Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
MILANO, CITTA' ALLEVAMENTO DEI SIGNOR: "GHE PENSI MI"?????????????????????????????
L'altro titolare della salumeria di Corso Magenta, I Matteo's, si è messo in testa di diventare premier.
Per fare questo, prima deve diventare un leader nazionale per tutta la destra.
Per questo motivo se ne era uscito nei mesi scorsi con il solito "GHE PENSI MI".
Ai meridionali (lui usa un altro termine, molto corrente da queste parti) ci penso io ad impormi come capo e guida del centrodestra.
Come il suo socio della premiata ditta "I Matteo's" ha fatto i conti senza l'oste.
Chi gongola questa sera è la Mummia Cinese di Hardcore.
Può tornare a proporre Zaia presidente del Consiglio.
Salvini a Napoli, scontri al corteo di protesta
Pietre, petardi e molotov lanciati contro polizia
Dopo il via libera “forzato” del prefetto al comizio del leader del Carroccio, la manifestazione dei centri
sociali sfocia in pesanti scontri. Sampietrini contro le forze dell’ordine che risponde con gli idranti
Cronaca
Un corteo organizzato contro Matteo Salvini, atteso al Palacongressi di Napoli dopo le proteste di venerdì e il via libera obbligatorio della prefettura. Oltre duemila persone sono scese in strada contro il leader del Carroccio. Il corteo è iniziato pacificamente, poi sono spuntati caschi e passamontagna dietro i quali si sono nascoste decine di persone che hanno iniziato a lanciare oggetti e pietre. Decine di cassonetti rovesciati e segnali stradali divelti da decine di giovani incappucciati, che avevano già lanciato fumogeni e petardi contro le forze dell’ordine
di F. Q.
L'altro titolare della salumeria di Corso Magenta, I Matteo's, si è messo in testa di diventare premier.
Per fare questo, prima deve diventare un leader nazionale per tutta la destra.
Per questo motivo se ne era uscito nei mesi scorsi con il solito "GHE PENSI MI".
Ai meridionali (lui usa un altro termine, molto corrente da queste parti) ci penso io ad impormi come capo e guida del centrodestra.
Come il suo socio della premiata ditta "I Matteo's" ha fatto i conti senza l'oste.
Chi gongola questa sera è la Mummia Cinese di Hardcore.
Può tornare a proporre Zaia presidente del Consiglio.
Salvini a Napoli, scontri al corteo di protesta
Pietre, petardi e molotov lanciati contro polizia
Dopo il via libera “forzato” del prefetto al comizio del leader del Carroccio, la manifestazione dei centri
sociali sfocia in pesanti scontri. Sampietrini contro le forze dell’ordine che risponde con gli idranti
Cronaca
Un corteo organizzato contro Matteo Salvini, atteso al Palacongressi di Napoli dopo le proteste di venerdì e il via libera obbligatorio della prefettura. Oltre duemila persone sono scese in strada contro il leader del Carroccio. Il corteo è iniziato pacificamente, poi sono spuntati caschi e passamontagna dietro i quali si sono nascoste decine di persone che hanno iniziato a lanciare oggetti e pietre. Decine di cassonetti rovesciati e segnali stradali divelti da decine di giovani incappucciati, che avevano già lanciato fumogeni e petardi contro le forze dell’ordine
di F. Q.
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Re: Diario della caduta di un regime.
TROMBE E TROMBONI
NELL’ITALIA ALLO SFASCIO TOTALE FANNO A GARA CHI DICE PIU’ CAZZATE CREDIBILI
A DETTA DI CHI CONSUMA UN PRANZO GIRANDO NELL’INTERLAND PER LAVORO, LA PREOCCUPAZIONE MAGGIORE DEGLI ITALIOTI E’ TROVARE UN POSTO DOVE TRASCORRERE LE VACANZE DI PASQUA, QUANDO ANCORA MANCANO 40 GIORNI.
PER FORZA CHE UNA CLASSE DIRIGENTE DI BASSISSIMO LIVELLO, CHE AL MASSIMO PUO’ GOVERNARE UNA STALLA, SI PUO’ PERMETTERE DI SPARARE CAZZATE IN CONTINUAZIONE.
Berlusconi chiama gli alleati: "Meno Europa e nuova lira"
Silvio Berlusconi lancia a Milano il programma comune per riunire il centrodestra: "Meno Europa, meno austerità e una seconda moneta"
Chiara Sarra - Sab, 11/03/2017 - 18:48
commenta
Il centrodestra tornerà unito. Ne è sicuro Silvio Berlusconi che è intervenuto oggi alla manifestazione "Primavera Azzurra" organizzata dai giovani di Forza Italia della Lombardia.
"Con Salvini non c'è nessuna concorrenza", ha detto il Cavaliere, "Abbiamo un programma comune che è stato approvato integralmente". Tranne che per "il fatto dell'euro". Ma, assicura, "ci incontreremo credo fra una decina di giorni". "Intanto manderemo avanti un tavolo per approfondire i punti del nostro programma che comunque sia Salvini che la Meloni hanno approvato quando l'ho presentato. Che il centrodestra non sia unito sarebbe da irresponsabili anche perché abbiamo il dovere di vincere le elezioni e di governare questo Paese perché le altre forze sono assolutamente inadatte a farlo".
Il programma gira attorno a vari cardini, tra cui la sua visione dell'Unione Europea e dell'euro. Per Berlusconi deve esserci "meno Europa": "Serve una seconda moneta nazionale (una sorta di nuova lira, ndr), no al bail in per le banche, no alle politiche di austerità che ci hanno affossato e sono frutto delle burocrazie europee".
Da corso Como a Milano Berlusconi non ha rinunciato ad attaccare gli avversari. A partire dai Cinque Stelle, "un movimento fatto di sottoposti a un dittatore, di incapaci, di pauperisti e giustizialisti". "Oggi loro sono il primo partito, sono al 30%: e nulla ferma questa ascesa", ha ammesso il leader di Forza Italia, "Aumenta la povertà, aumentano i voti ai 5 Stelle. Ma il Pd non è più in grado di fermarli, restiamo solo noi. Per evitare questo dramma della povertà dobbiamo vincere noi e tornare a governare io Paese".
NELL’ITALIA ALLO SFASCIO TOTALE FANNO A GARA CHI DICE PIU’ CAZZATE CREDIBILI
A DETTA DI CHI CONSUMA UN PRANZO GIRANDO NELL’INTERLAND PER LAVORO, LA PREOCCUPAZIONE MAGGIORE DEGLI ITALIOTI E’ TROVARE UN POSTO DOVE TRASCORRERE LE VACANZE DI PASQUA, QUANDO ANCORA MANCANO 40 GIORNI.
PER FORZA CHE UNA CLASSE DIRIGENTE DI BASSISSIMO LIVELLO, CHE AL MASSIMO PUO’ GOVERNARE UNA STALLA, SI PUO’ PERMETTERE DI SPARARE CAZZATE IN CONTINUAZIONE.
Berlusconi chiama gli alleati: "Meno Europa e nuova lira"
Silvio Berlusconi lancia a Milano il programma comune per riunire il centrodestra: "Meno Europa, meno austerità e una seconda moneta"
Chiara Sarra - Sab, 11/03/2017 - 18:48
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Il centrodestra tornerà unito. Ne è sicuro Silvio Berlusconi che è intervenuto oggi alla manifestazione "Primavera Azzurra" organizzata dai giovani di Forza Italia della Lombardia.
"Con Salvini non c'è nessuna concorrenza", ha detto il Cavaliere, "Abbiamo un programma comune che è stato approvato integralmente". Tranne che per "il fatto dell'euro". Ma, assicura, "ci incontreremo credo fra una decina di giorni". "Intanto manderemo avanti un tavolo per approfondire i punti del nostro programma che comunque sia Salvini che la Meloni hanno approvato quando l'ho presentato. Che il centrodestra non sia unito sarebbe da irresponsabili anche perché abbiamo il dovere di vincere le elezioni e di governare questo Paese perché le altre forze sono assolutamente inadatte a farlo".
Il programma gira attorno a vari cardini, tra cui la sua visione dell'Unione Europea e dell'euro. Per Berlusconi deve esserci "meno Europa": "Serve una seconda moneta nazionale (una sorta di nuova lira, ndr), no al bail in per le banche, no alle politiche di austerità che ci hanno affossato e sono frutto delle burocrazie europee".
Da corso Como a Milano Berlusconi non ha rinunciato ad attaccare gli avversari. A partire dai Cinque Stelle, "un movimento fatto di sottoposti a un dittatore, di incapaci, di pauperisti e giustizialisti". "Oggi loro sono il primo partito, sono al 30%: e nulla ferma questa ascesa", ha ammesso il leader di Forza Italia, "Aumenta la povertà, aumentano i voti ai 5 Stelle. Ma il Pd non è più in grado di fermarli, restiamo solo noi. Per evitare questo dramma della povertà dobbiamo vincere noi e tornare a governare io Paese".
