Dove va l'America?
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Re: Dove va l'America?
....SAN PAOLO.......UN PO' MENO SANTO........
LIBRE news
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segnalazioni.
L’oleodotto dei Sioux finanziato anche da Intesa Sanpaolo
Scritto il 14/3/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Dopo avere bloccato la concessione dei permessi a dicembre 2016, di recente l’Army Corps of Engineers ha riesaminato e autorizzato la costruzione della Dakota Access Pipeline negli Stati Uniti, un oleodotto di 1900 chilometri che trasporterà petrolio dal Dakota fino all’Illinois. Un impianto che avrà un enorme impatto ambientale e distruggerà le terre degli indiani Sioux di Standing Rock. Tra i finanziatori c’è anche la banca Intesa Sanpaolo. E tu da che parte stai? Se a dicembre i Sioux e i tanti attivisti e ambientalisti avevano esultato alla notizia che l’Army Corps of Engineers aveva annunciato che non avrebbe approvato i permessi per costruire il Dakota Access Pipeline, oggi non c’è più nulla da festeggiare. A inizio febbraio l’amministrazione Trump ha dato istruzioni all’Army Corps per riesaminare il tutto ed è arrivato il via libera. «L’impatto umano e ambientale di questo progetto è devastante, poiché mette a rischio le riserve idriche di una vasta zona del Nord degli Stati Uniti e attraversa, con gravi impatti, un’area sacra per i nativi indiani Sioux», scrive Claudia Vago per la campagna “Non con i miei soldi”.
«I rischi sono alti: solo nel 2016 si sono registrati oltre 200 sversamenti dagli oleodotti nel territorio statunitense e il petrolio è una delle principali cause del cambiamento climatico. I Sioux stanno protestando da mesi per difendere le loro terre sacre, ricevendo solidarietà e sostegno da ogni parte del mondo. La loro protesta è stata spesso contrastata con metodi brutali». A fine 2016 i Sioux hanno chiesto di poter incontrare gli istituti bancari che finanziano, a diverso titolo, il progetto. Gli appelli sono caduti quasi tutti nel vuoto. «Il 10 gennaio era la data limite per dare una risposta e le cose sono andate così: quattro banche hanno rifiutato l’invito (Bayern Lb, Bnp Paribas, Mizuho Bank e Suntrust), sei non hanno risposto (Bank of Tokyo-Mitsubishi Ufj, Bbva Compass, Icbc, Intesa Sanpaolo, Natixis e Sumitomo Mitsui Banking Corporation) mentre sette banche hanno accettato di incontrare le tribù (Citi, Crédit Agricole, Dnb, Ing, Société Générale, Td e Wells Fargo)».
Tra le azioni intraprese dai Sioux e dagli attivisti che li sostengono c’è anche una campagna per invitare al “divestment” dagli istituti che finanziano il Dapl. Nelle scorse settimane uno dei finanziatori del progetto si è tirato indietro. L’olandese Abn Amro ha annunciato che smetterà di finanziare la Energy Transfer Equity (Ete) se il Dakota Access Pipeline verrà costruito senza il consenso della tribù Sioux di Standing Rock o se continuerà ad essere utilizzata violenza contro gli attivisti che si oppongono al progetto. «Tra le banche che finanziano direttamente il Dakota Access Pipeline figura anche Intesa Sanpaolo». Greenpeace Italia ha scritto una lettera ufficiale ad Intesa per chiedere se ha intenzione di continuare a finanziare la distruzione delle terre dei Sioux e di mettere a rischio l’acqua potabile di tutta quella zona, oppure se deciderà di non impegnare i soldi dei propri clienti per un progetto tanto pericoloso e controverso. Intesa Sanpaolo non ha ancora dato una risposta ufficiale, il tempo corre e il suo è un silenzio assordante. Greenpeace ha lanciato una petizione online per rafforzare la propria richiesta a Intesa Sanpaolo.
(“L’oleodotto dei Sioux finanziato da Intesa Sanpaolo, tu da che parte stai?”, da “Coscienze in Rete” del 2 marzo 2017).
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L’oleodotto dei Sioux finanziato anche da Intesa Sanpaolo
Scritto il 14/3/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Dopo avere bloccato la concessione dei permessi a dicembre 2016, di recente l’Army Corps of Engineers ha riesaminato e autorizzato la costruzione della Dakota Access Pipeline negli Stati Uniti, un oleodotto di 1900 chilometri che trasporterà petrolio dal Dakota fino all’Illinois. Un impianto che avrà un enorme impatto ambientale e distruggerà le terre degli indiani Sioux di Standing Rock. Tra i finanziatori c’è anche la banca Intesa Sanpaolo. E tu da che parte stai? Se a dicembre i Sioux e i tanti attivisti e ambientalisti avevano esultato alla notizia che l’Army Corps of Engineers aveva annunciato che non avrebbe approvato i permessi per costruire il Dakota Access Pipeline, oggi non c’è più nulla da festeggiare. A inizio febbraio l’amministrazione Trump ha dato istruzioni all’Army Corps per riesaminare il tutto ed è arrivato il via libera. «L’impatto umano e ambientale di questo progetto è devastante, poiché mette a rischio le riserve idriche di una vasta zona del Nord degli Stati Uniti e attraversa, con gravi impatti, un’area sacra per i nativi indiani Sioux», scrive Claudia Vago per la campagna “Non con i miei soldi”.
«I rischi sono alti: solo nel 2016 si sono registrati oltre 200 sversamenti dagli oleodotti nel territorio statunitense e il petrolio è una delle principali cause del cambiamento climatico. I Sioux stanno protestando da mesi per difendere le loro terre sacre, ricevendo solidarietà e sostegno da ogni parte del mondo. La loro protesta è stata spesso contrastata con metodi brutali». A fine 2016 i Sioux hanno chiesto di poter incontrare gli istituti bancari che finanziano, a diverso titolo, il progetto. Gli appelli sono caduti quasi tutti nel vuoto. «Il 10 gennaio era la data limite per dare una risposta e le cose sono andate così: quattro banche hanno rifiutato l’invito (Bayern Lb, Bnp Paribas, Mizuho Bank e Suntrust), sei non hanno risposto (Bank of Tokyo-Mitsubishi Ufj, Bbva Compass, Icbc, Intesa Sanpaolo, Natixis e Sumitomo Mitsui Banking Corporation) mentre sette banche hanno accettato di incontrare le tribù (Citi, Crédit Agricole, Dnb, Ing, Société Générale, Td e Wells Fargo)».
Tra le azioni intraprese dai Sioux e dagli attivisti che li sostengono c’è anche una campagna per invitare al “divestment” dagli istituti che finanziano il Dapl. Nelle scorse settimane uno dei finanziatori del progetto si è tirato indietro. L’olandese Abn Amro ha annunciato che smetterà di finanziare la Energy Transfer Equity (Ete) se il Dakota Access Pipeline verrà costruito senza il consenso della tribù Sioux di Standing Rock o se continuerà ad essere utilizzata violenza contro gli attivisti che si oppongono al progetto. «Tra le banche che finanziano direttamente il Dakota Access Pipeline figura anche Intesa Sanpaolo». Greenpeace Italia ha scritto una lettera ufficiale ad Intesa per chiedere se ha intenzione di continuare a finanziare la distruzione delle terre dei Sioux e di mettere a rischio l’acqua potabile di tutta quella zona, oppure se deciderà di non impegnare i soldi dei propri clienti per un progetto tanto pericoloso e controverso. Intesa Sanpaolo non ha ancora dato una risposta ufficiale, il tempo corre e il suo è un silenzio assordante. Greenpeace ha lanciato una petizione online per rafforzare la propria richiesta a Intesa Sanpaolo.
(“L’oleodotto dei Sioux finanziato da Intesa Sanpaolo, tu da che parte stai?”, da “Coscienze in Rete” del 2 marzo 2017).
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Re: Dove va l'America?
Da TRUMP POWER
di Furio Colombo
Capitolo 2
IL NON CAVALIERE DELL’APOCALISSE
………….La Rete ha cambiato le carte in tavola , sconvolgendo per la prima volta nella storia americana , il tradizionale e mai violato rispetto per le istituzioni, che sono sempre state distinte(e salvate dallo screditamento) persino nei giorni del Watergate e dell’impeachment di Nixon.
La Rete e il suo furioso circolare di parole, citazioni, giudizi sganciati dal pensiero e da ogni soglia critica perché troppo veloci, troppo efficaci e mai smentibili, ha trasformato la prima campagna elettorale in cui hanno avuto un ruolo determinante, in una Prova d’orchestra alla Fellini, intensa, brutale, inconcludente.
