Diario della caduta di un regime.

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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Re: Diario della caduta di un regime.

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EUTANASIA DELLA SECONDA REPUBBLICA




DOPO LOTTI L’inciucio Dem-FI respinge la decadenza del senatore pregiudicato
Nasce Forza Pd
e salva Minzolini
per resuscitare
Silvio Berlusconi

MARRA A PAG. 2



GIANLUIGI PELLEGRINO
“È il suicidio eversivo
delle nostre istituzioni”

TRUZZI A PAG. 2 - 3
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....IERI, 39 ANNI FA.....




Cinque giorni dopo il rapimento scattò l'operazione per liberare Moro. Ma poi fu annullata
Il Giornale
Franco Grilli

15 ore fa

Via Fani, sequestro Moro / Adnkronos© Adnkronos Via Fani, sequestro Moro / Adnkronos
Trentanove anni fa un commando di terroristi delle Brigate rosse sequestrò l'onorevole Aldo Moro, leader della Democrazia cristiana. Fu il punto più alto della strategia della tensione e degli anni di piombo. Dopo 55 interminabili giorni il corpo senza vita di Moro fu fatto ritrovare nel bagagliaio di un'auto nel centro di Roma, in via Caetani, a metà strada tra la sede della Dc e quella del Pci. Dopo cinque giorni, il 21 marzo, scattò un piano segreto per liberare lo statista. Nome in codice operazione Smeraldo. Il Raggruppamento subacquei e incursori della Marina militare (Comsubin), di stanza a La Spezia, ricevette l'ordine da Palazzo Chigi: Alfa, attuare interno Smeraldo. Dopo appena 40 minuti le forze speciali erano pronte a partire, imbarcandosi sugli elicotteri della base di Luni (Liguria). Poche ore dopo, però, il blitz fu annullato. Per quale motivo? Si scoprì che Moro non era prigioniero vicino a Roma, come i servizi segreti avevano segnalato. Di questo episodio Francesco Cossiga parlò nel 1991, e segnalato dal senatore Sergio Flamigni nel libro La tela del ragno (1998). Oggi l'ammiraglio in congedo Oreste Tombolini, che avrebbe dovuto partecipare all'operazione Smeraldo, ne ha parlato per la prima volta con la stampa.

L'ordine arrivò da Roma - dice in un'intervista al quotidiano Avvenire - ci parlavamo su una rete protetta, racconta l'alto ufficiale in congedo. E racconta delle ricerche: Siamo andati da tante parti. Anche nella zona di Roma, più di una volta. Potevamo andare in un casolare, un bosco, un fiume, un posto qualunque. E ce lo dicevano solo alla fine che era un'esercitazione.

Le operazioni di ricerca, frenetiche, venivano condotte con uomini di tutti i corpi: Vedevamo i carabinieri, ma anche la polizia. C'erano anche uomini in borghese ma non sapevo chi fossero. I carabinieri erano lì pronti, ma per fare cosa non si sa.

Tombolini ammette che lui, come tutti, era convinto di poter liberare Moro: Se fossimo riusciti a entrare in azione qualcosa avremmo potuto fare. Anche se sapevamo trattarsi di una missione ad alto rischio. L' omicidio di Moro è andato di traverso a tutti, specialmente a noi che forse avremmo potuto cambiare il corso della storia. Il rimpianto c'è.

http://www.msn.com/it-it/notizie/italia ... spartanntp
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Minzolini? ‘Fumus’, ‘rischio Turchia’, ‘cazzata’
Le (fantasiose) spiegazioni dei Pd anti-Severino

Senato, Pd e Fi salvano Minzolini e rottamano la Severino. Con farsa finale: “Ho vinto, mi dimetto” (leggi)
DAI RENZIANI AGLI EX M5S: TUTTI IN FILA DIETRO AL CENTRODESTRA: CHI HA VOTATO SI’ (di D. Pretini)
Politica
C’è chi dice che c’era il fumus persecutionis, chi si lamenta che i giudici hanno inflitto a Minzolini una pena maggiore di quella richiesta dai pm, chi si lamenta che il Fatto è forcaiolo, chi dice che il discorso di Minzolini l’ha convinto e chi tira fuori perfino un “rischio Turchia” se la legge prevedesse una automatica decadenza di un parlamentare condannato in via definitiva. Le ragioni dei parlamentari democratici che hanno salvato Minzolini sono tante e di vario tipo. Ma nessuna c’entra con i requisiti richiesti dalla legge che prevede la decadenza. E c’è chi riaggancia: “Io non devo nessuna spiegazione”
di Valerio Valentini



•il precedente – Mattarella disse “Aberrante non votare decadenza di un parlamentare interdetto” (di G. Pipitone)

•il costituzionalista – D’Andrea: “Senato ha agito contro la legge. Ora la palla torna a Cassazione” (di T. Mackinson)


•Ora Berlusconi spera nella Corte di Strasburgo. Ghedini: “Fatti identici trattati in modo diverso” (di g. trinchella)
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IlFattoQuotidiano.it / Giustizia & Impunità

De Luca jr a giudizio per bancarotta. Patto del padre con Renzi: posto per lui alla Camera in cambio di appoggio a primarie

Giustizia & Impunità

Il primogenito del governatore andrà a processo a Salerno per il fallimento fraudolento della Ifil: "Sono sereno, dimostrerò la mia innocenza". Intanto guarda a Roma, dove potrebbe arrivare grazie al posto blindato in lista garantito dall'ex premier in cambio dei voti del padre Vincenzo al prossimo congresso Pd

di F. Q. | 16 marzo 2017

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Più informazioni su: Bancarotta Fraudolenta, Campania, Matteo Renzi, Regione Campania, Salerno, Vincenzo De Luca


