La Terza Guerra Mondiale
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Il blitz dell’America sulla Siria è anche un messaggio a Mosca e Pyongyang.
Se alcuni si erano illusi che America First fosse non occuparsi del mondo, si sbagliano.
Di tutti i fautori di Trump il più colpito è Putin: Ha cannato totalmente il personaggio ed ora si trova una "testa arancione" che non gli importa delle convenzioni internazionali (come nell'immigrazione) e attacca con una facilità estrema, quasi fuori controllo.
Inoltre molte cose non mi quadrano in questa storia:
1) Perché Assad avrebbe usato le armi chimiche se aveva tutti (Usa e Russia) con se e stava vincendo la guerra?
2) Come mai la bomba chimica era piccina ... piccina (si parla di pochi chili di gas), di solito sganciare tale ordigno (quintali di gas) causa in quella situazione decine di migliaia di morti (vedi bombe precedenti)
3) Come mai la reazione è stata così immediata, da stupire tutti?
4) Perché indebolire in tal modo Assad tanto che oggi già Daesh ha avanzato territori e truppe in Siria?
5) Come mai Londra, Parigi e Roma hanno subito appoggiato gli USA pur in chiara violazione del diritto internazionale?
Tanti dubbi
Tante domande
Se alcuni si erano illusi che America First fosse non occuparsi del mondo, si sbagliano.
Di tutti i fautori di Trump il più colpito è Putin: Ha cannato totalmente il personaggio ed ora si trova una "testa arancione" che non gli importa delle convenzioni internazionali (come nell'immigrazione) e attacca con una facilità estrema, quasi fuori controllo.
Inoltre molte cose non mi quadrano in questa storia:
1) Perché Assad avrebbe usato le armi chimiche se aveva tutti (Usa e Russia) con se e stava vincendo la guerra?
2) Come mai la bomba chimica era piccina ... piccina (si parla di pochi chili di gas), di solito sganciare tale ordigno (quintali di gas) causa in quella situazione decine di migliaia di morti (vedi bombe precedenti)
3) Come mai la reazione è stata così immediata, da stupire tutti?
4) Perché indebolire in tal modo Assad tanto che oggi già Daesh ha avanzato territori e truppe in Siria?
5) Come mai Londra, Parigi e Roma hanno subito appoggiato gli USA pur in chiara violazione del diritto internazionale?
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Chissà che sta pensando Putin ...
da www.huffingtonpost.it
Trumpisti Pentiti: dopo le bombe in Siria The Donald scaricato anche dai suoi fan più accaniti
Salvini, 5 Stelle, Le Pen, Farage: tutti giù dal carro
07/04/2017 13:01 CEST | Aggiornato 58 minuti fa
Federico Stefanutto
ANSA
Dalla Lega al Movimento 5 Stelle passando per la Farage e Marine Le Pen, sono tanti i trumpisti delusi in giro per il mondo che con una repentina inversione a U stanno prendendo le distanze dal presidente statunitense dopo l'attacco aereo in Siria .
"Gli attacchi scanditi nella notte dall'aeronautica usa contro il territorio siriano rischiano di costituire una chiara violazione del diritto internazionale" tuona una nota del Movimento 5 stelle.
"Follia degli Usa di Trump" twitta il deputato pentastellato Manlio Di Stefano che a gennaio, dopo l'insediamento del presidente statunitense, scriveva sul suo blog che la politica estera di Trump se confermata "sarebbe un grandissimo sospiro di sollievo per il mondo e una politica nella direzione giusta".
"Noi dello staff del Donald Trump Italian Fan Club, a seguito dell'attacco di poche ore fa, ci schieriamo dalla parte del popolo siriano" è la comunicazione che si legge su una delle più seguite pagine Facebook dei seguaci italiani di Trump.
"Scendo ufficialmente dal treno di Trump" twitta amareggiato Paul Joseph Watson uno dei maggiori influencer pro Trump.
da www.huffingtonpost.it
Trumpisti Pentiti: dopo le bombe in Siria The Donald scaricato anche dai suoi fan più accaniti
Salvini, 5 Stelle, Le Pen, Farage: tutti giù dal carro
07/04/2017 13:01 CEST | Aggiornato 58 minuti fa
Federico Stefanutto
ANSA
Dalla Lega al Movimento 5 Stelle passando per la Farage e Marine Le Pen, sono tanti i trumpisti delusi in giro per il mondo che con una repentina inversione a U stanno prendendo le distanze dal presidente statunitense dopo l'attacco aereo in Siria .
"Gli attacchi scanditi nella notte dall'aeronautica usa contro il territorio siriano rischiano di costituire una chiara violazione del diritto internazionale" tuona una nota del Movimento 5 stelle.
"Follia degli Usa di Trump" twitta il deputato pentastellato Manlio Di Stefano che a gennaio, dopo l'insediamento del presidente statunitense, scriveva sul suo blog che la politica estera di Trump se confermata "sarebbe un grandissimo sospiro di sollievo per il mondo e una politica nella direzione giusta".
"Missili di Trump sono un regalo all'Isis" attacca Matteo Salvini, uno dei principali sostenitori italiani di Trump.Follia degli #USA di #Trump in #Siria. #Italia stia immobile davanti a nuova #Iraq. @robertapinotti e @PaoloGentiloni, ripeto, immobili.
— Manlio Di Stefano (@ManlioDS) 7 aprile 2017
"Mi auguro che la nuova amministrazione Trump non voglia seguire la folle politica di Obama di sostanziale sostegno ai fondamentalisti islamici e metta fine alla vergognosa ambiguità che gli Usa hanno avuto finora in Medio Oriente" afferma Giorgia Meloni. Mentre il leader di Casapound Simone Di Stefano di Casapound crede che Trump "abbia tradito il popolo americano".Missili americani sulla #Syria?
Pessima idea, grave errore e regalo all'ISIS. #Trump pic.twitter.com/KGIg7aHIjQ
— Matteo Salvini (@matteosalvinimi) 7 aprile 2017
Anche all'estero non mancano le defezioni illustri. "Molti sostenitori di Trump saranno preoccupati per l'intervento militare" scrive su Twitter l'ex leader dello Ukip Nigel Farage, che al termine di un incontro con Trump aveva affermato convintamente: "Sarà un buon presidente".Le speranze e le giuste motivazioni del popolo americano che votò Trump, oggi sono state TRADITE definitivamente con l'attacco alla #Siria.
— Simone Di Stefano (@distefanoTW) 7 aprile 2017
"Quello che e' successo in Siria e' terribile, lo condanno fermamente" ha scritto la candidata all'Eliseo Marine Le Pen su Twitter. Mentre la nipote Marion attacca Trump definendo l'intervento "un danno per l'equilibrio mondiale".Many Trump voters will be worried about this military intervention. Where will it end?
— Nigel Farage (@Nigel_Farage) 7 aprile 2017
"Ce qui s'est passé en #Syrie est épouvantable et je le condamne fermement. Mais il faut d'abord une enquête internationale." #Les4Vérités
— Marine Le Pen (@MLP_officiel) 7 aprile 2017
"Cette intervention est une déception. C'est dommage pour l'équilibre du monde. Il fallait attendre une enquête indépendante." #FranceInfo pic.twitter.com/S09NvkOaHR
— Marion Le Pen (@Marion_M_Le_Pen) 7 aprile 2017
"Noi dello staff del Donald Trump Italian Fan Club, a seguito dell'attacco di poche ore fa, ci schieriamo dalla parte del popolo siriano" è la comunicazione che si legge su una delle più seguite pagine Facebook dei seguaci italiani di Trump.
"Scendo ufficialmente dal treno di Trump" twitta amareggiato Paul Joseph Watson uno dei maggiori influencer pro Trump.
I guess Trump wasn't "Putin's puppet" after all, he was just another deep state/Neo-Con puppet.
I'm officially OFF the Trump train.
— Paul Joseph Watson (@PrisonPlanet) 7 aprile 2017
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Re: La Terza Guerra Mondiale
COM’E’ BUIO QUESTO POZZO NERO.
SCOPRIRE IL BANDOLO DELLA MATASSA CHE CI PORTA AD UN PO’ DI LUCE STA DIVENTANDO DI UNA DIFFICOLTA’ ESTREMA.
QUALE SIA LA VERITA’ E’ SUFFICIENTEMENTE DIFFICILE DA CAPIRE.
SOLO ATTRAVERSO UNA DISCUSSIONE SERRATA, SU UN SITO COME QUESTO DOVE SIAMO ABITUATI A CONFRONTARCI, AL RIPARO DI SOLA REGOLA FONDAMENTALE :
NON SI DISCUTE PER AVERE RAGIONE, MA PER CAPIRE
SI PUO’ CERCARE DI CAPIRE COSA STA SUCCEDENDO INTORNO A NOI.
•
• LIBRE news
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• segnalazioni
Trump disperato bombarda Assad, ma le vittime siamo noi
Scritto il 07/4/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Cinquantanove missili Tomahawk contro la base aerea siriana da cui l’Occidente sostiene, senza alcuna prova, che sia partito l’attacco col gas Sarin che il 4 aprile ha ucciso un’ottantina di civili nella città di Idlib.
Ancora una volta, annota Giampiero Venturi sul newmagazine “Difesa Online”, l’unica fonte è lo screditatissimo
“Osservatorio siriano per i diritti umani”, noto per sfornare “fake news” da un minuscolo ufficio di Coventry, nel Regno Unito, gestito da una sola persona, in contatto con l’intelligence occidentale che, da ormai cinque anni, sta manipolando forze sul terreno siriano per tentare di rovesciare il governo di Bashar Assad.
Sulla vicenda dell’attacco con i gas pesa il terribile precedente del 2013, quando Obama fu a un passo dal bombardamento, dopo aver incolpato da Siria per l’attacco chimico a Ghouta, alla periferia di Damasco, che poi l’Onu chiarì che fu scatenato dai miliziani ostili ad Assad. Stavolta, la Casa Bianca non ha atteso indagini e (dopo aver avvertito i russi) il 7 aprile ha bombardato la base di Ash Shayrat, uccidendo militari siriani.
Autorevoli analisti americani, come Paul Craig Roberts, già da tempo avvertono che Donald Trump sarebbe caduto nelle mani dell’establishment neocon, cresciuto con Bush ma rimasto saldamente al potere con Obama e la Clinton: è il partito della guerra, che vive di armamenti e maxi-finanziamenti all’intelligence, per i quali è necessario un “nemico” che giustifichi la spesa.
La mossa americana sembra originata dalla lucida disperazione di Trump, completamente isolato sul piano della politica interna: demonizzato dalla potentissima lobby Obama-Clinton, incalzato dalle false notizie sui presunti rapporti privilegiati con Mosca e costretto persino a rimangiarsi la solenne promessa di smontare la riforma sanitaria Obamacare.
Trump ha l’aria di essere in un vicolo cieco: per cercare di tenere a bada il vero potere, non esita a ricorrere ai missili: non più solo una minaccia, ma ormai un fatto, destinato a intimidire anche la Corea del Nord e l’Iran, paese impegnato – insieme ai russi e ai libanesi di Hezbollah – a sostenere anche militarmente il regime di Assad, contro il quale cospirano incessantemente la Turchia, Israele, gli Emirati come il Qatar e l’Arabia Saudita, con azioni clandestine e illegali – armamento ai miliziani, protezione tattica e logistica – sotto la supervisione della Nato, che ha garantito la supremazia dell’Isis fino all’intervento dell’aviazione russa disposto da Vladimir Putin.
