Sembra una banalità, ma pensiamo alle questioni all ’ordine del giorno, per esempio al tema, cruciale, del lavoro. Su questo mi faccia dire una cosa: da giorni Susanna Camusso ha chiesto al governo quando intende fissare la data per i referendum, senza ottenere risposta. Ma questa non è una questione che riguarda il rapporto tra Paolo Gentiloni e Susanna Camusso, riguarda tutti noi. Io voglio sapere cosa intende fare l’esecutivo.
Tutti parlano della necessità di stare uniti in chiave difensiva, contro i cosiddetti populismi. Il presupposto non è dei migliori.
Se si assume un atteggiamento spaventato e difensivo, i Cinque Stelle probabilmente otterranno ancora più consensi. Il punto è interrogarsi sulle ragioni di questi flussi elettorali, quali sono le urgenze e le necessità dei cittadini. Considerare drammaticamente la vittoria dei ‘popul i s mi ’ non è una soluzione politica. Mi pare sia già stata dimenticata l’esperienza di dicembre. È inutile parlare di populismo quando le indicazioni del popolo vengono sistematicamente ignorate. In questo momento i cittadini stanno dicendo di voler essere ‘popolo legislatore’, ma nessuno li ascolta. Sul tema lavoro ci è toccato sentire il ministro Poletti dire che piuttosto di fare il referendum si potevano sciogliere le Camere: questa non può essere la risposta di un ministro.
Come vede il ritorno al proporzionale?
Bene, perché sono proporzionalista da sempre! Se guardo al passato penso che il proporzionalismo ha consentito in momenti difficili – per esempio negli anni Settanta – a gruppi extraparlamentari di avere una scelta rispetto ad altri modi di agire, per esempio alla lotta armata: cioè andare in Parlamento. Oggi il quadro è naturalmente diverso, ma io reputo che sia ugualmente essenziale dare voce e rappresentanza a chi in un sistema maggioritario non ne avrebbe: questo richiede una legge elettorale che non si carichi solo del problema della governabilità. Un buon esempio è la legge tedesca. Nel formulare la nuova legge bisogna che, più di tutto, sia chiaro ai cittadini che nulla viene fatto per limitare il loro potere di esprimersi e il loro diritto di essere rappresentati. Questo sarebbe tragico. Ora bisogna anche dire che non si può tergiversare più di tanto: la richiesta dei cittadini è andare a votare.
Gentiloni ha detto chiaramente che la legislatura arriverà al 2018.
Il presidente del Consiglio fa bene a dire fino a che punto vuole arrivare. Si assume così due responsabilità, la prima delle quali rispetto alle pressioni che ci sono per anticipare le elezioni. Ma soprattutto dovrà dire che cosa vuole fare, perché vuole arrivare a fine legislatura.
Renzi, Orlando, Emiliano: come andrà a finire e per chi ti fifa?
Sono sempre pessimo nei pronostici... Fino ad ora si dovrebbe dire che Renzi ha più carte in mano. Però i due sfidanti stanno fornendo, in modo molto diverso, risposte diverse da quelle puramente oppositive all’aggressività renziana. Cercano soluzioni politiche, e questa è una buona cosa.
Possiamo definire sconfitto un leader che ha perso malissimo il referendum, le cui politiche del lavoro hanno fallito, che si è visto bocciare dalla Consulta la legge elettorale su cui per tre volte ha posto la fiducia?
Certo che sì. L’unico momento di sincerità che abbiamo visto è stato quando Renzi si è dimesso da premier. Ma come ha ricordato lei, è stato battuto praticamente su tutta la linea: questo sfata un mito, dimostrando che non ha leadership.
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Mercoledì 8 Marzo 2017 | IL FATTO QUOTIDIANO |
Stefano Rodotà Il professore parla del terremoto a sinistra: “La sconfitta
al referendum è stato solo il detonatore. C’era una gestione chiusa del potere”
“La scissione ha le sue ragioni
Non si sta insieme per forza”
» SILVIA TRUZZI
I tormenti della nostra sinistra, si sa, sono ciclici. Da giorni, sui giornali, grafici e tabelle ricordano tutte le trasformazioni (non solo nominali) dal lontano 1921 fino alla vagheggiata “cosa rosa”. Quali scosse agitano il maggior partito progressista dopo l’umiliazione delle urne di dicembre? Ne abbiamo parlato con Stefano Rodotà, che di quella sinistra è uno dei padri nobili.
Professore, nel Pd il problema è solo “Renzi il rottamatore”?
Renzi ci ha messo molto di suo per arroganza e scarsa considerazione degli altri: non il modo migliore per evitare le separazioni. Ha molte responsabilità ma non è questione di carattere, vorrei che fosse chiaro. Ha fatto una precisa scelta politica decidendo che i toni, i modi e i tempi di questa fase fossero quelli che abbiamo visto.
Che ruolo ha avuto il voto di dicembre nel terremoto a sinistra?