CONTINUA
di Furio Colombo
Capitolo 2
IL NON CAVALIERE DELL’APOCALISSE
………….La Rete ha cambiato le carte in tavola , sconvolgendo per la prima volta nella storia americana , il tradizionale e mai violato rispetto per le istituzioni, che sono sempre state distinte(e salvate dallo screditamento) persino nei giorni del Watergate e dell’impeachment di Nixon.
La Rete e il suo furioso circolare di parole, citazioni, giudizi sganciati dal pensiero e da ogni soglia critica perché troppo veloci, troppo efficaci e mai smentibili, ha trasformato la prima campagna elettorale in cui hanno avuto un ruolo determinante, in una Prova d’orchestra alla Fellini, intensa, brutale, inconcludente.
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Re: Dove va l'America?
CONTINUAUncleTom ha scritto:Da TRUMP POWER
di Furio Colombo
Capitolo 2
IL NON CAVALIERE DELL’APOCALISSE
………….La Rete ha cambiato le carte in tavola , sconvolgendo per la prima volta nella storia americana , il tradizionale e mai violato rispetto per le istituzioni, che sono sempre state distinte(e salvate dallo screditamento) persino nei giorni del Watergate e dell’impeachment di Nixon.
La Rete e il suo furioso circolare di parole, citazioni, giudizi sganciati dal pensiero e da ogni soglia critica perché troppo veloci, troppo efficaci e mai smentibili, ha trasformato la prima campagna elettorale in cui hanno avuto un ruolo determinante, in una Prova d’orchestra alla Fellini, intensa, brutale, inconcludente.
CONTINUA
Perché il vantaggio sembra essere per Trump? Perché il disordine era il suo gioco , come lo era far capire che sono da buttare sia le persone che le istituzioni e che ci vuole un mondo nuovo e un governo forte di poca gente del suo tipo in cui contano grandezza e potenza
Come vedete, il passaggio di idee, che alla luce del dibattito umano appare vetero-fascista, in Rete diventa leggenda , superstizione, credenza, fede, comandamento.
E Trump può accomodarsi come legittimo leader,benché abbia detto, e stia per fare cose ignobili.
CHI DIMENTICA LA STORIA E’ COSTRETTO A RIVIVERLA.
Questo è stato l’insegnamento di Primo Levi.
Ma noi che ci siamo dimenticati tutti i valori del dopoguerra, ci siamo dimenticati anche la strada indicata da Levi.
Le assonanze con l’affermazione di Adolf Hitler stanno diventando esageratamente troppe.
Ma siamo proprio sicuri che l’establischment massonico-finanziario gli sia proprio contro a The Donald Adolf?????
O gli fa comodo un personaggio di questo tipo, in questa fase della storia americana?????
Alan Friedman ha pubblicato di recente il libro: “QUESTA NON E’ L’AMERICA”,
Che il sito di Feltrinelli descrive così:
Le rivelazioni shock, le storie inedite e i retroscena che svelano i segreti del paese di Trump Che cosa è successo all’America? Che fine ha fatto il sogno americano? E qual è il vero significato dell’arrivo di Donald Trump? Dietro l’immagine del Paese più influente del mondo si intravede una nazione lacerata, impaurita e rabbiosa. È vero, gli Stati Uniti sono ancora una superpotenza mondiale, ma le tensioni interne sono sintomo di sofferenza e profonda divisione. E cosa cambierà con l’elezione di Donald Trump? Alan Friedman ci racconta in presa diretta quali siano le condizioni attuali e quali i sentimenti reali del popolo americano. In Questa non è l’America vediamo un Friedman inedito, in un’indagine sul campo: vicino ai suoi connazionali e capace di raccontare le loro storie in modo vivido. Arricchito da interviste a persone comuni e a figure di primo piano della politica e dell’economia statunitensi, questo libro di grande impatto traccia il percorso e fa il punto sulle cause della terribile disuguaglianza dei redditi che affligge gli Stati Uniti e ci accompagna nel cuore di una cultura vasta e contraddittoria, ricca ma spesso incomprensibile. Dalla povertà estrema di alcune zone rurali come il Mississippi, agli eccessi di Wall Street, fino all’incontro con Donald Trump a bordo del suo Trump Force One, Friedman ci racconta la vera America, come non l’abbiamo mai vista prima. Ci spiega chi è Trump e ci fa capire cosa sta per cambiare negli Stati Uniti e nel mondo intero. Per la prima volta Alan Friedman indaga sul suo paese e racconta cosa dobbiamo aspettarci dall’America di Trump «Un viaggio alla scoperta della vera America.» L’Unità «Tutti i retroscena dell’America di Donald Trump, il presidente outsider che ha rivoluzionato il panorama politico mondiale.
Ma si è dimenticato di descrivere l’establischment massonico-finanziario che in questi ultimi 30 anni ha progettato la mondializzazione e ridotto l’America a tirar fuori dal cilindro un pessimo personaggio come Donald Adolf Trump.
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Re: Dove va l'America?
La geopolitica made in Trump
Mar 17, 2017/
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La nuova amministrazione statunitense ha voluto mandare un segnale forte quando, sul finire del mese di febbraio, ha presentato le linee guida per il futuro budget federale, che prevede un deciso incremento degli stanziamenti al settore della Difesa: le forze armate di Washington, infatti, vedranno il loro bilancio, che già sfiora i 600 miliardi di dollari, rimpinguato di circa 54 miliardi di dollari, una cifra che sfiora lo stanziamento annuo del Regno Unito nel settore.
Donald Trump ha voluto mandare un messaggio chiaro, che cozza con le interpretazioni della sua visione del mondo espresse da numerosi commentatori nel corso della campagna elettorale: il principio America First, infatti, non è da intendersi come il richiamo a un neo-isolazionismo decisamente insostenibile ai tempi della globalizzazione ma bensì come l’espressione della volontà di rimediare alla duratura “incapacità della politica estera americana post-Guerra Fredda di dare priorità ai propri interessi e affiancare ai mezzi a disposizione obiettivi realistici”, come scritto da William A. Hay sull’ultimo numero di Limes. Non di ritiro dagli scenari internazionali si parla, dunque, ma della ricerca di un nuovo posizionamento strategico per gli Stati Uniti che, nell’ottica di Trump, per rivelarsi efficace deve necessariamente passare attraverso il rafforzamento del più esteso apparato militare del pianeta, come espresso eloquentemente sul sito stesso della Casa Bianca.
Lo slancio proposto da Trump alle spese nell’apparato militare hanno suscitato opinioni contrastanti e dato adito a numerosi commenti nel mondo politico ed informativo statunitensi: secondo Caitlin Talmadge del New York Times il fatto che Trump abbia deciso di sviluppare gli investimenti nel campo militare decurtando notevolmente i finanziamenti al Dipartimento di Stato segnala una netta preferenza per i generali e gli ammiragli da parte del Presidente rispetto ai tradizionali apparati burocratici, mentre lo storico avversario di Trump in campo repubblicano, il Senatore John McCain, non può decisamente dichiararsi deluso della scelta di Trump, dato che a fine gennaio aveva auspicato la scelta di budget in via di concretizzazione. La priorità che Trump è pronto a dare allo sviluppo della United States Navy, inoltre, concorda con la visione strategica di McCain e, soprattutto, segnala come il Pentagono e la Casa Bianca abbiano individuato nella Cina il principale competitor strategico di Washington negli anni a venire.
Nelle acque dell’Oceano Pacifico, infatti, le contrastanti strategie geopolitiche di Pechino e Washington conoscono la loro linea di faglia: da un lato vi è l’ambizioso progetto cinese della “Nuova Via della Seta”, a cui la Repubblica Popolare intende dare sia uno sviluppo terrestre che uno marittimo, dall’altro la volontà americana di non recedere dalle proprie posizioni e di garantire un’ulteriore estensione a un potere navale inscalfibile da qualsiasi rivale allo stato attuale delle cose. Parlando dal ponte della USS Gerald R. Ford, Trump ha annunciato di voler ampliare la dimensione della flotta americana, prevedendo l’entrata in linea di due superportaerei simili a quella intitolata al successore di Richard Nixon, divenuta coi suoi 13 miliardi di dollari la nave più costosa mai costruita. Portaerei significa proiezione di potenza, ovvero capacità operative globali che oggigiorno sfuggono alla People’s Liberation Army Navy (PLAN) cinese, nonostante gli ambiziosi progetti di riarmo messi in cantiere da Pechino. Gli Stati Uniti di Trump, sotto il profilo geopolitico e militare, considerano la Marina un utilissimo strumento di pressione sulla Cina in una fase che li vede in difficoltà sotto il profilo della grande strategia e incerti sul piano d’azione da mettere in scena negli spazi oceanici: se al contenimento infruttuoso portato avanti da Obama si sostituisse la strategia del rollback, il posizionamento dei gruppi navali basati sulle portaerei a poca distanza dalle coste della Repubblica Popolare e, soprattutto, dalle infuocate acque del Mar Cinese Meridionale rappresenterebbe un’ipotesi più che plausibile. Alberto de Sanctis su Limes ha scritto che gli Stati Uniti continuano a tenere saldamente in mano il “tridente di Nettuno” del potere navale, riservandosi di utilizzarlo qualora fosse funzionale alle proprie ambizioni strategiche.