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA STORIA SI RIPETE???.......PURTROPPO SI’.
GLI ITALIANI SONO, VOLUTAMENTE, DEBOLI DI MEMORIA.
NON RICORDANO COSA SUCCEDEVA QUASI CENT’ANNI FA NELLA MILANO DEI FASCI, DOVE PRIMEGGIAVA UN CERTO BENITO MUSSOLINI.
IL SITO DEGLI STRUMPTRUPPEN, IN RETE, PUBBLICAVA 12 ORE FA:
12 ore fa
2353
• 2323
• 2
• 28
"De Magistris complice
degli scontri per strada"
Luca Romano
OGGI, COME CENT’ANNI FA COMBINAVANO PUTTANATE E POI DAVANO LA COLPA AGLI ALTRI.
E’ IL TIPICO COMPORTAMENTO, IN TEMPI NON SOSPETTI, CHE TENGONO I BAMBINI.
SE LO FANNO DA ADULTI, PUO’ SIGNIFICARE SOLO CHE SONO CRESCIUTI NEL CORPO, MA CHE IL CERVELLO SI E’ FERMATO ALL’INFANZIA.
I CAMERATI STRUMPTRUPPEN DANNO LA COLPA A DE MAGISTRIS PER QUANTO ACCADUTO IERI A NAPOLI, MA SI DIMENTICANO QUELLO CHE CANTAVA IL SALUMIERE DI CORSO MAGENTA NON MOLTO TEMPO FA.
Da Liberoquotidiano:
Raduno di Pontida 2009
Quando Salvini cantava: "Senti che puzza scappano anche i cani..."
Dice che "sul Sud la Lega ha sbagliato", Matteo Salvini. E che "l'Italia ce la fa solo se anche il Sud ce la fa". Di sicuro un'inversione di marcia a 180 gradi, la sua. Almeno a guardare il video ripreso a uno dei raduni padani di Pontida, quello del 13 giugno 2009. Un bicchiere di birra in mano, l'allora deputato ed europarlamentare, ora segretario della Lega, lancia un ritornello: "Senti che puzza,scappano anche i cani. Sono arrivati i napoletani..."
Video:
http://tv.liberoquotidiano.it/video/117 ... Senti.html
02 Dicembre 2014
SE UNO E’ PIRLA, PIRLA, NON C’E’ PIU’ NIENTE DA FARE.
GLI ITALIANI SONO, VOLUTAMENTE, DEBOLI DI MEMORIA.
NON RICORDANO COSA SUCCEDEVA QUASI CENT’ANNI FA NELLA MILANO DEI FASCI, DOVE PRIMEGGIAVA UN CERTO BENITO MUSSOLINI.
IL SITO DEGLI STRUMPTRUPPEN, IN RETE, PUBBLICAVA 12 ORE FA:
12 ore fa
2353
• 2323
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"De Magistris complice
degli scontri per strada"
Luca Romano
OGGI, COME CENT’ANNI FA COMBINAVANO PUTTANATE E POI DAVANO LA COLPA AGLI ALTRI.
E’ IL TIPICO COMPORTAMENTO, IN TEMPI NON SOSPETTI, CHE TENGONO I BAMBINI.
SE LO FANNO DA ADULTI, PUO’ SIGNIFICARE SOLO CHE SONO CRESCIUTI NEL CORPO, MA CHE IL CERVELLO SI E’ FERMATO ALL’INFANZIA.
I CAMERATI STRUMPTRUPPEN DANNO LA COLPA A DE MAGISTRIS PER QUANTO ACCADUTO IERI A NAPOLI, MA SI DIMENTICANO QUELLO CHE CANTAVA IL SALUMIERE DI CORSO MAGENTA NON MOLTO TEMPO FA.
Da Liberoquotidiano:
Raduno di Pontida 2009
Quando Salvini cantava: "Senti che puzza scappano anche i cani..."
Dice che "sul Sud la Lega ha sbagliato", Matteo Salvini. E che "l'Italia ce la fa solo se anche il Sud ce la fa". Di sicuro un'inversione di marcia a 180 gradi, la sua. Almeno a guardare il video ripreso a uno dei raduni padani di Pontida, quello del 13 giugno 2009. Un bicchiere di birra in mano, l'allora deputato ed europarlamentare, ora segretario della Lega, lancia un ritornello: "Senti che puzza,scappano anche i cani. Sono arrivati i napoletani..."
Video:
http://tv.liberoquotidiano.it/video/117 ... Senti.html
02 Dicembre 2014
SE UNO E’ PIRLA, PIRLA, NON C’E’ PIU’ NIENTE DA FARE.
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Re: Diario della caduta di un regime.
UNO SGUARDO AL PASSATO PER CAPIRE L'OGGI
12 mar 2017 12:24
1. INGE FELTRINELLI: “GIANGIACOMO SAPEVA DI GLADIO E FU UCCISO. COME PASOLINI”
2. “ERA UN UOMO SCOMODO. TROPPO SCOMODO, TROPPO LIBERO, TROPPO RICCO; TROPPO TUTTO. ERA TENUTO D’OCCHIO DA CINQUE SERVIZI SEGRETI, INCLUSI MOSSAD E CIA. E OVVIAMENTE QUELLI ITALIANI. FORSE SONO STATI LORO. LUI SAPEVA DI GLADIO E DEI LORO DEPOSITI DI ESPLOSIVI. PER DIFENDERSI DA GLADIO FONDÒ I GAP, RECLUTANDO EX PARTIGIANI E GIOVANI RIVOLUZIONARI. TEMEVA UN GOLPE DI DESTRA; E NON ERA UNA PAURA IMMAGINARIA”
3. IL CORTEGGIAMENTO DI HEMINGWAY E DI PICASSO, JOHN KENNEDY, CHE TENTAVA DI SPENNARE VECCHIE RICCHE, BILLY WILDER NEGLI ANNI 20 FACEVA IL GIGOLO ALL’HOTEL ADLON DI BERLINO BALLANDO CON CARAMPANE, LE GARE DI BARZELLETTE TRA GARCIA MARQUEZ E FIDEL CASTRO
Aldo Cazzullo per Corriere.it
Inge Feltrinelli, lei aveva due anni e mezzo quando Hitler prese il potere. Cosa ricorda del nazismo?
«L’odore del legno bruciato nella notte dei cristalli. Mio padre, Siegfrid Schönthal, era ebreo. Dovette fuggire in America. Per fortuna fui protetta dal nuovo compagno di mia madre, Otto, un ufficiale di cavalleria che rischiò la carriera per salvarmi».
Inge che nome è?
«Sta per Ingeborg. In svedese: amata».
E la guerra?
«Göttingen, la città universitaria dove vivevo, fu risparmiata dalle bombe. Ma la miseria era assoluta. Partii in bicicletta per Amburgo, la capitale dell’editoria. Conobbi Axel Springer. Ricordo un reportage dalla Spagna franchista: fame, donne velate di nero, poliziotti».
Nel ’53 andò a Cuba da Hemingway.
«Fu un viaggio avventuroso: non avevo un soldo. Partii da New York per Miami in autostop. Ma il volo per l’Avana costava 30 dollari: troppo. Un tassista ubriaco mi portò a Key West, guidando a zig-zag tra gli isolotti e l’oceano. Con 7 dollari atterrai a Cuba. I bambini morivano per strada, come a Calcutta. Un giorno Hemingway gettò per terra le monete dell’elemosina: lo rimproverai, litigammo».
Lui la corteggiò?
«Un po’; ma io ero una brava ragazza tedesca, e non mi lasciai andare. Divenni amica della moglie, passai con loro due settimane. Ogni giorno uscivamo in barca con un esule delle Baleari, Gregorio Fuentes, il pescatore del Vecchio e il Mare. Ma non pescavamo quasi mai niente: il marlin che si vede nel nostro celebre autoscatto era vecchio di tre giorni. Poi andavamo alla Floridita, dove in onore di Hemingway facevano il Daiquiri doble a la Papa: praticamente un’insalatiera. A tavola però beveva solo Valpolicella, l’aveva scoperto sul fronte italiano della Grande Guerra. Un mattino lo trovai sveglio ad ascoltare la radio: era il 5 marzo 1953. Mi disse grave: “Stalin is dead”».
Stalin è morto.
«Ernest ne fu sconvolto».
E Picasso come fu?
«Galante, anche lui; ma io sempre brava ragazza tedesca. Era un piccolo diavolo affascinante e misterioso, un toro dagli occhi magnetici. Viveva in una villa vicino a Cannes, La Californie, in un disordine spaventoso, accudito dalla sua compagna Jaqueline, che gli era devotissima. Dopo la sua morte si suicidò».
Chagall?