Secondo i retroscena politici il nome di Piero De Luca è al centro del patto tra Matteo Renzi e Vincenzo De Luca: quest’ultimo appoggia l’ex premier al congresso Pd, l’ex premier garantisce un posto sicuro in Parlamento per il primogenito del governatore della Campania. Nessuno ha smentito, nessuno ha confermato. Ciò che nessuno potrà smentire, però, è che Piero De Luca dovrà affrontare un processo da imputato per bancarotta fraudolenta. Si è conclusa con il rinvio a giudizio di tutti gli indagati, infatti, l’udienza preliminare per il fallimento della Ifil, società satellite del pastificio Amato, che secondo gli inquirenti faceva affari sia con il Comune di Salerno che con il pastificio. Il gup Sergio De Luca (che non è parente dei De Luca), ha disposto il processo per il 29 maggio prossimo. L’accusa per tutti è di aver concorso al fallimento fraudolento della società, distraendo o dissipando il denaro di cui avevano disponibilità. A De Luca junior, nella fattispecie, viene contestato di aver beneficiato tra il 2009 ed il 2011 del pagamento di viaggi in Lussemburgo, sede lavorativa del rampollo dell’ex sindaco di Salerno: secondo l’accusa, quei voli sono stati pagati con denaro della Ifil dall’imprenditore Mario Del Mese. Quest’ultimo – socio al 50 per cento della Ifil e nipote dell’ex parlamentare Udeur Paolo Del Mese – ha patteggiato la pena assieme al cognato Vincenzo Lamberti: 7 mesi di reclusione per il primo, un anno e sei mesi per il secondo. Andrà a giudizio invece la moglie di Del Mese, Valentina Lamberti. Il gup ha inoltre rinviato a giudizio anche Giuseppe Amato, Luigi Avino, Emilio Ferraro e Marianna Gatto. Il processo si terrà dinanzi alla prima sezione penale del tribunale di Salerno.

Il coinvolgimento di Piero De Luca nell’inchiesta sul crac Ifil emerse dall’interrogatorio di Giuseppe Amato jr per un altro crac, quello del Pastificio Amato. Il rappresentante della famiglia Amato affermò di aver saputo da Mario Del Mese del pagamento dei biglietti aerei per il Lussemburgo. Pagamenti che sarebbero stati effettuati con i soldi della Ifil. Sempre secondo gli inquirenti, gli altri imputati avrebbero impropriamente utilizzato il denaro della società per acquistare arredi e per aver effettuato pagamenti a favore di altre aziende senza che ci fosse alcun rapporto commerciale. Il fallimento della Ifil è andato avanti per più di due anni e, prima che venisse dichiarato, per gli indagati l’accusa della procura salernitana era stata di appropriazione indebita. Una notizia, quella del suo rinvio a giudizio, che non sembra aver scalfito più di tanto le certezze di Piero De Luca: “In sede di dibattimento avremo finalmente la possibilità di dimostrare in modo sereno, obiettivo e trasparente l’assoluta infondatezza di una contestazione strumentale e inverosimile. Sono profondamente sereno e ho enorme fiducia nel lavoro dei magistrati” ha detto il figlio del governatore. “Auspico che il giudizio si celebri il più rapidamente possibile per fare piena chiarezza sulla mia posizione – ha continuato – Tutto questo non ci distrarrà dal lavoro che con grande impegno e sacrificio stiamo portando avanti sui territori“.

Quale lavoro? Piero De Luca negli ultimi mesi è stato molto impegnato in politica. Da metà 2016, tanto per cominciare, ha ricoperto il ruolo di coordinatore scientifico regionale dei comitati per il Sì al referendum costituzionale del 4 dicembre. Già all’epoca erano in molti quelli che vedevano dietro questo impegno così diretto del rampollo di famiglia un patto tra suo padre e Matteo Renzi, con l’obiettivo di creare una corsia preferenziale per Piero in Parlamento. Tutti sanno come è andata a finire quella consultazione: il No ha stravinto e la Riforma è rimasta nel cassetto. E l’accordo tra il governatore e l’ex premier? Congelato fino alla prima occasione utile, che puntualmente si è presentata quando si è trattato di organizzare la squadra di Renzi sui territori in vista delle primarie Pd del 30 aprile e del Congresso dem. E Renzi, in questo contesto, sa benissimo che i voti che arriveranno dal feudo di De Luca potrebbero rivelarsi se non determinanti, certamente molto importanti. Da qui il rinnovamento del patto, che tra l’altro non è stato smentito da nessuno dei diretti interessati.

Avvocato, 37 anni, ricercatore in Diritto dell’Ue, referendario presso la Corte di giustizia dell’Unione europea, Piero De Luca si è da sempre occupato di tematiche europee, quali aiuti di Stato e concorrenza, tutela dei consumatori, gestione del fenomeno migratorio, libera prestazione dei servizi. Il figlio dell’ex sindaco di Salerno si è quasi subito trasferito prima a Bruxelles e poi a Lussemburgo. Poco social, si racconta più che altro sul suo sito, dove innanzitutto cita b: “Dobbiamo diventare il cambiamento che vogliamo vedere”. Come avvocato, si legge on line, si è occupato delle problematiche legate alla realizzazione delle cosiddette ‘Autostrade del mare’ ed agli incentivi europei per lo sviluppo delle reti transeuropee dei trasporti. Ha approfondito la tematica relativa alle reti d’impresa, con specifico riferimento alle opportunità di sviluppo dell’economia locale ad esse legate nonché alle specificità della disciplina nazionale ed europea in materia. E ha assistito, tra l’altro, numerosi clienti dinanzi all’Autorità Garante della concorrenza e del mercato, nell’ambito di procedure relative ad accordi restrittivi della concorrenza. Piero, poi, non è l’unico figlio di De Luca impegnato in politica: Roberto De Luca, commercialista di 32 anni, è stato responsabile del dipartimento Economia della segreteria provinciale del Pd fino alla primavera del 2016, quando è diventato assessore comunale a Salerno con delega al Bilancio e allo Sviluppo. In città si diceva che il padre Vincenzo lo volesse addirittura candidare a sindaco, poi optò per un ruolo meno prestigioso anche per non scontentare il fratello maggiore Pietro. Che ora guarda a Roma, ma prima si dovrà difendere in tribunale a Salerno.
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Il medico psicanalista Luciano Casolari, la mette così:



Società

Non ‘furbetti’ ma ladri del cartellino
di Luciano Casolari | 16 marzo 2017

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Luciano Casolari

Medico psicoanalista

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Mi ha sempre dato fastidio il termine “furbetti del cartellino” per definire dei veri e propri ladri che rubano allo Stato il lavoro che dovrebbero svolgere.