Nella giornata del 4 marzo la seduta annuale del Congresso Nazionale del Popolo ha approvato un aumento del 7% del budget militare cinese, rimanendo perciò all’interno dei programmi prefissati negli anni passati e non operando strappi radicali a causa della crescente tensione con gli Stati Uniti, che i vertici di Pechino non hanno alcun interesse a rinfocolare. Rimanendo all’incirca in linea con il tasso di crescita dell’economia, la spesa cinese nelle forze armate non si smuoverà, per il 2017, dalla modesta quota dell’1,3% del PIL. Il piano di riarmo navale messo a punto dalla Repubblica Popolare negli anni scorsi, divenuto sempre più sostenuto dopo l’entrata in linea della portaerei Liaoning, non è destinato a trasformarsi, almeno per il momento, in una sostenuta corsa alle armi. Se la Cina persevera con la sua strategia pragmatica e punta a non distogliere risorse dai suoi estesi investimenti infrastrutturali, gli Stati Uniti si apprestano a rafforzare il ruolo delle forze armate nell’ottica del loro posizionamento strategico e non sono disposti ad abdicare al loro ruolo di potenza leader sul piano militare: America First, secondo Trump, in fondo significa anche questo.
Mar 17, 2017/
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La nuova amministrazione statunitense ha voluto mandare un segnale forte quando, sul finire del mese di febbraio, ha presentato le linee guida per il futuro budget federale, che prevede un deciso incremento degli stanziamenti al settore della Difesa: le forze armate di Washington, infatti, vedranno il loro bilancio, che già sfiora i 600 miliardi di dollari, rimpinguato di circa 54 miliardi di dollari, una cifra che sfiora lo stanziamento annuo del Regno Unito nel settore.
Donald Trump ha voluto mandare un messaggio chiaro, che cozza con le interpretazioni della sua visione del mondo espresse da numerosi commentatori nel corso della campagna elettorale: il principio America First, infatti, non è da intendersi come il richiamo a un neo-isolazionismo decisamente insostenibile ai tempi della globalizzazione ma bensì come l’espressione della volontà di rimediare alla duratura “incapacità della politica estera americana post-Guerra Fredda di dare priorità ai propri interessi e affiancare ai mezzi a disposizione obiettivi realistici”, come scritto da William A. Hay sull’ultimo numero di Limes. Non di ritiro dagli scenari internazionali si parla, dunque, ma della ricerca di un nuovo posizionamento strategico per gli Stati Uniti che, nell’ottica di Trump, per rivelarsi efficace deve necessariamente passare attraverso il rafforzamento del più esteso apparato militare del pianeta, come espresso eloquentemente sul sito stesso della Casa Bianca.
Lo slancio proposto da Trump alle spese nell’apparato militare hanno suscitato opinioni contrastanti e dato adito a numerosi commenti nel mondo politico ed informativo statunitensi: secondo Caitlin Talmadge del New York Times il fatto che Trump abbia deciso di sviluppare gli investimenti nel campo militare decurtando notevolmente i finanziamenti al Dipartimento di Stato segnala una netta preferenza per i generali e gli ammiragli da parte del Presidente rispetto ai tradizionali apparati burocratici, mentre lo storico avversario di Trump in campo repubblicano, il Senatore John McCain, non può decisamente dichiararsi deluso della scelta di Trump, dato che a fine gennaio aveva auspicato la scelta di budget in via di concretizzazione. La priorità che Trump è pronto a dare allo sviluppo della United States Navy, inoltre, concorda con la visione strategica di McCain e, soprattutto, segnala come il Pentagono e la Casa Bianca abbiano individuato nella Cina il principale competitor strategico di Washington negli anni a venire.
Nelle acque dell’Oceano Pacifico, infatti, le contrastanti strategie geopolitiche di Pechino e Washington conoscono la loro linea di faglia: da un lato vi è l’ambizioso progetto cinese della “Nuova Via della Seta”, a cui la Repubblica Popolare intende dare sia uno sviluppo terrestre che uno marittimo, dall’altro la volontà americana di non recedere dalle proprie posizioni e di garantire un’ulteriore estensione a un potere navale inscalfibile da qualsiasi rivale allo stato attuale delle cose. Parlando dal ponte della USS Gerald R. Ford, Trump ha annunciato di voler ampliare la dimensione della flotta americana, prevedendo l’entrata in linea di due superportaerei simili a quella intitolata al successore di Richard Nixon, divenuta coi suoi 13 miliardi di dollari la nave più costosa mai costruita. Portaerei significa proiezione di potenza, ovvero capacità operative globali che oggigiorno sfuggono alla People’s Liberation Army Navy (PLAN) cinese, nonostante gli ambiziosi progetti di riarmo messi in cantiere da Pechino. Gli Stati Uniti di Trump, sotto il profilo geopolitico e militare, considerano la Marina un utilissimo strumento di pressione sulla Cina in una fase che li vede in difficoltà sotto il profilo della grande strategia e incerti sul piano d’azione da mettere in scena negli spazi oceanici: se al contenimento infruttuoso portato avanti da Obama si sostituisse la strategia del rollback, il posizionamento dei gruppi navali basati sulle portaerei a poca distanza dalle coste della Repubblica Popolare e, soprattutto, dalle infuocate acque del Mar Cinese Meridionale rappresenterebbe un’ipotesi più che plausibile. Alberto de Sanctis su Limes ha scritto che gli Stati Uniti continuano a tenere saldamente in mano il “tridente di Nettuno” del potere navale, riservandosi di utilizzarlo qualora fosse funzionale alle proprie ambizioni strategiche.
Nella giornata del 4 marzo la seduta annuale del Congresso Nazionale del Popolo ha approvato un aumento del 7% del budget militare cinese, rimanendo perciò all’interno dei programmi prefissati negli anni passati e non operando strappi radicali a causa della crescente tensione con gli Stati Uniti, che i vertici di Pechino non hanno alcun interesse a rinfocolare. Rimanendo all’incirca in linea con il tasso di crescita dell’economia, la spesa cinese nelle forze armate non si smuoverà, per il 2017, dalla modesta quota dell’1,3% del PIL. Il piano di riarmo navale messo a punto dalla Repubblica Popolare negli anni scorsi, divenuto sempre più sostenuto dopo l’entrata in linea della portaerei Liaoning, non è destinato a trasformarsi, almeno per il momento, in una sostenuta corsa alle armi. Se la Cina persevera con la sua strategia pragmatica e punta a non distogliere risorse dai suoi estesi investimenti infrastrutturali, gli Stati Uniti si apprestano a rafforzare il ruolo delle forze armate nell’ottica del loro posizionamento strategico e non sono disposti ad abdicare al loro ruolo di potenza leader sul piano militare: America First, secondo Trump, in fondo significa anche questo.
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Re: Dove va l'America?
A CHI GIOVA QUESTA NOTIZIA??????
Stati Uniti
Allarme bomba alla Casa Bianca, fermata una persona
Ha sostenuto di avere l’ordigno a bordo della sua automobile
di Redazione online
44
Allarme bomba alla Casa Bianca. Un’automobile si stava dirigendo verso un checkpoint nella notte tra sabato e domenica e il guidatore ha sostenuto di avere una bomba a bordo del suo veicolo, secondo quanto due funzionari di polizia hanno raccontato alla Cnn. Il conducente dell’automobile è stato posto sotto custodia e l’automobile controllata.
La situazione
Sembra che non ci fossero ordigni a a bordo del veicolo. Le misure di sicurezza alla Casa Bianca sono state immediatamente potenziate. Molte strade attorno alla residenza del presidente degli Stati Uniti sono state chiuse.
Falle nei giorni scorsi
Non è la prima volta in questo mese che il sistema di sicurezza per la residenza presidenziale Usa presenta qualche falla. Solo qualche ora prima dell’ultimo episodio una persona aveva cercato di saltare le recinzioni, ma era stata intercettata subito. Nei giorni scorsi, il 10 marzo, invece un intruso era riuscito a penetrare nel parco per un quarto d’ora: aveva sostenuto con gli agenti di avere un appuntamento con Trump. Ultimo problema (non in ordine di tempo) del Secret Service è stato quello di un computer portatile sottratto a New York a un funzionario del corpo che vigila sulla sicurezza del presidente degli Stati Uniti. La notizia era stata riferita dall’Abc che aveva riportato il particolare che nel pc ci sarebbero stati una pianta dei vari piani della Trump Tower e dettagli sulle indagini sulle email di Hillary Clinton.