«Un angelo. Un vecchio ebreo russo pieno di charme. Pareva un violinista dei suoi quadri».
Simone de Beauvoir?
«Per me era come la Madonna: avevo adorato Il secondo sesso. Aveva le unghie laccate di rosso, mi parlò con entusiasmo della Cina di Mao da cui era appena rientrata».
Leonor Fini?
«Amava le donne ma abitava con tre gay. Bellissimi».
A New York lei aveva fotografato anche John Kennedy, allora senatore.
«Mi imbucai a un party. Uomo straordinariamente sexy, passava di tavolo in tavolo per chiedere finanziamenti ad anziane signore. Lo fotografai mentre tentava di spennare Elizabeth Arden, coperta da un chilo di diamanti».
Anche il ritratto di Churchill è «rubato» .
«E anche lui era andato a chiedere soldi, al banchiere ebreo Bernard Baruch, che abitava sulla Quinta Strada. Tecnicamente ero maldestra; però sapevo cogliere quello che Cartier-Bresson chiama “il momento decisivo”. Come quando fotografai Greta Garbo che starnutiva al semaforo. Vendetti l’immagine a Life per 50 dollari, mi mantenni a New York per un mese».
Ritrasse Billy Wilder con un elmo prussiano in testa.
«Fu una sua trovata autoironica. Mi raccontò di quando negli anni 20 faceva il gigolo all’hotel Adlon di Berlino, ballando con le signore ricche».
Nel 1958 l’incontro con Giangiacomo Feltrinelli.
«Mi invitarono a una festa in suo onore ad Amburgo. Era il 14 luglio. Lo trovai solo, annoiato. Parlammo per tutta la notte su una panchina davanti al lago. Era diretto al Polo Nord, avrebbe dormito in tenda. Lo presi in giro perché si mangiava le unghie. Giorni dopo ricevetti una sua cartolina dalla Scandinavia. Diceva, in tedesco: “Ho le unghie lunghe come Pierino Porcospino”».
Com’era Giangiacomo?
«Dolce, colto, a volte aggressivo per vincere la timidezza. Solitario: era cresciuto con i precettori e la servitù. I custodi della villa dell’Argentario l’avevano fatto diventare comunista».
Insieme andaste da Castro.
«Volevamo pubblicare le sue memorie. I bambini cubani ora erano calzati e vestiti. Ci diedero una casa meravigliosa, piena di bottiglie di Chateau Rothschild, ma Giangiacomo si rifiutò di berle. Aspettammo Fidel per una settimana. Quando finalmente convinsi mio marito ad andare al mare, lui arrivò. Giangiacomo mi voleva ammazzare».
Che impressione vi fece?
«Carismatico, voce stridula, ideologicamente un po’ confuso. Sulla terrazza teneva le galline e un canestro per giocare a basket, con Giangiacomo fecero qualche tiro. Ci rimproverò perché avevamo ospitato Virginio Piñera e altri intellettuali cubani omosessuali, e noi gli tenemmo testa. Alla fine il libro non uscì, Castro non trovò il tempo di finirlo. Abbiamo ancora un suo manoscritto».
Lo pubblicherete?
«No. È noiosetto».
In Italia come fu accolta?
«Gli scrittori erano tutti antitedeschi. Mi adottarono Vittorini e sua moglie, Ginetta: un vulcano, una Anna Magnani bionda, che preparava una cassoeula eccezionale. A casa Vittorini conobbi Montale, silenzioso e gentilissimo, e la Duras».
Poi Giangiacomo cominciò a preparare la rivoluzione.
«Aveva capito che non avrebbe cambiato il mondo con i libri, o l’avrebbe cambiato troppo lentamente. Tentai di fermarlo. Lui mi lasciò. Nel mio diario scrissi: “He’s lost”, è perduto».
Che idea si è fatta della sua morte?
«Certo non è stato un incidente».
Fu ucciso?
«Sì».
Da chi?
Fu un delitto politico, quindi?
«Non lo so. Era un uomo scomodo. Troppo scomodo, troppo libero, troppo ricco; troppo tutto. Era tenuto d’occhio da cinque servizi segreti, inclusi Mossad e Cia. E ovviamente quelli italiani. Forse sono stati loro. Lui sapeva di Gladio e dei loro depositi di esplosivi. Per difendersi da Gladio fondò i Gap, reclutando ex partigiani e giovani rivoluzionari. Temeva un golpe di destra; e non era una paura immaginaria».
«Certo. I giornali pubblicarono la foto del cadavere di uno sconosciuto: lo riconobbi subito. Tra i poliziotti lo riconobbe il commissario Calabresi. Venne qui a casa alle sei del mattino, a interrogare il portiere. Solo dopo mi portarono all’obitorio. È uno dei tanti misteri italiani irrisolti. Come la morte del nostro amico Pasolini. Anche lui un uomo scomodo».
Anche l’assassinio di Pasolini fu un delitto politico?
«Secondo me sì. Certo Pelosi non era solo».
Lei salvò la casa editrice.
«Mi aiutò Roberto Olivetti: nel weekend arrivava da Ivrea a controllare i conti. E poi avevamo collaboratori fantastici. Stipendio uguale per tutti, dai capi ai fattorini. Fummo i primi in Europa dopo gli spagnoli a pubblicare Cent’anni di solitudine, e ne vendemmo 300 mila copie».
Com’era Garcia Marquez?
«Un piccolo colombiano di commovente sensibilità. Prima frequentava solo alberghetti di quarta categoria; il successo lo cambiò. Lo incontrai a Cuba con Castro: si occupava di cinema e viveva come un tycoon hollywoodiano, tra lampade Tiffany e telefoni bianchi; il trionfo del kitsch. Tra Gabo e Fidel c’era competizione. Castro lo ammirava: grazie a lui scoprì la letteratura, prima non aveva letto nulla. Garcia Marquez lo pativa. Si sfidavano in gare di barzellette. Una provocazione continua».
Lei è stata amica di Günter Grass. Cos’ha provato quando ha scoperto la sua giovinezza hitleriana?
«Sono stata molto delusa. Ma non rinnego l’amicizia».
Allen Ginsberg?
«Venne a trovarci a Villadeati, nel Monferrato. Aveva un volto orribile ma un corpo stupendo, non a caso girava sempre nudo. La moglie di Edoardo Sanguineti ne era scandalizzata: “Ci sono i bambini!”».
Nadine Gordimer, Doris Lessing?
«Siamo state molto vicine. Come con Vasquez Montalban, che mi portava a pranzo al mercato della Boqueria o nelle taverne di Barcellona. Ora sono tutti morti. Tra i Nobel è rimasta solo Hertha Müller: ci telefoniamo ogni settimana per commentare l’attualità».
Cosa pensa della Merkel?
«Tipico prodotto tedesco, anzi della Ddr: solida, antipatica; poco charme, poca comunicativa. Ma è la donna più importante del mondo, e fa bene a tener testa a Erdogan, che non può permettersi di dire che i tedeschi sono rimasti nazisti; questo è uno slogan razzista turco. Spero però che le elezioni le vinca Schulz».
Voterà alle primarie del Pd?
«Sì. Per Renzi. Ha commesso errori, ma ha portato una ventata di energia».
E Grillo?
«Un pazzo simpatico e imprevedibile: per questo mi piace. Però rimasi male quando venne all’inaugurazione della Feltrinelli di Genova e invitò la gente a rubare i libri».
Come vede il futuro dell’Italia?
«Con grandi potenzialità. I giovani sono straordinari: vedo come partecipano alla vita della nostra Fondazione. Sono entusiasta del progetto di Viale Pasubio: 13 chilometri di libri! È uno dei simboli della nuova Milano, che può trainare la rinascita del Paese».
12 mar 2017 12:24
1. INGE FELTRINELLI: “GIANGIACOMO SAPEVA DI GLADIO E FU UCCISO. COME PASOLINI”
2. “ERA UN UOMO SCOMODO. TROPPO SCOMODO, TROPPO LIBERO, TROPPO RICCO; TROPPO TUTTO. ERA TENUTO D’OCCHIO DA CINQUE SERVIZI SEGRETI, INCLUSI MOSSAD E CIA. E OVVIAMENTE QUELLI ITALIANI. FORSE SONO STATI LORO. LUI SAPEVA DI GLADIO E DEI LORO DEPOSITI DI ESPLOSIVI. PER DIFENDERSI DA GLADIO FONDÒ I GAP, RECLUTANDO EX PARTIGIANI E GIOVANI RIVOLUZIONARI. TEMEVA UN GOLPE DI DESTRA; E NON ERA UNA PAURA IMMAGINARIA”
3. IL CORTEGGIAMENTO DI HEMINGWAY E DI PICASSO, JOHN KENNEDY, CHE TENTAVA DI SPENNARE VECCHIE RICCHE, BILLY WILDER NEGLI ANNI 20 FACEVA IL GIGOLO ALL’HOTEL ADLON DI BERLINO BALLANDO CON CARAMPANE, LE GARE DI BARZELLETTE TRA GARCIA MARQUEZ E FIDEL CASTRO
Aldo Cazzullo per Corriere.it
Inge Feltrinelli, lei aveva due anni e mezzo quando Hitler prese il potere. Cosa ricorda del nazismo?