L’attacco coi gas, destinato a rovinare Assad preparando il blitz missilistico – secondo lo stesso Venturi aveva due obbiettivi: rimuovere dall’opinione pubblica internazionale l’impatto del devastante attentato terroristico inferto alla Russia a San Pietroburgo e seppellire l’immagine del governo Assad, che – con l’aiuto di Mosca – in Siria sta ormai vincendo la guerra contro i terroristi armati dall’Occidente.
Un conferma indiretta dell’entità reale del pericolo viene dai media mainstream, che continuano – in coro – a raccontare il contrario della verità.
Nessuno dei grandi giornali e dei maggiori network televisivi ricostruisce l’origine della crisi siriana, emblematizzata da una foto eloquente: quella del senatore John McCain, inviato speciale di Obama, ripreso in Siria in compagnia del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, leader dell’Isis, stranamente scarcerato dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq, nel 2009. Da allora, il progetto Isis – perfettamente funzionale al “partito della guerra” – ha infettato l’intero Medio Oriente, fino alla Libia, da cui partirono armi chimiche destinate alla “resistenza” siriana per ordine di Hillary Clinton.
Contro questo establishment “nero”, Donald Trump giocò una parte importante della sua campagna elettorale: più che Assad mi preoccupa l’Isis, disse. Ma oggi i missili li ha scagliati contro Assad, non contro l’Isis, ben sapendo che non sono gli amici di Assad, ma quelli dell’Isis, a minacciare il suo futuro alla Casa Bianca.
A questi “amici”, Trump ha gettato un osso decisivo, il generale Michael Flynn, considerato una “colomba”, fautore della distensione con la Russia, sacrificato per tentare di placare il “partito della guerra”. Errore fatale, secondo Craig Roberts: è un po’ come illudersi di potersi sbarazzare della mafia pagando il pizzo; se cedi anche una sola volta, vieni percepito come “debole” e verrai assediato fino alla capitolazione. In alternativa, sempre secondo questo ragionamento, Trump potrebbe “salvarsi” nel modo più semplice: allineandosi completamente ai neocon e preparandosi ad eseguire i loro diktat.
Per esempio, con una grandinata di missili Tomahawk sulla testa dei siriani, sapendo benissimo che non c’è nessuna prova che siano stati loro a colpire la popolazione di Idlib con i gas.
Gli osservatori indipendenti più scettici su Trump l’avevano detto quasi subito: il neopresidente non ha la stoffa per difendersi dal nemico interno, in un sistema che appare irrimediabilmente inquinato.
Lo dimostra l’esito delle primarie dei democratici: aveva vinto Sanders, ma a è stato tolto di mezzo ricorrendo a brogli.
Il “partito della guerra” puntava su Hillary Clinton.
Ha perso, ma non sa perdere.
E così “costringe” alla guerra Trump.
Oggi contro Assad, domani contro Putin, cioè l’uomo che ha demolito l’Isis in Siria, infliggendo una sconfitta bruciante al “partito della guerra”.
Siamo tutti in pericolo? A quanto pare, sì: dai media è letteralmente scomparsa la verità, che – come è noto – è la prima vittima di qualsiasi guerra. La cattiva notizia è che quella in corso, fondata sulla menzogna sistematica, è una guerra innanzitutto contro di noi.
SCOPRIRE IL BANDOLO DELLA MATASSA CHE CI PORTA AD UN PO’ DI LUCE STA DIVENTANDO DI UNA DIFFICOLTA’ ESTREMA.
QUALE SIA LA VERITA’ E’ SUFFICIENTEMENTE DIFFICILE DA CAPIRE.
SOLO ATTRAVERSO UNA DISCUSSIONE SERRATA, SU UN SITO COME QUESTO DOVE SIAMO ABITUATI A CONFRONTARCI, AL RIPARO DI SOLA REGOLA FONDAMENTALE :
NON SI DISCUTE PER AVERE RAGIONE, MA PER CAPIRE
SI PUO’ CERCARE DI CAPIRE COSA STA SUCCEDENDO INTORNO A NOI.
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Trump disperato bombarda Assad, ma le vittime siamo noi
Scritto il 07/4/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Cinquantanove missili Tomahawk contro la base aerea siriana da cui l’Occidente sostiene, senza alcuna prova, che sia partito l’attacco col gas Sarin che il 4 aprile ha ucciso un’ottantina di civili nella città di Idlib.
Ancora una volta, annota Giampiero Venturi sul newmagazine “Difesa Online”, l’unica fonte è lo screditatissimo
“Osservatorio siriano per i diritti umani”, noto per sfornare “fake news” da un minuscolo ufficio di Coventry, nel Regno Unito, gestito da una sola persona, in contatto con l’intelligence occidentale che, da ormai cinque anni, sta manipolando forze sul terreno siriano per tentare di rovesciare il governo di Bashar Assad.
Sulla vicenda dell’attacco con i gas pesa il terribile precedente del 2013, quando Obama fu a un passo dal bombardamento, dopo aver incolpato da Siria per l’attacco chimico a Ghouta, alla periferia di Damasco, che poi l’Onu chiarì che fu scatenato dai miliziani ostili ad Assad. Stavolta, la Casa Bianca non ha atteso indagini e (dopo aver avvertito i russi) il 7 aprile ha bombardato la base di Ash Shayrat, uccidendo militari siriani.
Autorevoli analisti americani, come Paul Craig Roberts, già da tempo avvertono che Donald Trump sarebbe caduto nelle mani dell’establishment neocon, cresciuto con Bush ma rimasto saldamente al potere con Obama e la Clinton: è il partito della guerra, che vive di armamenti e maxi-finanziamenti all’intelligence, per i quali è necessario un “nemico” che giustifichi la spesa.
La mossa americana sembra originata dalla lucida disperazione di Trump, completamente isolato sul piano della politica interna: demonizzato dalla potentissima lobby Obama-Clinton, incalzato dalle false notizie sui presunti rapporti privilegiati con Mosca e costretto persino a rimangiarsi la solenne promessa di smontare la riforma sanitaria Obamacare.
Trump ha l’aria di essere in un vicolo cieco: per cercare di tenere a bada il vero potere, non esita a ricorrere ai missili: non più solo una minaccia, ma ormai un fatto, destinato a intimidire anche la Corea del Nord e l’Iran, paese impegnato – insieme ai russi e ai libanesi di Hezbollah – a sostenere anche militarmente il regime di Assad, contro il quale cospirano incessantemente la Turchia, Israele, gli Emirati come il Qatar e l’Arabia Saudita, con azioni clandestine e illegali – armamento ai miliziani, protezione tattica e logistica – sotto la supervisione della Nato, che ha garantito la supremazia dell’Isis fino all’intervento dell’aviazione russa disposto da Vladimir Putin.
L’attacco coi gas, destinato a rovinare Assad preparando il blitz missilistico – secondo lo stesso Venturi aveva due obbiettivi: rimuovere dall’opinione pubblica internazionale l’impatto del devastante attentato terroristico inferto alla Russia a San Pietroburgo e seppellire l’immagine del governo Assad, che – con l’aiuto di Mosca – in Siria sta ormai vincendo la guerra contro i terroristi armati dall’Occidente.
Un conferma indiretta dell’entità reale del pericolo viene dai media mainstream, che continuano – in coro – a raccontare il contrario della verità.
Nessuno dei grandi giornali e dei maggiori network televisivi ricostruisce l’origine della crisi siriana, emblematizzata da una foto eloquente: quella del senatore John McCain, inviato speciale di Obama, ripreso in Siria in compagnia del “califfo” Abu Bakr Al-Baghdadi, leader dell’Isis, stranamente scarcerato dal centro di detenzione di Camp Bucca, in Iraq, nel 2009. Da allora, il progetto Isis – perfettamente funzionale al “partito della guerra” – ha infettato l’intero Medio Oriente, fino alla Libia, da cui partirono armi chimiche destinate alla “resistenza” siriana per ordine di Hillary Clinton.
Contro questo establishment “nero”, Donald Trump giocò una parte importante della sua campagna elettorale: più che Assad mi preoccupa l’Isis, disse. Ma oggi i missili li ha scagliati contro Assad, non contro l’Isis, ben sapendo che non sono gli amici di Assad, ma quelli dell’Isis, a minacciare il suo futuro alla Casa Bianca.
A questi “amici”, Trump ha gettato un osso decisivo, il generale Michael Flynn, considerato una “colomba”, fautore della distensione con la Russia, sacrificato per tentare di placare il “partito della guerra”. Errore fatale, secondo Craig Roberts: è un po’ come illudersi di potersi sbarazzare della mafia pagando il pizzo; se cedi anche una sola volta, vieni percepito come “debole” e verrai assediato fino alla capitolazione. In alternativa, sempre secondo questo ragionamento, Trump potrebbe “salvarsi” nel modo più semplice: allineandosi completamente ai neocon e preparandosi ad eseguire i loro diktat.
Per esempio, con una grandinata di missili Tomahawk sulla testa dei siriani, sapendo benissimo che non c’è nessuna prova che siano stati loro a colpire la popolazione di Idlib con i gas.
Gli osservatori indipendenti più scettici su Trump l’avevano detto quasi subito: il neopresidente non ha la stoffa per difendersi dal nemico interno, in un sistema che appare irrimediabilmente inquinato.
Lo dimostra l’esito delle primarie dei democratici: aveva vinto Sanders, ma a è stato tolto di mezzo ricorrendo a brogli.
Il “partito della guerra” puntava su Hillary Clinton.
Ha perso, ma non sa perdere.
E così “costringe” alla guerra Trump.
Oggi contro Assad, domani contro Putin, cioè l’uomo che ha demolito l’Isis in Siria, infliggendo una sconfitta bruciante al “partito della guerra”.
Siamo tutti in pericolo? A quanto pare, sì: dai media è letteralmente scomparsa la verità, che – come è noto – è la prima vittima di qualsiasi guerra. La cattiva notizia è che quella in corso, fondata sulla menzogna sistematica, è una guerra innanzitutto contro di noi.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Da Top Blog del Fatto Q.
Il parere di di Giampiero Gramaglia
Giornalista, consigliere IAI
Mondo
Siria, l’attacco Usa è illegale. Trump diventa sceriffo del deserto in 72 ore
di Giampiero Gramaglia | 7 aprile 2017
I 59 missili Tomahawk lanciati poco dopo le due del mattino dai cacciatorpediniere Uss Porter e Uss Ross, in navigazione nel Mediterraneo orientale, contro la base aerea di Shayrat in Siria sono la punizione al regime del presidente al-Assad per i bambini e i civili uccisi nell’attacco chimico di martedì scorso nella provincia di Idlib, nel nord-ovest del Paese: c’è quasi una proporzionalità tra il numero dei missili scagliati e quello delle vittime dell’attacco di martedì
E sono la prima applicazione sulla scena internazionale della politica muscolare del presidente Trump, che, in 72 ore, ha rovesciato la propria posizione sulla Siria – da “affari loro” all’interventismo unilaterale -, creato una linea di frattura fra Usa e Russia, violato ogni legalità internazionale, senza peraltro avvicinare a una soluzione l’intreccio di crisi nel Medio Oriente.
Per il Pentagono, l’azione ha “ridotto la capacità del governo siriano di utilizzare armi chimiche”, “danneggiando o distruggendo velivoli siriani e strutture di supporto e attrezzature”. Per le fonti di Damasco, che denunciano “l’aggressione” subita – e il termine “aggressione” ritorna da Mosca a Teheran -, ci sono state vittime. In quella base, c’era pure personale russo – che sarebbe stato avvertito: una delle circostanze da chiarire.