Nella mia attività professionale ho incontrato due persone che mi hanno raccontato di esercitare questo latrocinio. Da quello che ho capito la struttura psicologica di queste persone è orientata a un nichilismo estremo collegato e derivante dalla vulgata dei talk show per cui “tutte le istituzioni sono occupate da ladri” e “tutti i responsabili degli uffici devono essere mandati a casa!”. Partendo da questo presupposto il ladro del cartellino argomenta dentro di sé che, visto che l’ente pubblico in cui lavora fa schifo, lui è sprecato in quel ruolo. L’istituzione pubblica dovrebbe riconoscere le sue qualità e valorizzarlo riconoscendo che lui è il migliore. Visto che però la corrotta dirigenza non lo promuove e non lo blandisce il futuro ladro del cartellino arriva alla convinzione di essere sprecato per quel posto e, soprattutto, di essere sottopagato.

Il furbetto allora ritiene come doveroso risarcimento quello di non sprecare il suo prezioso tempo in una istituzione inadeguata. Per questo non si sente assolutamente in colpa in quanto, accecato dalla sua eccessiva autostima individuale, rispetto alla disistima per l’istituzione in cui lavora, ritiene di fare anche troppo nelle ore che dedica, bontà sua, al lavoro. La struttura psicologica è quella tipica del bambino che esprime rivendicazioni continue rispetto alla figura paterna.

Alla fine come emerge dalla mia sommaria descrizione nei casi da me valutati non si tratta di persone che erano consapevoli di esercitare un furto ma piuttosto di individui che ritenevano giusto comportarsi da “furbi” perché in Italia non c’è alternativa. Dopo la terapia, per quanto mi risulta, hanno smesso di rubare in quanto maggiormente consapevoli che l’autostima vera deriva dal confrontarsi positivamente con il proprio lavoro senza denigrare le istituzioni.

Suggerirei di apostrofare nei mezzi di informazione costoro col termine di “ladri del cartellino” perché con questa definizione scomparirebbe l’idea di essere disonesti ma furbi, tipica consolazione di tanti, per fare emergere il reale squallore di questo comportamento.
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........HARDCORE..IN PROVINCIA DI NAPOLI......


Il comandante Lauro ha fatto scuola.


Da Wikipedia:

........Si è sospettato Lauro di voto di scambio,[5] che sarebbe stato gestito regalando ai suoi elettori una scarpa sinistra prima del voto e la scarpa destra dopo il voto.......


NON ERA UN SOSPETTO, MA UN'AMARA REALTA' TRICOLORE !!!!!



PINOCCHIO MUSSOLONI HA APPLICATO ALLA GRANDE IL LAURISMO IN ""POLITICA""


IL FASTASMA DELLA MUMMIA CINESE PENSA DI RITORNARE COPIANDO IL COMANDANTE.




Francesco Boezi

3 ore fa
130

Cinema gratis e cure dentarie:
il Cav studia il "piano anziani"


Redazione


^^^^^^^^^^^^

Dal cinema gratis alle cure dentarie Berlusconi studia il "piano anziani"

E l'asta benefica per il pranzo con lui raccoglie 70mila euro: ha vinto una donna che farà un regalo alla nonna
Redazione - Ven, 17/03/2017 - 08:11

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Il «dovere» di vincere le elezioni e governare il Paese. La ricerca della chiave giusta per riaccendere il canale di comunicazione con il suo storico elettorato.


Il lavoro sul programma, un work in progress sviluppato attraverso continui contatti con le categorie, gli imprenditori e le associazioni di rappresentanza. Ma anche l'attenzione verso i sondaggi, sempre più confortanti con il passare delle settimane. Senza dimenticare il crescente desiderio di tornare in mezzo alla gente, come dimostrato dalla presenza - non scontata alla vigilia - all'evento organizzato con i giovani di Forza Italia sabato scorso a Milano. Oppure, più in piccolo, l'adesione all'iniziativa benefica promossa da CharityStars, il portale web campione nella raccolta fondi tramite aste con personaggi famosi, che ha messo in palio un pranzo con Silvio Berlusconi con il ricavato devoluto a favore delle popolazioni colpite dal terremoto.

L'iniziativa, alla prova dei numeri, ha fatto segnare un successo inaspettato. Alla fine il «montepremi» raccolto è arrivato a toccare quota 70mila euro. Nell'ultima giornata, infatti, partendo dai 30mila euro raggiunti nelle 24 ore precedenti, sono fioccati i rilanci. Le offerte in totale sono state cinquanta e il vincitore dell'asta è risultato essere una donna che ha deciso di investire una grande somma per fare un regalo a sua nonna, ammiratrice da sempre di Berlusconi, come informa CharityStars. Secondo indiscrezioni la benefattrice sarebbe l'amministratore delegato di una importante azienda del Bresciano. Il pranzo sarà organizzato nelle prossime settimane e i proventi devoluti alla Croce Rossa Italiana, impegnata a fronteggiare un'emergenza che non smette di essere tale.

