News dal mondo

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SPESSO MI SENTO DIRE CHE NOI, IN SOSTANZA, SIAMO ANIMALI.
MA GLI ANIMALI DELLE SPECI CHE NOI CHIAMIAMO INFERIORI, NON ARRIVANO A TANTO CON LA PROLE.
COSA CI DOBBIAMO ANCORA ASPETTARE DAL "VIAGGIO SUL PIANETA TERRA?????????"






Bimbo fa la pipì a letto. Genitori lo fanno correre nudo e lo uccidono
L'orrore in Francia. I genitori accusati per l'omicidio del bimbo. Il piccolo Yanis costretto a correre nudo all'aperto e picchiato per punizione: aveva fatto la pipì a letto
Claudio Cartaldo - Mer, 08/02/2017 - 09:42
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Appena cinque anni e un tragico destino: morire per aver fatto la pipì a letto. Yanis si è arreso dopo essere stato costretto dai genitori a correre lungo il canale della sua città.

Una punizione atroce che i genitori del bimbo gli hanno inflitto solo perché, come tanti altri al mondo, non è riuscito a trattenere la pipì.
L'orribile vicenda viene dalla Francia, a Aire-sur-la-Lys. La madre e il patrigno di Yanis, dopo averlo scoperto a letto con le lenzuola bagnate, le hanno denudato e costretto a correre all'aperto con le sole mutande bagnate addosso. Lo sforzo disumano ha infranto il cuore del piccolo, morto durante la punizione: oltre la corsa, anche violenza fisica. "La sanzione - ha detto il procuratore Patrick Leleu -consisteva nel far correre il bimbo nel cuore della notte per aver bagnato il letto. Il piccolo è stato costretto a correre per diversi chilometri lungo il canale La Lys: è caduto almeno due volte e indossava soltanto le mutandine bagnate".
A quanto si apprende dalla polizia locale, a chiamare le forze dell'ordine sarebbe stato lo stesso patrigno del piccolo Yanis. L'uomo, 30enne, e la madre, di 23anni, dovranno rispondere di omicidio. Il corpo del bambino è stato trovato intorno alle 2.30 di notte ed aveva il naso fratturato. "Il patrigno ci ha detto che il piccolo era privo di sensi - ha detto la polizia – Lo aveva punito chiedendogli di correre all'esterno dopo aver bagnato per l'ennesima volta il letto". Ancora da accertare le cause della morte, che potrebbe anche essere stata causata da un trauma cranico
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“Il Venezuela? Un paese fallito da ricostruire”

Federico è un ragazzo vicino ai 30. Ha lasciato il Venezuela per trasferirsi in Italia con tutta la famiglia e racconta cosa ha lasciato nel suo Paese
Michele Di Lollo - Gio, 02/03/2017 - 10:17
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“Senza libertà politiche, la libertà economica scricchiola in modo preoccupante. E il settore privato, motore propulsivo di un paese, muore”. Federico è un ragazzo vicino ai 30.

Ha lasciato il Venezuela per trasferirsi in Italia con tutta la famiglia. Suo nonno, emigrato a Caracas nella prima metà del novecento, ha creato un piccolo impero immobiliare, ma restare nel paese sudamericano è diventato pressoché impossibile. Questo giovane, pieno di interessi e profondamente appassionato di politica, viene da una famiglia italo-venezuelana. Ha studiato a Madrid e si prepara a frequentare un master in International Business alla Luiss. Finita l’università si dice pronto, forse, a tornare in patria per correre con chi offre al paese una politica alternativa a quella chavista che nel tempo ha messo in ginocchio un’intera nazione: tra criminali pericolosissimi (il Venezuela è uno dei paesi più a rischio violenze) e mancanza di cibo (in Venezuela scarseggiano perfino beni di prima necessità come l'acqua o il latte). Un disastro insomma, per chi fa impresa (la classe media, ndr), scaturito da un ventennio di politiche socialiste".

Siete una famiglia italo-venezuelana, qual è il tuo primo ricordo dell'Italia?

"Appartenere a una famiglia italiana è per me molto importante. Rappresenta una parte centrale della mia identità, una realtà presente nella vita quotidiana. Naturalmente sono di seconda generazione e, in Venezuela, ho vissuto in condizioni diverse da quelle dei miei nonni. Il Venezuela è a mio avviso un ottimo posto in cui vivere e lo è ancora. Tuttavia, come spesso accade, quando si iniziano a visitare altri luoghi si acquisisce una nuova prospettiva. Il mio primo ricordo dell’Italia è il cibo, a essere onesti. E la sua natura rituale che circonda ogni pranzo e cena. È un momento per condividere esperienze, risate e idee. È qualcosa di sacro".