L’attacco, deciso dal presidente in poche ore, scegliendo fra tre alternative offertegli dai militari, e condotto mentre Trump cenava con il presidente cinese Xi Jinping e signore nella sua lussuosa tenuta di Mar-a-Lago in Florida, non ha legittimità dal punto di vista del diritto internazionale, ma si configura pure come una reazione all’inazione internazionale: per il veto della Russia, l’Onu non è ancora riuscita neppure ad esprimere una condanna di quanto è avvenuto. E Trump ha voluto, in chiave interna, mettere una distanza tra sé e il suo predecessore Barack Obama, che nel 2013 lasciò impunemente violare in Siria la linea rossa delle armi chimiche.
Donald J. Trump
✔ @realDonaldTrump
AGAIN, TO OUR VERY FOOLISH LEADER, DO NOT ATTACK SYRIA - IF YOU DO MANY VERY BAD THINGS WILL HAPPEN & FROM THAT FIGHT THE U.S. GETS NOTHING!
15:20 - 5 Sep 2013
•
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Trump ha affermato che l’attacco è stato condotto nell’interesse della sicurezza degli Stati Uniti; ha evocato le immagini dei bambini vittime dell’attacco chimico; ha invitato “i paesi civilizzati” a mettere fine al bagno di sangue in Siria che va avanti da sei anni; ha invocato la benedizione divina sull’America e sul mondo intero, che ne ha davvero bisogno.
Ma non è affatto certo, e neppure probabile, che un attacco del genere, a parte soddisfare alcune istanze presenti un po’ ovunque da “occhio per occhio, dente per dente” e da sceriffo del deserto, abbia conseguenze positive su scala mondiale e neppure nel Medio Oriente, oltre che allontanare le prospettive di un migliore rapporto tra Usa e Russia.
Il maggiore Jamil al-Saleh, un comandante dei ribelli d’opposizione siriani nella città di Hama spera che l’attacco sia un “punto di svolta”: illusa del sostegno americano, l’opposizione sarà ancora meno incline a negoziare. Mentre Washington, battuto il suo colpo, e distratta un po’ l’opinione pubblica nazionale dalle beghe interne, che girano tutte storte per l’Amministrazione, tornerà a interessarsi poco della Siria.
Negli Stati Uniti sale la consueta ondata di solidarietà nazionale che s’alza quando “il Paese è in guerra”. Ma se lo speaker della Camera Paul Ryan e il senatore John McCain approvano, deputati e senatori, anche repubblicani, avvertono che il presidente deve consultare il Congresso, se vuole impegnarsi in un conflitto.
Finiscono per suonare a favore di Trump anche le parole pronunciate, prima dell’attacco, e sicuramente all’oscuro di esso, da Hillary Clinton: “Da segretario di Stato appoggiavo un’azione più aggressiva sulla Siria”. Parlando a un incontro sulle donne a New York, l’ex first lady, antagonista di Trump per la Casa Bianca, ha spiegato che, nei primi quattro anni di Obama, quand’era appunto segretario di Stato, aveva elaborato un piano per essere più aggressivi contro la Siria, che ”dispone di una forza aerea che è la causa di molte morti civili”. Trump non aveva bisogno dell’avallo di Hillary. Ma averlo in tasca non deve dispiacergli.
Il parere di di Giampiero Gramaglia
Giornalista, consigliere IAI
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Siria, l’attacco Usa è illegale. Trump diventa sceriffo del deserto in 72 ore
di Giampiero Gramaglia | 7 aprile 2017
I 59 missili Tomahawk lanciati poco dopo le due del mattino dai cacciatorpediniere Uss Porter e Uss Ross, in navigazione nel Mediterraneo orientale, contro la base aerea di Shayrat in Siria sono la punizione al regime del presidente al-Assad per i bambini e i civili uccisi nell’attacco chimico di martedì scorso nella provincia di Idlib, nel nord-ovest del Paese: c’è quasi una proporzionalità tra il numero dei missili scagliati e quello delle vittime dell’attacco di martedì
E sono la prima applicazione sulla scena internazionale della politica muscolare del presidente Trump, che, in 72 ore, ha rovesciato la propria posizione sulla Siria – da “affari loro” all’interventismo unilaterale -, creato una linea di frattura fra Usa e Russia, violato ogni legalità internazionale, senza peraltro avvicinare a una soluzione l’intreccio di crisi nel Medio Oriente.
Per il Pentagono, l’azione ha “ridotto la capacità del governo siriano di utilizzare armi chimiche”, “danneggiando o distruggendo velivoli siriani e strutture di supporto e attrezzature”. Per le fonti di Damasco, che denunciano “l’aggressione” subita – e il termine “aggressione” ritorna da Mosca a Teheran -, ci sono state vittime. In quella base, c’era pure personale russo – che sarebbe stato avvertito: una delle circostanze da chiarire.
L’attacco, deciso dal presidente in poche ore, scegliendo fra tre alternative offertegli dai militari, e condotto mentre Trump cenava con il presidente cinese Xi Jinping e signore nella sua lussuosa tenuta di Mar-a-Lago in Florida, non ha legittimità dal punto di vista del diritto internazionale, ma si configura pure come una reazione all’inazione internazionale: per il veto della Russia, l’Onu non è ancora riuscita neppure ad esprimere una condanna di quanto è avvenuto. E Trump ha voluto, in chiave interna, mettere una distanza tra sé e il suo predecessore Barack Obama, che nel 2013 lasciò impunemente violare in Siria la linea rossa delle armi chimiche.
Donald J. Trump
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Trump ha affermato che l’attacco è stato condotto nell’interesse della sicurezza degli Stati Uniti; ha evocato le immagini dei bambini vittime dell’attacco chimico; ha invitato “i paesi civilizzati” a mettere fine al bagno di sangue in Siria che va avanti da sei anni; ha invocato la benedizione divina sull’America e sul mondo intero, che ne ha davvero bisogno.
Ma non è affatto certo, e neppure probabile, che un attacco del genere, a parte soddisfare alcune istanze presenti un po’ ovunque da “occhio per occhio, dente per dente” e da sceriffo del deserto, abbia conseguenze positive su scala mondiale e neppure nel Medio Oriente, oltre che allontanare le prospettive di un migliore rapporto tra Usa e Russia.
Il maggiore Jamil al-Saleh, un comandante dei ribelli d’opposizione siriani nella città di Hama spera che l’attacco sia un “punto di svolta”: illusa del sostegno americano, l’opposizione sarà ancora meno incline a negoziare. Mentre Washington, battuto il suo colpo, e distratta un po’ l’opinione pubblica nazionale dalle beghe interne, che girano tutte storte per l’Amministrazione, tornerà a interessarsi poco della Siria.
Negli Stati Uniti sale la consueta ondata di solidarietà nazionale che s’alza quando “il Paese è in guerra”. Ma se lo speaker della Camera Paul Ryan e il senatore John McCain approvano, deputati e senatori, anche repubblicani, avvertono che il presidente deve consultare il Congresso, se vuole impegnarsi in un conflitto.
Finiscono per suonare a favore di Trump anche le parole pronunciate, prima dell’attacco, e sicuramente all’oscuro di esso, da Hillary Clinton: “Da segretario di Stato appoggiavo un’azione più aggressiva sulla Siria”. Parlando a un incontro sulle donne a New York, l’ex first lady, antagonista di Trump per la Casa Bianca, ha spiegato che, nei primi quattro anni di Obama, quand’era appunto segretario di Stato, aveva elaborato un piano per essere più aggressivi contro la Siria, che ”dispone di una forza aerea che è la causa di molte morti civili”. Trump non aveva bisogno dell’avallo di Hillary. Ma averlo in tasca non deve dispiacergli.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
Il parere di Leonardo Coen.
Per quanto mi ricordo, Leonardo Coen scriveva su La Repubblica.
Attacco Usa in Siria, cambio di tattica di Trump “gendarme globale” con Putin. Che invece non può agire
di Leonardo Coen | 7 aprile 2017
Mondo
Mosca e Washington per ora si confrontano, ma ancora non si affrontano. Non possono. E’ un braccio di ferro troppo rischioso. E forse, sia per gli Stati Uniti, sia per la Russia, è venuto il tempo di liquidare il dittatore di Damasco e il suo regime criminale. Ma intanto il mondo si divide in due
di Leonardo Coen | 7 aprile 2017
202
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Più informazioni su: Donald Trump, Guerra Fredda, Guerra in Siria, Siria, Vladimir Putin
Uno spettro si aggira in medio Oriente. E’ quello della tentazione. La tentazione, cioè, della guerra. Non più “prove di Terza Guerra Mondiale”, come è stato detto. Lo scenario è drammatico, i primi a capirlo sono i mercati finanziari che infatti hanno cominciato a soffrire. Poi, ad inquietare e ricordare come certe situazioni di oggi assomiglino molto all’inanità del 1938 verso Hitler e alle sue mire d’espansione, c’è il silenzio di Cina ed Europa, che sembrano convitati di pietra: si accontentano di formali condanne appellandosi ai diritti umani. Sperano nel buon senso. E nella realpolitik. La Siria non vale il mondo. Ma i suoi bimbi, valgono la fine di Assad.
Infatti Mosca e Washington per ora si confrontano, ma ancora non si affrontano. Non possono. E’ un braccio di ferro troppo rischioso. E forse, sia per gli Stati Uniti, sia per la Russia, è venuto il tempo di liquidare il dittatore di Damasco e il suo regime criminale. Per la Russia, è un alleato che la scredita e la impiomba. Per l’America, l’occasione buona per ricollocarsi in medio Oriente, e dimostrare che non si è abbassata la guardia.
Così, Trump minaccia. E agisce. Putin minaccia, ma non può agire. Entrambi, giocano una mano di poker: per capire chi bluffa di più. Il magnate americano rischia il salto nel buio. Putin sventola il pericolo del suo “ombrello” militare in Siria. La flotta del Mar Nero è in pre allarme. Quella del Baltico, pure. I missili di Kaliningrad, l’enclave russa tra Polonia e Lituania – cioè in piena Unione Europea – sono puntati sulle capitali del Vecchio Continente. L’Alleanza Atlantica è già in allerta.
In verità, Trump ha riscoperto – o meglio, il Pentagono – il ruolo di gendarme globale degli Stati Uniti. Putin è rimasto platealmente vittima delle sue ambizioni imperiali, invischiato nelle complesse trame che ha tessuto per riassegnare al suo Paese il ruolo di superpotenza perduto dopo la caduta del Muro di Berlino e lo sbriciolamento dell’Unione Sovietica.
In apparenza, dunque, l’imprevedibile Donald ha cambiato di colpo tattica nei confronti dell’amico Vladimir. E ha ritirato la mano tesa, che tanto aveva turbato i sonni dei patrioti Usa: inoltre, coi 59 missili lanciati sulla base chimica dell’esercito siriano spera di far dimenticare la Russian Connection e tante sue sprovvedute dichiarazioni sul ruolo degli Stati Uniti in Medio Oriente, come quando disse che non bisognava ricorrere all’opzione militare contro Assad. Paghi uno, pigli due.
I missili Trump hanno sparigliato le carte della grande partita internazionale: il mondo si è diviso in due, come ai tempi della Guerra Fredda. “Sostegno totale” degli alleati degli Stati Uniti. Condanna dei suoi avversari. Le cancellerie hanno rispolverato il lessico dei blocchi contrapposti. Putin ha denunciato l’attacco americano come “un’aggressione contro uno stato sovrano”, il suo portavoce Dmitri Peskov ha incalzato, spiegando che tutto è avvenuto in violazione delle norme del diritto internazionale fondato “su pretesti inventati”. Soprattutto, “come stima Putin, quest’azione non avvicina l’obiettivo finale della lotta contro il terrorismo internazionale ma innalza al contrario dei seri ostacoli per la costituzione di una coalizione internazionale per la lotta al terrorismo”. Quindi, la colpa è americana, se ci saranno conseguenze (ma non ci saranno, vista la cautela). Assad, insistono i russi, è innocente (per forza: sono loro che l’armano e lo proteggono). I gas, una balla.