«L’odore del legno bruciato nella notte dei cristalli. Mio padre, Siegfrid Schönthal, era ebreo. Dovette fuggire in America. Per fortuna fui protetta dal nuovo compagno di mia madre, Otto, un ufficiale di cavalleria che rischiò la carriera per salvarmi».
Inge che nome è?
«Sta per Ingeborg. In svedese: amata».
E la guerra?
«Göttingen, la città universitaria dove vivevo, fu risparmiata dalle bombe. Ma la miseria era assoluta. Partii in bicicletta per Amburgo, la capitale dell’editoria. Conobbi Axel Springer. Ricordo un reportage dalla Spagna franchista: fame, donne velate di nero, poliziotti».
Nel ’53 andò a Cuba da Hemingway.
«Fu un viaggio avventuroso: non avevo un soldo. Partii da New York per Miami in autostop. Ma il volo per l’Avana costava 30 dollari: troppo. Un tassista ubriaco mi portò a Key West, guidando a zig-zag tra gli isolotti e l’oceano. Con 7 dollari atterrai a Cuba. I bambini morivano per strada, come a Calcutta. Un giorno Hemingway gettò per terra le monete dell’elemosina: lo rimproverai, litigammo».
Lui la corteggiò?
«Un po’; ma io ero una brava ragazza tedesca, e non mi lasciai andare. Divenni amica della moglie, passai con loro due settimane. Ogni giorno uscivamo in barca con un esule delle Baleari, Gregorio Fuentes, il pescatore del Vecchio e il Mare. Ma non pescavamo quasi mai niente: il marlin che si vede nel nostro celebre autoscatto era vecchio di tre giorni. Poi andavamo alla Floridita, dove in onore di Hemingway facevano il Daiquiri doble a la Papa: praticamente un’insalatiera. A tavola però beveva solo Valpolicella, l’aveva scoperto sul fronte italiano della Grande Guerra. Un mattino lo trovai sveglio ad ascoltare la radio: era il 5 marzo 1953. Mi disse grave: “Stalin is dead”».
Stalin è morto.
«Ernest ne fu sconvolto».
E Picasso come fu?
«Galante, anche lui; ma io sempre brava ragazza tedesca. Era un piccolo diavolo affascinante e misterioso, un toro dagli occhi magnetici. Viveva in una villa vicino a Cannes, La Californie, in un disordine spaventoso, accudito dalla sua compagna Jaqueline, che gli era devotissima. Dopo la sua morte si suicidò».
Chagall?
«Un angelo. Un vecchio ebreo russo pieno di charme. Pareva un violinista dei suoi quadri».
Simone de Beauvoir?
«Per me era come la Madonna: avevo adorato Il secondo sesso. Aveva le unghie laccate di rosso, mi parlò con entusiasmo della Cina di Mao da cui era appena rientrata».
Leonor Fini?
«Amava le donne ma abitava con tre gay. Bellissimi».
A New York lei aveva fotografato anche John Kennedy, allora senatore.
«Mi imbucai a un party. Uomo straordinariamente sexy, passava di tavolo in tavolo per chiedere finanziamenti ad anziane signore. Lo fotografai mentre tentava di spennare Elizabeth Arden, coperta da un chilo di diamanti».
Anche il ritratto di Churchill è «rubato» .
«E anche lui era andato a chiedere soldi, al banchiere ebreo Bernard Baruch, che abitava sulla Quinta Strada. Tecnicamente ero maldestra; però sapevo cogliere quello che Cartier-Bresson chiama “il momento decisivo”. Come quando fotografai Greta Garbo che starnutiva al semaforo. Vendetti l’immagine a Life per 50 dollari, mi mantenni a New York per un mese».
Ritrasse Billy Wilder con un elmo prussiano in testa.
«Fu una sua trovata autoironica. Mi raccontò di quando negli anni 20 faceva il gigolo all’hotel Adlon di Berlino, ballando con le signore ricche».
Nel 1958 l’incontro con Giangiacomo Feltrinelli.
«Mi invitarono a una festa in suo onore ad Amburgo. Era il 14 luglio. Lo trovai solo, annoiato. Parlammo per tutta la notte su una panchina davanti al lago. Era diretto al Polo Nord, avrebbe dormito in tenda. Lo presi in giro perché si mangiava le unghie. Giorni dopo ricevetti una sua cartolina dalla Scandinavia. Diceva, in tedesco: “Ho le unghie lunghe come Pierino Porcospino”».
Com’era Giangiacomo?
«Dolce, colto, a volte aggressivo per vincere la timidezza. Solitario: era cresciuto con i precettori e la servitù. I custodi della villa dell’Argentario l’avevano fatto diventare comunista».
Insieme andaste da Castro.
«Volevamo pubblicare le sue memorie. I bambini cubani ora erano calzati e vestiti. Ci diedero una casa meravigliosa, piena di bottiglie di Chateau Rothschild, ma Giangiacomo si rifiutò di berle. Aspettammo Fidel per una settimana. Quando finalmente convinsi mio marito ad andare al mare, lui arrivò. Giangiacomo mi voleva ammazzare».
Che impressione vi fece?
«Carismatico, voce stridula, ideologicamente un po’ confuso. Sulla terrazza teneva le galline e un canestro per giocare a basket, con Giangiacomo fecero qualche tiro. Ci rimproverò perché avevamo ospitato Virginio Piñera e altri intellettuali cubani omosessuali, e noi gli tenemmo testa. Alla fine il libro non uscì, Castro non trovò il tempo di finirlo. Abbiamo ancora un suo manoscritto».
Lo pubblicherete?
«No. È noiosetto».
In Italia come fu accolta?
«Gli scrittori erano tutti antitedeschi. Mi adottarono Vittorini e sua moglie, Ginetta: un vulcano, una Anna Magnani bionda, che preparava una cassoeula eccezionale. A casa Vittorini conobbi Montale, silenzioso e gentilissimo, e la Duras».
Poi Giangiacomo cominciò a preparare la rivoluzione.
«Aveva capito che non avrebbe cambiato il mondo con i libri, o l’avrebbe cambiato troppo lentamente. Tentai di fermarlo. Lui mi lasciò. Nel mio diario scrissi: “He’s lost”, è perduto».
Che idea si è fatta della sua morte?
«Certo non è stato un incidente».
Fu ucciso?
«Sì».
Da chi?
Fu un delitto politico, quindi?
«Non lo so. Era un uomo scomodo. Troppo scomodo, troppo libero, troppo ricco; troppo tutto. Era tenuto d’occhio da cinque servizi segreti, inclusi Mossad e Cia. E ovviamente quelli italiani. Forse sono stati loro. Lui sapeva di Gladio e dei loro depositi di esplosivi. Per difendersi da Gladio fondò i Gap, reclutando ex partigiani e giovani rivoluzionari. Temeva un golpe di destra; e non era una paura immaginaria».
«Certo. I giornali pubblicarono la foto del cadavere di uno sconosciuto: lo riconobbi subito. Tra i poliziotti lo riconobbe il commissario Calabresi. Venne qui a casa alle sei del mattino, a interrogare il portiere. Solo dopo mi portarono all’obitorio. È uno dei tanti misteri italiani irrisolti. Come la morte del nostro amico Pasolini. Anche lui un uomo scomodo».
Anche l’assassinio di Pasolini fu un delitto politico?
«Secondo me sì. Certo Pelosi non era solo».
Lei salvò la casa editrice.
«Mi aiutò Roberto Olivetti: nel weekend arrivava da Ivrea a controllare i conti. E poi avevamo collaboratori fantastici. Stipendio uguale per tutti, dai capi ai fattorini. Fummo i primi in Europa dopo gli spagnoli a pubblicare Cent’anni di solitudine, e ne vendemmo 300 mila copie».
Com’era Garcia Marquez?
«Un piccolo colombiano di commovente sensibilità. Prima frequentava solo alberghetti di quarta categoria; il successo lo cambiò. Lo incontrai a Cuba con Castro: si occupava di cinema e viveva come un tycoon hollywoodiano, tra lampade Tiffany e telefoni bianchi; il trionfo del kitsch. Tra Gabo e Fidel c’era competizione. Castro lo ammirava: grazie a lui scoprì la letteratura, prima non aveva letto nulla. Garcia Marquez lo pativa. Si sfidavano in gare di barzellette. Una provocazione continua».
Lei è stata amica di Günter Grass. Cos’ha provato quando ha scoperto la sua giovinezza hitleriana?
«Sono stata molto delusa. Ma non rinnego l’amicizia».
