Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
LUCA RICOLFI ha mandato nelle librerie il suo ultimo libro.
SINISTRA
E POPOLO
IL CONFLITTO POLITICO
NELL’ERA DEI POPULISMI
LONGANESI
Nella copertina della prima pagina possiamo leggere:
Dodici anni dopo la pubblicazione
di Perché siamo antipatici? Luca Ri-
colfi torna sui temi che hanno fatto
unanimemente apprezzare la sua ri-
cerca ripercorrendo i cambiamenti
sociopolitici degli ultimi quaran-
t’anni dalle origini della globalizza-
zione alla crisi delle economie, avan-
zate, per arrivare a una dolorosa,
stringente osservazione: ovunque in
Occidente il popolo cerca protezio-
ne dalle conseguenze dalla crisi e
dalle fragilità dello scenario globale
ma la sinistra inevitabilmente
impegna le sue energie per sminui-
re i problemi che gli elettori perce-
piscono come principali: disoc-
cupazione, politiche di austerità,
immigrazione, terrorismo.
CONTINUA
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E POPOLO
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Nella copertina della prima pagina possiamo leggere:
Dodici anni dopo la pubblicazione
di Perché siamo antipatici? Luca Ri-
colfi torna sui temi che hanno fatto
unanimemente apprezzare la sua ri-
cerca ripercorrendo i cambiamenti
sociopolitici degli ultimi quaran-
t’anni dalle origini della globalizza-
zione alla crisi delle economie, avan-
zate, per arrivare a una dolorosa,
stringente osservazione: ovunque in
Occidente il popolo cerca protezio-
ne dalle conseguenze dalla crisi e
dalle fragilità dello scenario globale
ma la sinistra inevitabilmente
impegna le sue energie per sminui-
re i problemi che gli elettori perce-
piscono come principali: disoc-
cupazione, politiche di austerità,
immigrazione, terrorismo.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
UncleTom ha scritto:LUCA RICOLFI ha mandato nelle librerie il suo ultimo libro.
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Nella copertina della prima pagina possiamo leggere:
Dodici anni dopo la pubblicazione
di Perché siamo antipatici? Luca Ri-
colfi torna sui temi che hanno fatto
unanimemente apprezzare la sua ri-
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stringente osservazione: ovunque in
Occidente il popolo cerca protezio-
ne dalle conseguenze dalla crisi e
dalle fragilità dello scenario globale
ma la sinistra inevitabilmente
impegna le sue energie per sminui-
re i problemi che gli elettori perce-
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immigrazione, terrorismo.
CONTINUA
Se dunque, al di qua quanto al di
là dell’Atlantico, alzano aggressiva-
mente la testa nei confronti di una
sinistra impotente quando non
addirittura cieca di fronte all’onda
montante di paura che li travolge,
non è così strano che il populismo
si proponga come risposta, per
quanto sommaria e inadeguata,
alle angosce del presente.
Populista: aggettivo usato dalla sinistra per
designare il popolo quando questo comincia
a sfuggirle.
J.-M. Naulot, 1996
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
• Corriere della Sera >
• Salute >
• Dizionario della salute >
• A >
• ANAMNESI
ANAMNESI
Durante l’anamnesi il medico raccoglie dati importanti sulla storia clinica del paziente, che gli consente di impostare un’eventuale adeguata terapia .
Indagine effettuata dal medico attraverso l’interrogatorio del paziente o dei suoi familiari, allo scopo di raccogliere dati e notizie che possano essere utili per la diagnosi.L’a. patologica prossima riguarda sintomi e manifestazioni della malattia eventualmente in atto.- L’a. patologica remota riguarda affezioni sofferte in passato.- L’a. fisiologica riguarda notizie riguardanti le varie fasi dello sviluppo somatico e psichico, le abitudini di vita e alimentari, l’attività lavorativa ecc.- L’a.familiare riguarda dati riferentisi ai familiari e a malattie da questi sofferte.- L’a. costituisce una fase fondamentale dell’indagine diagnostica da essa possono infatti scaturire elementi sufficienti di per sé soli per una diagnosi esatta.L’a. familiare è particolarmente importante per le malattie a carattere ereditario, che spesso si manifestano in più membri dello stesso gruppo familiare o che vengono trasmesse in modo caratteristico.
Ma chi sono i dirigenti della ex sinistra mortuaria, che hanno fatto crescere queste autentiche nullità?????????