I russi negano l’evidenza e le testimonianze: tutto il mondo ha visto gli effetti del gas. E questo li ha moralmente isolati. Certo, la politica e la guerra se ne fregano dell’etica e della morale. Ma al tempo dell’informazione istantanea e globale, la menzogna tanto può essere utile – vedi in caso di elezioni – quanto può diventare micidiale, con le immagini cruente ed atroci dei bimbi sarinizzati.
Un altro aspetto, niente affatto secondario, è il nuovo repentino cambio d’atteggiamento di Trump. Ha dovuto arrendersi allo stato delle cose: gli interessi geopolitici Usa non collimano con quelli russi. Non fin quando al Cremlino ci sarà il clan putiniano, nemico della libertà d’opinione, e il potere resterà saldo in mano agli ex uomini del Kgb.
Insomma, Trump ha cozzato contro il mondo reale: quello dei fatti, non delle verità truccate dal suo guru Stephen Bannon, ed ex direttore del sito dell’ultradestra suprematista Breitbart News, messo (finalmente) in un angolo: lo scorso mercoledì 5 aprile la Casa Bianca ha annunciato che Bannon lasciava il Consiglio nazionale di Sicurezza. Una vittoria, secondo gli analisti, del generale McMaster, grande esperto di affari strategici, che lo presiede e che ritiene sia fondamentale come strumento professionale e non politico.
Infine, Putin. Pensava di essere il più astuto del reame, di poter contare per quel che riguardava la Siria di una certa libertà di manovra, forte anche del fatto che in Occidente c’erano movimenti estremisti anti Ue a lui favorevoli. Invece è rimasto intrappolato dalla sua sicumera. I gas che hanno ammazzato decine di bimbi a Khan Sheikhoun hanno dissipato in pochi minuti il paziente lavorìo militare e diplomatico del presidente russo. Persino il nuovo alleato turco Erdogan lo ha clamorosamente contraddetto, invocando addirittura la collera di Allah per l’ignobile azione attribuita ad Assad, o a qualche suo generale, il che non cambia la sostanza. Mentre gli americani avevano acquisito le prove – stavolta non inventate da Bush e Blair come al tempo della guerra in Iraq ma documentate dai satelliti – che l’attacco chimico proveniva da un aereo siriano, lo zar si affannava a dire che si trattava di “fake news”, di balle. Beffardo contrappasso, l’ex tenente colonnello del Kgb che denuncia la disinformatija americana…
Assad è il responsabile di tutto ciò, dicono all’unisono Hollande e la Merkel. Nel loro comunicato in comune – l’Italia nei momenti cruciali, se fa scelte, le fa tardi – affermano di essere stati avvertiti in anticipo dell’azione. I capi della diplomazia francese e tedesca auspicano una soluzione politica sotto l’egida delle Nazioni Unite. I missili Usa sono “un avvertimento”, e pure una forma di “condanna” del “regime criminale” di Assad. Con Washington stanno Arabia saudita e Giappone, Israele offre il suo “totale” sostegno, sperando che “questo messaggio forte” possa essere inteso da Teheran e da Pyongyang, ha dichiarato il premier Benyamin Netanyahu. Ankara vorrebbe una zona “d’esclusione aerea” in Siria, considera che i missili siano stati una buona medicina. Il Pentagono ha battuto il Cremlino? La “punizione” americana per la strage provocata dall’attacco chimico che ha un valore soprattutto dimostrativo, trova consenso nella pubblica opinione statunitense e anche in quella mondiale, scossa dall’atrocità del tiranno di Damasco. Assad si è scavato la fossa.
Per quanto mi ricordo, Leonardo Coen scriveva su La Repubblica.
Attacco Usa in Siria, cambio di tattica di Trump “gendarme globale” con Putin. Che invece non può agire
di Leonardo Coen | 7 aprile 2017
Mondo
Mosca e Washington per ora si confrontano, ma ancora non si affrontano. Non possono. E’ un braccio di ferro troppo rischioso. E forse, sia per gli Stati Uniti, sia per la Russia, è venuto il tempo di liquidare il dittatore di Damasco e il suo regime criminale. Ma intanto il mondo si divide in due
di Leonardo Coen | 7 aprile 2017
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Più informazioni su: Donald Trump, Guerra Fredda, Guerra in Siria, Siria, Vladimir Putin
Uno spettro si aggira in medio Oriente. E’ quello della tentazione. La tentazione, cioè, della guerra. Non più “prove di Terza Guerra Mondiale”, come è stato detto. Lo scenario è drammatico, i primi a capirlo sono i mercati finanziari che infatti hanno cominciato a soffrire. Poi, ad inquietare e ricordare come certe situazioni di oggi assomiglino molto all’inanità del 1938 verso Hitler e alle sue mire d’espansione, c’è il silenzio di Cina ed Europa, che sembrano convitati di pietra: si accontentano di formali condanne appellandosi ai diritti umani. Sperano nel buon senso. E nella realpolitik. La Siria non vale il mondo. Ma i suoi bimbi, valgono la fine di Assad.
Infatti Mosca e Washington per ora si confrontano, ma ancora non si affrontano. Non possono. E’ un braccio di ferro troppo rischioso. E forse, sia per gli Stati Uniti, sia per la Russia, è venuto il tempo di liquidare il dittatore di Damasco e il suo regime criminale. Per la Russia, è un alleato che la scredita e la impiomba. Per l’America, l’occasione buona per ricollocarsi in medio Oriente, e dimostrare che non si è abbassata la guardia.
Così, Trump minaccia. E agisce. Putin minaccia, ma non può agire. Entrambi, giocano una mano di poker: per capire chi bluffa di più. Il magnate americano rischia il salto nel buio. Putin sventola il pericolo del suo “ombrello” militare in Siria. La flotta del Mar Nero è in pre allarme. Quella del Baltico, pure. I missili di Kaliningrad, l’enclave russa tra Polonia e Lituania – cioè in piena Unione Europea – sono puntati sulle capitali del Vecchio Continente. L’Alleanza Atlantica è già in allerta.
In verità, Trump ha riscoperto – o meglio, il Pentagono – il ruolo di gendarme globale degli Stati Uniti. Putin è rimasto platealmente vittima delle sue ambizioni imperiali, invischiato nelle complesse trame che ha tessuto per riassegnare al suo Paese il ruolo di superpotenza perduto dopo la caduta del Muro di Berlino e lo sbriciolamento dell’Unione Sovietica.
In apparenza, dunque, l’imprevedibile Donald ha cambiato di colpo tattica nei confronti dell’amico Vladimir. E ha ritirato la mano tesa, che tanto aveva turbato i sonni dei patrioti Usa: inoltre, coi 59 missili lanciati sulla base chimica dell’esercito siriano spera di far dimenticare la Russian Connection e tante sue sprovvedute dichiarazioni sul ruolo degli Stati Uniti in Medio Oriente, come quando disse che non bisognava ricorrere all’opzione militare contro Assad. Paghi uno, pigli due.
I missili Trump hanno sparigliato le carte della grande partita internazionale: il mondo si è diviso in due, come ai tempi della Guerra Fredda. “Sostegno totale” degli alleati degli Stati Uniti. Condanna dei suoi avversari. Le cancellerie hanno rispolverato il lessico dei blocchi contrapposti. Putin ha denunciato l’attacco americano come “un’aggressione contro uno stato sovrano”, il suo portavoce Dmitri Peskov ha incalzato, spiegando che tutto è avvenuto in violazione delle norme del diritto internazionale fondato “su pretesti inventati”. Soprattutto, “come stima Putin, quest’azione non avvicina l’obiettivo finale della lotta contro il terrorismo internazionale ma innalza al contrario dei seri ostacoli per la costituzione di una coalizione internazionale per la lotta al terrorismo”. Quindi, la colpa è americana, se ci saranno conseguenze (ma non ci saranno, vista la cautela). Assad, insistono i russi, è innocente (per forza: sono loro che l’armano e lo proteggono). I gas, una balla.
I russi negano l’evidenza e le testimonianze: tutto il mondo ha visto gli effetti del gas. E questo li ha moralmente isolati. Certo, la politica e la guerra se ne fregano dell’etica e della morale. Ma al tempo dell’informazione istantanea e globale, la menzogna tanto può essere utile – vedi in caso di elezioni – quanto può diventare micidiale, con le immagini cruente ed atroci dei bimbi sarinizzati.
Un altro aspetto, niente affatto secondario, è il nuovo repentino cambio d’atteggiamento di Trump. Ha dovuto arrendersi allo stato delle cose: gli interessi geopolitici Usa non collimano con quelli russi. Non fin quando al Cremlino ci sarà il clan putiniano, nemico della libertà d’opinione, e il potere resterà saldo in mano agli ex uomini del Kgb.
Insomma, Trump ha cozzato contro il mondo reale: quello dei fatti, non delle verità truccate dal suo guru Stephen Bannon, ed ex direttore del sito dell’ultradestra suprematista Breitbart News, messo (finalmente) in un angolo: lo scorso mercoledì 5 aprile la Casa Bianca ha annunciato che Bannon lasciava il Consiglio nazionale di Sicurezza. Una vittoria, secondo gli analisti, del generale McMaster, grande esperto di affari strategici, che lo presiede e che ritiene sia fondamentale come strumento professionale e non politico.
Infine, Putin. Pensava di essere il più astuto del reame, di poter contare per quel che riguardava la Siria di una certa libertà di manovra, forte anche del fatto che in Occidente c’erano movimenti estremisti anti Ue a lui favorevoli. Invece è rimasto intrappolato dalla sua sicumera. I gas che hanno ammazzato decine di bimbi a Khan Sheikhoun hanno dissipato in pochi minuti il paziente lavorìo militare e diplomatico del presidente russo. Persino il nuovo alleato turco Erdogan lo ha clamorosamente contraddetto, invocando addirittura la collera di Allah per l’ignobile azione attribuita ad Assad, o a qualche suo generale, il che non cambia la sostanza. Mentre gli americani avevano acquisito le prove – stavolta non inventate da Bush e Blair come al tempo della guerra in Iraq ma documentate dai satelliti – che l’attacco chimico proveniva da un aereo siriano, lo zar si affannava a dire che si trattava di “fake news”, di balle. Beffardo contrappasso, l’ex tenente colonnello del Kgb che denuncia la disinformatija americana…
Assad è il responsabile di tutto ciò, dicono all’unisono Hollande e la Merkel. Nel loro comunicato in comune – l’Italia nei momenti cruciali, se fa scelte, le fa tardi – affermano di essere stati avvertiti in anticipo dell’azione. I capi della diplomazia francese e tedesca auspicano una soluzione politica sotto l’egida delle Nazioni Unite. I missili Usa sono “un avvertimento”, e pure una forma di “condanna” del “regime criminale” di Assad. Con Washington stanno Arabia saudita e Giappone, Israele offre il suo “totale” sostegno, sperando che “questo messaggio forte” possa essere inteso da Teheran e da Pyongyang, ha dichiarato il premier Benyamin Netanyahu. Ankara vorrebbe una zona “d’esclusione aerea” in Siria, considera che i missili siano stati una buona medicina. Il Pentagono ha battuto il Cremlino? La “punizione” americana per la strage provocata dall’attacco chimico che ha un valore soprattutto dimostrativo, trova consenso nella pubblica opinione statunitense e anche in quella mondiale, scossa dall’atrocità del tiranno di Damasco. Assad si è scavato la fossa.