Allen Ginsberg?
«Venne a trovarci a Villadeati, nel Monferrato. Aveva un volto orribile ma un corpo stupendo, non a caso girava sempre nudo. La moglie di Edoardo Sanguineti ne era scandalizzata: “Ci sono i bambini!”».
Nadine Gordimer, Doris Lessing?
«Siamo state molto vicine. Come con Vasquez Montalban, che mi portava a pranzo al mercato della Boqueria o nelle taverne di Barcellona. Ora sono tutti morti. Tra i Nobel è rimasta solo Hertha Müller: ci telefoniamo ogni settimana per commentare l’attualità».
Cosa pensa della Merkel?
«Tipico prodotto tedesco, anzi della Ddr: solida, antipatica; poco charme, poca comunicativa. Ma è la donna più importante del mondo, e fa bene a tener testa a Erdogan, che non può permettersi di dire che i tedeschi sono rimasti nazisti; questo è uno slogan razzista turco. Spero però che le elezioni le vinca Schulz».
Voterà alle primarie del Pd?
«Sì. Per Renzi. Ha commesso errori, ma ha portato una ventata di energia».
E Grillo?
«Un pazzo simpatico e imprevedibile: per questo mi piace. Però rimasi male quando venne all’inaugurazione della Feltrinelli di Genova e invitò la gente a rubare i libri».
Come vede il futuro dell’Italia?
«Con grandi potenzialità. I giovani sono straordinari: vedo come partecipano alla vita della nostra Fondazione. Sono entusiasta del progetto di Viale Pasubio: 13 chilometri di libri! È uno dei simboli della nuova Milano, che può trainare la rinascita del Paese».
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Re: Diario della caduta di un regime.
UNO SGUARDO AL PASSATO PER CAPIRE L'OGGI
12 mar 2017 12:24
1. INGE FELTRINELLI: “GIANGIACOMO SAPEVA DI GLADIO E FU UCCISO. COME PASOLINI”
2. “ERA UN UOMO SCOMODO. TROPPO SCOMODO, TROPPO LIBERO, TROPPO RICCO; TROPPO TUTTO. ERA TENUTO D’OCCHIO DA CINQUE SERVIZI SEGRETI, INCLUSI MOSSAD E CIA. E OVVIAMENTE QUELLI ITALIANI. FORSE SONO STATI LORO. LUI SAPEVA DI GLADIO E DEI LORO DEPOSITI DI ESPLOSIVI. PER DIFENDERSI DA GLADIO FONDÒ I GAP, RECLUTANDO EX PARTIGIANI E GIOVANI RIVOLUZIONARI. TEMEVA UN GOLPE DI DESTRA; E NON ERA UNA PAURA IMMAGINARIA”
3. IL CORTEGGIAMENTO DI HEMINGWAY E DI PICASSO, JOHN KENNEDY, CHE TENTAVA DI SPENNARE VECCHIE RICCHE, BILLY WILDER NEGLI ANNI 20 FACEVA IL GIGOLO ALL’HOTEL ADLON DI BERLINO BALLANDO CON CARAMPANE, LE GARE DI BARZELLETTE TRA GARCIA MARQUEZ E FIDEL CASTRO
Aldo Cazzullo per Corriere.it
Inge Feltrinelli, lei aveva due anni e mezzo quando Hitler prese il potere. Cosa ricorda del nazismo?
«L’odore del legno bruciato nella notte dei cristalli. Mio padre, Siegfrid Schönthal, era ebreo. Dovette fuggire in America. Per fortuna fui protetta dal nuovo compagno di mia madre, Otto, un ufficiale di cavalleria che rischiò la carriera per salvarmi».
Inge che nome è?
«Sta per Ingeborg. In svedese: amata».
E la guerra?
«Göttingen, la città universitaria dove vivevo, fu risparmiata dalle bombe. Ma la miseria era assoluta. Partii in bicicletta per Amburgo, la capitale dell’editoria. Conobbi Axel Springer. Ricordo un reportage dalla Spagna franchista: fame, donne velate di nero, poliziotti».
Nel ’53 andò a Cuba da Hemingway.
«Fu un viaggio avventuroso: non avevo un soldo. Partii da New York per Miami in autostop. Ma il volo per l’Avana costava 30 dollari: troppo. Un tassista ubriaco mi portò a Key West, guidando a zig-zag tra gli isolotti e l’oceano. Con 7 dollari atterrai a Cuba. I bambini morivano per strada, come a Calcutta. Un giorno Hemingway gettò per terra le monete dell’elemosina: lo rimproverai, litigammo».
Lui la corteggiò?
«Un po’; ma io ero una brava ragazza tedesca, e non mi lasciai andare. Divenni amica della moglie, passai con loro due settimane. Ogni giorno uscivamo in barca con un esule delle Baleari, Gregorio Fuentes, il pescatore del Vecchio e il Mare. Ma non pescavamo quasi mai niente: il marlin che si vede nel nostro celebre autoscatto era vecchio di tre giorni. Poi andavamo alla Floridita, dove in onore di Hemingway facevano il Daiquiri doble a la Papa: praticamente un’insalatiera. A tavola però beveva solo Valpolicella, l’aveva scoperto sul fronte italiano della Grande Guerra. Un mattino lo trovai sveglio ad ascoltare la radio: era il 5 marzo 1953. Mi disse grave: “Stalin is dead”».
Stalin è morto.
«Ernest ne fu sconvolto».
E Picasso come fu?
«Galante, anche lui; ma io sempre brava ragazza tedesca. Era un piccolo diavolo affascinante e misterioso, un toro dagli occhi magnetici. Viveva in una villa vicino a Cannes, La Californie, in un disordine spaventoso, accudito dalla sua compagna Jaqueline, che gli era devotissima. Dopo la sua morte si suicidò».
Chagall?
«Un angelo. Un vecchio ebreo russo pieno di charme. Pareva un violinista dei suoi quadri».
Simone de Beauvoir?
«Per me era come la Madonna: avevo adorato Il secondo sesso. Aveva le unghie laccate di rosso, mi parlò con entusiasmo della Cina di Mao da cui era appena rientrata».
Leonor Fini?
«Amava le donne ma abitava con tre gay. Bellissimi».
A New York lei aveva fotografato anche John Kennedy, allora senatore.
«Mi imbucai a un party. Uomo straordinariamente sexy, passava di tavolo in tavolo per chiedere finanziamenti ad anziane signore. Lo fotografai mentre tentava di spennare Elizabeth Arden, coperta da un chilo di diamanti».
Anche il ritratto di Churchill è «rubato» .
«E anche lui era andato a chiedere soldi, al banchiere ebreo Bernard Baruch, che abitava sulla Quinta Strada. Tecnicamente ero maldestra; però sapevo cogliere quello che Cartier-Bresson chiama “il momento decisivo”. Come quando fotografai Greta Garbo che starnutiva al semaforo. Vendetti l’immagine a Life per 50 dollari, mi mantenni a New York per un mese».
Ritrasse Billy Wilder con un elmo prussiano in testa.
«Fu una sua trovata autoironica. Mi raccontò di quando negli anni 20 faceva il gigolo all’hotel Adlon di Berlino, ballando con le signore ricche».
Nel 1958 l’incontro con Giangiacomo Feltrinelli.
«Mi invitarono a una festa in suo onore ad Amburgo. Era il 14 luglio. Lo trovai solo, annoiato. Parlammo per tutta la notte su una panchina davanti al lago. Era diretto al Polo Nord, avrebbe dormito in tenda. Lo presi in giro perché si mangiava le unghie. Giorni dopo ricevetti una sua cartolina dalla Scandinavia. Diceva, in tedesco: “Ho le unghie lunghe come Pierino Porcospino”».
Com’era Giangiacomo?
«Dolce, colto, a volte aggressivo per vincere la timidezza. Solitario: era cresciuto con i precettori e la servitù. I custodi della villa dell’Argentario l’avevano fatto diventare comunista».
Insieme andaste da Castro.
«Volevamo pubblicare le sue memorie. I bambini cubani ora erano calzati e vestiti. Ci diedero una casa meravigliosa, piena di bottiglie di Chateau Rothschild, ma Giangiacomo si rifiutò di berle. Aspettammo Fidel per una settimana. Quando finalmente convinsi mio marito ad andare al mare, lui arrivò. Giangiacomo mi voleva ammazzare».
Che impressione vi fece?
«Carismatico, voce stridula, ideologicamente un po’ confuso. Sulla terrazza teneva le galline e un canestro per giocare a basket, con Giangiacomo fecero qualche tiro. Ci rimproverò perché avevamo ospitato Virginio Piñera e altri intellettuali cubani omosessuali, e noi gli tenemmo testa. Alla fine il libro non uscì, Castro non trovò il tempo di finirlo. Abbiamo ancora un suo manoscritto».