Al di là delle iniziative di beneficenza, Berlusconi continua a cercare idee e contributi per il programma da presentare agli italiani. Dopo l'appuntamento con i giovani, questo sabato riunirà a Villa Gernetto il Movimento seniores di Forza Italia guidato da Enrico Pianetta. Una platea di cento persone (le richieste sono state molte di più) con la quale si confronterà alla ricerca di spunti interessanti. Il presidente di Forza Italia ricorda spesso alcune conquiste ottenute durante i suoi governi, come l'aumento delle pensioni minime, l'abolizione delle tasse sulla casa, l'eliminazione della tassa di successione. Ma le idee per gli anziani sono molte, dai sussidi per le fasce più povere al sostegno per le cure dentarie, dai cinema gratis al pomeriggio fino ai prezzi di favore per i trasporti. L'idea è quella di delegare ai seniores la preparazione di un «ramo» dell'Albero della Libertà, ovvero la definizione del programma dedicato agli anziani. Berlusconi, poi, continua a pensare alle candidature. Le richieste non mancano. E il presidente di Forza Italia si lascia sfuggire una battuta: «Voglio vedere con quale faccia verranno a chiedermi il posto i responsabili di quelle province dove il partito è sceso al 4%».
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EUTANASIA DELLA SECONDA REPUBBLICA


IL CERCHIO SI STRINGE???????



17 mar 2017 10:32

1. PROFUMO DI FINMECCANICA BY RENZI. POI NON VI LAMENTATE SE GRILLO SI PRENDE IL PAESE


2. DOVUNQUE HA MESSO MANO, DA UNICREDIT A MONTEPASCHI, PROFUMO HA COMBINATO GUAI


3. IN COMPENSO DALLA BANCA MILANESE HA PRESO 40 MILIONI DI LIQUIDAZIONE, CONTESTATI DALLA BANCA D’ITALIA. INSIEME A QUELLI RACCOLTI A SIENA HA COSTITUITO EQUITA, UNA SIM CHE INTERMEDIA TITOLI AZIONARI. E CHISSÀ QUANTI TITOLI FINMECCANICA HA INTERMEDIATO?


4. DA UN PUNTO DI VISTA INDUSTRIALE, QUELLA DI PROFUMO APPARE COME UNA SCELTA AL LIMITE DELLA SCELLERATEZZA (E’ RISAPUTO CHE NON CONOSCE IL MERCATO DEL SETTORE); CHE PUÒ SOLO NASCONDERE O COPRIRE CHISSÀ QUALI STRATEGIE FINANZIARIE SOTTERRANEE




Per DAGONOTA VEDI:

http://www.dagospia.com/rubrica-4/busin ... 143750.htm

NON SI PUO' PERDERE LA FOTO DI PINOCCHIO MUSSOLONI IN DIVISA.
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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EUTANASIA DELLA SECONDA REPUBBLICA



DIVENTA LECITO, A QUESTO PUNTO, CHIEDERCI PERCHE' LA SECONDA REPUBBLICA CHE E' PEGGIORE DELLA PRIMA, RESISTE COSI' A LUNGO???????????????????????????




Esclusivo


Così la corruzione uccide: parla il primo pentito delle grandi opere

Gallerie che possono crollare. Cemento che non tiene. Buchi nell’amianto. Un ingegnere che per più di vent’anni ha occupato una posizione strategica nella mappa delle infrastrutture nazionali rivela le tangenti che diventano un pericolo per il territorio e le persone
di Paolo Biondani e Giovanni Tizian
16 marzo 2017


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Perché le grandi opere costano sempre molti miliardi in più del dovuto? Come mai in Italia sono così frequenti crolli di viadotti, cedimenti di gallerie e altri disastri? Perché la Tav e gli altri mega-appalti ferroviari e autostradali sono al centro di continue retate per corruzione? A rispondere a queste domande, per la prima volta, è un super-tecnico interno al sistema: un ingegnere che per più di vent’anni ha occupato una posizione strategica nella mappa delle infrastrutture nazionali. Il primo pentito delle grandi opere.

Giampiero De Michelis, nato in Abruzzo 54 anni fa, ha guidato i lavori dell’Alta velocità, i cantieri infiniti dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria e molti altri appalti, sempre con ruoli cruciali di “direttore dei lavori”: il primo e decisivo controllore pubblico delle imprese private. In ottobre è finito nel carcere di Regina Coeli con la retata (31 arresti) che ha coinvolto anche manager di colossi come Salini-Impregilo e Condotte. In novembre De Michelis ha cominciato a vuotare il sacco con i magistrati di Roma e Genova. Il suo è un racconto nero, che svela intrecci spericolati e dagli anni Novanta arriva ai nostri giorni, coinvolgendo ministri, grandi imprenditori, progettisti eccellenti, figli di politici e burocrati, funzionari di altissimo livello dello Stato.

L’inchiesta di carabinieri e guardia di finanza mostra anche costi e danni della corruzione, con risvolti drammatici: intercettato prima dell’arresto, De Michelis parlava di «cemento troppo liquido: sembra colla».

“Deroga”: la parola magica
In carcere il pm genovese Paola Calleri gli contesta altre intercettazioni con parole pesantissime: «Sta venendo giù la galleria di Cravasco. E anche in quella di Campasso si sono arricciate le centine!». I magistrati, preoccupati, hanno chiesto una serie di perizie sui tre tunnel più importanti della nuova ferrovia Milano-Genova. Una prima consulenza è stata consegnata: gli esperti, per ora, escludono l’ipotesi di forniture tanto scadenti da provocare crolli. Le indagini sulla sicurezza però continuano e l’allarme resta altissimo.