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Re: La Terza Guerra Mondiale
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Nuovo disordine mondiale: morti gli Stati, c’è solo il denaro
Scritto il 08/4/17 • nella Categoria: idee Condividi
L’attuale situazione internazionale desta in molti preoccupazione e sorpresa: non esiste un ordine mondiale, stiamo scivolando verso l’anarchia internazionale e questo fa temere l’approssimarsi di nuove guerre, sino all’esplosione di un nuovo grande conflitto mondiale. Passi per la preoccupazione: in effetti c’è un allargamento delle aree di scontro con archi di crisi di migliaia di chilometri, dalla Libia all’Afghanistan, dalla Siria all’Ucraina e forse l’Estonia, dalla Corea alle isole Senkaku-Diaoyu che potrebbe allungarsi sino alle Paracel; per non dire dell’iperterrorismo. In effetti il timore di una escalation che porti ad un conflitto generalizzato è plausibile. Quello che, invece, è strano è la sorpresa della quale ci sorprendiamo. L’ordine mondiale è sempre stato pensato come equilibrio fra Stati; ma, con l’avvento della globalizzazione neoliberista, ci è stato spiegato che gli Stati nazionali erano solo una reliquia del passato destinata a rapida scomparsa; comunque, dovevano astenersi da qualsivoglia politica economica, che non fosse nell’ambito della più stretta ortodossia mercatista. Nello stesso tempo è iniziata una frenetica delocalizzazione di gran parte della manifattura dai paesi occidentali a quelli di Asia, Africa ed America Latina, che ha modificato fortemente il Pil di quei paesi consentendo loro una spesa militare senza precedenti. E tutto questo ha provocato un marcato riallineamento dei rapporti di forza fra i diversi paesi.
Quanto alle sconclusionate avventure degli Usa nei paesi mediorientali e della loro misera conclusione non è neppure il caso di dire. E, date queste premesse, perché mai sarebbe dovuta andare diversamente? E’ andata come era logico che andasse. L’idea che la globalizzazione sarebbe stata un’epoca di stabile “ordine mondiale”, nonostante il deperimento degli Stati nazionali, si basava essenzialmente sulla convinzione che di Stato ne bastasse uno, quello Usa, di cui tutti gli altri sarebbero stati solo pallide agenzie locali. Molto successo ebbe chi (Negri) parlava di un mitico Impero acefalo, di cui gli Usa erano solo il principale braccio esecutivo, non si capisce al servizio di quale cervello, una sorta di Impero-processo che superava definitivamente l’ordine westfalico verso non si sa bene cosa. E c’era anche chi (Huntington) parlava, con maggiore realismo, di un ordine mondiale fondato su sette o otto modelli di civiltà, raccolti intorno ad una nazione guida, ma pur sempre basato sull’egemonia occidentale, se non proprio americana e basta. Ma le cose non sono andate in questo senso, e la realtà si è dimostrata molto più fantasiosa dei progettisti del nuovo ordine mondiale.
L’esperienza storica dimostra che, quando emerge un credibile disegno egemonico, si forma una coalizione dei soggetti più deboli (o comunque di quanti se ne sentono aggrediti) contro di esso e, non di rado, la coalizione vince. Waterloo, Stalingrado, Verdun, stanno lì a dimostrarlo. E’ accaduto anche questa volta, prima con la Comunità di Shanghai, a guardia dello spazio strategico cino-russo, e poi con la formazione del Bric, che alleava una ex grande potenza in via di ripresa (la Russia) con tre emergenti (Cina, India, Brasile), e cui, poco dopo, si aggiungeva il Sud Africa. Nasceva così l’embrione di un incerto ordine mondiale basato su una sola grande potenza ed un certo numero di grandi potenze regionali. La prima era l’unica in grado di intervenire in ogni angolo del pianeta, grazie alle sue 745 basi militari, alle sue 7 flotte e al predominio satellitare, ma le altre in grado di difendere militarmente il proprio spazio strategico. Per di più la globalizzazione moltiplicava i piani di scontro rendendoli insieme interdipendenti (economia, finanza, guerra cognitiva, soft power, guerra coperta, iperterrorismo) e la stessa dimensione spaziale acquisiva tre nuove sfere (sottosuolo marino, cyber-spazio e spazio satellitare) per cui la difesa del predominio assoluto, in ogni dimensione e su ciascun piano di scontro, comporta costi proibitivi, e questo rende sempre più imperfetto quel predominio unilaterale che sembrava destinato a durare a lungo nel tempo.
Negli interstizi di questo ordine ineguale, si inserivano man mano nuovi attori di minore peso (Indonesia, Messico, Turchia, Egitto, Arabia Saudita, Argentina, Venezuela, Vietnam, Pakistan, le due Coree, eccetera), ma che iniziavano a giocare in autonomia una propria partita nella sfera di appartenenza. Nello stesso tempo, i pilastri delle alleanze occidentali iniziavano a indebolirsi, mostrando vistose crepe: l’Unione Europea, priva di un progetto strategico di sé, iniziava a naufragare con il riemergere dei protagonismi nazionali, la Nato andava perdendo senso, sotto i colpi dell’unilateralismo americano voluto da Bush e poi solo parzialmente smentito da Obama, nel Fmi iniziava a sentirsi la pressione dei nuovi soggetti (Cina in testa) e fra Usa ed Europa iniziavano a manifestarsi i sintomi di una guerra commerciale e monetaria. E il mondo ha iniziato a dividersi in tre aree, così come lo descrive la copertina del libro di Di Nolfo: quella verde del blocco occidentale (Usa, Ue, Australia, Giappone), quella gialla dell’area Bric (India, Russia, Cina, Brasile, cui aggiungeremmo il Sud Africa e i paesi intermedi fra Russia e Cina) e quella viola, che definiremmo “della turbolenza”, che include l’America Latina ispanofona, l’Africa, i paesi islamici e singole aree asiatiche come il Vietnam. Il tutto in un equilibrio precario pronto a far pendere un piatto della bilancia o l’altro.
Inizialmente la sfida degli emergenti venne taciuta o avanzata con grande timidezza, tanto che, ancora nel 2012, Kupchan poteva illudersi che il predominio americano, vuoi per i rapporti di forza militari, vuoi per quelli finanziari, non era destinato ad affievolirsi, per cui l’odine mondiale sarebbe rimasto lo stesso ancora per un tempo indefinito, e che eventuali sfidanti potevano al massimo sperare ciascuno di ottenere un rapporto preferenziale con gli Usa. Ma le cose non sono andate in questo modo e la presidenza Trump è solo una brusca accelerazione su una traiettoria precedente, che vede gli Usa come unica superpotenza, ma assediata dai suoi sfidanti e con un rapporto di forse sempre meno favorevole. Contrariamente a quello che la teoria delle relazioni internazionali ha sempre sostenuto, non sempre il peggior pericolo di guerra viene dall’anarchia internazionale; qualche volta è proprio l’ordine a generare il massimo disordine.
(Aldo Giannuli, “Elogio del nuovo disordine mondiale”, dal blog di Giannuli del 30 marzo 2017; il post sintetizza un intervento di Giannuli su “Limes”).
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Nuovo disordine mondiale: morti gli Stati, c’è solo il denaro
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L’attuale situazione internazionale desta in molti preoccupazione e sorpresa: non esiste un ordine mondiale, stiamo scivolando verso l’anarchia internazionale e questo fa temere l’approssimarsi di nuove guerre, sino all’esplosione di un nuovo grande conflitto mondiale. Passi per la preoccupazione: in effetti c’è un allargamento delle aree di scontro con archi di crisi di migliaia di chilometri, dalla Libia all’Afghanistan, dalla Siria all’Ucraina e forse l’Estonia, dalla Corea alle isole Senkaku-Diaoyu che potrebbe allungarsi sino alle Paracel; per non dire dell’iperterrorismo. In effetti il timore di una escalation che porti ad un conflitto generalizzato è plausibile. Quello che, invece, è strano è la sorpresa della quale ci sorprendiamo. L’ordine mondiale è sempre stato pensato come equilibrio fra Stati; ma, con l’avvento della globalizzazione neoliberista, ci è stato spiegato che gli Stati nazionali erano solo una reliquia del passato destinata a rapida scomparsa; comunque, dovevano astenersi da qualsivoglia politica economica, che non fosse nell’ambito della più stretta ortodossia mercatista. Nello stesso tempo è iniziata una frenetica delocalizzazione di gran parte della manifattura dai paesi occidentali a quelli di Asia, Africa ed America Latina, che ha modificato fortemente il Pil di quei paesi consentendo loro una spesa militare senza precedenti. E tutto questo ha provocato un marcato riallineamento dei rapporti di forza fra i diversi paesi.
Quanto alle sconclusionate avventure degli Usa nei paesi mediorientali e della loro misera conclusione non è neppure il caso di dire. E, date queste premesse, perché mai sarebbe dovuta andare diversamente? E’ andata come era logico che andasse. L’idea che la globalizzazione sarebbe stata un’epoca di stabile “ordine mondiale”, nonostante il deperimento degli Stati nazionali, si basava essenzialmente sulla convinzione che di Stato ne bastasse uno, quello Usa, di cui tutti gli altri sarebbero stati solo pallide agenzie locali. Molto successo ebbe chi (Negri) parlava di un mitico Impero acefalo, di cui gli Usa erano solo il principale braccio esecutivo, non si capisce al servizio di quale cervello, una sorta di Impero-processo che superava definitivamente l’ordine westfalico verso non si sa bene cosa. E c’era anche chi (Huntington) parlava, con maggiore realismo, di un ordine mondiale fondato su sette o otto modelli di civiltà, raccolti intorno ad una nazione guida, ma pur sempre basato sull’egemonia occidentale, se non proprio americana e basta. Ma le cose non sono andate in questo senso, e la realtà si è dimostrata molto più fantasiosa dei progettisti del nuovo ordine mondiale.
L’esperienza storica dimostra che, quando emerge un credibile disegno egemonico, si forma una coalizione dei soggetti più deboli (o comunque di quanti se ne sentono aggrediti) contro di esso e, non di rado, la coalizione vince. Waterloo, Stalingrado, Verdun, stanno lì a dimostrarlo. E’ accaduto anche questa volta, prima con la Comunità di Shanghai, a guardia dello spazio strategico cino-russo, e poi con la formazione del Bric, che alleava una ex grande potenza in via di ripresa (la Russia) con tre emergenti (Cina, India, Brasile), e cui, poco dopo, si aggiungeva il Sud Africa. Nasceva così l’embrione di un incerto ordine mondiale basato su una sola grande potenza ed un certo numero di grandi potenze regionali. La prima era l’unica in grado di intervenire in ogni angolo del pianeta, grazie alle sue 745 basi militari, alle sue 7 flotte e al predominio satellitare, ma le altre in grado di difendere militarmente il proprio spazio strategico. Per di più la globalizzazione moltiplicava i piani di scontro rendendoli insieme interdipendenti (economia, finanza, guerra cognitiva, soft power, guerra coperta, iperterrorismo) e la stessa dimensione spaziale acquisiva tre nuove sfere (sottosuolo marino, cyber-spazio e spazio satellitare) per cui la difesa del predominio assoluto, in ogni dimensione e su ciascun piano di scontro, comporta costi proibitivi, e questo rende sempre più imperfetto quel predominio unilaterale che sembrava destinato a durare a lungo nel tempo.