IlFattoQuotidiano.it / Politica
Primarie Pd, Orfini: “Una bellissima giornata, il voto andrà oltre le 20. I nostri avversari facciano come noi”
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04 ... i/3553939/
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• ANAMNESI
ANAMNESI
Durante l’anamnesi il medico raccoglie dati importanti sulla storia clinica del paziente, che gli consente di impostare un’eventuale adeguata terapia .
Indagine effettuata dal medico attraverso l’interrogatorio del paziente o dei suoi familiari, allo scopo di raccogliere dati e notizie che possano essere utili per la diagnosi.L’a. patologica prossima riguarda sintomi e manifestazioni della malattia eventualmente in atto.- L’a. patologica remota riguarda affezioni sofferte in passato.- L’a. fisiologica riguarda notizie riguardanti le varie fasi dello sviluppo somatico e psichico, le abitudini di vita e alimentari, l’attività lavorativa ecc.- L’a.familiare riguarda dati riferentisi ai familiari e a malattie da questi sofferte.- L’a. costituisce una fase fondamentale dell’indagine diagnostica da essa possono infatti scaturire elementi sufficienti di per sé soli per una diagnosi esatta.L’a. familiare è particolarmente importante per le malattie a carattere ereditario, che spesso si manifestano in più membri dello stesso gruppo familiare o che vengono trasmesse in modo caratteristico.
Ma chi sono i dirigenti della ex sinistra mortuaria, che hanno fatto crescere queste autentiche nullità?????????
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Primarie Pd, Orfini: “Una bellissima giornata, il voto andrà oltre le 20. I nostri avversari facciano come noi”
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Dalla copertina di chiusura del libro di Luca Ricolfi:
SINISTRA
E POPOLO
IL CONFLITTO POLITICO
NELL’ERA DEI POPULISMI
SE IN TANTA DEMOCRAZIE IL POPOLO
E’ IN RIVOLTA VERSO L’ESTABLISHMENT,
SE IN AMERICA GLI OPERAI HANNO PREFERITO
LO SCORRETTISSIMO MILIARDARIO TRUMP
ALLA CORRETTISSIMA DEMOCRATICA CLINTON,
SE NEL REGNO UNITO LE PERIFERIE
E LE CAMPAGNE HANNO DECRETATO
LA VITTORIA DELLA BREXIT,
SE IN FRANCIA I CETI POPOLARI GUARDANO
A MARINE LE PEN,
SE TUTTO QUESTO ACCADE,
IL DIVORZIO FRA SINISTRA E POPOLO
NON PUO’ PIU’ ESSERE PENSATO COME
UN FENOMENO SOLO ITALIANO.
SINISTRA
E POPOLO
IL CONFLITTO POLITICO
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SE IN TANTA DEMOCRAZIE IL POPOLO
E’ IN RIVOLTA VERSO L’ESTABLISHMENT,
SE IN AMERICA GLI OPERAI HANNO PREFERITO
LO SCORRETTISSIMO MILIARDARIO TRUMP
ALLA CORRETTISSIMA DEMOCRATICA CLINTON,
SE NEL REGNO UNITO LE PERIFERIE
E LE CAMPAGNE HANNO DECRETATO
LA VITTORIA DELLA BREXIT,
SE IN FRANCIA I CETI POPOLARI GUARDANO
A MARINE LE PEN,
SE TUTTO QUESTO ACCADE,
IL DIVORZIO FRA SINISTRA E POPOLO
NON PUO’ PIU’ ESSERE PENSATO COME
UN FENOMENO SOLO ITALIANO.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
WIKIPEDIA, definisce così Luca Ricolfi:
https://it.wikipedia.org/wiki/Luca_Ricolfi
Per quanto intellettuale dichiaratamente di sinistra,[1] Ricolfi spesso esprime posizioni in contrasto con le opinioni sostenute dal PD e dagli altri partiti di area progressista. Una delle critiche più frequentemente rivolte ai partiti del centro-sinistra è quella di analizzare la realtà italiana secondo schemi concettuali obsoleti, ignorando o distorcendo i dati di fatto e proponendo quindi ai suoi potenziali elettori una visione del mondo lontana dalla realtà e inadatta ad affrontare i problemi. Questo comportamento è, secondo Ricolfi, una delle cause del declino elettorale dei partiti di tale area:
« La sinistra perde non soltanto perché è arrogante, presuntuosa e insincera. Perde anche perché non capisce la società italiana, non è in grado di guardare il mondo senza filtri ideologici, non sa stare fra la gente, ha perso del tutto la capacità di ascoltare e la voglia di intendere.[2] »
Non avevo notato in precedenza che Ricolfi fosse un intellettuale appartenente alla sinistra, anche se pur critico.
Noto invece che è difficile vivere su questo pianeta.