Com'è vivere a Caracas?

"Vivere a Caracas è un'esperienza stupenda. Almeno in un primo momento. Ma con il tempo è diventato più difficile, specialmente dopo la prima elezione del presidente Hugo Chavez. In quel momento qualcosa si è rotto. Poi sono arrivati i problemi e realtà crudeli sconosciute ad alcuni settori della popolazione fino a quel momento".

Cosa fa un ragazzo venezuelano della nostra età nel weekend? È possibile uscire la sera?

"Attualmente uscire di notte per divertirsi o bere qualcosa è troppo pericoloso. Ciò che è normale in molti paesi, in Venezuela, con l'attuale situazione sociale e politica, rappresenterebbe un rischio inutile".

Cosa ricordi e cosa ti manca del Venezuela?

"La cosa che ricordo di più è la stessa che mi manca di più: El Avila. La montagna che circonda Caracas".

Perché hai lasciato il Sud America?

"Non ho lasciato il Venezuela. Credo che il mio soggiorno in Europa abbia uno scopo e che entrambe le esperienze (vivere in Venezuela e in Europa, ndr) abbiano contribuito alla mia crescita personale".

Dopo anni di regime chavista il Venezuela è più ricco o più povero?

"Più povero. Direi che dopo tanti anni di regime chavista il Venezuela ha subito un grande cambiamento. Economicamente è un disastro, ma ci ha permesso di vivere importanti dibattiti, in un certo senso democratici, su ciò che vorremmo realizzare come popolo".

Qual è stata secondo te la misura peggiore adottata dal governo Chavez?

"Sarebbe difficile scegliere una misura specifica. Se dovessi scegliere, direi che sono completamente contrario agli espropri arbitrari in quanto si svuota un diritto costituzionale: la proprietà privata".

Quali sono i problemi peggiori per i venezuelani oggi?

"Credo che i problemi più gravi siano l'economia e l’assenza di sicurezza. Nel lungo periodo direi… la difficoltà di rinnovare la nostra fede nella democrazia. Ma dobbiamo crederci".

È vero che c'è scarsità di materie prime come latte e acqua?

"Sì, purtroppo è vero".

Tornerai nel tuo paese d'origine?

"Magari per fare il politico... Non ho escluso la possibilità di tornare e avere una vita politica attiva in Venezuela, ma solo il tempo potrà dirlo".

Ti piacerebbe candidarti per cambiare il paese dall'interno?

"Sì mi piacerebbe. Il Venezuela è parte di me e ho sempre pensato di candidarmi, ma l’opportunità e la tempistica sono essenziali".

Cosa pensi di Nicolas Maduro?

"Credo che sia l'erede di un progetto politico che ha cambiato notevolmente il Venezuela, ma che è destinato a finire. Serve aprire un nuovo scenario per il popolo venezuelano e saranno le nuove generazioni a costruirlo. Saranno loro a concepire un nuovo modello di futuro".

In Venezuela saresti libero di rilasciare un'intervista come questa?

"La libertà di stampa ha subito molti danni. È stato spazzato via un diritto costituzionale e un elemento fondamentale della democrazia".

Esiste ancora una classe media?

"La classe media a mio avviso sta lentamente scomparendo, ma non ho dati sull'argomento".

Cosa teme di più la middle-class venezuelana: la violenza o la povertà?

"La povertà è ed è stata una realtà in Venezuela. Tuttavia la paura più grande per la classe media riguarda i rischi per la sua sopravvivenza".

È possibile fare impresa in Venezuela?

"Direi di sì, ma con grossissime difficoltà. Ottimista… Nulla è impossibile".
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Re: News dal mondo

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LA TERRA E' PIATTA????