Negli interstizi di questo ordine ineguale, si inserivano man mano nuovi attori di minore peso (Indonesia, Messico, Turchia, Egitto, Arabia Saudita, Argentina, Venezuela, Vietnam, Pakistan, le due Coree, eccetera), ma che iniziavano a giocare in autonomia una propria partita nella sfera di appartenenza. Nello stesso tempo, i pilastri delle alleanze occidentali iniziavano a indebolirsi, mostrando vistose crepe: l’Unione Europea, priva di un progetto strategico di sé, iniziava a naufragare con il riemergere dei protagonismi nazionali, la Nato andava perdendo senso, sotto i colpi dell’unilateralismo americano voluto da Bush e poi solo parzialmente smentito da Obama, nel Fmi iniziava a sentirsi la pressione dei nuovi soggetti (Cina in testa) e fra Usa ed Europa iniziavano a manifestarsi i sintomi di una guerra commerciale e monetaria. E il mondo ha iniziato a dividersi in tre aree, così come lo descrive la copertina del libro di Di Nolfo: quella verde del blocco occidentale (Usa, Ue, Australia, Giappone), quella gialla dell’area Bric (India, Russia, Cina, Brasile, cui aggiungeremmo il Sud Africa e i paesi intermedi fra Russia e Cina) e quella viola, che definiremmo “della turbolenza”, che include l’America Latina ispanofona, l’Africa, i paesi islamici e singole aree asiatiche come il Vietnam. Il tutto in un equilibrio precario pronto a far pendere un piatto della bilancia o l’altro.
Inizialmente la sfida degli emergenti venne taciuta o avanzata con grande timidezza, tanto che, ancora nel 2012, Kupchan poteva illudersi che il predominio americano, vuoi per i rapporti di forza militari, vuoi per quelli finanziari, non era destinato ad affievolirsi, per cui l’odine mondiale sarebbe rimasto lo stesso ancora per un tempo indefinito, e che eventuali sfidanti potevano al massimo sperare ciascuno di ottenere un rapporto preferenziale con gli Usa. Ma le cose non sono andate in questo modo e la presidenza Trump è solo una brusca accelerazione su una traiettoria precedente, che vede gli Usa come unica superpotenza, ma assediata dai suoi sfidanti e con un rapporto di forse sempre meno favorevole. Contrariamente a quello che la teoria delle relazioni internazionali ha sempre sostenuto, non sempre il peggior pericolo di guerra viene dall’anarchia internazionale; qualche volta è proprio l’ordine a generare il massimo disordine.
(Aldo Giannuli, “Elogio del nuovo disordine mondiale”, dal blog di Giannuli del 30 marzo 2017; il post sintetizza un intervento di Giannuli su “Limes”).
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Re: La Terza Guerra Mondiale
LA TEMPERATURA NEL PENTOLONE SI E' ALZATA. SE NE SONO ACCORTI ANCHE A LIBRE CHE HA AUMENTATO LA PUBBLICAZIONI GIORNALIERE DOPO QUELLO CHE E' SUCCESSO IERI.
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Fake news e missili, l’impero colpisce ancora: con Trump
Scritto il 08/4/17 • nella Categoria: idee Condividi
Ora che bombarda e uccide come tutti gli altri presidenti Usa, Trump riesce finalmente “simpatico” all’Unione Europea e alla Nato. Bella consolazione, no? «Ho ancora in mente l’immagine del segretario di Stato degli Usa, Colin Powell, che all’Onu nel 2003 mentiva sapendo di mentire mentre mostrava la fiala con la falsa prova degli inesistenti gas di Saddam». Grazie a quella falsa prova, «Bush, la Ue e la Nato scatenarono la seconda guerra in Iraq e grazie ad essa ora abbiamo l’Isis», ricorda Giorgio Cremaschi su “Micromega”, segnalando il fatto che Trump «ha fatto il suo esordio da bombardiere, adeguandosi così alla tradizione dei presidenti Usa, nessuno dei quali si è mai sottratto alla necessità imperiale di lanciare ordigni ed uccidere: Clinton, Bush, Obama non avrebbero saputo fare di meglio». E così, i governi Ue e Nato tirano un sospiro di sollievo: «Alla fine Trump non è la Brexit, è solo uno dei tanti modi di mascherarsi che ha il palazzo economico-finanziario e militare. Peggio per gli sprovveduti che ci hanno creduto».
Il neopresidente, scrive Cremaschi su “Micromega”, «è solo culturalmente un po’ più fascista e razzista dei predecessori». Ma alla fine, «quando si tratta di difendere gli interessi dell’impero, si normalizza». Contenti, i signori del super-potere? Eccome: «Bentornato tra noi, dicono governi occidentali e stampa, finanza e industria militare: in fondo non avevamo dubbi». Del resto, aggiunge Cremaschi, «come può un miliardario evasore fiscale non difendere il suo e il potere delle élites di cui solo ambisce di far parte?». Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, l’aveva detto subito: «Trump si è candidato solo per ottenere appalti, non c’è molto altro nel suo orizzonte: inutile aspettarsi chissà cosa, al netto delle retoriche». Carpeoro ha anche ricostruito l’origine storica della filiera terroristica, fabbricata dall’Occidente già a Yalta con la negazione di uno Stato ai palestinesi, così da garantire al Medio Oriente un futuro da polveriera (petrolifera), interpretato da svariati attori, tutti telecomandati: raìs, dittatori, emiri e terroristi guidati dall’intelligence occitentale, da Al-Qaeda all’Isis.
Oggi, annota Cremaschi, si apre un nuovo capitolo della “guerra mondiale a pezzi” che stiamo vivendo, con l’aggravante che i “pezzi” «diventano sempre più attaccati fra loro». Il bombardamento missilistico del 7 aprile sulla base aerea siriana da cui, secondo gli Usa, sarebbe partito il raid chimico su Idlib, è «un capitolo che stupisce per la velocità con cui una notizia priva di alcuna dimostrazione (l’esercito di Assad che avrebbe usato i gas) è diventata la fonte di legittimazione del lancio dei missili». Questo, chiarisce Cremaschi, senza sconti per i regimi finiti nella bufera: «Tranquillizzo gli ipocriti: sono contro Assad, come lo ero verso Gheddafi, Saddam, Milosevic. Ma sono atterrito dalle guerre scatenate dal potere occidentale sulla base delle proprie fake news». Domanda angosciosa: «Che frutti marci e velenosi daranno ora i bombardamenti di Trump? Ancora non lo sappiamo, ci sarà tempo per accorgersene e per analisi e conclusioni approfondite». Intanto, conclude Cremaschi, «lasciatemi esprimere il disgusto e la rabbia per quanto sta accadendo».
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Fake news e missili, l’impero colpisce ancora: con Trump
Scritto il 08/4/17 • nella Categoria: idee Condividi
Ora che bombarda e uccide come tutti gli altri presidenti Usa, Trump riesce finalmente “simpatico” all’Unione Europea e alla Nato. Bella consolazione, no? «Ho ancora in mente l’immagine del segretario di Stato degli Usa, Colin Powell, che all’Onu nel 2003 mentiva sapendo di mentire mentre mostrava la fiala con la falsa prova degli inesistenti gas di Saddam». Grazie a quella falsa prova, «Bush, la Ue e la Nato scatenarono la seconda guerra in Iraq e grazie ad essa ora abbiamo l’Isis», ricorda Giorgio Cremaschi su “Micromega”, segnalando il fatto che Trump «ha fatto il suo esordio da bombardiere, adeguandosi così alla tradizione dei presidenti Usa, nessuno dei quali si è mai sottratto alla necessità imperiale di lanciare ordigni ed uccidere: Clinton, Bush, Obama non avrebbero saputo fare di meglio». E così, i governi Ue e Nato tirano un sospiro di sollievo: «Alla fine Trump non è la Brexit, è solo uno dei tanti modi di mascherarsi che ha il palazzo economico-finanziario e militare. Peggio per gli sprovveduti che ci hanno creduto».
Il neopresidente, scrive Cremaschi su “Micromega”, «è solo culturalmente un po’ più fascista e razzista dei predecessori». Ma alla fine, «quando si tratta di difendere gli interessi dell’impero, si normalizza». Contenti, i signori del super-potere? Eccome: «Bentornato tra noi, dicono governi occidentali e stampa, finanza e industria militare: in fondo non avevamo dubbi». Del resto, aggiunge Cremaschi, «come può un miliardario evasore fiscale non difendere il suo e il potere delle élites di cui solo ambisce di far parte?». Gianfranco Carpeoro, autore del saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, l’aveva detto subito: «Trump si è candidato solo per ottenere appalti, non c’è molto altro nel suo orizzonte: inutile aspettarsi chissà cosa, al netto delle retoriche». Carpeoro ha anche ricostruito l’origine storica della filiera terroristica, fabbricata dall’Occidente già a Yalta con la negazione di uno Stato ai palestinesi, così da garantire al Medio Oriente un futuro da polveriera (petrolifera), interpretato da svariati attori, tutti telecomandati: raìs, dittatori, emiri e terroristi guidati dall’intelligence occitentale, da Al-Qaeda all’Isis.
Oggi, annota Cremaschi, si apre un nuovo capitolo della “guerra mondiale a pezzi” che stiamo vivendo, con l’aggravante che i “pezzi” «diventano sempre più attaccati fra loro». Il bombardamento missilistico del 7 aprile sulla base aerea siriana da cui, secondo gli Usa, sarebbe partito il raid chimico su Idlib, è «un capitolo che stupisce per la velocità con cui una notizia priva di alcuna dimostrazione (l’esercito di Assad che avrebbe usato i gas) è diventata la fonte di legittimazione del lancio dei missili». Questo, chiarisce Cremaschi, senza sconti per i regimi finiti nella bufera: «Tranquillizzo gli ipocriti: sono contro Assad, come lo ero verso Gheddafi, Saddam, Milosevic. Ma sono atterrito dalle guerre scatenate dal potere occidentale sulla base delle proprie fake news». Domanda angosciosa: «Che frutti marci e velenosi daranno ora i bombardamenti di Trump? Ancora non lo sappiamo, ci sarà tempo per accorgersene e per analisi e conclusioni approfondite». Intanto, conclude Cremaschi, «lasciatemi esprimere il disgusto e la rabbia per quanto sta accadendo».
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Re: La Terza Guerra Mondiale
INTERPRETAZIONE DI UN GIORNALISTA DI DESTRA, CHE SCRIVE SUL QUOTIDIANO DEGLI STRUMPTRUPPEN
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Foa: c’era una volta Trump, si è arreso ai padroni di Obama
Scritto il 08/4/17 • nella Categoria: idee Condividi
Verrebbe da dire: c’era una volta Trump. C’era, fino a poche settimane fa, un presidente che prometteva un’America diversa da quella di Obama ma anche di Bush, di Clinton, di Bush padre. Un’America intenzionata a rompere nettamente con la dottrina neoconservatrice, che in nome della lotta al terrorismo e di un mondo migliore ha ottenuto, dal 2001 ad oggi, esattamente l’opposto: più instabilità in tutto il Medio Oriente, più fondamentalismo islamico, la nascita dell’Isis e una serie di attentati nelle capitali europee. Quell’America si proponeva di non essere più il poliziotto del mondo e pareva ansiosa di fare la pace con Putin. Non fatevi ingannare dal rumore mediatico degli ultimi mesi: a disturbare l’establishment americano e quello Stato Profondo (Deep State) che in realtà governa l’America e che accomuna repubblicani e democratici, non era solo la persona di Donald Trump, quanto, soprattutto le sue idee, quel progetto di America. Quanto avvenuto la notte scorsa in Siria segna un cambiamento radicale nello spirito e nelle intenzioni di Trump. Cinque mesi di campagna martellante contro il presidente eletto hanno prodotto, evidentemente, gli effetti auspicati.