19 marzo 2017 (modifica il 19 marzo 2017 | 07:27)
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/esteri/17_marzo_ ... 7d3e.shtml
Stati Uniti
Allarme bomba alla Casa Bianca, fermata una persona
Ha sostenuto di avere l’ordigno a bordo della sua automobile
di Redazione online
44
Allarme bomba alla Casa Bianca. Un’automobile si stava dirigendo verso un checkpoint nella notte tra sabato e domenica e il guidatore ha sostenuto di avere una bomba a bordo del suo veicolo, secondo quanto due funzionari di polizia hanno raccontato alla Cnn. Il conducente dell’automobile è stato posto sotto custodia e l’automobile controllata.
La situazione
Sembra che non ci fossero ordigni a a bordo del veicolo. Le misure di sicurezza alla Casa Bianca sono state immediatamente potenziate. Molte strade attorno alla residenza del presidente degli Stati Uniti sono state chiuse.
Falle nei giorni scorsi
Non è la prima volta in questo mese che il sistema di sicurezza per la residenza presidenziale Usa presenta qualche falla. Solo qualche ora prima dell’ultimo episodio una persona aveva cercato di saltare le recinzioni, ma era stata intercettata subito. Nei giorni scorsi, il 10 marzo, invece un intruso era riuscito a penetrare nel parco per un quarto d’ora: aveva sostenuto con gli agenti di avere un appuntamento con Trump. Ultimo problema (non in ordine di tempo) del Secret Service è stato quello di un computer portatile sottratto a New York a un funzionario del corpo che vigila sulla sicurezza del presidente degli Stati Uniti. La notizia era stata riferita dall’Abc che aveva riportato il particolare che nel pc ci sarebbero stati una pianta dei vari piani della Trump Tower e dettagli sulle indagini sulle email di Hillary Clinton.
19 marzo 2017 (modifica il 19 marzo 2017 | 07:27)
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Re: Dove va l'America?
Da : LA FABBRICA DEL FALSO
di Wladimiro Giacchè
Oggi, nell’epoca dei mezzi di comunicazione di massa e della politica medializzata, il silenzio e il segreto sono armi spuntate.
Perciò, quando serve(e serve sempre più spesso) la verità deve essere occultata o neutralizzata in altro modo.
Quindi si offrono versioni di comodo dei fatti, si distrae l’attenzione dei problemi reali dando il massimo rilievo a questioni di scarsa importanza, si inventano pericoli e nemici inesistenti per eludere quelli veri.
Ma soprattutto, le verità scomode vengono neutralizzate riformulandole in maniera appropriata.
Il terreno principale su cui oggi viene combattuta la guerra contro la verità è quello del linguaggio.
Si tratta di convincere l’opinione pubblica dell’utilità di una guerra o dell’opportunità di politiche economiche socialmente inique , si tratti di tranquillizzarla sul surriscaldamento del pianeta o persuaderla della inevitabilità degli omicidi sul lavoro, le cose non cambiano: il potere delle parole risulta decisivo per la costruzione del consenso.
La notizia viene ADDOMESTICATA, rispetto a quella originale del Corriere della Sera.
Allarme bomba alla Casa Bianca: massima allerta per Trump
Alla Casa Bianca è il terzo allarme in pochi giorni. l'uomo ha sostenuto di avere un ordigno in auto. Trump non era dentro. Potenziate le misure di sicurezza
Sergio Rame - Dom, 19/03/2017 - 08:13
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L'allerta adesso è massima. Perché gli allarmi, negli ultimi giorni, sono stati troppi e, almeno in un caso, hanno dimostrato falle nel sistema di sicurezza della Casa Bianca.
L'ultimo allarme è di questa notte e parla di una bomba nella residenza del presidente degli Stati Uniti. Come riferisce la Cnn, un'automobile è stata fermata a un posto di blocco mentre stava puntando verso la residenza presidenziale. È stato lo stesso conducente a dire agli uomini della sicurezza di avere a bordo un ordigno.
Che Donald Trump sia un obiettivo sensibile, i servizi di sicurezza lo sapevano molto bene ancor prima che venisse eletto presidente degli Stati Uniti. Ma, nelle ultime settimane, le minacce di un attentato sono aumentate a tal punto da spingere il servizio di sicurezza a potenziare tutte le misure. Questa notte, una volta scattato l'allarme, sono state chiuse numerose strade attorno alla Casa Bianca, anche se al momento dell'allarme Trump non vi si trovava all'interno, e l'uomo fermato è stato sottoposto a controlli. Al momento, tuttavia, non ci sono conferme di una effettiva presenza di una bomba sull'automobile.
Poche ore prima dell'allarme bomba, un'altra persona aveva provato a saltare la recinzione della Casa Bianca. Un'infrazione che, come ha spiegato lo stesso protavoce del tycoon Sean Spicer, è stata fortunatamente intercettata subito dal Secret service, il servizio di sicurezza a cui è affidato il controllo della Casa Bianca. Qualche giorno fa, invece, un folle, che affermava di avere un appuntamento nella notte con Trump, era riuscito a penetrare nelle aree riservate del parco presidenziale e aggirarsi per ben sedici minuti. Una falla che aveva destato profondo scalpore in tutti gli Stati Uniti anche perché arriva dopo il furto del pc di un funzionario del Secret service che vigila sulla sicurezza del presidente degli Stati Uniti. All'interno del portatile, secondo l'Abc, ci sarebbero una pianta dei piani della Trump Tower.
di Wladimiro Giacchè
Oggi, nell’epoca dei mezzi di comunicazione di massa e della politica medializzata, il silenzio e il segreto sono armi spuntate.
Perciò, quando serve(e serve sempre più spesso) la verità deve essere occultata o neutralizzata in altro modo.
Quindi si offrono versioni di comodo dei fatti, si distrae l’attenzione dei problemi reali dando il massimo rilievo a questioni di scarsa importanza, si inventano pericoli e nemici inesistenti per eludere quelli veri.
Ma soprattutto, le verità scomode vengono neutralizzate riformulandole in maniera appropriata.
Il terreno principale su cui oggi viene combattuta la guerra contro la verità è quello del linguaggio.
Si tratta di convincere l’opinione pubblica dell’utilità di una guerra o dell’opportunità di politiche economiche socialmente inique , si tratti di tranquillizzarla sul surriscaldamento del pianeta o persuaderla della inevitabilità degli omicidi sul lavoro, le cose non cambiano: il potere delle parole risulta decisivo per la costruzione del consenso.
La notizia viene ADDOMESTICATA, rispetto a quella originale del Corriere della Sera.
Allarme bomba alla Casa Bianca: massima allerta per Trump
Alla Casa Bianca è il terzo allarme in pochi giorni. l'uomo ha sostenuto di avere un ordigno in auto. Trump non era dentro. Potenziate le misure di sicurezza
Sergio Rame - Dom, 19/03/2017 - 08:13
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L'allerta adesso è massima. Perché gli allarmi, negli ultimi giorni, sono stati troppi e, almeno in un caso, hanno dimostrato falle nel sistema di sicurezza della Casa Bianca.
L'ultimo allarme è di questa notte e parla di una bomba nella residenza del presidente degli Stati Uniti. Come riferisce la Cnn, un'automobile è stata fermata a un posto di blocco mentre stava puntando verso la residenza presidenziale. È stato lo stesso conducente a dire agli uomini della sicurezza di avere a bordo un ordigno.
Che Donald Trump sia un obiettivo sensibile, i servizi di sicurezza lo sapevano molto bene ancor prima che venisse eletto presidente degli Stati Uniti. Ma, nelle ultime settimane, le minacce di un attentato sono aumentate a tal punto da spingere il servizio di sicurezza a potenziare tutte le misure. Questa notte, una volta scattato l'allarme, sono state chiuse numerose strade attorno alla Casa Bianca, anche se al momento dell'allarme Trump non vi si trovava all'interno, e l'uomo fermato è stato sottoposto a controlli. Al momento, tuttavia, non ci sono conferme di una effettiva presenza di una bomba sull'automobile.