Senza il referendum e senza quel risultato non ci sarebbe stata la scissione. Ma è stato il fattore scatenante, esisteva già una situazione interna al partito completamente predisposta alle lacerazioni. Attorno al leader o presunto tale si è creato un circolo, mi riferisco a quello che viene chiamato il ‘Giglio Magico’, di gestione ristretta, ristrettissima, del potere. Il guaio non è solo Renzi rottamatore, ma una politica che tende a creare giri stretti, quindi escludenti. Un partito è un’entità plurale, dove chi dice ‘noi’ non usa il plurale maiestatis ma parla per una comunità di persone.
Ora si dice: un segretario-premier troppo di destra, un corpo estraneo, si è preso il Pd. Ma che Renzi avesse certe posizioni era chiaro da tempo: basta pensare al Jobs act.
Su questo non c’è dubbio. A chi tardivamente scopre che Renzi non è di sinistra si può solo chiedere, ‘ma dov’eri tu ?’. Mi paiono tentativi di autoassoluzione: in che partito sono vissuti quelli che ora si stupiscono? Cosa hanno votato su Jobs act, Italicum, riforma della Costituzione?
Romano Prodi ha detto “dividersi è un suicidio”. È d'accordo?
No, per nulla. Stare insieme a ogni costo è opportuno? Mi pare evidente che non c’è un confronto politico tra i vari soggetti che sia sufficiente a stare insieme. Ma attenzione: separarsi ha senso se la scelta risulta comprensibile, cioè se non appare alla comunità di riferimento una scelta dettata da interessi personali o di corrente. Detto ciò, rimanere insieme senza ragioni condivise mi pare poco sensato.
Basta riproporre la formula della coalizione ulivista?
Ora come ora non si può riproporre meccanicamente proprio nulla. La situazione è cambiata, ci sono altri protagonisti. Sembra una banalità, ma pensiamo alle questioni all ’ordine del giorno, per esempio al tema, cruciale, del lavoro. Su questo mi faccia dire una cosa: da giorni Susanna Camusso ha chiesto al governo quando intende fissare la data per i referendum, senza ottenere risposta. Ma questa non è una questione che riguarda il rapporto tra Paolo Gentiloni e Susanna Camusso, riguarda tutti noi. Io voglio sapere cosa intende fare l’esecutivo.
Tutti parlano della necessità di stare uniti in chiave difensiva, contro i cosiddetti populismi. Il presupposto non è dei migliori.
Se si assume un atteggiamento spaventato e difensivo, i Cinque Stelle probabilmente otterranno ancora più consensi. Il punto è interrogarsi sulle ragioni di questi flussi elettorali, quali sono le urgenze e le necessità dei cittadini. Considerare drammaticamente la vittoria dei ‘popul i s mi ’ non è una soluzione politica. Mi pare sia già stata dimenticata l’esperienza di dicembre. È inutile parlare di populismo quando le indicazioni del popolo vengono sistematicamente ignorate. In questo momento i cittadini stanno dicendo di voler essere ‘popolo legislatore’, ma nessuno li ascolta. Sul tema lavoro ci è toccato sentire il ministro Poletti dire che piuttosto di fare il referendum si potevano sciogliere le Camere: questa non può essere la risposta di un ministro.
Come vede il ritorno al proporzionale?
Bene, perché sono proporzionalista da sempre! Se guardo al passato penso che il proporzionalismo ha consentito in momenti difficili – per esempio negli anni Settanta – a gruppi extraparlamentari di avere una scelta rispetto ad altri modi di agire, per esempio alla lotta armata: cioè andare in Parlamento. Oggi il quadro è naturalmente diverso, ma io reputo che sia ugualmente essenziale dare voce e rappresentanza a chi in un sistema maggioritario non ne avrebbe: questo richiede una legge elettorale che non si carichi solo del problema della governabilità. Un buon esempio è la legge tedesca. Nel formulare la nuova legge bisogna che, più di tutto, sia chiaro ai cittadini che nulla viene fatto per limitare il loro potere di esprimersi e il loro diritto di essere rappresentati. Questo sarebbe tragico. Ora bisogna anche dire che non si può tergiversare più di tanto: la richiesta dei cittadini è andare a votare.
Gentiloni ha detto chiaramente che la legislatura arriverà al 2018.
Il presidente del Consiglio fa bene a dire fino a che punto vuole arrivare. Si assume così due responsabilità, la prima delle quali rispetto alle pressioni che ci sono per anticipare le elezioni. Ma soprattutto dovrà dire che cosa vuole fare, perché vuole arrivare a fine legislatura.
Renzi, Orlando, Emiliano: come andrà a finire e per chi ti fifa?
Sono sempre pessimo nei pronostici... Fino ad ora si dovrebbe dire che Renzi ha più carte in mano. Però i due sfidanti stanno fornendo, in modo molto diverso, risposte diverse da quelle puramente oppositive all’aggressività renziana. Cercano soluzioni politiche, e questa è una buona cosa.