Lo pubblicherete?
«No. È noiosetto».
In Italia come fu accolta?
«Gli scrittori erano tutti antitedeschi. Mi adottarono Vittorini e sua moglie, Ginetta: un vulcano, una Anna Magnani bionda, che preparava una cassoeula eccezionale. A casa Vittorini conobbi Montale, silenzioso e gentilissimo, e la Duras».
Poi Giangiacomo cominciò a preparare la rivoluzione.
«Aveva capito che non avrebbe cambiato il mondo con i libri, o l’avrebbe cambiato troppo lentamente. Tentai di fermarlo. Lui mi lasciò. Nel mio diario scrissi: “He’s lost”, è perduto».
Che idea si è fatta della sua morte?
«Certo non è stato un incidente».
Fu ucciso?
«Sì».
Da chi?
«Non lo so. Era un uomo scomodo. Troppo scomodo, troppo libero, troppo ricco; troppo tutto. Era tenuto d’occhio da cinque servizi segreti, inclusi Mossad e Cia. E ovviamente quelli italiani. Forse sono stati loro. Lui sapeva di Gladio e dei loro depositi di esplosivi. Per difendersi da Gladio fondò i Gap, reclutando ex partigiani e giovani rivoluzionari. Temeva un golpe di destra; e non era una paura immaginaria».
Fu un delitto politico, quindi?
«Certo. I giornali pubblicarono la foto del cadavere di uno sconosciuto: lo riconobbi subito. Tra i poliziotti lo riconobbe il commissario Calabresi. Venne qui a casa alle sei del mattino, a interrogare il portiere. Solo dopo mi portarono all’obitorio. È uno dei tanti misteri italiani irrisolti. Come la morte del nostro amico Pasolini. Anche lui un uomo scomodo».
Anche l’assassinio di Pasolini fu un delitto politico?
«Secondo me sì. Certo Pelosi non era solo».
Lei salvò la casa editrice.
«Mi aiutò Roberto Olivetti: nel weekend arrivava da Ivrea a controllare i conti. E poi avevamo collaboratori fantastici. Stipendio uguale per tutti, dai capi ai fattorini. Fummo i primi in Europa dopo gli spagnoli a pubblicare Cent’anni di solitudine, e ne vendemmo 300 mila copie».
Com’era Garcia Marquez?
«Un piccolo colombiano di commovente sensibilità. Prima frequentava solo alberghetti di quarta categoria; il successo lo cambiò. Lo incontrai a Cuba con Castro: si occupava di cinema e viveva come un tycoon hollywoodiano, tra lampade Tiffany e telefoni bianchi; il trionfo del kitsch. Tra Gabo e Fidel c’era competizione. Castro lo ammirava: grazie a lui scoprì la letteratura, prima non aveva letto nulla. Garcia Marquez lo pativa. Si sfidavano in gare di barzellette. Una provocazione continua».
Lei è stata amica di Günter Grass. Cos’ha provato quando ha scoperto la sua giovinezza hitleriana?
«Sono stata molto delusa. Ma non rinnego l’amicizia».
Allen Ginsberg?
«Venne a trovarci a Villadeati, nel Monferrato. Aveva un volto orribile ma un corpo stupendo, non a caso girava sempre nudo. La moglie di Edoardo Sanguineti ne era scandalizzata: “Ci sono i bambini!”».
Nadine Gordimer, Doris Lessing?
«Siamo state molto vicine. Come con Vasquez Montalban, che mi portava a pranzo al mercato della Boqueria o nelle taverne di Barcellona. Ora sono tutti morti. Tra i Nobel è rimasta solo Hertha Müller: ci telefoniamo ogni settimana per commentare l’attualità».
Cosa pensa della Merkel?
«Tipico prodotto tedesco, anzi della Ddr: solida, antipatica; poco charme, poca comunicativa. Ma è la donna più importante del mondo, e fa bene a tener testa a Erdogan, che non può permettersi di dire che i tedeschi sono rimasti nazisti; questo è uno slogan razzista turco. Spero però che le elezioni le vinca Schulz».
Voterà alle primarie del Pd?
«Sì. Per Renzi. Ha commesso errori, ma ha portato una ventata di energia».
E Grillo?
«Un pazzo simpatico e imprevedibile: per questo mi piace. Però rimasi male quando venne all’inaugurazione della Feltrinelli di Genova e invitò la gente a rubare i libri».
Come vede il futuro dell’Italia?
«Con grandi potenzialità. I giovani sono straordinari: vedo come partecipano alla vita della nostra Fondazione. Sono entusiasta del progetto di Viale Pasubio: 13 chilometri di libri! È uno dei simboli della nuova Milano, che può trainare la rinascita del Paese».
12 mar 2017 12:24
1. INGE FELTRINELLI: “GIANGIACOMO SAPEVA DI GLADIO E FU UCCISO. COME PASOLINI”
2. “ERA UN UOMO SCOMODO. TROPPO SCOMODO, TROPPO LIBERO, TROPPO RICCO; TROPPO TUTTO. ERA TENUTO D’OCCHIO DA CINQUE SERVIZI SEGRETI, INCLUSI MOSSAD E CIA. E OVVIAMENTE QUELLI ITALIANI. FORSE SONO STATI LORO. LUI SAPEVA DI GLADIO E DEI LORO DEPOSITI DI ESPLOSIVI. PER DIFENDERSI DA GLADIO FONDÒ I GAP, RECLUTANDO EX PARTIGIANI E GIOVANI RIVOLUZIONARI. TEMEVA UN GOLPE DI DESTRA; E NON ERA UNA PAURA IMMAGINARIA”
3. IL CORTEGGIAMENTO DI HEMINGWAY E DI PICASSO, JOHN KENNEDY, CHE TENTAVA DI SPENNARE VECCHIE RICCHE, BILLY WILDER NEGLI ANNI 20 FACEVA IL GIGOLO ALL’HOTEL ADLON DI BERLINO BALLANDO CON CARAMPANE, LE GARE DI BARZELLETTE TRA GARCIA MARQUEZ E FIDEL CASTRO
Aldo Cazzullo per Corriere.it
Inge Feltrinelli, lei aveva due anni e mezzo quando Hitler prese il potere. Cosa ricorda del nazismo?
«L’odore del legno bruciato nella notte dei cristalli. Mio padre, Siegfrid Schönthal, era ebreo. Dovette fuggire in America. Per fortuna fui protetta dal nuovo compagno di mia madre, Otto, un ufficiale di cavalleria che rischiò la carriera per salvarmi».
Inge che nome è?
«Sta per Ingeborg. In svedese: amata».
E la guerra?
«Göttingen, la città universitaria dove vivevo, fu risparmiata dalle bombe. Ma la miseria era assoluta. Partii in bicicletta per Amburgo, la capitale dell’editoria. Conobbi Axel Springer. Ricordo un reportage dalla Spagna franchista: fame, donne velate di nero, poliziotti».
Nel ’53 andò a Cuba da Hemingway.
«Fu un viaggio avventuroso: non avevo un soldo. Partii da New York per Miami in autostop. Ma il volo per l’Avana costava 30 dollari: troppo. Un tassista ubriaco mi portò a Key West, guidando a zig-zag tra gli isolotti e l’oceano. Con 7 dollari atterrai a Cuba. I bambini morivano per strada, come a Calcutta. Un giorno Hemingway gettò per terra le monete dell’elemosina: lo rimproverai, litigammo».
Lui la corteggiò?
«Un po’; ma io ero una brava ragazza tedesca, e non mi lasciai andare. Divenni amica della moglie, passai con loro due settimane. Ogni giorno uscivamo in barca con un esule delle Baleari, Gregorio Fuentes, il pescatore del Vecchio e il Mare. Ma non pescavamo quasi mai niente: il marlin che si vede nel nostro celebre autoscatto era vecchio di tre giorni. Poi andavamo alla Floridita, dove in onore di Hemingway facevano il Daiquiri doble a la Papa: praticamente un’insalatiera. A tavola però beveva solo Valpolicella, l’aveva scoperto sul fronte italiano della Grande Guerra. Un mattino lo trovai sveglio ad ascoltare la radio: era il 5 marzo 1953. Mi disse grave: “Stalin is dead”».
Stalin è morto.
«Ernest ne fu sconvolto».
E Picasso come fu?
«Galante, anche lui; ma io sempre brava ragazza tedesca. Era un piccolo diavolo affascinante e misterioso, un toro dagli occhi magnetici. Viveva in una villa vicino a Cannes, La Californie, in un disordine spaventoso, accudito dalla sua compagna Jaqueline, che gli era devotissima. Dopo la sua morte si suicidò».
Chagall?
«Un angelo. Un vecchio ebreo russo pieno di charme. Pareva un violinista dei suoi quadri».
Simone de Beauvoir?