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Piramidi hi-tech 30.000 anni fa, la Storia è da riscrivere

Scritto il 12/3/17 • nella Categoria: Recensioni Condividi




«Non vedo l’ora che la verità venga esposta e che i falsi libri di storia vengano bruciati». Per l’antropologo Semir Osmanagich, fondatore del Parco Archeologico Bosniaco, «i mass-media sono complici di un insabbiamento di proporzioni epiche». Osmanagich, scopritore del sito archeologico più attivo del mondo, dichiara che le prove scientifiche, “inconfutabili”, venute alla luce, sull’esistenza di antiche civiltà con tecnologia avanzata, non ci lasciano altra scelta se non quella di riscrivere la nostra storia, la storia dell’umanità sulla Terra. L’attento esame delle strutture emerse nella valle del fiume Visoko, 40 chilometri a nord-ovest di Sarajevo, attraverso la datazione al radiocarbonio rivela definitivamente che quelle grandi piramidi «sono state costruite da civiltà avanzate di oltre 29.000 anni fa», scrive “Il Sapere”. Questo, aggiunge il ricercatore bosniaco, «costringe il mondo a riconsiderare totalmente la sua comprensione sullo sviluppo della civiltà attuale e della sua storia», spiega il dottor Osmanagich. Ormai si scava da otto anni nel sito bosniaco, che si estende sui sei chilometri quadrati attorno a 4 piramidi, collegate da tunnel sotterranei. La colossale Piramide del Sole è la più grande al mondo: è alta 420 metri, contro il 146 di quella di Cheope.

«Il dottor Osmanagich – rileva “Il Sapere” – ha stupito l’intera comunità scientifica e archeologica con la raccolta e formazione di un team di ingegneri interdisciplinari, fisici e ricercatori da tutto il mondo per condurre un’indagine aperta e trasparente del sito e per cercare di scoprire la vera natura e il vero scopo di questo complesso piramidale». Per uno scienziato come Tim Moon, «questa è una cultura sconosciuta che ci presenta arti e scienze altamente avanzate, in grado di formare strutture veramente enormi, dimostrando una capacità di sfruttare le risorse energetiche pure». In un tunnel che conduce verso la Piramide del Sole, la squadra ha portato alla luce una enorme pietra megalitica da 25 tonnellate a circa 400 metri di profondità. «Inoltre abbiamo individuato muri di fondazione lungo tutto il suo perimetro formati da blocchi di pietra tagliata», aggiunge Moon. Grandi quantità di reperti sono state recuperati dalle gallerie: effigi, dipinti su pietra, oggetti d’arte e una serie di geroglifici e “testi” antichi, «scavati nelle pareti dei tunnel». La datazione al radiocarbonio è stata effettuata a Kiev su materiale organico presente nel sito della piramide, costruita in calcestruzzo. Mona Haggag, archeologa dell’università di Alessandria, dice che è come «scrivere nuove pagine della storia europea e mondiale».

A sbalordire i tecnici, anche la presenza di una fonte di “energia misteriosa” che emanerebbe dalla grande piramide, dalla cui profondità proviene anche un’emissione radio. «I popoli antichi che hanno costruito queste piramidi conoscevano i segreti della frequenza e dell’energia», conclude Osmanagich. «Hanno usato queste risorse naturali per sviluppare tecnologie e per intraprendere la costruzione di scale che non abbiamo visto in nessun altro posto della terra». Non solo: «Le prove dimostrano chiaramente che le piramidi furono costruite allineandole con la griglia energetica della Terra, ed erano come macchine che fornivano energia al potere della guarigione». Ma non è solo dalla Bosnia che giungono rivelazioni sconcertanti, sostiene sempre “Il Sapere”: «Studiosi di storia antica negli Stati Uniti hanno notizie altrettanto sorprendenti su qualcosa trovato negli angoli più lontani del globo. Per esempio la scoperta di Rockwall al di fuori di Dallas, Texas, è solo un esempio di come stiamo riesaminando antichi misteri che rivelano molto sul nostro passato». Il sito texano è un complesso e poderoso muro di dieci miglia di diametro, costruito oltre 20.000 anni fa e coperto dal suolo sette piani sotto terra. «La domanda è: da chi è stata costruita questa struttura e per quale scopo e, soprattutto, la conoscenza data da queste civiltà del passato, in che modo può aiutarci a comprendere il nostro futuro?».