Scrive ad un certo punto Luca Ricolfi nel suo ultimo libro SINISTRA E POPOLO:
……SE IN AMERICA GLI OPERAI HANNO PREFERITO
LO SCORRETTISSIMO MILIARDARIO TRUMP
ALLA CORRETTISSIMA DEMOCRATICA CLINTON,……
Mi ha colpito particolarmente il giudizio sulla Clinton.
Dai commenti generici anche sulla stampa italiana, STRUMPTRUPPEN a parte in quanto tifosi di Trump, non mi sembra affatto che Hilary Clinton potesse essere definita “CORRETTISSIMA”.
Non spiega Ricolfi perché l’ha giudicata “CORRETTISSIMA”.
Anche la lettura, può portare ad un dialogo tra sordi.
https://it.wikipedia.org/wiki/Luca_Ricolfi
Per quanto intellettuale dichiaratamente di sinistra,[1] Ricolfi spesso esprime posizioni in contrasto con le opinioni sostenute dal PD e dagli altri partiti di area progressista. Una delle critiche più frequentemente rivolte ai partiti del centro-sinistra è quella di analizzare la realtà italiana secondo schemi concettuali obsoleti, ignorando o distorcendo i dati di fatto e proponendo quindi ai suoi potenziali elettori una visione del mondo lontana dalla realtà e inadatta ad affrontare i problemi. Questo comportamento è, secondo Ricolfi, una delle cause del declino elettorale dei partiti di tale area:
« La sinistra perde non soltanto perché è arrogante, presuntuosa e insincera. Perde anche perché non capisce la società italiana, non è in grado di guardare il mondo senza filtri ideologici, non sa stare fra la gente, ha perso del tutto la capacità di ascoltare e la voglia di intendere.[2] »
Non avevo notato in precedenza che Ricolfi fosse un intellettuale appartenente alla sinistra, anche se pur critico.
Noto invece che è difficile vivere su questo pianeta.
Scrive ad un certo punto Luca Ricolfi nel suo ultimo libro SINISTRA E POPOLO:
……SE IN AMERICA GLI OPERAI HANNO PREFERITO
LO SCORRETTISSIMO MILIARDARIO TRUMP
ALLA CORRETTISSIMA DEMOCRATICA CLINTON,……
Mi ha colpito particolarmente il giudizio sulla Clinton.
Dai commenti generici anche sulla stampa italiana, STRUMPTRUPPEN a parte in quanto tifosi di Trump, non mi sembra affatto che Hilary Clinton potesse essere definita “CORRETTISSIMA”.
Non spiega Ricolfi perché l’ha giudicata “CORRETTISSIMA”.
Anche la lettura, può portare ad un dialogo tra sordi.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
La morte di Valentino Parlato, definito da Valerio Valentini per il F.Q. “un comunista eretico” mi spinge ad interpellare la rete per capire in tempi di dissoluzione globale e totale, perché la sinistra italiana è finita alle ortiche.
Comunismo
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il comunismo, termine derivato da "comune", a sua volta derivato[1] dal latino commūnis ("comune", "pubblico", "che appartiene a tutti", ma anche "neutrale", "imparziale", "equilibrato"), anch'esso di molteplice significato, è un insieme di idee economiche, sociali e politiche, accomunate dalla prospettiva di una stratificazione sociale egualitaria, che presuppone la comunanza dei mezzi di produzione e l'organizzazione collettiva del lavoro, spesso affiancando a questi fondamenti anche opzioni internazionaliste.
Tra i comunisti vi è una notevole varietà di interpretazioni, per lo più, ma non solo, da parte di marxisti, anarchici, cristiani e utopisti con le relative correnti novecentesche, dai trotzkisti, leninisti e maoisti nel marxismo, gli anarco comunisti tra i libertari, i comunisti cristiani e teologi della liberazione tra i credenti religiosi, con frequenti sfumature e commistioni tra i vari indirizzi di pensiero.
Derive dal comunismo in senso proprio sono avvenute in molti contesti, alcune delle quali hanno portato a stati con sistemi societari di stampo opposto alle basilari ideologie comuniste, quindi a matrice autoritaria anziché egualitaria a dispetto del nome, o nazionaliste in contrapposizione alle fondamenta dello stesso marxismo. Gli esempi spaziano dallo stalinismo totalitario alle derive verso l'economia di mercato dei paesi post maoisti con nuovi e sempre più acuti squilibri economici e sociali.