«Per me era come la Madonna: avevo adorato Il secondo sesso. Aveva le unghie laccate di rosso, mi parlò con entusiasmo della Cina di Mao da cui era appena rientrata».
Leonor Fini?
«Amava le donne ma abitava con tre gay. Bellissimi».
A New York lei aveva fotografato anche John Kennedy, allora senatore.
«Mi imbucai a un party. Uomo straordinariamente sexy, passava di tavolo in tavolo per chiedere finanziamenti ad anziane signore. Lo fotografai mentre tentava di spennare Elizabeth Arden, coperta da un chilo di diamanti».
Anche il ritratto di Churchill è «rubato» .
«E anche lui era andato a chiedere soldi, al banchiere ebreo Bernard Baruch, che abitava sulla Quinta Strada. Tecnicamente ero maldestra; però sapevo cogliere quello che Cartier-Bresson chiama “il momento decisivo”. Come quando fotografai Greta Garbo che starnutiva al semaforo. Vendetti l’immagine a Life per 50 dollari, mi mantenni a New York per un mese».
Ritrasse Billy Wilder con un elmo prussiano in testa.
«Fu una sua trovata autoironica. Mi raccontò di quando negli anni 20 faceva il gigolo all’hotel Adlon di Berlino, ballando con le signore ricche».
Nel 1958 l’incontro con Giangiacomo Feltrinelli.
«Mi invitarono a una festa in suo onore ad Amburgo. Era il 14 luglio. Lo trovai solo, annoiato. Parlammo per tutta la notte su una panchina davanti al lago. Era diretto al Polo Nord, avrebbe dormito in tenda. Lo presi in giro perché si mangiava le unghie. Giorni dopo ricevetti una sua cartolina dalla Scandinavia. Diceva, in tedesco: “Ho le unghie lunghe come Pierino Porcospino”».
Com’era Giangiacomo?
«Dolce, colto, a volte aggressivo per vincere la timidezza. Solitario: era cresciuto con i precettori e la servitù. I custodi della villa dell’Argentario l’avevano fatto diventare comunista».
Insieme andaste da Castro.
«Volevamo pubblicare le sue memorie. I bambini cubani ora erano calzati e vestiti. Ci diedero una casa meravigliosa, piena di bottiglie di Chateau Rothschild, ma Giangiacomo si rifiutò di berle. Aspettammo Fidel per una settimana. Quando finalmente convinsi mio marito ad andare al mare, lui arrivò. Giangiacomo mi voleva ammazzare».
Che impressione vi fece?
«Carismatico, voce stridula, ideologicamente un po’ confuso. Sulla terrazza teneva le galline e un canestro per giocare a basket, con Giangiacomo fecero qualche tiro. Ci rimproverò perché avevamo ospitato Virginio Piñera e altri intellettuali cubani omosessuali, e noi gli tenemmo testa. Alla fine il libro non uscì, Castro non trovò il tempo di finirlo. Abbiamo ancora un suo manoscritto».
Lo pubblicherete?
«No. È noiosetto».
In Italia come fu accolta?
«Gli scrittori erano tutti antitedeschi. Mi adottarono Vittorini e sua moglie, Ginetta: un vulcano, una Anna Magnani bionda, che preparava una cassoeula eccezionale. A casa Vittorini conobbi Montale, silenzioso e gentilissimo, e la Duras».
Poi Giangiacomo cominciò a preparare la rivoluzione.
«Aveva capito che non avrebbe cambiato il mondo con i libri, o l’avrebbe cambiato troppo lentamente. Tentai di fermarlo. Lui mi lasciò. Nel mio diario scrissi: “He’s lost”, è perduto».
Che idea si è fatta della sua morte?
«Certo non è stato un incidente».
Fu ucciso?
«Sì».
Da chi?
«Non lo so. Era un uomo scomodo. Troppo scomodo, troppo libero, troppo ricco; troppo tutto. Era tenuto d’occhio da cinque servizi segreti, inclusi Mossad e Cia. E ovviamente quelli italiani. Forse sono stati loro. Lui sapeva di Gladio e dei loro depositi di esplosivi. Per difendersi da Gladio fondò i Gap, reclutando ex partigiani e giovani rivoluzionari. Temeva un golpe di destra; e non era una paura immaginaria».
Fu un delitto politico, quindi?
«Certo. I giornali pubblicarono la foto del cadavere di uno sconosciuto: lo riconobbi subito. Tra i poliziotti lo riconobbe il commissario Calabresi. Venne qui a casa alle sei del mattino, a interrogare il portiere. Solo dopo mi portarono all’obitorio. È uno dei tanti misteri italiani irrisolti. Come la morte del nostro amico Pasolini. Anche lui un uomo scomodo».
Anche l’assassinio di Pasolini fu un delitto politico?
«Secondo me sì. Certo Pelosi non era solo».
Lei salvò la casa editrice.
«Mi aiutò Roberto Olivetti: nel weekend arrivava da Ivrea a controllare i conti. E poi avevamo collaboratori fantastici. Stipendio uguale per tutti, dai capi ai fattorini. Fummo i primi in Europa dopo gli spagnoli a pubblicare Cent’anni di solitudine, e ne vendemmo 300 mila copie».
Com’era Garcia Marquez?
«Un piccolo colombiano di commovente sensibilità. Prima frequentava solo alberghetti di quarta categoria; il successo lo cambiò. Lo incontrai a Cuba con Castro: si occupava di cinema e viveva come un tycoon hollywoodiano, tra lampade Tiffany e telefoni bianchi; il trionfo del kitsch. Tra Gabo e Fidel c’era competizione. Castro lo ammirava: grazie a lui scoprì la letteratura, prima non aveva letto nulla. Garcia Marquez lo pativa. Si sfidavano in gare di barzellette. Una provocazione continua».
Lei è stata amica di Günter Grass. Cos’ha provato quando ha scoperto la sua giovinezza hitleriana?
«Sono stata molto delusa. Ma non rinnego l’amicizia».
Allen Ginsberg?
«Venne a trovarci a Villadeati, nel Monferrato. Aveva un volto orribile ma un corpo stupendo, non a caso girava sempre nudo. La moglie di Edoardo Sanguineti ne era scandalizzata: “Ci sono i bambini!”».
Nadine Gordimer, Doris Lessing?
«Siamo state molto vicine. Come con Vasquez Montalban, che mi portava a pranzo al mercato della Boqueria o nelle taverne di Barcellona. Ora sono tutti morti. Tra i Nobel è rimasta solo Hertha Müller: ci telefoniamo ogni settimana per commentare l’attualità».
Cosa pensa della Merkel?
«Tipico prodotto tedesco, anzi della Ddr: solida, antipatica; poco charme, poca comunicativa. Ma è la donna più importante del mondo, e fa bene a tener testa a Erdogan, che non può permettersi di dire che i tedeschi sono rimasti nazisti; questo è uno slogan razzista turco. Spero però che le elezioni le vinca Schulz».
Voterà alle primarie del Pd?
«Sì. Per Renzi. Ha commesso errori, ma ha portato una ventata di energia».
E Grillo?
«Un pazzo simpatico e imprevedibile: per questo mi piace. Però rimasi male quando venne all’inaugurazione della Feltrinelli di Genova e invitò la gente a rubare i libri».
Come vede il futuro dell’Italia?
«Con grandi potenzialità. I giovani sono straordinari: vedo come partecipano alla vita della nostra Fondazione. Sono entusiasta del progetto di Viale Pasubio: 13 chilometri di libri! È uno dei simboli della nuova Milano, che può trainare la rinascita del Paese».
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Re: Diario della caduta di un regime.
AVEVANO ANNUNCIATO BEL TEMPO E LA PRIMAVERA E' ARRIVATA.
ADESSO ANNUNCIANO:
Meteo, l'inverno non è ancora finito: arriva il colpo di coda
VEDI:
http://www.msn.com/it-it/notizie/italia ... spartandhp
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Meteo, l'inverno non è ancora finito: arriva il colpo di coda
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http://www.msn.com/it-it/notizie/italia ... spartandhp
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Re: Diario della caduta di un regime.
PRIMA O POI CI SI ABITUA A TUTTO.
Davanti ai giudici il saluto fascista di Massimo Carminati
Il video acquisito dal tribunale di Roma che lo sta giudicando per associazione mafiosa fa vedere l'esultanza del “nero”, con i modi che gli sono più consoni, che portano in un'aula di giustizia l'apologia del fascismo
di Lirio Abbate
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Il capo di mafia Capitale, Massimo Carminati saluta la conclusione della deposizione del “compagno” Salvatore Buzzi con il saluto fascista. Il video acquisito oggi dal tribunale di Roma che lo sta giudicando per associazione mafiosa fa vedere l'esultanza del “nero”, con i modi che gli sono più consoni, ma che portano in un'aula di giustizia l'apologia del fascismo.