Poche ore prima dell'allarme bomba, un'altra persona aveva provato a saltare la recinzione della Casa Bianca. Un'infrazione che, come ha spiegato lo stesso protavoce del tycoon Sean Spicer, è stata fortunatamente intercettata subito dal Secret service, il servizio di sicurezza a cui è affidato il controllo della Casa Bianca. Qualche giorno fa, invece, un folle, che affermava di avere un appuntamento nella notte con Trump, era riuscito a penetrare nelle aree riservate del parco presidenziale e aggirarsi per ben sedici minuti. Una falla che aveva destato profondo scalpore in tutti gli Stati Uniti anche perché arriva dopo il furto del pc di un funzionario del Secret service che vigila sulla sicurezza del presidente degli Stati Uniti. All'interno del portatile, secondo l'Abc, ci sarebbero una pianta dei piani della Trump Tower.
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Re: Dove va l'America?
PER GLI STRUMPTRUPPEN ADOLF THE MC DONALD'S TRUMP, E' IL NUOVO PROFETA. IL FONDATORE DELLA RELIGIONE BUNGA-BUNGA E' AL TRAMONTO, SI RENDONO CONTO CHE SALVINI E' UNA CHIAVICA, E QUINDI HANNO SCELTO THE DONALD COME PUNTO DI RIFERIMENTO.
Il G20 si inginocchia a Trump
Il tycoon detta la nuova agenda del G20: scompaiono dalle dichirazioni finali la condanna al protezionismo e la lotta al cambiamento climatico. L'irritazione di Germania e Francia
Sergio Rame - Sab, 18/03/2017 - 20:07
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Il G20 si inginocchia a Donald Trump. Non solo scompare dal testo della dichiarazione finale la tradizionale condanna del protezionismo, ma non viene nemmeno fatta alcuna menzione agli impegni sottoscritti con l'accordo di Parigi sul cambiamento climatico.
Due posizioni che riflettono maggiormente il nuovo corso degli Stati Uniti, che con l'elezioni del tycoon hanno voltato le spalle all'amministrazione Obama, e scontentano sia la Germania sia la Francia.
La crescita globale si sta rafforzando ma, secondo il direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, politiche economiche "sbagliate" potrebbero "fermare il nuovo slancio in corso". "Ci siamo incontrati in un momento in cui la crescita si sta facendo strada in tutto il mondo e ci sono segnali che indicano un punto di svolta per l'economia globale, anche se permangono incertezze", ha detto Lagarde al G20 di Baden Baden. Secondo la numero uno del Fondo monetario, "la cooperazione globale e il persegumento di giuste politiche sono in grado di contribuire al raggiungimento di una crescita forte, sostenuta ed equilibrata, e una crescita inclusiva, mentre le politiche sbagliate potrebbero fermare il nuovo slancio in corso". La Lagarde ha, quindi, ribadito l'impegno del Fondo a rafforzare la cooperazione globale anche attraverso "una forte sorveglianza del tasso di cambio e l'analisi degli squilibri globali".
In questo quadro le maggiori economie mondiali hanno deciso di rinunciare all'impegno contro il protezionismo. Nel comunicato finale al termine del vertice di due giorni in Germania, i ministri delle Finanze del G20 non sono stati in grado di ribadire l'impegno per il libero commercio. L'incontro è stato condizionato dalle tensioni tra Stati Uniti e Cina e il documento finale, rileva il Financial Times, riflette l'atteggiamento contrario alla globalizzazione dell'amministrazione Trump, rappresentata a Baden Baden dal nuovo ministro del Tesoro Steven Mnuchin. "Sui temi del protezionismo e del libero commercio - ha ammesso il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble - il G20 è finito in un vicolo cieco. Non puoi forzare i partner ad accettare una formulazione che non li convince".
Se la Germania deve digerire la nuova linea sul commercio, la Francia dovrà farsi andar bene la retromarcia sugli impegni sottoscritti a Parigi per combattere il cambiamento climatico. La mancata menzione di questo impegno nelle dichiarazioni finali della due giorni avrebbe scatenato una forte irritazione tra i francesi che parlano di "priorità assolutamente essenziali nel mondo attuale" che sono state ignorate dal G20.
Il G20 si inginocchia a Trump
Il tycoon detta la nuova agenda del G20: scompaiono dalle dichirazioni finali la condanna al protezionismo e la lotta al cambiamento climatico. L'irritazione di Germania e Francia
Sergio Rame - Sab, 18/03/2017 - 20:07
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Il G20 si inginocchia a Donald Trump. Non solo scompare dal testo della dichiarazione finale la tradizionale condanna del protezionismo, ma non viene nemmeno fatta alcuna menzione agli impegni sottoscritti con l'accordo di Parigi sul cambiamento climatico.
Due posizioni che riflettono maggiormente il nuovo corso degli Stati Uniti, che con l'elezioni del tycoon hanno voltato le spalle all'amministrazione Obama, e scontentano sia la Germania sia la Francia.
La crescita globale si sta rafforzando ma, secondo il direttore generale del Fmi, Christine Lagarde, politiche economiche "sbagliate" potrebbero "fermare il nuovo slancio in corso". "Ci siamo incontrati in un momento in cui la crescita si sta facendo strada in tutto il mondo e ci sono segnali che indicano un punto di svolta per l'economia globale, anche se permangono incertezze", ha detto Lagarde al G20 di Baden Baden. Secondo la numero uno del Fondo monetario, "la cooperazione globale e il persegumento di giuste politiche sono in grado di contribuire al raggiungimento di una crescita forte, sostenuta ed equilibrata, e una crescita inclusiva, mentre le politiche sbagliate potrebbero fermare il nuovo slancio in corso". La Lagarde ha, quindi, ribadito l'impegno del Fondo a rafforzare la cooperazione globale anche attraverso "una forte sorveglianza del tasso di cambio e l'analisi degli squilibri globali".
In questo quadro le maggiori economie mondiali hanno deciso di rinunciare all'impegno contro il protezionismo. Nel comunicato finale al termine del vertice di due giorni in Germania, i ministri delle Finanze del G20 non sono stati in grado di ribadire l'impegno per il libero commercio. L'incontro è stato condizionato dalle tensioni tra Stati Uniti e Cina e il documento finale, rileva il Financial Times, riflette l'atteggiamento contrario alla globalizzazione dell'amministrazione Trump, rappresentata a Baden Baden dal nuovo ministro del Tesoro Steven Mnuchin. "Sui temi del protezionismo e del libero commercio - ha ammesso il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schauble - il G20 è finito in un vicolo cieco. Non puoi forzare i partner ad accettare una formulazione che non li convince".
Se la Germania deve digerire la nuova linea sul commercio, la Francia dovrà farsi andar bene la retromarcia sugli impegni sottoscritti a Parigi per combattere il cambiamento climatico. La mancata menzione di questo impegno nelle dichiarazioni finali della due giorni avrebbe scatenato una forte irritazione tra i francesi che parlano di "priorità assolutamente essenziali nel mondo attuale" che sono state ignorate dal G20.
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Re: Dove va l'America?
Il parere di Furio Colombo in TRUMP POWER, Capitolo 2, IL NON CAVALIERE DELL’APOCALISSE.
<<Io sono il peggiore>>, ha dichiarato appena arrivato sul podio della visibilità totale. E ha dimostrato giorno dopo giorno, parola dopo parola, che era vero.
.......Me lo ricordo ai tempi in cui vivevo a New York. Aveva ricchezza e la moltiplicava usando scorciatoie anche ignobili, aveva il potere e la capacità di intimidire sempre tramite la sua ricchezza, dal cameriere alle istituzioni.
Da costruttore pirata metteva le mani nei piani regolatori in modo indiscriminato.
Le sue torri hanno oscurato New York con la precisa calcolata e riuscita intenzione di eclissare quartieri e costruzioni di rivali come in un film.
Non aveva, non ne ricordo, amici o persone che si vantassero di esserlo (con l’incomprensibile eccezione di Rudolph Giuliani, che pure ha una sua reputazione).
Non è mai esistito un circolo Trump a New York, o qualcuno che si sia mai vantato di un rapporto con <<Il Donald>>.
Aveva e ha una corte dei miracoli di avvocati esperti e coraggiosi di tasse e soci minori, americani e non, tipi disposti a tutto in affari.
Per questo i repubblicani – parlo del partito vero, dei leader eletti e in grado di controllare La Camera e il Senato, parlo di un partito indurito dagli eccessi del Tea Party e della cosidetta “nuova destra” del capitalismo assoluto -, non sono andati a cercarlo.
Li separava un gradino troppo alto che non desideravano scendere.
In tempi difficili come questi, soprattutto questi, non è facile scegliere di aderire ad una teoria piuttosto che ad un’altra.
Fino a quando non verrà presentato un contradditorio serio e credibile, che contesti il punto di visto di Furio Colombo, sono indotto a credergli.
Non metterò la mano sul fuoco come Muzio Scevola, ma intendo credergli.
Diversa è la posizione dei battaglioni STRUMPTRUPPEN indigeni.