Comunismo
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Il comunismo, termine derivato da "comune", a sua volta derivato[1] dal latino commūnis ("comune", "pubblico", "che appartiene a tutti", ma anche "neutrale", "imparziale", "equilibrato"), anch'esso di molteplice significato, è un insieme di idee economiche, sociali e politiche, accomunate dalla prospettiva di una stratificazione sociale egualitaria, che presuppone la comunanza dei mezzi di produzione e l'organizzazione collettiva del lavoro, spesso affiancando a questi fondamenti anche opzioni internazionaliste.
Tra i comunisti vi è una notevole varietà di interpretazioni, per lo più, ma non solo, da parte di marxisti, anarchici, cristiani e utopisti con le relative correnti novecentesche, dai trotzkisti, leninisti e maoisti nel marxismo, gli anarco comunisti tra i libertari, i comunisti cristiani e teologi della liberazione tra i credenti religiosi, con frequenti sfumature e commistioni tra i vari indirizzi di pensiero.
Derive dal comunismo in senso proprio sono avvenute in molti contesti, alcune delle quali hanno portato a stati con sistemi societari di stampo opposto alle basilari ideologie comuniste, quindi a matrice autoritaria anziché egualitaria a dispetto del nome, o nazionaliste in contrapposizione alle fondamenta dello stesso marxismo. Gli esempi spaziano dallo stalinismo totalitario alle derive verso l'economia di mercato dei paesi post maoisti con nuovi e sempre più acuti squilibri economici e sociali.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
IlFattoQuotidiano.it / FQ Magazine / Cultura
Valentino Parlato morto, il comunista eretico con il gusto della provocazione che doveva fare “l’avvocaticchio” in Libia
di Valerio Valentini
Tra la cacciata da Tripoli e l'incontro con Gheddafi il fondatore del Manifesto sarà tante cose: intellettuale e militante di partito, esperto di politica economica, giornalista di mestiere (“Girava sempre con il giornale sotto il braccio”, dice chi lo conosceva bene) e provocatore per vocazione. Ripensando all’epoca in cui la sua generazione “si gettava nella lotta”, ammetterà: “Noi dell’Urss non sapevamo nulla”
di Valerio Valentini | 2 maggio 2017
commenti (1)
94
Più informazioni su: Valentino Parlato
Per chi, come lui, coltivava il senso dell’umorismo e il gusto della provocazione in modo quasi maniacale, era normale scherzare anche sugli eventi più traumatici della vita. Come l’espulsione dalla Libia, avvenuta nel 1951. “Se fossi sfuggito a questa prima ondata, da bravo studente in Legge sarei diventato un avvocato tripolino e quando Gheddafi m’avrebbe poi cacciato, nel 1979, insieme a tutti gli altri, mi sarei ritrovato in Italia, a quasi 50 anni, a fare l’avvocaticchio per una compagnia d’assicurazione ad Agrigento, a Catania. Un incubo. L’ho veramente scampata bella”.
Valentino Parlato, morto nella notte tra l’1 e il 2 di maggio a 86 anni, in Libia – per la precisione a Tripoli – c’era nato il 7 febbraio 1931. Suo padre, funzionario del fisco originario di Favara, fu mandato dal regime fascista a lavorare in quella che all’epoca era la colonia più prestigiosa. E dalla Libia fu cacciato all’età di vent’anni, a causa della sua militanza comunista, quando ormai il Paese africano non era più la nostra “quarta sponda”, ma ricadeva sotto il protettorato britannico. “Sul finire di una notte di novembre – racconterà Parlato molti anni dopo – i poliziotti inglesi entrarono in casa nostra. Erano armati, la perquisirono e mi arrestarono. Io non appena li vidi, prima ancora che fossero dentro, buttai dalla finestra tutte le pubblicazioni visibilmente comuniste che tenevo in casa. Avevo paura della prigione, e invece quando capii che l’auto militare mi portava in direzione del porto trassi un sospiro di sollievo. Espulsione, e non galera”. In Libia ci sarebbe poi tornato, mezzo secolo dopo, da invitato speciale e con tutti gli onori. Gheddafi lo convocherà per un colloquio molto amichevole: “Gli avevo fatto avere i documenti della nostra Associazione per il progresso della Libia, quelli elaborati all’epoca della mia giovinezza tripolina”.
Tra la cacciata e il ritorno, però, in quei 50 anni Valentino Parlato fu molte cose. Intellettuale e militante di partito, esperto di politica economica, giornalista di mestiere (“Girava sempre con il giornale sotto il braccio”, dice chi lo conosceva bene) e provocatore per vocazione. Comunista “eretico”, che ripensando all’epoca in cui la sua generazione “si gettava nella lotta”, ammetterà: “Noi dell’Urss non sapevamo nulla”.