L’indagine è stata chiamata «Amalgama»: è la parola usata dagli stessi indagati, mentre erano intercettati dai carabinieri del nucleo investigativo di Roma, per descrivere l’evoluzione del malaffare. Nella vecchia Tangentopoli la corruzione era diretta: buste di soldi in cambio di appalti d’oro. Oggi c’è una corruzione strutturata su almeno tre livelli, più difficile da scoprire. Il fulcro è ancora il controllore pubblico che favorisce una cupola di imprese privilegiate, che ora lo ripagano indirettamente, dividendo la torta con altre società private, attraverso subappalti, consulenze o compartecipazioni in apparenza regolari. Il trucco è che dietro queste aziende c’è lo stesso pubblico ufficiale, che le controlla segretamente tramite soci occulti. Con questi giochi di sponda, le grandi imprese comprano il controllore-direttore dei lavori, che a quel punto non controlla più niente.

L’11 novembre 2016 De Michelis ammette di aver beneficiato di questo sistema corruttivo e confessa, in particolare, che era suo il 50 per cento della Oikodomos, un’azienda intestata a un socio-prestanome, l’imprenditore calabrese Domenico Gallo, a sua volta arrestato in ottobre, ma conosciuto vent’anni fa nei cantieri della Salerno-Reggio. Confermando l’accusa-base, l’ingegnere delle grandi opere spiega che il sistema esiste da decenni e non l’hanno certo inventato lui e Gallo: «È sempre stato così. Prima c’era la Spm di Stefano Perotti. Dopo gli arresti di Firenze il sistema è continuato con la Crono e la Sintel di Giandomenico Monorchio. E prima ancora c’era Lunardi».

Perotti è il progettista arrestato nel marzo 2015 con il potente direttore ministeriale Ercole Incalza. La Sintel è la società d’ingegneria dove lavorava De Michelis. Il suo titolare Giandomenico è il figlio di Andrea Monorchio, l’ex ragioniere generale dello Stato. L’ingegnere Pietro Lunardi è l’ex ministro del governo Berlusconi che nel 2002 ha varato la contestatissima legge-obiettivo per accelerare le grandi opere in deroga a tutte le regole.
Qui il pm Giuseppe Cascini, titolare del fascicolo romano dell’inchiesta, interrompe l’interrogatorio per avvertire l’indagato che, se accusa altri, diventa testimone e, se dichiara il falso, verrà incriminato. De Michelis se ne assume la responsabilità e giura di voler raccontare tutto dall’inizio.

I disastri del progettista-ministro
«La storia nasce ancora prima che Lunardi diventi ministro, quando progettava le gallerie per l’alta velocità Bologna-Firenze», esordisce De Michelis. «Lunardi era il progettista che doveva garantire certi ricavi alle imprese private. Da allora il sistema è rimasto sempre lo stesso: il progetto è fatto male in partenza, così poi si devono fare le modifiche, le varianti, che portano soldi in più alle imprese. Anche l’autostrada Salerno-Reggio Calabria è un progetto di Lunardi fatto malissimo. Le perizie di variante le faceva lo stesso Lunardi. C’era un accordo a un livello molto più alto del mio, che coinvolgeva i vertici del consorzio di imprese: io l’ho saputo dal manager Longo di Impregilo».

I magistrati gli chiedono riscontri oggettivi. Il tecnico arrestato descrive un caso esemplare di progetto disastroso targato Lunardi. Si riferisce alla galleria Piale, a Villa San Giovanni, sulla Salerno-Reggio. De Michelis premette che per iniziare uno scavo del genere bisogna puntellare la montagna «con paratoie e micropali». Una muraglia fondamentale per impedire le frane, per cui dovrebbe essere studiata al millimetro. Ricorda invece De Michelis: «Il capo-cantiere mi chiama e mi dice: “Ingegnere, qui non c’è niente, che facciamo?”. Sono andato a vedere: il progetto di Lunardi prevedeva più di 30 metri di paratoie e micropali dove in realtà non c’era la montagna, c’era solo il vuoto». De Michelis non crede ai suoi occhi. Bisognerebbe fermare tutto e chiedere una variante: allo stesso Lunardi. Soluzione: «A quel punto ho tirato una riga dritta, siamo scesi con i micropali lì dove arrivava la montagna e siamo andati avanti».

De Michelis fa notare ai pm che il problema dei progetti variabili (e dei costi gonfiabili) è facilmente verificabile sulle carte: «Le varianti tecniche sono ammissibili solo per le gallerie. All’esterno le modifiche non dovrebbero esserci: se il progetto cambia, dovrebbero pagare le imprese private. Invece paga sempre la parte pubblica. Anche nel 2016, dopo le mie dimissioni dalla Sintel, hanno continuato imperterriti a fare varianti: me lo dicono i tecnici che sono ancora lì in cantiere».

Queste accuse colpiscono il cuore del sistema dei “general contractor”, inaugurato con l’avvio della Tav nel 1991 dall’amministratore delle Ferrovie Lorenzo Necci (morto dopo una condanna definitiva per corruzione) e poi perfezionato con la legge obiettivo di Lunardi. In sintesi, lo Stato delega tutto a un consorzio di imprese private, che gestiscono direttamente i soldi pubblici: in cambio, dovrebbero assumersi tutti i rischi, tecnici e finanziari, e consegnare l’opera finita, “chiavi in mano”, al prezzo prefissato. «In realtà non c’è mai un progetto chiavi in mano», sostiene De Michelis. «La legge prevede un’alta sorveglianza sui general contractor, che spetta all’Anas per le autostrade e all’Italferr-Rfi per la Tav, che dovrebbero controllare e approvare tutte le varianti che aumentano i costi. Ma tutta l’alta sorveglianza è finta. Per le mie opere Italferr non ha mai controllato niente».