Oggi, Libero, esce con la prima pagina che mette in evidenza questo titolo:
Mezzo mondo lo deride, lui mantiene le promesse
TRUMP AMMAZZA L’ISIS
Il presidente Usa, dopo l’insediamento, annunciò: in sei mesi distruggeremo il Califfo. Ne sono passati solo due e le truppe alleate stanno per liberare la Moschea di Mosul, in Iraq, dove fu proclamato lo Stato islamico.
Che mostro. E’ proprio SUPERMAN.
Il digiuno della presenza del mostro sacro BERLUSCOPONI, che dura da quasi 6 anni, deve aver pesato non poco sui camerati.
L’astinenza prolungata fa questi scherzi?
<<Io sono il peggiore>>, ha dichiarato appena arrivato sul podio della visibilità totale. E ha dimostrato giorno dopo giorno, parola dopo parola, che era vero.
.......Me lo ricordo ai tempi in cui vivevo a New York. Aveva ricchezza e la moltiplicava usando scorciatoie anche ignobili, aveva il potere e la capacità di intimidire sempre tramite la sua ricchezza, dal cameriere alle istituzioni.
Da costruttore pirata metteva le mani nei piani regolatori in modo indiscriminato.
Le sue torri hanno oscurato New York con la precisa calcolata e riuscita intenzione di eclissare quartieri e costruzioni di rivali come in un film.
Non aveva, non ne ricordo, amici o persone che si vantassero di esserlo (con l’incomprensibile eccezione di Rudolph Giuliani, che pure ha una sua reputazione).
Non è mai esistito un circolo Trump a New York, o qualcuno che si sia mai vantato di un rapporto con <<Il Donald>>.
Aveva e ha una corte dei miracoli di avvocati esperti e coraggiosi di tasse e soci minori, americani e non, tipi disposti a tutto in affari.
Per questo i repubblicani – parlo del partito vero, dei leader eletti e in grado di controllare La Camera e il Senato, parlo di un partito indurito dagli eccessi del Tea Party e della cosidetta “nuova destra” del capitalismo assoluto -, non sono andati a cercarlo.
Li separava un gradino troppo alto che non desideravano scendere.
In tempi difficili come questi, soprattutto questi, non è facile scegliere di aderire ad una teoria piuttosto che ad un’altra.
Fino a quando non verrà presentato un contradditorio serio e credibile, che contesti il punto di visto di Furio Colombo, sono indotto a credergli.
Non metterò la mano sul fuoco come Muzio Scevola, ma intendo credergli.
Diversa è la posizione dei battaglioni STRUMPTRUPPEN indigeni.
Oggi, Libero, esce con la prima pagina che mette in evidenza questo titolo:
Mezzo mondo lo deride, lui mantiene le promesse
TRUMP AMMAZZA L’ISIS
Il presidente Usa, dopo l’insediamento, annunciò: in sei mesi distruggeremo il Califfo. Ne sono passati solo due e le truppe alleate stanno per liberare la Moschea di Mosul, in Iraq, dove fu proclamato lo Stato islamico.
Che mostro. E’ proprio SUPERMAN.
Il digiuno della presenza del mostro sacro BERLUSCOPONI, che dura da quasi 6 anni, deve aver pesato non poco sui camerati.
L’astinenza prolungata fa questi scherzi?
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Re: Dove va l'America?
47 minuti fa
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Morto David Rockefeller
Luca Romano
QUESTA MATTINA ALLE 06,00
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Rockefeller: il vero potere al comando, dalla fine di Nixon
Scritto il 20/3/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Le elezioni esistono ancora, possiamo votare i candidati. A patto di non scordarci che non saranno loro a decidere le cose importanti. Vale per Trump ma era così anche per Obama. L’orribile Nixon provò a fare di testa sua, e la pagò cara: fu travolto dallo scandalo Watergate che spianò la strada a Gerald Ford e soprattutto al suo vice, Nelson Rockefeller, fratello di David. Loro, i Rockefeller, insieme al loro stratega, Zbingiew Brzezinski, da allora non si sarebbero più fermati, dalla “fabbricazione” di Jimmy Carter in poi, fino a Obama e oltre. Lo ricorda Jon Rappoport, prestigioso giornalista americano, candidato al Pulitzer. «Lo Stato-nazione come unità fondamentale della vita organizzata dell’uomo ha cessato di essere la prima forza creativa», affermava Brzezinski nel 1969, quattro anni prima della nascita della Trilateral Commission, fondata da Rockefeller. «Le banche internazionali e le multinazionali stanno agendo e pianificando in termini che sono di gran lunga in anticipo rispetto ai concetti politici degli Stati nazionali». Ammette, nel 2003, lo stesso David Rockefeller: «Se questa è l’accusa, io sono colpevole e sono orgoglioso di esserlo». E cioè: «C’è chi crede che noi siamo parte di una cabala segreta che lavora contro i veri interessi degli Stati Uniti».
«Particolarmente la mia famiglia ed io – aggiunge il capostipite della dinastia – veniamo considerati degli “internationalists” e dei cospiratori, insieme ad altri, in giro per il mondo, che vogliono costruire una struttura politica ed economica globale più integrata, “One World”». Pochi, scrive Rappoport in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, ricordano che ad opporsi agli albori della globalizzazione fu Richard Nixon, «che aveva cominciato a mettere certi dazi su alcune merci importate negli Stati Uniti, per pareggiare il campo di gioco e proteggere le aziende americane». Nixon, beninteso, «sotto altri aspetti era un vero mascalzone», ma in questo caso «uscì fuori dalle righe e in realtà aprì la via ad un movimento che rifiutava la visione globalista del mondo». Era troppo, per il supremo potere: con Ford al suo posto alla Casa Bianca (e Nelson Rockefeller come vice) si ebbe «il segnale che il globalismo e il libero scambio erano di nuovo in pista». Ma David Rockefeller e il suo assistente, Brzezinski, pretendevano di più: «Volevano un loro uomo alla Casa Bianca e volevano che fossero loro stessi a crearlo da zero. Quell’uomo era un contadino che coltivava arachidi e di cui nessuno aveva mai sentito parlare: Jimmy Carter».
Grazie al loro network, Rockefeller e Brzezinski misero Carter sotto i riflettori, così il loro uomo vinse la nomination dei democratici nel 1976 e, dopo la débacle del Watergate, «cominciò a mandare in giro smielati messaggi di amore e di “volemose-bene”, e ben presto arrivò allo Studio Ovale». Appena due anni dopo, passò completamente inosservata un’intervista – in realtà illuminante – realizzata dal giornalista Jeremiah Novak, a colloquio con Karl Kaiser e Richard Cooper, due membri della Commissione Trilaterale fondata nel ‘73. Argomento dell’intervista: chi, esattamente, stesse “dettando” la politica degli Usa, sotto Carter. «L’atteggiamento negligente e distratto dei due della Trilaterale è sorprendente», scrive Rappoport: «Kaiser e Cooper è come se stessero dicendo: “Quello che stiamo rivelando è già alla luce del sole, è troppo tardi per fare qualcosa, perché state ancora perdendo tempo con questa storia? Abbiamo già vinto”». Era così, ma Novak non lo sapeva ancora. E’ vero, domanda ai due, che un “ente privato” (quale è la Trialterale), guidato dallo statunitense Henry Owen e composto da rappresentanti anche europei e giapponesi, sta «coordinando lo sviluppo economico e quello politico» dei paesi interessati? Sì, certo, confermano gli intervistati: «Si sono già incontrati tre volte».
Ma allora, insiste il reporter, perché la Trilaterale dice di voler restare “informale”? «Questa cosa non fa paura?». Ma no, smorza Kaiser: è solo per non irritare gli europei di fronte al peso, reale, della Germania Ovest. Aggiunge Cooper: «C’è tanta gente che ancora vive in un mondo di nazioni separate, e ci resterebbe male per questo coordinamento della politica». Come dire: gente che crede ancora alle elezioni, ai governi, alla democrazia. Eppure, ribatte Novak, ormai la Trilaterale «è essenziale per tutta la vostra politica». E dunque, domanda, «come potete cercare di mantenerla segreta, rinunciando a ottenere un sostegno popolare» per le decisioni di politica economica stabilite dalla Commissione? Oh, be’, abbozza Cooper: si tratta di “lavorarci su”, utilizzando la stampa, i media. E passi, concede Novak. «Ma perché allora il presidente Carter non ne parla? Perché non dice al popolo americano che il potere economico e politico è coordinato da una Commissione, la Trilaterale, diretta da un comitato composto da sette persone? Dopotutto, se la politica è gestita a livello multinazionale, la gente dovrebbe saperlo». Ribatte Cooper: «Il presidente Carter e il segretario di Stato, Cyrus Vance, ne hanno fatto costantemente riferimento, nei loro discorsi». Già, conferma Kaiser: «E questo non è mai stato considerato un problema».