Si concretizza così. Episodi che non si sono mai visti negli ultimi decenni durante un dibattimento. Roba che il presidente del tribunale, oggi, ad apertura di dibattimento, ha voluto sottolineare che non è possibile tollerare in un processo penale e per questo motivo ha annunciato che prenderà provvedimenti. Prima ha voluto visionare il video che mostra Carminati così, fascista più che mai.
C'è da restare stupefatti, perché il saluto fascista arriva a conclusione e per salutare le parole del comunista Buzzi. Destra e sinistra una volta erano altra cosa. Oggi forse uno di loro è altra cosa. In mezzo al “rosso” e al “nero” ci sono i loro affari, ottenuti sulle spalle dei romani con i soldi pubblici sottratti al Campidoglio e dunque alle tasche dei cittadini.
Le immagini sono mostrate in aula e l'esultanza dell'imputato detenuto al 41 bis descrive questo personaggio accusato di avere creato un'organizzazione criminale che ha legami neri con il passato a cominciare con la Banda della Magliana per passare ai Nar, i nuclei armati rivoluzionari. Una nuova mafia, che però molti romani stentano ancora a riconoscere come tale.
«Eravamo la Terza Internazionale più Carminati»: dice Salvatore Buzzi e Carminati rivolto verso la telecamera che lo riprende, e guardando lo schermo che inquadra il “compagno” lo omaggia alzando il braccio destro, mano tesa, saluto fascista ed esulta, sbeffeggiando lo Stato rappresentato dai magistrati in aula. Questo è Carminati.
© Riproduzione riservata 13 marzo 2017
VIDEO E FOTO:
http://espresso.repubblica.it/attualita ... =HEF_RULLO
Davanti ai giudici il saluto fascista di Massimo Carminati
Il video acquisito dal tribunale di Roma che lo sta giudicando per associazione mafiosa fa vedere l'esultanza del “nero”, con i modi che gli sono più consoni, che portano in un'aula di giustizia l'apologia del fascismo
di Lirio Abbate
Il capo di mafia Capitale, Massimo Carminati saluta la conclusione della deposizione del “compagno” Salvatore Buzzi con il saluto fascista. Il video acquisito oggi dal tribunale di Roma che lo sta giudicando per associazione mafiosa fa vedere l'esultanza del “nero”, con i modi che gli sono più consoni, ma che portano in un'aula di giustizia l'apologia del fascismo.
Si concretizza così. Episodi che non si sono mai visti negli ultimi decenni durante un dibattimento. Roba che il presidente del tribunale, oggi, ad apertura di dibattimento, ha voluto sottolineare che non è possibile tollerare in un processo penale e per questo motivo ha annunciato che prenderà provvedimenti. Prima ha voluto visionare il video che mostra Carminati così, fascista più che mai.
C'è da restare stupefatti, perché il saluto fascista arriva a conclusione e per salutare le parole del comunista Buzzi. Destra e sinistra una volta erano altra cosa. Oggi forse uno di loro è altra cosa. In mezzo al “rosso” e al “nero” ci sono i loro affari, ottenuti sulle spalle dei romani con i soldi pubblici sottratti al Campidoglio e dunque alle tasche dei cittadini.
Le immagini sono mostrate in aula e l'esultanza dell'imputato detenuto al 41 bis descrive questo personaggio accusato di avere creato un'organizzazione criminale che ha legami neri con il passato a cominciare con la Banda della Magliana per passare ai Nar, i nuclei armati rivoluzionari. Una nuova mafia, che però molti romani stentano ancora a riconoscere come tale.
«Eravamo la Terza Internazionale più Carminati»: dice Salvatore Buzzi e Carminati rivolto verso la telecamera che lo riprende, e guardando lo schermo che inquadra il “compagno” lo omaggia alzando il braccio destro, mano tesa, saluto fascista ed esulta, sbeffeggiando lo Stato rappresentato dai magistrati in aula. Questo è Carminati.
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Re: Diario della caduta di un regime.
SODDISFATTI, A QUANTO SEMBRA, I CAMERATI DELLE STRUMPTRUPPEN, CHE MINIMIZZANO L'ACCADUTO.
5 ore fa
126
Se in aula Carminati
sfoggia il saluto romano
Marta Proietti
5 ore fa
126
Se in aula Carminati
sfoggia il saluto romano
Marta Proietti
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Re: Diario della caduta di un regime.
UncleTom ha scritto:SODDISFATTI, A QUANTO SEMBRA, I CAMERATI DELLE STRUMPTRUPPEN, CHE MINIMIZZANO L'ACCADUTO.
5 ore fa
126
Se in aula Carminati
sfoggia il saluto romano
Marta Proietti
Mafia Capitale, Massimo Carminati fa il saluto romano in aula
Collegato in videoconferenza dal carcere di Parma dove è detenuto ha alzato il braccio destro verso lo schermo
Marta Proietti - Lun, 13/03/2017 - 14:26
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Il gesto fatto durante l'udienza non è piaciuto al presidente della X sezione del tribunale di Roma, Rosanna Ianniello, che ha disposto l'acquisizione e l'invio alla procura della registrazione del video dell'udienza dell'8 marzo scorso. "Non possiamo tollerare l'apologia del fascismo in un processo penale e prenderemo provvedimenti", ha osservato Ianniello. (GUARDA IL VIDEO)
Mafia Capitale
Massimo Carminati è stato arrestato il 2 dicembre del 2014 ed è detenuto a Parma in regime di 41 bis con l'accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione aggravata, trasferimento fraudolento di valori, corruzione, turbativa d'asta, false fatturazioni nell'ambito dell'inchiesta "Mondo di Mezzo" della procura di Roma riguardante le infiltrazioni mafiose, chiamata dagli inquirenti "Mafia Capitale", nel tessuto imprenditoriale, politico e istituzionale della città. Attraverso un sistema corruttivo si mirava a ottenere l'assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici dal Comune di Roma e dalle aziende municipalizzate, con interessi anche nella gestione dei centri di accoglienza degli immigrati e nel finanziamento di cene e campagne elettorali.
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Re: Diario della caduta di un regime.
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Mafia capitale, Carminati fa saluto romano in Aula: chiesta acquisizione video
Il 'Cecato' nel corso dell'udienza dell'8 marzo aveva alzato il braccio destro mentre era in video conferenza da Parma
13 marzo 2017
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Mafia capitale, Carminati fa saluto romano in Aula: chiesta acquisizione video
Immagine tratta da un video di Rai News 24
La scorsa settimana, nell'udienza dell'8 marzo, quando Salvatore Buzzi aveva dichiarato che Carminati non era suo socio nelle cooperative dati gestite e che il suo apporto era marginale, il 'Cecatò in collegamento dal carcere si era avvicinato alla telecamera e aveva alzato il braccio destro. Un saluto fascista che non è passato inosservato ai presenti tanto che oggi, in apertura della 188esima udienza la presidente della X sezione del tribunale di Roma, Rosanna Ianniello, ha disposto l'acquisizione della registrazione del video dell'udienza dell'8 marzo scorso.
Al termine di quella udienza Massimo Carminati, collegato in videoconferenza dal carcere di Parma dove è detenuto in regime di 41bis, ha rivolto verso lo schermo il saluto romano. "Non possiamo tollerare l'apologia del fascismo in un processo penale e prenderemo provvedimenti", ha osservato la presidente Ianniello. Il video è stato trasmesso in aula. Il Tribunale ha disposto l'immediata trasmissione del video alla Procura affinché si proceda nei confronti di Massimo Carminati per apologia del fascismo
Mafia capitale, Carminati fa saluto romano in Aula: chiesta acquisizione video
Il 'Cecato' nel corso dell'udienza dell'8 marzo aveva alzato il braccio destro mentre era in video conferenza da Parma
13 marzo 2017
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Immagine tratta da un video di Rai News 24
La scorsa settimana, nell'udienza dell'8 marzo, quando Salvatore Buzzi aveva dichiarato che Carminati non era suo socio nelle cooperative dati gestite e che il suo apporto era marginale, il 'Cecatò in collegamento dal carcere si era avvicinato alla telecamera e aveva alzato il braccio destro. Un saluto fascista che non è passato inosservato ai presenti tanto che oggi, in apertura della 188esima udienza la presidente della X sezione del tribunale di Roma, Rosanna Ianniello, ha disposto l'acquisizione della registrazione del video dell'udienza dell'8 marzo scorso.
Al termine di quella udienza Massimo Carminati, collegato in videoconferenza dal carcere di Parma dove è detenuto in regime di 41bis, ha rivolto verso lo schermo il saluto romano. "Non possiamo tollerare l'apologia del fascismo in un processo penale e prenderemo provvedimenti", ha osservato la presidente Ianniello. Il video è stato trasmesso in aula. Il Tribunale ha disposto l'immediata trasmissione del video alla Procura affinché si proceda nei confronti di Massimo Carminati per apologia del fascismo
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