Possiamo definire sconfitto un leader che ha perso malissimo il referendum, le cui politiche del lavoro hanno fallito, che si è visto bocciare dalla Consulta la legge elettorale su cui per tre volte ha posto la fiducia?
Certo che sì. L’unico momento di sincerità che abbiamo visto è stato quando Renzi si è dimesso da premier. Ma come ha ricordato lei, è stato battuto praticamente su tutta la linea: questo sfata un mito, dimostrando che non ha leadership.
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Mercoledì 8 Marzo 2017 | IL FATTO QUOTIDIANO |
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- Iscritto il: 22/02/2012, 10:21
Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Dalle parole ai fatti
Iniziamo un percorso di unita ... Speriamo bene
da http://www.possibile.com
Gli iscritti di Possibile approvano il gruppo unico in Parlamento con Sinistra Italiana
Tra ieri e oggi, gli iscritti di Possibile hanno potuto votare – online, sulla piattaforma a loro dedicata – sulla formazione, alla Camera, di un gruppo composto dai parlamentari di Possibile e Sinistra italiana. La proposta è passata con un largo consenso, pari al 92,77 per cento dei voti.
Questa opzione oggi così condivisa è maturata nelle ultime settimane, dopo la conclusione del congresso fondativo di Sinistra italiana e dopo gli Stati generali di Possibile, l’assise tenuta a Parma a fine gennaio in cui il Segretario Giuseppe Civati aveva presentato una relazione, approvata all’unanimità, che andava nella direzione di una più stretta collaborazione tra le forze di sinistra e all’opposizione del Governo in carica: una collaborazione sulle cose da fare.
Quella dell’unione in parlamento, quindi, pur mantenendo l’autonomia dei rispettivi partiti, è una questione di coerenza prima ancora che di scelta, di razionalizzazione prima ancora di unità. Per presentare, insieme e con più incisività, alcune proposte su questioni urgenti, e perché questa legislatura non sia del tutto perduta. È, da subito, la ricerca di una collaborazione per realizzare insieme alcune proposte condivise messe a disposizione di tutte le forze presenti in Parlamento, e che presenteremo già martedì prossimo, 14 marzo. Da qui svilupperemo un progetto di governo da presentare assieme a tutte le forze politiche che vi si riconoscono.
Nella valutazione di questa opportunità i parlamentari di Possibile, pur nell’assenza di vincoli che come sancito dalla Costituzione caratterizza il loro mandato, hanno comunque ritenuto doveroso interpellare la loro comunità di riferimento, e chiedere quindi che si esprimessero con un voto. Un esercizio di democrazia non scontato, e non così comune in altri partiti, che rende ancora più importante sottoscrivere la tessera a Possibile: una tessera libera, che si sottoscrive con pochi click su possibile.com, che è non solo politica ma elettorale, poiché consente di votare e di scegliere.
Iniziamo un percorso di unita ... Speriamo bene
da http://www.possibile.com
Gli iscritti di Possibile approvano il gruppo unico in Parlamento con Sinistra Italiana
Tra ieri e oggi, gli iscritti di Possibile hanno potuto votare – online, sulla piattaforma a loro dedicata – sulla formazione, alla Camera, di un gruppo composto dai parlamentari di Possibile e Sinistra italiana. La proposta è passata con un largo consenso, pari al 92,77 per cento dei voti.
Questa opzione oggi così condivisa è maturata nelle ultime settimane, dopo la conclusione del congresso fondativo di Sinistra italiana e dopo gli Stati generali di Possibile, l’assise tenuta a Parma a fine gennaio in cui il Segretario Giuseppe Civati aveva presentato una relazione, approvata all’unanimità, che andava nella direzione di una più stretta collaborazione tra le forze di sinistra e all’opposizione del Governo in carica: una collaborazione sulle cose da fare.
Quella dell’unione in parlamento, quindi, pur mantenendo l’autonomia dei rispettivi partiti, è una questione di coerenza prima ancora che di scelta, di razionalizzazione prima ancora di unità. Per presentare, insieme e con più incisività, alcune proposte su questioni urgenti, e perché questa legislatura non sia del tutto perduta. È, da subito, la ricerca di una collaborazione per realizzare insieme alcune proposte condivise messe a disposizione di tutte le forze presenti in Parlamento, e che presenteremo già martedì prossimo, 14 marzo. Da qui svilupperemo un progetto di governo da presentare assieme a tutte le forze politiche che vi si riconoscono.
Nella valutazione di questa opportunità i parlamentari di Possibile, pur nell’assenza di vincoli che come sancito dalla Costituzione caratterizza il loro mandato, hanno comunque ritenuto doveroso interpellare la loro comunità di riferimento, e chiedere quindi che si esprimessero con un voto. Un esercizio di democrazia non scontato, e non così comune in altri partiti, che rende ancora più importante sottoscrivere la tessera a Possibile: una tessera libera, che si sottoscrive con pochi click su possibile.com, che è non solo politica ma elettorale, poiché consente di votare e di scegliere.
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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