Dov’era, l’opinione pubblica, mentre tutto questo accadeva? Dov’era la stampa, a parte Jeremiah Novak? «Naturalmente – puntualizza Rappoport – benché Kaiser e Cooper avessero detto che tutti già erano a conoscenza delle manipolazioni fatte dal comitato della Commissione Trilaterale, nessuno ne sapeva niente». Nonostante ciò, «la loro intervista è scivolata sotto i radar dei media generalisti che, deve essere detto, la ignorarono e la sotterrarono. Non divenne uno scandalo del livello del Watergate, benché il suo contenuto fosse ben più scandaloso del Watergate». In realtà avevano “già vinto”: «La gestione della politica e dell’economia Usa era guidata da un comitato della Commissione Trilaterale, creata nel 1973 come “gruppo informale di discussione” da David Rockefeller e dalla sua longa manus, Brzezinski, che divenne poi il “national security advisor” di Jimmy Carter». All’indomani della vittoria alle presidenziali, il braccio destro di Carter, Hamilton Jordan, disse: se Vance e Brzezinski entrassero nella squadra del presidente, io me ne andrei, perché avrei perso. Jordan (che poi però non si dimise) vedeva la Trilaterale come una minaccia: avrebbe messo la Casa Bianca sotto controllo, in barba agli elettori americani.
Sono scene che da allora si ripetono, racconta Rappoport: lo stesso Brzezinski, nel 2008, ricomparve come “tutor” di Barack Obama, presentato ufficialmente come outsider assoluto. Nel tempo, il peso della Trilaterale è cresciuto esponenzialmente: il saggista Patrick Wood fa presente che oggi sono ben 87 i membri Commissione che vivono in America. E Obama, aggiunge Rappoport, ne ha nominati 11 in cariche di primissimo piano: per esempio Tim Geithner al Tesoro, James Jones alla sicurezza nazionale, il super-falco neocon Paul Volker all’economia e Dennis Blair alla direzione della National Intelligence. Un altro veterano della Trilaterale, Michael Froman, è stato piazzato sempre da Obama come rappresentante per il commercio, portavoce degli Usa per il trattato globalista Tpp, Trans-Pacific Partnership. Sono uomini che «non vengono messi lì per caso, devono eseguire un ordine del giorno specifico». Donald Trump oggi ripudia quel trattato, ma – avverte Patrick Wood – ha già preso a bordo un esponente della Trilaterale, Kenneth Juster, come vice-assistente presidenziale per gli affari economici internazionali. «I compiti assegnati a Juster lo porteranno nel cuore dei negoziati ad alto livello con governi esteri sulla politica economica», conferma Rappoport. «Vediamo se sarà veramente in linea con le posizioni dichiaratamente anti-globaliste di Trump». Come dire: puoi battere Hillary Clinton, ma non i signori della Trilateral Commission. Quelli vincono sempre, comunque.
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Morto David Rockefeller
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Rockefeller: il vero potere al comando, dalla fine di Nixon
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Le elezioni esistono ancora, possiamo votare i candidati. A patto di non scordarci che non saranno loro a decidere le cose importanti. Vale per Trump ma era così anche per Obama. L’orribile Nixon provò a fare di testa sua, e la pagò cara: fu travolto dallo scandalo Watergate che spianò la strada a Gerald Ford e soprattutto al suo vice, Nelson Rockefeller, fratello di David. Loro, i Rockefeller, insieme al loro stratega, Zbingiew Brzezinski, da allora non si sarebbero più fermati, dalla “fabbricazione” di Jimmy Carter in poi, fino a Obama e oltre. Lo ricorda Jon Rappoport, prestigioso giornalista americano, candidato al Pulitzer. «Lo Stato-nazione come unità fondamentale della vita organizzata dell’uomo ha cessato di essere la prima forza creativa», affermava Brzezinski nel 1969, quattro anni prima della nascita della Trilateral Commission, fondata da Rockefeller. «Le banche internazionali e le multinazionali stanno agendo e pianificando in termini che sono di gran lunga in anticipo rispetto ai concetti politici degli Stati nazionali». Ammette, nel 2003, lo stesso David Rockefeller: «Se questa è l’accusa, io sono colpevole e sono orgoglioso di esserlo». E cioè: «C’è chi crede che noi siamo parte di una cabala segreta che lavora contro i veri interessi degli Stati Uniti».
«Particolarmente la mia famiglia ed io – aggiunge il capostipite della dinastia – veniamo considerati degli “internationalists” e dei cospiratori, insieme ad altri, in giro per il mondo, che vogliono costruire una struttura politica ed economica globale più integrata, “One World”». Pochi, scrive Rappoport in un post ripreso da “Come Don Chisciotte”, ricordano che ad opporsi agli albori della globalizzazione fu Richard Nixon, «che aveva cominciato a mettere certi dazi su alcune merci importate negli Stati Uniti, per pareggiare il campo di gioco e proteggere le aziende americane». Nixon, beninteso, «sotto altri aspetti era un vero mascalzone», ma in questo caso «uscì fuori dalle righe e in realtà aprì la via ad un movimento che rifiutava la visione globalista del mondo». Era troppo, per il supremo potere: con Ford al suo posto alla Casa Bianca (e Nelson Rockefeller come vice) si ebbe «il segnale che il globalismo e il libero scambio erano di nuovo in pista». Ma David Rockefeller e il suo assistente, Brzezinski, pretendevano di più: «Volevano un loro uomo alla Casa Bianca e volevano che fossero loro stessi a crearlo da zero. Quell’uomo era un contadino che coltivava arachidi e di cui nessuno aveva mai sentito parlare: Jimmy Carter».
Grazie al loro network, Rockefeller e Brzezinski misero Carter sotto i riflettori, così il loro uomo vinse la nomination dei democratici nel 1976 e, dopo la débacle del Watergate, «cominciò a mandare in giro smielati messaggi di amore e di “volemose-bene”, e ben presto arrivò allo Studio Ovale». Appena due anni dopo, passò completamente inosservata un’intervista – in realtà illuminante – realizzata dal giornalista Jeremiah Novak, a colloquio con Karl Kaiser e Richard Cooper, due membri della Commissione Trilaterale fondata nel ‘73. Argomento dell’intervista: chi, esattamente, stesse “dettando” la politica degli Usa, sotto Carter. «L’atteggiamento negligente e distratto dei due della Trilaterale è sorprendente», scrive Rappoport: «Kaiser e Cooper è come se stessero dicendo: “Quello che stiamo rivelando è già alla luce del sole, è troppo tardi per fare qualcosa, perché state ancora perdendo tempo con questa storia? Abbiamo già vinto”». Era così, ma Novak non lo sapeva ancora. E’ vero, domanda ai due, che un “ente privato” (quale è la Trialterale), guidato dallo statunitense Henry Owen e composto da rappresentanti anche europei e giapponesi, sta «coordinando lo sviluppo economico e quello politico» dei paesi interessati? Sì, certo, confermano gli intervistati: «Si sono già incontrati tre volte».
Ma allora, insiste il reporter, perché la Trilaterale dice di voler restare “informale”? «Questa cosa non fa paura?». Ma no, smorza Kaiser: è solo per non irritare gli europei di fronte al peso, reale, della Germania Ovest. Aggiunge Cooper: «C’è tanta gente che ancora vive in un mondo di nazioni separate, e ci resterebbe male per questo coordinamento della politica». Come dire: gente che crede ancora alle elezioni, ai governi, alla democrazia. Eppure, ribatte Novak, ormai la Trilaterale «è essenziale per tutta la vostra politica». E dunque, domanda, «come potete cercare di mantenerla segreta, rinunciando a ottenere un sostegno popolare» per le decisioni di politica economica stabilite dalla Commissione? Oh, be’, abbozza Cooper: si tratta di “lavorarci su”, utilizzando la stampa, i media. E passi, concede Novak. «Ma perché allora il presidente Carter non ne parla? Perché non dice al popolo americano che il potere economico e politico è coordinato da una Commissione, la Trilaterale, diretta da un comitato composto da sette persone? Dopotutto, se la politica è gestita a livello multinazionale, la gente dovrebbe saperlo». Ribatte Cooper: «Il presidente Carter e il segretario di Stato, Cyrus Vance, ne hanno fatto costantemente riferimento, nei loro discorsi». Già, conferma Kaiser: «E questo non è mai stato considerato un problema».