E non mi riferisco solo alle manifestazioni di piazza, all’opposizione isterica della stampa, alle sentenze dei giudici (a proposito: ricordate l’articolo di Kupchan? Era profetico). Trump non è stato capace di resistere al boicottaggio che proveniva dall’interno delle istituzioni e dall’apparato dell’intelligence e della difesa. E chissà a quali altre pressioni e minacce. Si è lasciato avvinghiare, inghiottire da quel mondo che prometteva di combattere. Tutto in appena due mesi e mezzo dal giorno del suo insediamento. L’errore più grande lo ha commesso quando ha accettato che uno dei suoi consiglieri più fidati, Flynn, si dimettesse. Un commentatore acuto e davvero indipendente quale Paul Craig Roberts lo aveva capito subito: quel cedimento era devastante, perché spaccava il fronte dei fedelissimi ma soprattutto perché rompeva la posizione di Trump sul “caso Russia”, che poteva diventare così un caso nazionale. Della serie: se Flynn si dimetteva c’era qualcosa da nascondere. E allora via con le pressioni. Ancora oggi mancano prove concrete sulle ipotetiche collusioni con Mosca per condizionare il voto, ma il “Deep State” lo ha fatto diventare il Caso Nazionale con toni maccartisti, paventando persino un impeachment nell’arco di qualche mese. Un impeachment sul nulla, ma questo era secondario.
Flynn era la mente della nuova politica estera e di sicurezza dell’amministrazione Trump. Un’amministrazione che si è via via riempita di ministri, consiglieri ed esperti appartenenti alla vecchia guardia. All’inizio quelle nomine, poco coerenti, parevano una concessione obbligata al partito repubblicano che controlla il Congresso, nella supposizione che le redini sarebbero rimaste nelle mani del presidente. Ma si è rivelata una falsa speranza. E quando, l’altro ieri, l’altro suo più fedele collaboratore, lo stratega politico Bannon è stato estromesso dal Consiglio di sicurezza nazionale, l’accerchiamento si è concluso. Il segretario di Stato Tillermann si è rapidamente allineato all’establishment e ora a guidare la politica estera e di difesa, a consigliare il presidente, sono gli esperti della Washington di sempre. E si vede: la distensione con il Cremlino appare sempre più lontana; anzi, proprio i ministri della nuova amministrazione alimentano la retorica antirussa con le stesse argomentazioni e lo stesso tono di Obama.
Il Trump di qualche mese fa avrebbe preteso la verità sull’uso del gas in Siria, quello di oggi, invece, ha proclamato – senza ombra di dubbio – che molte linee rosse erano state superate. Proprio come Obama nel 2013. Peccato che allora, in seguito, si scoprì che a usare il Sarin erano stati i “ribelli” moderati per far cadere la colpa su Assad e provocare l’intervento della Nato. Sarin la cui consegna sarebbe stata autorizzata da Hillary Clinton. Ed è molto verosimile che anche la strage dell’altro giorno sia stata provocata dai “ribelli” per fornire agli Stati Uniti un pretesto per intervenire. Solo che nel 2013 Obama si fermò all’ultimo minuto, il Trump di oggi no. Ha fatto tutto in fretta, senza riscontri oggettivi sulle responsabilità di Assad, evidentemente mal consigliato (o consigliato benissimo, dipende dai punti di vista). Intanto l’Isis e i fondamentalisti islamici che combattono Assad ringraziano: la distruzione della base siriana avrà un solo effetto concreto, quello di indebolire l’esercito siriano e dunque di rimettere in discussione una vittoria che sembra certa. E’ così che si combatte lo Stato Islamico?
Non ci prendano in giro: così lo si favorisce, perché l’obiettivo di Washington è il cambio di regime a Damasco anche a costo di vedere trionfare in Siria il peggior integralismo islamico. Non è un caso che a salutare l’interventismo della Casa Bianca siano stati proprio Hillary Clinton e John McCain. L’impressione è che l’agenda Trump sia già stata sconfessata a beneficio di quella irresponsabile e interventista portata avanti negli ultimi 15 anni dai neoconservatori. Se ciò fosse vero, significherebbe che Trump è stato “normalizzato”. E per la pace nel mondo sarebbe una pessima notizia. Resta una sola flebile speranza: che si tratti di un riposizionamento transitorio e non di una resa. Che l’uomo sia capace di riscattarsi. Ma probabilmente, a questo punto, più che una speranza è un’illusione.
(Marcello Foa, “Attenti, hanno normalizzato Trump”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 7 aprile 2017).
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Foa: c’era una volta Trump, si è arreso ai padroni di Obama
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Verrebbe da dire: c’era una volta Trump. C’era, fino a poche settimane fa, un presidente che prometteva un’America diversa da quella di Obama ma anche di Bush, di Clinton, di Bush padre. Un’America intenzionata a rompere nettamente con la dottrina neoconservatrice, che in nome della lotta al terrorismo e di un mondo migliore ha ottenuto, dal 2001 ad oggi, esattamente l’opposto: più instabilità in tutto il Medio Oriente, più fondamentalismo islamico, la nascita dell’Isis e una serie di attentati nelle capitali europee. Quell’America si proponeva di non essere più il poliziotto del mondo e pareva ansiosa di fare la pace con Putin. Non fatevi ingannare dal rumore mediatico degli ultimi mesi: a disturbare l’establishment americano e quello Stato Profondo (Deep State) che in realtà governa l’America e che accomuna repubblicani e democratici, non era solo la persona di Donald Trump, quanto, soprattutto le sue idee, quel progetto di America. Quanto avvenuto la notte scorsa in Siria segna un cambiamento radicale nello spirito e nelle intenzioni di Trump. Cinque mesi di campagna martellante contro il presidente eletto hanno prodotto, evidentemente, gli effetti auspicati.
E non mi riferisco solo alle manifestazioni di piazza, all’opposizione isterica della stampa, alle sentenze dei giudici (a proposito: ricordate l’articolo di Kupchan? Era profetico). Trump non è stato capace di resistere al boicottaggio che proveniva dall’interno delle istituzioni e dall’apparato dell’intelligence e della difesa. E chissà a quali altre pressioni e minacce. Si è lasciato avvinghiare, inghiottire da quel mondo che prometteva di combattere. Tutto in appena due mesi e mezzo dal giorno del suo insediamento. L’errore più grande lo ha commesso quando ha accettato che uno dei suoi consiglieri più fidati, Flynn, si dimettesse. Un commentatore acuto e davvero indipendente quale Paul Craig Roberts lo aveva capito subito: quel cedimento era devastante, perché spaccava il fronte dei fedelissimi ma soprattutto perché rompeva la posizione di Trump sul “caso Russia”, che poteva diventare così un caso nazionale. Della serie: se Flynn si dimetteva c’era qualcosa da nascondere. E allora via con le pressioni. Ancora oggi mancano prove concrete sulle ipotetiche collusioni con Mosca per condizionare il voto, ma il “Deep State” lo ha fatto diventare il Caso Nazionale con toni maccartisti, paventando persino un impeachment nell’arco di qualche mese. Un impeachment sul nulla, ma questo era secondario.
Flynn era la mente della nuova politica estera e di sicurezza dell’amministrazione Trump. Un’amministrazione che si è via via riempita di ministri, consiglieri ed esperti appartenenti alla vecchia guardia. All’inizio quelle nomine, poco coerenti, parevano una concessione obbligata al partito repubblicano che controlla il Congresso, nella supposizione che le redini sarebbero rimaste nelle mani del presidente. Ma si è rivelata una falsa speranza. E quando, l’altro ieri, l’altro suo più fedele collaboratore, lo stratega politico Bannon è stato estromesso dal Consiglio di sicurezza nazionale, l’accerchiamento si è concluso. Il segretario di Stato Tillermann si è rapidamente allineato all’establishment e ora a guidare la politica estera e di difesa, a consigliare il presidente, sono gli esperti della Washington di sempre. E si vede: la distensione con il Cremlino appare sempre più lontana; anzi, proprio i ministri della nuova amministrazione alimentano la retorica antirussa con le stesse argomentazioni e lo stesso tono di Obama.
Il Trump di qualche mese fa avrebbe preteso la verità sull’uso del gas in Siria, quello di oggi, invece, ha proclamato – senza ombra di dubbio – che molte linee rosse erano state superate. Proprio come Obama nel 2013. Peccato che allora, in seguito, si scoprì che a usare il Sarin erano stati i “ribelli” moderati per far cadere la colpa su Assad e provocare l’intervento della Nato. Sarin la cui consegna sarebbe stata autorizzata da Hillary Clinton. Ed è molto verosimile che anche la strage dell’altro giorno sia stata provocata dai “ribelli” per fornire agli Stati Uniti un pretesto per intervenire. Solo che nel 2013 Obama si fermò all’ultimo minuto, il Trump di oggi no. Ha fatto tutto in fretta, senza riscontri oggettivi sulle responsabilità di Assad, evidentemente mal consigliato (o consigliato benissimo, dipende dai punti di vista). Intanto l’Isis e i fondamentalisti islamici che combattono Assad ringraziano: la distruzione della base siriana avrà un solo effetto concreto, quello di indebolire l’esercito siriano e dunque di rimettere in discussione una vittoria che sembra certa. E’ così che si combatte lo Stato Islamico?
Non ci prendano in giro: così lo si favorisce, perché l’obiettivo di Washington è il cambio di regime a Damasco anche a costo di vedere trionfare in Siria il peggior integralismo islamico. Non è un caso che a salutare l’interventismo della Casa Bianca siano stati proprio Hillary Clinton e John McCain. L’impressione è che l’agenda Trump sia già stata sconfessata a beneficio di quella irresponsabile e interventista portata avanti negli ultimi 15 anni dai neoconservatori. Se ciò fosse vero, significherebbe che Trump è stato “normalizzato”. E per la pace nel mondo sarebbe una pessima notizia. Resta una sola flebile speranza: che si tratti di un riposizionamento transitorio e non di una resa. Che l’uomo sia capace di riscattarsi. Ma probabilmente, a questo punto, più che una speranza è un’illusione.
(Marcello Foa, “Attenti, hanno normalizzato Trump”, dal blog di Foa su “Il Giornale” del 7 aprile 2017).
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Re: La Terza Guerra Mondiale
lucfig ha scritto:Il blitz dell’America sulla Siria è anche un messaggio a Mosca e Pyongyang.
Se alcuni si erano illusi che America First fosse non occuparsi del mondo, si sbagliano.
Di tutti i fautori di Trump il più colpito è Putin: Ha cannato totalmente il personaggio ed ora si trova una "testa arancione" che non gli importa delle convenzioni internazionali (come nell'immigrazione) e attacca con una facilità estrema, quasi fuori controllo.
Inoltre molte cose non mi quadrano in questa storia:
1) Perché Assad avrebbe usato le armi chimiche se aveva tutti (Usa e Russia) con se e stava vincendo la guerra?
2) Come mai la bomba chimica era piccina ... piccina (si parla di pochi chili di gas), di solito sganciare tale ordigno (quintali di gas) causa in quella situazione decine di migliaia di morti (vedi bombe precedenti)
3) Come mai la reazione è stata così immediata, da stupire tutti?
4) Perché indebolire in tal modo Assad tanto che oggi già Daesh ha avanzato territori e truppe in Siria?
5) Come mai Londra, Parigi e Roma hanno subito appoggiato gli USA pur in chiara violazione del diritto internazionale?