Ne parla anche il “National Geographic”, interrogandosi nel 2013 sui “100 più grandi misteri rivelati delle civiltà antiche”: «A volte le culture si lasciano dietro misteri che confondono coloro che vengono dopo di loro, dai menhir ai manoscritti codificati, ci indicano che gli antichi hanno avuto uno scopo profondo». Michal Cremo, nel suo libro “Forbidden Archeology”, teorizza che la conoscenza dell’avanzato homo sapiens sia stata soppressa o ignorata dalla comunità scientifica perché contraddirebbe le attuali opinioni sulle origini umane, che non vanno d’accordo con il paradigma dominante. I recenti risultati, invece, «indicano chiaramente che simili civiltà avanzate erano presenti in tutto il mondo in quel momento storico», cioè 30.000 anni fa. Che alle nostre origini ci sia “tutt’un’altra storia” lo suggerisce anche il Gobekli Tepe, scoperto nel 1995 nella Turchia orientale: un vasto complesso di enormi cerchi di pietre megalitiche, con un raggio tra i 10 e i 20 metri, molto più grandi di quelle di Stonehenge in Gran Bretagna. I test al carbonio radiofonico rivelano che la struttura risale almeno a 11.600 anni fa. Lo conferma l’archeologo tedesco Klaus Schmidt, dell’Istituto Archeologico Tedesco di Berlino, che ha diretto gli studi con il supporto dell’ArchaeoNova Institute di Heidelberg.

«Gobekli Tepe è uno dei più affascinanti luoghi neolitici del mondo», sostiene Schmidt. Ma, come spiega in un recente rapporto, per capire le nuove scoperte, gli archeologi hanno bisogno di lavorare a stretto contatto con gli specialisti di religioni comparate, con i teorici dell’architettura e dell’arte, con i teorici della psicologia evolutiva, con i sociologi che utilizzano la teoria delle reti sociali, ed altri ancora. «È la complessa storia delle prime, grandi comunità insediate, la loro vasta rete, e la loro comprensione comune del loro mondo, forse anche delle prime religioni organizzate e delle loro rappresentazioni simboliche del cosmo». Oltre alle strutture megalitiche, sono state scoperte figure e sculture, raffiguranti animali preistorici, come i dinosauri. E lo scavo non è concluso: si pensa che ci siano ancora fino a 50 ambienti nascosti sottoterra, tra gli enormi monoliti svettanti, alti 7 metri e pesanti 25 tonnellate. «L’obiettivo della ricerca archeologica – precisa Schmidt – è soprattutto quello di cercare di capire la loro funzione». Dalla Bosnia, il dottor Osmangich non ha dubbi: è giunto il momento di condividere liberamente la conoscenza, in modo che si possa scoprire il nostro autentico passato. «È tempo per noi di aprire le nostre menti alla vera natura della nostra origine», dice. «La nostra missione è quella di riallineare la scienza con la spiritualità, al fine di progredire come specie. E questo richiede un chiaro percorso di conoscenza condivisa».
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LA PUBBLICITA' E' L'ANIMA DEL COMMERCIO......ANCHE IN POLITICA


GLI STRUMPTRUPPEN, DI RELIGIONE BUNGA-BUNGA, DELLA PUBBLICITA' A caXXo, NE FANNO IL LORO PUNTO DI FORZA.





Il Venezuela socialista è ridotto alla fame. Maduro trova i colpevoli: sono i panettieri

Guerra del pane in Sud America. I fornai "controrivoluzionari" vengono espropriati e messi in prigione

Paolo Manzo - Sab, 18/03/2017 - 09:02

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In Venezuela è scoppiata la guerra del pane, come ai tempi del Manzoni. Una decina i panettieri già arrestati a Caracas, due le panetterie espropriate ma la lista potrebbe presto ingrossarsi visto il piglio militare con cui il governo sta affrontando la questione.

Il reato farebbe ridere non fosse che da queste parti si finisce in galera: i panettieri arrestati sono infatti «colpevoli» di aver prodotto troppi «brownies e cornetti» a scapito di baguette e rosette, in un paese stremato da politiche economiche suicide, in cui le materie prime scarseggiano e quel poco che c'è viene razionato fino all'osso da generali corrotti.

«La guerra del pane scatenata dai panettieri nemici della rivoluzione la vinceremo, ve lo giuro!». Questo l'ordine dato l'altro ieri in diretta tv a reti unificate dal presidente del Venezuela, Nicolás Maduro, che oramai tutti a Caracas chiamano el loco, il folle. Già perché solo un pazzo può arrivare a pensare davvero che dietro la scarsità di pane ci sia sul serio un piano internazionale ordito dall'«impero del male yankee». Eppure per il delfino di Chávez proprio dagli Usa sarebbe partito l'ennesimo piano diabolico per fiaccare il morale di un popolo venezuelano già allo stremo per mille motivi dall'inflazione che viaggia al 1000% ai tassi di omicidi quasi «siriani» il tutto con la compiacenza di panettieri che, chissà perché, farebbero sparire il pane dagli scaffali.