Quando è stato arrestato, De Michelis era il direttore dei lavori degli ultimi “macro-lotti” dell’autostrada Salerno-Reggio e della nuova Tav Milano-Genova. I magistrati gli chiedono se conosca altre grandi opere inquinate dal malaffare. La risposta è istantanea: «Il Brennero. Per i tunnel ferroviari di Aica e Mules, Perotti ha vinto la gara per la progettazione, mi pare nel 2008, con una falsa certificazione firmata dal manager Z. ex dirigente Fiat. Questo perché, per l’alta velocità Emilia-Toscana, il general contractor era il gruppo Fiat. Impregilo è nata dalla fusione tra Fiat-Impresit, Girola e Lodigiani». Tre aziende travolte da Tangentopoli.

Il verbale integrale è discorsivo, De Michelis parla al presente storico: «Quindi l’ex manager Fiat gli fa questo certificato e lo manda a Impregilo. Io sapevo che la gara era finta: erano previsti certi requisiti che io come Sintel ero l’unico ad avere. Invece così vince Perotti, che ha dietro Incalza. Quindi Giandomenico Monorchio mi dice: “Adesso vado da Incalza con mio padre e vedo di ottenere qualcosa in cambio”. Infatti gli danno in cambio il progetto della Porto Empedocle in Sicilia, quello fatto dalla Cmc. Tolgono il lavoro a Perotti e lo danno a Sintel, senza gara, con affidamento diretto. E così Sintel non fa ricorso per i tunnel del Brennero».

La superstrada al centro del presunto baratto è un’opera strategica per la Sicilia: il raddoppio della Caltanissetta-Agrigento. Va ricordato che in questo come in altri casi più gravi, De Michelis parla di appalti pubblici gestiti dalle imprese private senza alcun vincolo, grazie a una «norma criminogena», come viene definita nelle ordinanze d’arresto: un articolo della legge-obiettivo ha autorizzato le aziende controllate a scegliersi il controllore-direttore dei lavori (e a pagargli legalmente un ricco compenso). Una norma-scandalo che ha trasformato le grandi opere in un festival dei conflitti d’interesse ed è stata abolita con il nuovo codice degli appalti sollecitato nel 2014 dall’autorità anti-corruzione. Proprio le scelte dei progettisti, controllori e subappaltatori permetterebbero ai privati, ieri come oggi, di agganciare i grandi protettori a livello di governo, che De Michelis definisce «santi in paradiso».

«Il sesto macro-lotto della Salerno-Reggio l’ha vinto la cordata Impregilo-Condotte, che è la stessa del Cociv, il consorzio dell’alta velocità Milano-Genova. Allora l’affare comprendeva tutto: general contractor e direzione lavori. A quella gara globale, gestita dall’Anas, ho partecipato io come persona fisica su richiesta di Impregilo. Però poi il contratto l’hanno fatto alla Sintel, che mi ha confermato, ma come dipendente. Bisognava dare la direzione lavori alla società del figlio di Monorchio perché il padre era al vertice di Infrastrutture spa, cioè era lui che decideva i finanziamenti pubblici, e poi è diventato anche presidente della commissione di collaudo. Quindi in pratica è Monorchio senior che impone il figlio. Lo stesso succedeva con la Spm: era Incalza che sbloccava i finanziamenti e di fatto imponeva Perotti. Monorchio padre e Incalza erano i santi in paradiso di Sintel e Spm». I pm gli chiedono come fa a saperlo. Risposta: «Me l’ha detto personalmente Monorchio figlio, titolare della Sintel». Anche dietro la Spm ci sarebbero storie di famiglia: «Il padre di Perotti aveva fatto lavorare Incalza, il rapporto è nato da lì».

Nelle sue lunghe confessioni, il pentito indica ai magistrati un’altra società che sarebbe stata utilizzata dalle imprese delle grandi opere per arricchire Monorchio junior: «Il consorzio di Impregilo ha affidato alla Crono le prove di laboratorio per i cantieri della Salerno-Reggio. Sono contratti da cinque milioni di euro. Che la Crono fosse di Monorchio lo sapevano tutti».

Giandomenico Monorchio, finito agli arresti domiciliari, nega di aver commesso illeciti e sostiene di non aver mai approfittato dei poteri pubblici del padre. Anche Perotti e Incalza, a Firenze, hanno respinto tutte le accuse. Lunardi non è neppure indagabile: i fatti a lui addebitabili sono ampiamente prescritti. Fino a prova contraria, dunque, bisogna presumere che siano tutti innocenti. Anzi, dopo Tangentopoli, è sparito il reato: la spartizione privata dei lavori pubblici si può fare a norma di legge.


Il metodo dei santi in paradiso
De Michelis conferma ai magistrati di possedere addirittura la copia di un patto segreto per dividersi i progetti in tutta Italia, siglato quando Impregilo era controllata dal gruppo Gavio, prima di essere scalata dalla Salini: «È un accordo scritto per la spartizione delle direzioni dei lavori tra la Sintel, la Spm e la Sina che allora era di Gavio».

Questo sistema spartitorio nato dopo Tangentopoli, secondo l’ex direttore delle grandi opere, rende inutile o quantomeno marginale la corruzione classica. Quando i magistrati gli chiedono se Monorchio junior, per avere quei contratti, abbia pagato tangenti, De Michelis risponde così: «Non sono cose che si dicono. A volte Monorchio mi diceva che doveva fare un regalo, certo, ma solo questo. Di più non so. Ma in questo sistema non c’è più bisogno delle buste di denaro. Dietro Sintel e Spm ci sono i santi in paradiso. Se non davano i lavori a loro, Monorchio padre e Incalza non finanziavano i progetti».

De Michelis, in pratica, ammette di aver dirottato sulle società dell’amico Gallo gli appalti che prima finivano a Monorchio e prima ancora venivano spartiti con Perotti. Di qui le proteste degli imprenditori intercettati: «Abbiamo creato un mostro!». Un’affermazione a doppio taglio: nelle grandi opere c’è un mostro che divora soldi, ma è stato creato dalle stesse aziende che lo pagano.