Dov’era, l’opinione pubblica, mentre tutto questo accadeva? Dov’era la stampa, a parte Jeremiah Novak? «Naturalmente – puntualizza Rappoport – benché Kaiser e Cooper avessero detto che tutti già erano a conoscenza delle manipolazioni fatte dal comitato della Commissione Trilaterale, nessuno ne sapeva niente». Nonostante ciò, «la loro intervista è scivolata sotto i radar dei media generalisti che, deve essere detto, la ignorarono e la sotterrarono. Non divenne uno scandalo del livello del Watergate, benché il suo contenuto fosse ben più scandaloso del Watergate». In realtà avevano “già vinto”: «La gestione della politica e dell’economia Usa era guidata da un comitato della Commissione Trilaterale, creata nel 1973 come “gruppo informale di discussione” da David Rockefeller e dalla sua longa manus, Brzezinski, che divenne poi il “national security advisor” di Jimmy Carter». All’indomani della vittoria alle presidenziali, il braccio destro di Carter, Hamilton Jordan, disse: se Vance e Brzezinski entrassero nella squadra del presidente, io me ne andrei, perché avrei perso. Jordan (che poi però non si dimise) vedeva la Trilaterale come una minaccia: avrebbe messo la Casa Bianca sotto controllo, in barba agli elettori americani.
Sono scene che da allora si ripetono, racconta Rappoport: lo stesso Brzezinski, nel 2008, ricomparve come “tutor” di Barack Obama, presentato ufficialmente come outsider assoluto. Nel tempo, il peso della Trilaterale è cresciuto esponenzialmente: il saggista Patrick Wood fa presente che oggi sono ben 87 i membri Commissione che vivono in America. E Obama, aggiunge Rappoport, ne ha nominati 11 in cariche di primissimo piano: per esempio Tim Geithner al Tesoro, James Jones alla sicurezza nazionale, il super-falco neocon Paul Volker all’economia e Dennis Blair alla direzione della National Intelligence. Un altro veterano della Trilaterale, Michael Froman, è stato piazzato sempre da Obama come rappresentante per il commercio, portavoce degli Usa per il trattato globalista Tpp, Trans-Pacific Partnership. Sono uomini che «non vengono messi lì per caso, devono eseguire un ordine del giorno specifico». Donald Trump oggi ripudia quel trattato, ma – avverte Patrick Wood – ha già preso a bordo un esponente della Trilaterale, Kenneth Juster, come vice-assistente presidenziale per gli affari economici internazionali. «I compiti assegnati a Juster lo porteranno nel cuore dei negoziati ad alto livello con governi esteri sulla politica economica», conferma Rappoport. «Vediamo se sarà veramente in linea con le posizioni dichiaratamente anti-globaliste di Trump». Come dire: puoi battere Hillary Clinton, ma non i signori della Trilateral Commission. Quelli vincono sempre, comunque.
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Re: Dove va l'America?
................POI UN GIORNO TI SVEGLI E TI RITROVI NELL'UNIONE SOVIETICA A STELLE E STRISCE.............
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La Cia è in ascolto: da cellulari, social media e televisori
Scritto il 21/3/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Wikileaks ha pubblicato quella che sostiene essere la più grossa raccolta di documenti confidenziali sulla Cia, che rivelano le estese capacità di quest’agenzia di mettere sotto controllo gli smartphone e le più diffuse app di social media, come WhatsApp. Un totale di 8.761 documenti sono stati pubblicati all’interno di “Year Zero”, una prima parte di documenti sequestrati che Wikileaks ha definito “Vault 7”. Wikileaks ha dichiarato che “Year Zero” rivela i dettagli di un programma segreto globale di hackeraggio della Cia, che comprende “operazioni armate” contro prodotti come l’iPhone della Apple, Android di Google, Windows di Microsoft e persino i televisori della Samsung [smart-Tv]. Tutti questi sistemi possono essere convertiti e utilizzati come microfoni-spia. Secondo i documenti appena pubblicati, il reparto di telefonia mobile della Cia ha sviluppato svariati strumenti e sistemi che permettono di hackerare i più comuni smartphone, mandando istruzioni perché questi ritrasmettano sia informazioni sulla località in cui si trovano, sia comunicazioni audio e testo. Anche le telecamere e i microfoni degli smartphone possono venire attivati a distanza.
Wikileaks ha dichiarato sul proprio sito che «questi strumenti e tecniche permettono alla Cia di controllare a distanza piattaforme di social media come WhatsApp, Signal, Telegram, Wiebo, Confide e Cloackman, prima che venga applicato un metodo di criptazione del messaggio». Il periodo di tempo coperto dai documenti della Cia appena resi pubblici va da 2013 al 2016. Wikileaks si domanda se le capacità di hackeraggio della Cia superino il mandato che le è stato conferito, e pongono il problema di un controllo pubblico sulla agenzia. Julian Assange, il cofondatore di Wikileaks, ha detto che questa massa di documenti mostra il rischio di una proliferazione estrema nello sviluppo delle cosiddette armi cibernetiche. «Il significato di “Year Zero”», ha aggiunto Assange, «va ben oltre la scelta fra cyberguerra e cyberpace. Queste rivelazioni sono anche eccezionali da un punto di vista politico e legale».
In particolare, l’analisi di Wikileaks su “Year Zero” ha svelato l’esistenza di “Weeping Angel”, una tecnica di sorveglianza che riesce ad infiltrare le smart-Tv, trasformandole in microfoni attivi. Un attacco contro i televisori della Samsung, in cooperazione con l’Mi5, ha utilizzato “Weeping Angel”, mettendo i televisori in falsa modalità “off”, mentre registrava conversazioni anche quando il televisore sembrava spento. Leggendo la documentazione di “Weeping Angel” si scopre che «è possibile aprire dei portali di ascolto sui servizi utilizzati, oltre che estrarre le credenziali e la history del browser».
(“Attenti al cellulare, la Cia vi ascolta”, estratto di un articolo pubblicato da “Russia Today” e tradotto da “Luogo Comune”).
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La Cia è in ascolto: da cellulari, social media e televisori
Scritto il 21/3/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Wikileaks ha pubblicato quella che sostiene essere la più grossa raccolta di documenti confidenziali sulla Cia, che rivelano le estese capacità di quest’agenzia di mettere sotto controllo gli smartphone e le più diffuse app di social media, come WhatsApp. Un totale di 8.761 documenti sono stati pubblicati all’interno di “Year Zero”, una prima parte di documenti sequestrati che Wikileaks ha definito “Vault 7”. Wikileaks ha dichiarato che “Year Zero” rivela i dettagli di un programma segreto globale di hackeraggio della Cia, che comprende “operazioni armate” contro prodotti come l’iPhone della Apple, Android di Google, Windows di Microsoft e persino i televisori della Samsung [smart-Tv]. Tutti questi sistemi possono essere convertiti e utilizzati come microfoni-spia. Secondo i documenti appena pubblicati, il reparto di telefonia mobile della Cia ha sviluppato svariati strumenti e sistemi che permettono di hackerare i più comuni smartphone, mandando istruzioni perché questi ritrasmettano sia informazioni sulla località in cui si trovano, sia comunicazioni audio e testo. Anche le telecamere e i microfoni degli smartphone possono venire attivati a distanza.
Wikileaks ha dichiarato sul proprio sito che «questi strumenti e tecniche permettono alla Cia di controllare a distanza piattaforme di social media come WhatsApp, Signal, Telegram, Wiebo, Confide e Cloackman, prima che venga applicato un metodo di criptazione del messaggio». Il periodo di tempo coperto dai documenti della Cia appena resi pubblici va da 2013 al 2016. Wikileaks si domanda se le capacità di hackeraggio della Cia superino il mandato che le è stato conferito, e pongono il problema di un controllo pubblico sulla agenzia. Julian Assange, il cofondatore di Wikileaks, ha detto che questa massa di documenti mostra il rischio di una proliferazione estrema nello sviluppo delle cosiddette armi cibernetiche. «Il significato di “Year Zero”», ha aggiunto Assange, «va ben oltre la scelta fra cyberguerra e cyberpace. Queste rivelazioni sono anche eccezionali da un punto di vista politico e legale».
In particolare, l’analisi di Wikileaks su “Year Zero” ha svelato l’esistenza di “Weeping Angel”, una tecnica di sorveglianza che riesce ad infiltrare le smart-Tv, trasformandole in microfoni attivi. Un attacco contro i televisori della Samsung, in cooperazione con l’Mi5, ha utilizzato “Weeping Angel”, mettendo i televisori in falsa modalità “off”, mentre registrava conversazioni anche quando il televisore sembrava spento. Leggendo la documentazione di “Weeping Angel” si scopre che «è possibile aprire dei portali di ascolto sui servizi utilizzati, oltre che estrarre le credenziali e la history del browser».
(“Attenti al cellulare, la Cia vi ascolta”, estratto di un articolo pubblicato da “Russia Today” e tradotto da “Luogo Comune”).
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