Eppure molti, a partire dall'associazione Fevipan che difende i diritti delle novemila panetterie venezuelane, denunciano la gravità della situazione. Da troppo tempo oramai assistono infatti impotenti al crollo continuo delle importazioni di cereali. Il problema vero, insomma, è che «manca la materia prima» e questo «rende tutti i lavoratori del settore sempre più disperati». Tanto che per Juan Crespo, presidente del Sintra-Harina, il sindacato dei lavoratori delle farine, «per far fronte al fabbisogno primario del paese ci sarebbe bisogno di almeno 4 navi ogni mese, cariche di trenta tonnellate l'una di grano». Più che una supplica un miraggio, viste le condizioni del Paese. Anche perché per Maduro il problema sono i panettieri controrivoluzionari ed affamatori del popolo se è vero, come di fatto lo è, che nella capitale Caracas da 15 mesi gli stremati abitanti desiderosi di mettere in tavola un po' di pane sono costretti a sciropparsi file chilometriche, come nella Cuba del «periodo speciale» d'inizio anni Novanta. E così, dopo aver denunciato «la guerra del pane che affama il popolo», il presidente più odiato della storia venezuelana ha deciso di «farla pagare a chi di dovere, costi quel che costi». Detto fatto e, così, da ieri oltre duemila tra militi della Guardia Nazionale Bolivariana, dell'esercito e finanche funzionari del Sebin gli ineffabili e torturatori 007 di regime - hanno preso d'assalto le 709 panetterie di Caracas, alla ricerca di crimini che ne giustificassero l'esproprio, con annesso arresto degli infidi panettieri. Naturalmente, grazie alla notoria efficienza degli agenti chavisti in divisa e in borghese dopo poche ore erano già una decina gli impastatori portati via in manette per ordine dell'inflessibile Sundde, acronimo che sta per Superintendenza dei Prezzi Giusti, ed almeno due le panetterie espropriate ed affidate seduta stante alle «cure amorevoli» dei Clap, i Comitati Locali per la Produzione dello Stato.

Dal canto loro gli impauriti panettieri hanno chiesto un incontro urgente col governo. L'obiettivo è quello di far capire a Maduro che dietro la produzione di qualche brownies e cornetto non c'è nessuna congiura anti-rivoluzionaria, che gli Usa non c'entrano nulla, ma c'è semplicemente un bisogno di sopravvivenza. Vendendo solo pane, infatti, non riuscirebbero mai a coprire neanche un terzo dei costi di produzione ai ridicoli prezzi fissati dal regime.
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GLI STRUMPTRUPPEN RIESCONO AD ECCITARE LA FANTASIA DEL FASCISTUME TRICOLORE.


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Ritratto di Leonida55

Leonida55
Sab, 18/03/2017 - 09:17



Comunisti. Guardate cosa combinate nel mondo. Questi sono i vostri risultati. Cancro della società. Siete riusciti ad affamare tutti gli stati in cui avete...governato (dittatorialmente). Ma come fanno a votare per un'ideologia malsana come la vostra?







paolonardi
Sab, 18/03/2017 - 09:49



Solita storia che si ripete inesorabilmente dove il socialistume, comunque camuffato, arriva al governo ed applica quella sciagurata dottrina economica. Anche quest'ultima dimostrazione non sara' utile a far aprire gli occhi agli elettori di tutto il mondo.







Ritratto di Zagovian

Zagovian
Sab, 18/03/2017 - 10:12



....Questo Maduro,come è andato al "potere"?...Per volontà dei Marziani,o della stragrande maggioranza dei venezuelani?







Ritratto di giangol

giangol
Sab, 18/03/2017 - 10:13



tutta colpa dei nazofascisti







chicasah
Sab, 18/03/2017 - 10:26



galleggia sul petrolio e la gente ha fame. Normale i soliti successi dei regimi comunisti.







sesterzio
Sab, 18/03/2017 - 10:33



Era impensabile che una nazione potenzialmente ricchissima come il Venezuela finisse in miseria.Solo un regime dittatoriale poteva riuscirci.Il "folle" ce l'ha messa proprio tutta!!!
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Re: News dal mondo

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TEMPI MODERNI


12 minuti fa
0
Maduro controlla tutto
Cancellato il parlamento


Lucio Di Marzo
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Re: News dal mondo