De Michelis parla anche della massa di subappalti gestiti direttamente dai general contractor. E mette a verbale i nomi di vari dirigenti di Impregilo che avrebbero incassato tangenti dai subappaltatori («Me l’hanno detto loro stessi»), uno dei quali è soprannominato «mister 3 per cento». L’ingegnere arrestato denuncia anche una cordata di manager che si arricchirebbero da anni con «ruberie enormi»: una «Impregilo parallela», la chiama De Michelis, chiarendo che «nel gruppo ufficiale comanda Pietro Salini», mentre «lì comanda il signor C., in passato ha avuto un ruolo di peso nella gestione della tratta toscana dell’alta velocità, ora ufficialmente è solo un consulente esterno, ma in realtà è a capo di un ordine gerarchico: c’è, ma non compare». Le grandi opere, precisa il pentito, producono colossali quantità di detriti e terre di scavo che dovrebbero essere accumulate in «cave di deposito», per essere poi rivendute e ridurre i costi. «Dai cantieri escono i camion con tonnellate di materiale, ma nelle cave ufficiali non arriva niente: quelli dell’Impregilo parallela intascano milioni rubandosi gli inerti e rivendendoli in nero».

Anche questa «Impregilo parallela» nascerebbe da rapporti di famiglia. De Michelis, infatti, spiega che il signor C. era «amico del papà» di un manager arrestato di Impregilo: «È lui che gli ha fatto assumere il figlio nel consorzio per l’alta velocità». Per questo l’erede continua ancora a obbedire a quella «eminenza grigia di Impregilo». De Michelis aggiunge che aveva chiesto «un incontro a Pietro Salini, per fargli sapere della struttura parallela che aveva dentro Impregilo, perché avevamo tutti il dubbio se lui sapesse o no. Salini però non ha voluto vedermi».

Questo presunto contrabbando di materiale da cava, sostiene De Michelis, sarebbe proseguito anche in Liguria, con le gallerie del Terzo valico. Ma qui emergono profili più inquietanti.

Emergenze amianto e cemento
«Il problema più grosso, per il consorzio guidato da Salini-Impregilo, è l’amianto, soprattutto per la parte ligure», denuncia il pentito. Anche i magistrati, nelle domande, parlano di materiale «marcio». E l’arrestato conferma che le terre dove si scava per la nuova Tav sono altamente contaminate dall’amianto: «Ce n’è tanto», sostiene l’ingegnere. La legge impone di analizzare tutto il materiale e smaltirlo in totale sicurezza. Il direttore dei lavori però non sa neppure dove sia finito con esattezza. Salvo poi indirizzare gli inquirenti verso una cava, la Isoverde, tra le più grandi della Liguria. «Poi parliamo anche di questo», lo blocca il pm, che sembra molto interessato alla questione. Ma preferisce trattare in successivi interrogatori questo capitolo che potrebbe riservare brutte sorprese per il territorio. Probabile, dunque, che l’ingegnere venga riascoltato per chiarire i misteri dello smaltimento delle fibre di amianto.

In questo mare di ammissioni, tuttavia, De Michelis nega ostinatamente solo l’accusa di aver diviso con Gallo anche i soldi di società come la Breakout, che forniscono cemento. «È vero che presentavo Gallo alle grandi imprese e portavo i manager a vedere le sue cave, ma lo facevo gratis, per amicizia. Per la Oikodomos facevamo al 50 per cento, ma con la Breakout io non c’entro». Una posizione che ai magistrati sembra assurda: che senso ha ammettere la corruzione con alcune società e negare la stessa accusa con le altre? Proprio qui l’ingegnere minimizza anche le intercettazioni sul cemento scadente: «È un problema di consistenza, non di qualità. Mandavo indietro i camion solo per rifare le bolle formali». Il pm Cascini non gli crede: «Perché quando viene fuori che il cemento è colla o è troppo liquido, lei cerca di evitare che emerga?». La domanda resta senza risposta. Forse perché è un segreto inconfessabile: chiunque ammettesse di aver usato cemento pericoloso, rischierebbe di rispondere non solo di corruzione, ma anche delle eventuali vittime di nuovi crolli di grandi opere.


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Re: Diario della caduta di un regime.

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EUTANASIA DELLA SECONDA REPUBBLICA




Minzolotti

di Marco Travaglio | 17 marzo 2017

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Tecnicamente, quello inscenato ieri in Senato da Pd, Forza Italia e frattaglie varie è un atto eversivo, un abuso di potere, un colpo di Stato contro la Costituzione, svuotata di uno dei suoi principi cardine: l’uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge. Un golpe nero che abolisce lo Stato di diritto e legittima l’arbitrio del più arrogante, torcendo in senso antidemocratico la regola delle democrazie parlamentari fondate sulla maggioranza. Il voto di scambio non potrebbe essere più plateale: mercoledì FI, verdiniani di Ala e àscari centristi salvano il ministro Pd Luca Lotti dalla sfiducia a 5Stelle e giovedì il Pd regala a FI, verdiniani di Ala e àscari centristi i voti necessari (l’elenco della vergogna è qui a fianco, così gli elettori sanno chi li ha traditi) a salvare la poltrona e la pensione del senatore forzista cioè pregiudicato Augusto Minzolini. Sette mesi fa l’ex direttore del Tg1 è stato condannato in via definitiva a 2 anni e 6 mesi per peculato nel processo sulle spese personali pagate con la carta di credito della Rai. E una legge dello Stato, la Severino, approvata nel 2012 da tutti i partiti, stabilisce che i parlamentari condannati a più di 2 anni decadono ipso facto dal seggio, rimpiazzati dal primo dei non eletti: il voto della Camera di appartenenza è una semplice presa d’atto della sentenza e delle conseguenze, senz’alcun margine di discrezionalità (come il Pd sbandierava ai quattro venti nel 2013, quando cacciò B. da Palazzo Madama). Dunque da sette mesi Minzolini incassa stipendi e accumula contributi pensionistici abusivi. E, col voto di ieri, continuerà a farlo sedendo sullo scranno di un altro: le sue dimissioni sono fumo negli occhi, visto che non scatteranno finché non saranno approvate dall’aula, che di solito le respinge (almeno al primo scrutinio). Campa cavallo: intanto finirà la legislatura.