Tanti dubbi
Tante domande
1) Perché Assad avrebbe usato le armi chimiche se aveva tutti (Usa e Russia) con se e stava vincendo la guerra?
La prima cosa che mi chiedo è perché questa domanda la leggo solo qui o non sui media che dalle prime ore del mattino di ieri tutti i siti dei quotidiani e dei settimanali si occupano di quanto accaduto???????
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Re: La Terza Guerra Mondiale
NEL KAOS MONDIALE PERCHE’ GLI STRUMPTRUPPEN FANNO LA PROAGANDA DEL TERRORE, PUR SAPENDO DA CHE PARTE ARRIVA ISIS????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????
Quegli 80 bambini olandesi pronti a farsi esplodere per l'Isis
L’intelligence olandese lancia l’allarme sui nuovi mezzi del terrorismo islamico per colpire in Europa
Lorenzo Vita - Sab, 08/04/2017 - 12:01
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L’intelligence olandese lancia l’allarme sui nuovi mezzi del terrorismo islamico per colpire in Europa. Secondo il report stilato dal Centro di coordinamento per la sicurezza nazionale e l’antiterrorismo dei Paesi Bassi (NCTV), e pubblicato giovedì scorso, esisterebbero circa ottanta bambini di origine olandese nelle mani dei reclutatori del sedicente Stato Islamico.
Questi bambini, indottrinati nel tempo, sarebbero ora potenziali mezzi di terrore delle frange estreme del radicalismo islamico, che non esiterebbero a utilizzare i piccoli martiri per colpire nel cuore dell’Europa. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di bambini olandesi portati in Siria e in Iraq dagli stessi genitori. Alcuni sono figli di miliziani che desiderano ardentemente che i loro figli diventino anch’essi martiri o combattenti. Altri ancora sono orfani, quindi psicologicamente disposti a essere accolti in qualunque organizzazione che dia loro un senso di appartenenza. Educati sotto il rigido controllo del Califfato, sono ormai diventati dei fanatici a loro insaputa.
La propaganda martellante dell’Isis del resto non ha mai nascosto i suoi scopi di educare anche i più piccoli al jihad. Numerosi sono i video pubblicati dai siti di propaganda islamista che ritraggono bambini durante addestramenti pseudo-militari, vestiti come i loro stessi addestratori, e con messaggi di minacce nei confronti dell’Occidente. E non è difficile comprendere il motivo di questa scelta. I bambini subiscono un indottrinamento feroce, martellante, e non conoscono alternativa di vita rispetto a quella proposta loro nei campi di addestramento. Inoltre, il loro utilizzo rappresenta una via estremamente facile per compiere attacchi, giacché le potenziali vittime si sentono rassicurate nel vedere un bambino. I sistemi di sicurezza storicamente hanno difficoltà nel ritenere un bimbo una minaccia, e questo ovviamente induce a rischi enormi. In sostanza, l’innocenza dei bambini è il cavallo di Troia dell’efferatezza dell’Isis. E diventano così terroristi, kamikaze, scudi umani. Il tutto, e questo va sottolineato, anche a loro stessa insaputa. Ora che il Califfato sta perdendo terreno in Medio Oriente, l’antiterrorismo olandese teme quello che ormai è diventato il vero punto debole della lotta al terrorismo. Un nervo scoperto rappresentato dai cosiddetti foreign fighters di ritorno dalla guerra. Sono almeno un centinaio i cittadini olandesi partiti per l’Iraq e per la Siria a combattere il jihad.
Molti di loro sono adulti che hanno portato con sé famiglie e figli, altri hanno costruito le loro famiglie lì, nei territori del Daesh, e che ora potrebbero tornare in Olanda per paura di rimanere senza un luogo dove vivere. In questo ritorno, i bambini rappresenteranno il loro punto di forza. In molti sperano che la presenza di famiglie al seguito induca il sistema olandese a riceverli in modo più rapido, riuscendo di nuovo a entrare nel circuito sociale dei Paesi Bassi. Per questo motivo, l’NCTV ha diramato un comunicato nel quale ha affermato che i bambini che arriveranno in Olanda da quelle terre, dovranno essere sottoposti a rigidi controlli sulla loro identità, anche tramite controlli del DNA. Secondo l’intelligence, il rischio è che queste famiglie diventino cellule terroristiche impossibili da gestire. È l’evoluzione del concetto di lupi solitari. L’Olanda, e con essa l’Europa, si troverebbe a dover fronteggiare non più il singolo violento radicalizzato, ma delle vere e proprie cellule familiari. Quello che sottolinea l’antiterrorismo di Amsterdam è che questi bambini e ragazzi vanno considerati come prime vittime del terrorismo. Lo Stato dovrà quindi farsi carico non soltanto di un controllo a capillare degli ingressi dalle zone di guerra, ma anche della loro educazione. Ma va anche aggiunto che, in molti casi, il rischio è questi bambini tornati dalla guerra siano ormai giovani adulti difficilmente convertibili nell’ordinamento di uno Stato occidentale.
Da un lato, si avrebbero bambini molti piccoli, nati in Siria ed Iraq da foreign fighters, educati ormai alla guerra, che potrebbero diventare essi stessi mezzo per compiere attacchi terroristici. Dall’altro lato, vi sarebbero poi decine di bambini olandesi, cresciuti in Siria e Iraq, che ormai, divenuti grandi, potrebbero anche creare nuove cellule all’interno dello Stato e sfruttare le stesse famiglie come basi per futuri attacchi. L’allarme ora diventa non soltanto olandese, ma anche di tutta l’Europa. Il pericolo dei foreign fighters di ritorno dalla guerra in Medio Oriente è ormai un dato incontrovertibile, ed è la vera grande falla nella sicurezza interna degli Stati. Gli attentati a San Pietroburgo e a Stoccolma sono, in questo senso, esempi purtroppo lampanti di come il pericolo stia trascinando l’Europa in una spirale di violenza che non sembra essere ancora controllabile. E se oltre al singolo potenziale terrorista, si inizia a percepire il pericolo anche dai loro figli, vittime della follia dei loro padri, allora il rischio è che sia veramente difficile trovare un punto di arrivo in questa nuova frontiera della guerra al Terrore.
Quegli 80 bambini olandesi pronti a farsi esplodere per l'Isis
L’intelligence olandese lancia l’allarme sui nuovi mezzi del terrorismo islamico per colpire in Europa
Lorenzo Vita - Sab, 08/04/2017 - 12:01
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L’intelligence olandese lancia l’allarme sui nuovi mezzi del terrorismo islamico per colpire in Europa. Secondo il report stilato dal Centro di coordinamento per la sicurezza nazionale e l’antiterrorismo dei Paesi Bassi (NCTV), e pubblicato giovedì scorso, esisterebbero circa ottanta bambini di origine olandese nelle mani dei reclutatori del sedicente Stato Islamico.
Questi bambini, indottrinati nel tempo, sarebbero ora potenziali mezzi di terrore delle frange estreme del radicalismo islamico, che non esiterebbero a utilizzare i piccoli martiri per colpire nel cuore dell’Europa. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di bambini olandesi portati in Siria e in Iraq dagli stessi genitori. Alcuni sono figli di miliziani che desiderano ardentemente che i loro figli diventino anch’essi martiri o combattenti. Altri ancora sono orfani, quindi psicologicamente disposti a essere accolti in qualunque organizzazione che dia loro un senso di appartenenza. Educati sotto il rigido controllo del Califfato, sono ormai diventati dei fanatici a loro insaputa.
La propaganda martellante dell’Isis del resto non ha mai nascosto i suoi scopi di educare anche i più piccoli al jihad. Numerosi sono i video pubblicati dai siti di propaganda islamista che ritraggono bambini durante addestramenti pseudo-militari, vestiti come i loro stessi addestratori, e con messaggi di minacce nei confronti dell’Occidente. E non è difficile comprendere il motivo di questa scelta. I bambini subiscono un indottrinamento feroce, martellante, e non conoscono alternativa di vita rispetto a quella proposta loro nei campi di addestramento. Inoltre, il loro utilizzo rappresenta una via estremamente facile per compiere attacchi, giacché le potenziali vittime si sentono rassicurate nel vedere un bambino. I sistemi di sicurezza storicamente hanno difficoltà nel ritenere un bimbo una minaccia, e questo ovviamente induce a rischi enormi. In sostanza, l’innocenza dei bambini è il cavallo di Troia dell’efferatezza dell’Isis. E diventano così terroristi, kamikaze, scudi umani. Il tutto, e questo va sottolineato, anche a loro stessa insaputa. Ora che il Califfato sta perdendo terreno in Medio Oriente, l’antiterrorismo olandese teme quello che ormai è diventato il vero punto debole della lotta al terrorismo. Un nervo scoperto rappresentato dai cosiddetti foreign fighters di ritorno dalla guerra. Sono almeno un centinaio i cittadini olandesi partiti per l’Iraq e per la Siria a combattere il jihad.
Molti di loro sono adulti che hanno portato con sé famiglie e figli, altri hanno costruito le loro famiglie lì, nei territori del Daesh, e che ora potrebbero tornare in Olanda per paura di rimanere senza un luogo dove vivere. In questo ritorno, i bambini rappresenteranno il loro punto di forza. In molti sperano che la presenza di famiglie al seguito induca il sistema olandese a riceverli in modo più rapido, riuscendo di nuovo a entrare nel circuito sociale dei Paesi Bassi. Per questo motivo, l’NCTV ha diramato un comunicato nel quale ha affermato che i bambini che arriveranno in Olanda da quelle terre, dovranno essere sottoposti a rigidi controlli sulla loro identità, anche tramite controlli del DNA. Secondo l’intelligence, il rischio è che queste famiglie diventino cellule terroristiche impossibili da gestire. È l’evoluzione del concetto di lupi solitari. L’Olanda, e con essa l’Europa, si troverebbe a dover fronteggiare non più il singolo violento radicalizzato, ma delle vere e proprie cellule familiari. Quello che sottolinea l’antiterrorismo di Amsterdam è che questi bambini e ragazzi vanno considerati come prime vittime del terrorismo. Lo Stato dovrà quindi farsi carico non soltanto di un controllo a capillare degli ingressi dalle zone di guerra, ma anche della loro educazione. Ma va anche aggiunto che, in molti casi, il rischio è questi bambini tornati dalla guerra siano ormai giovani adulti difficilmente convertibili nell’ordinamento di uno Stato occidentale.
Da un lato, si avrebbero bambini molti piccoli, nati in Siria ed Iraq da foreign fighters, educati ormai alla guerra, che potrebbero diventare essi stessi mezzo per compiere attacchi terroristici. Dall’altro lato, vi sarebbero poi decine di bambini olandesi, cresciuti in Siria e Iraq, che ormai, divenuti grandi, potrebbero anche creare nuove cellule all’interno dello Stato e sfruttare le stesse famiglie come basi per futuri attacchi. L’allarme ora diventa non soltanto olandese, ma anche di tutta l’Europa. Il pericolo dei foreign fighters di ritorno dalla guerra in Medio Oriente è ormai un dato incontrovertibile, ed è la vera grande falla nella sicurezza interna degli Stati. Gli attentati a San Pietroburgo e a Stoccolma sono, in questo senso, esempi purtroppo lampanti di come il pericolo stia trascinando l’Europa in una spirale di violenza che non sembra essere ancora controllabile. E se oltre al singolo potenziale terrorista, si inizia a percepire il pericolo anche dai loro figli, vittime della follia dei loro padri, allora il rischio è che sia veramente difficile trovare un punto di arrivo in questa nuova frontiera della guerra al Terrore.
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