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Garante, post su Fb non per pochi
29/31
Ansa


ANSA

23 ore fa

CONDIVIDI


(ANSA) - ROMA, 29 MAR - Un post su Facebook non è per pochi, scelti ed intimi amici. Le informazioni riservate diffuse sul web, soprattutto se riguardano i minori, sono potenzialmente pericolose. E', in sintesi, quello che sottolinea il Garante per la protezione dei dati personali nella Newsletter riportando un provvedimento. Il principio è stato affermato in un provvedimento con il quale ha ordinato ad una donna la rimozione dalla propria pagina Facebook di due sentenze, sulla cessazione degli effetti civili del matrimonio, in cui erano riportati delicati aspetti di vita familiare che riguardavano anche la figlia minorenne. L'Autorità - intervenuta su segnalazione dell'ex marito che lamentava una violazione del diritto alla riservatezza della figlia - ha ritenuto che la divulgazione dei provvedimenti giurisdizionali in questione fosse incompatibile con quanto stabilito dal Codice privacy.
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Re: News dal mondo

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QUESTA VOLTA DALL'ITALIA




27 minuti fa
2


Morto all'età di 92 anni
il politologo Sartori


Enrica Iacono
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Re: News dal mondo

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....."PROPRIO COME MARPIONNE, PROFUMO E PROFUMINI VARI, NONCHE' MONTEPREZZEMOLO E MONTEPREZZEMOLINI VARI.......




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Rinuncia a 4 milioni per regalare l’azienda ai dipendenti


Scritto il 05/4/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi




«Altro che Paperon de Paperoni, esistono anche milionari dal cuore d’oro e dal portafoglio meno gonfio a causa della generosità», scrive l’“Huffington Post” presentando il caso – davvero insolito – di Éric Belile, patron francese della Générale de Bureautique, un colosso della cancelleria che offre attrezzature per ufficio, stampanti, dispositivi digitali, sistemi per l’archiviazione. Un’azienda importante, quella di Nantes, basata sulla qualità dei suoi prodotti: un fatturato di 8 milioni di euro l’anno, addirittura impennatosi negli ultimi 12 mesi con uno squillante incremento del 25%. Ma, alla soglia del suo pensionamento, Belile «ha deciso di rinunciare a una buonuscita di 4 milioni di euro per donare l’attività a chi gli era stato davvero accanto in tutti quegli anni di lavoro: i dipendenti». Aggiunge l’“Huffington”: «Davanti alla decisione da prendere, se vendere la Générale a un manager esterno per una cfra a 6 zeri o se cederla ai suoi sottoposti ad un prezzo di favore, Belile non ha avuto dubbi e ha fatto prevalere le ragioni del cuore a quelle economiche». Meglio cedere l’azienda ai dipendenti, veri co-protagonisti del suo successo.

«Non mi importa di perdere 4 milioni di dividendi in 7 anni», ha spiegato il capo dell’azienda d’oltralpe a “Ouest France”: «Preferisco avere meno soldi in tasca ma sapere che l’impresa resterà ai miei ragazzi». Per consentire ai dipendenti di riscattare la Générale, Belile ha proposto loro un accordo chiaro e vantaggioso: dopo il versamento di una somma iniziale, la “cordata” interna restituirà poco a poco l’intera cifra, prendendo l’importo dai ricavi aziendali. «E per far sì che l’impresa rimanga in attivo, l’ex capo si è impegnato a formare e affiancare il personale per i prossimi 5 anni». Cose dell’altro mondo? Ovviamente, specie di questi tempi. A Nantes e dintorni, sembra possibile – benché pazzesco – spendere la parola “umanesimo”, in questo caso intesa come promozione del lavoro in quanto bene sociale primario, non svendibile per denaro – molto denaro: 4 milioni di euro.

«Devo tutto ai miei dipendenti», insiste Éric Belile, con sconcertante candore. «Per me è naturale che l’azienda rimanga nelle loro mani: abbiamo sviluppato i progetti insieme». Si schermisce, il patron: «Il mio non è un gesto altruista, è il giusto risarcimento». E’ anche un modo per mettere in sicurezza quei posti di lavoro, aggiunge. Perché, del resto, vendere a qualcuno di esterno avrebbe significato una sola cosa: «Ci sarebbero stati dei licenziamenti», ammette l’imprenditore. Secondo il “Post”, Belile «ha capito un concetto essenziale ma poco in voga tra i grandi imprenditori: per fare grande un’azienda, non c’è niente di meglio che puntare sul proprio personale». E’ il fantasma, buono, di personaggi come Adriano Olivetti. Scomparsi dai radar mille anni fa. Azienda e fatturato, certo. Dipendenti. Ma anche, e soprattutto, cittadini.
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Scie chimiche: schermare il Sole per “proteggere” la Terra?