Ma, con tutto il rispetto per la poltrona, lo stipendio e il vitalizio dell’ex Direttorissimo, che pure sono un bel problema per milioni di disoccupati sotto la soglia minima di povertà, non era lui il vero oggetto del voto di ieri. Un paracarro al posto suo non sarebbe cambiato nulla, come dimostrano i toni, le facce e i contenuti del dibattito su Lotti: come ai tempi della Bicamerale (1997-’98), delle indagini sulle scalate trasversali dei furbetti del quartierino (2005) e della caduta del governo Prodi-2 per le dimissioni del ministro Mastella dopo l’arresto di sua moglie e di mezza Udeur (2008), destra, centro e sinistra si ritrovano affratellate in una soave corrispondenza di amorosi sensi contro tutto ciò che puzza di legge, di etica e di giustizia.

Accade ogni volta che le indagini aprono l’armadio degli scheletri della politica. Nessuno meglio di lorsignori sa di che ruberie e malaffari grondano i partiti e quanto rischiano se, dopo anni di letargo, le Procure ricominciano a fare ciò per cui sono pagate: indagare. E, agevolate da quest’arietta da fine impero 25 anni dopo Mani Pulite, trovano gente disposta a rompere i patti di omertà e a cantare. Ci voleva un bel messaggio mafioso a tutti i pm d’Italia perché non si azzardino a seguire l’esempio dei colleghi napoletani e romani. E il messaggio mafioso è arrivato: non osate, altrimenti alle elezioni vincono i barbari. Pare un atto di forza, prepotenza e tracotanza. Invece è una clamorosa prova di debolezza, il classico ruggito del coniglio: se i “barbari” “populisti” e “antipolitici” avanzano in tutto il mondo è perché le classi politiche sono screditate: non dai pm, ma da se stesse. Potrebbero salvarsi anticipando gl’inquirenti e facendo le pulizie di casa, invece si stringono a coorte, pronti alla morte pur di difendere i loro indifendibili. Io salvo un inquisito a te, tu salvi un condannato a me (e alla fine affonderanno tutti). È il replay di 24 anni fa, 29 aprile ’93, quando la Camera negò al pool Mani Pulite quattro autorizzazioni a procedere contro Craxi. Anche allora il Parlamento degli inquisiti (un centinaio, come oggi) esplose in un baccanale liberatorio: cori da stadio, urli di giubilo, baci e abbracci traversali, “liberi tutti”. Ma già l’indomani quella che pareva la vittoria di Craxi e del partito dell’impunità si rivelò una cocente sconfitta: per Bettino, che non se ne riebbe mai più, e per l’intera Casta. Le piazze si riempirono di manifestanti, chiamati a raccolta da opposizioni e giornali (esistevano ancora), Bettino fu lapidato a suon di monetine, l’autorizzazione a procedere fu abolita a furor di popolo insieme al finanziamento pubblico dei partiti.

Ma quanto accaduto ieri è molto più grave: nel ’93 spettava al Parlamento valutare il fumus persecutionis per dare o negare l’autorizzazione a procedere, oggi la decadenza di un pregiudicato è automatica. La Severino non piace ai partiti che 5 anni fa la votarono? La aboliscano e se ne assumano la responsabilità. Non vogliono che i politici delinquenti vengano indagati? Ripristinino l’autorizzazione a procedere e ne paghino le conseguenze. Quello che non possono fare è calpestare una legge dello Stato nella stessa aula che l’aveva approvata; porsi al di sopra delle (loro) regole; e rivendicare il diritto di farlo ogni volta che vogliono con la forza dei numeri del neonato Forza Pd (peraltro falsati da una legge elettorale incostituzionale). Magari la reazione non sarà la violenza evocata da Di Maio, né la gente in piazza (per mancanza di stampa libera). Ma il re è nudo. Chi l’altroieri straparlava di “innocenza fino a condanna definitiva” ieri ha salvato un condannato in via definitiva. Chi si illudeva di arginare l’avanzata dei “barbari” le ha spalancato le porte. E chi strillava alla “gogna” ci ha infilato spontaneamente la testa. Se nessuno tira le monetine, è solo perché la gente le ha finite, o teme che lorsignori si freghino pure quelle.
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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EUTANASIA DELLA SECONDA REPUBBLICA

IL CERCHIO SI STRINGE.

MATTARELLA NON PUO' CHIUDERSI SEMPRE NELL'ARMADIO, IN NAFTALINA.

E' IL GARANTE ISTITUZIONALE.

NON PUO' RIMANGIARSI QUANTO HA AFFERMATO 10 ANNI FA PER PREVITI.




EVERSORI Il presidente potrebbe ripetere su Minzolini quanto disse nel 2007 su Previti?
La legge non è uguale per tutti:
Mattarella, nulla da dichiarare?


SERGIO MATTARELLA ALLA CAMERA
QUANDO TOCCÒ A CESARE PREVITI

La funzione di deputato è un pubblico ufficio
e non gli è più consentito di ricoprirlo. Soltanto la
Camera può disporne la decadenza o accettarne
le dimissioni, e noi siamo chiamati a farlo, salvo
violare le regole della Costituzione e della legge.
Sarebbe aberrante un parlamentare inamovibile,
qualunque reato abbia potuto commettere
31 LUGLIO 2007


Dalla prima pagina de | IL FATTO QUOTIDIANO | Sabato 18 Marzo 2017
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