Scritto il 06/4/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi




Scie chimiche? La meno complottista delle teorie è forse anche la peggiore: irrorare il cielo per creare un velo persistente che attenui l’impatto del sole, scongiurando il cataclisma del surriscaldamento. Un’incognita immensa: nessuno sa che impatto possa avere, questo stratagemma, sull’ecosistema terrestre, continenti e oceani. E’ una riflessione che Giulietto Chiesa ha riproposto di recente, in un dibattito al Senato con politici e scienziati. Del “fenomeno” sappiamo pochissimo, tranne quello che si vede a occhio nudo: i nostri cieli sono ormai gremiti di scie bianche rilasciate dagli aerei. Scie che restano nell’aria per ore, espandendosi, fino a diventare nuvole. Sembra l’applicazione, alla lettera, delle teorie di Edward Teller, il fisico ungherese (naturalizzato statunitense), padre della bomba all’idrogeno e probabile ispiratore del Dottor Stranamore di Stanley Kubrick. Si chiama Solar Radiation Management, l’ipotetico “scudo solare termico” che si andrebbe allestendo, da diversi anni, nel tentativo di ridurre l’effetto della radiazione solare facendola “rimbalzare” su un velo chimico chiaro, riflettente. Un’operazione necessariamente coperta, segreta, gestita da militari, impossibile da divulgare e ammettere.

Non abbiamo prove, soltanto indizi: le scie nel cielo sono protette dal silenzio assoluto di qualsiasi istituzione, nonostante il proliferare di voci isolate, denunce, sospetti, qualche ammissione parziale, svariati indizi: Putin che vieta sorvoli di aerei Lufthansa, lo scienziato aerospaziale Douglas Rowland (Nasa) che dichiara che il carburante dei velivoli sarebbe addizionato con il litio, sostanza usata da decenni in ambito psichiatrico. Commentando lo studio dell’Us Air Force, “Owning the weather”, il generale Fabio Mini, già capo della missione Nato in Kosovo, spiega che “possedere il clima” significa utilizzarlo “as a force multiplier”, come moltiplicatore di forza, in ambito militare. Il sottilissimo “fim” creato nella ionosfera sarebbe uno “schermo artificiale” perfetto per ricevere le emissioni radio del sistema Haarp (stazioni in Alaska, Australia e Sicilia, la base Muos di Niscemi) destinate a coordinare in tempo reale le forze armate sparse in tutto il mondo – ma anche, si sospetta, a condizionare il clima di intere regioni del pianeta provocando siccità, inondazioni, forse anche terremoti e tsunami. Complottismo?

Se ancora mancano le prove, Giulietto Chiesa si interroga sul possibile movente. Semplicissimo, terribilmente banale: il global warming è una realtà ormai anche scientifica, la Terra si sta velocemente surriscaldando a causa dell’emissione di gas serra provocati dal consumo di carbone e metano, e nessuno – nessun paese, nessun governo – è in grado di fermare le macchine, riducendo l’anidride carbonica e il metano. Per questo, forse, si ricorre alle teorie di Teller: attenuare l’azione del sole, senza però avere la minima idea dell’impatto che questo possa avere sul delicato equilibrio degli ecosistemi. Per questo, se l’operazione è davvero in corso, è impossibile averne conferma: nessuno potrebbe assumersene le responsabilità, ufficialmente. Se il “movente” è innanzitutto ecologico – prima che strategico, militare, geopolitico – allora la situazione è più grave del previsto: significherebbe che si sta tentando, alla cieca, si trovare soluzioni d’emergenza, disperate, a una situazione ormai fuori controllo, che preoccupa l’élite in modo inconfessabile. Ma questi, ribadisce Chiesa, sono soltanto interrogativi: oggi è impossibile pretendere risposte certe dai servizi segreti, perché non esistono forze politiche democratiche capaci di reclamare verità da offrire ai cittadini. Regna il silenzio, mentre il cielo si va riempiendo di scie bianche: domande mute, a cui nessuno vuole rispondere.
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