Lasciata la Libia, Parlato arriva a Roma, dove s’iscrive all’Università. E lì che conosce Luciana Castellina, ed è in quel momento – sempre il ’51 – che entra nel Pci. E conosce i leader delle correnti opposte: con tutti stringe rapporti che resteranno solidi, e da tutti si fa stimare. Correttore di bozze all’Unità di Pietro Ingrao e Alfredo Reichlin (quelli che stavano, si direbbe oggi, alla sinistra del partito), passa ben presto a lavorare nella sezione economica del Comitato centrale, al famigerato quinto piano di Botteghe Oscure, diretta da Giorgio Amendola. Che invece è alla testa della destra del Pci, quella dei cosiddetti “miglioristi”, tra le cui fila figurano anche Emanuele Macaluso e Giorgio Napolitano. Col primo i rapporti sono – e si manterranno – molto amichevoli; col futuro presidente della Repubblica un po’ meno. Lo ammetterà, ironico come sempre, lo stesso Parlato: “Una volta Amendola mi chiese: Ma perché ce l’hai con Napolitano? È così gentile, è tanto educato. E io: Apposta”.
Nel frattempo, un breve periodo di collaborazioni con la Banca Mondiale vale a metterlo un po’ in cattiva luce agli occhi di molti compagni. Anche se la rottura definitiva avverrà, com’è noto, nell’ottobre del ’69, quando il gruppo del Manifesto fu radiato dal Comitato centrale e Parlato – insieme a Pintor, Castellina, Natoli e Rossanda – è tra i più determinati nel decidere di fondare il giornale a cui per tutta la vita resterà legato. “Da direttore, in varie occasioni, e da padre nobile e guida spirituale, sempre”, ricorda chi in quella redazione ha lavorato per decenni. “Sembra retorica, ma è così: si è sempre fatto carico di tutti i problemi, soprattutto economici, a cui Il manifesto negli anni è andato incontro. Il mantra della redazione? Ai tempi d’oro, per portare a casa la giornata bisognava chiedersi sempre tre cose. Nell’ordine: Cosa pensa Rossana? Scrive Luigi? Dov’è Valentino?’. Ma se su Rossanda e Pintor potevano talvolta esserci dei dubbi, Parlato sapevamo per certo che era sempre disponibile. Anche solo per telefonare a un collaboratore irreperibile, anche per contattare un ministro o un parlamentare, che ovviamente a lui rispondevano subito”.
Dal Manifesto Parlato si allontana nel dicembre del 2012: l’ultimo tra i fondatori a decidersi al grande addio. Lo fa con una lettera indirizzata all’allora direttrice, Norma Rangeri. “Quel che state facendo per il rilancio del giornale non mi convince affatto”, scrive. “Dopo più di 40 anni sono fuori da questo Manifesto che è stata tanta parte della mia vita”. Per lui, però, resterà sempre quello “il giornale”: lo chiamava così, senz’altri attributi. Ma parlava con tutti, anche con i quotidiani del centrodestra, anche quando la cosa risultava sgradita ai suoi amici. È successo anche di recente, nel dicembre scorso, quando Parlato si è concesso a il Giornale – nel senso del quotidiano di Alessandro Sallusti – per un’intervista, replicando poi ai malumori di qualche conoscente con una battuta che la dice lunga sulla sua autoironia: “Mi hanno detto che il colloquio sarebbe finito sul giornale. E io inevitabilmente ho pensato al Manifesto”.
Due volte sposato, con Clara Valenzano prima e con Delfina Bonada poi, tre volte padre. Fedele ai suoi ideali giovanili, ma sempre convinto della necessità di non perdere contatto con la realtà del proprio tempo, negli anni della Seconda Repubblica guarda con simpatia a Romano Prodi. Non a Massimo D’Alema, che invece critica più volte. È al Manifesto di Parlato che il segretario del Pds nel 1995 dichiara, con una frase poi destinata a rimanere celebre: “La Lega è una costola della sinistra”. Più di tutto, al leader della Quercia Parlato rimprovera la decisione di bombardare il Kosovo, durante la sua permanenza a Palazzo Chigi. Ne nascono scintille, ma in seguito i rapporti tornano piuttosto cordiali.
Fumatore accanito, protesta contro “la liberticida” legge Sirchia: “Non escludo che, dopo le sigarette, si passi a vietare tutto il resto”. Chi lo ha incontrato, negli ultimi mesi, lo ricorda acciaccato ma apparentemente in buona salute. E sempre lucidissimo nelle sue provocazioni. Non tanto il suo No convinto al referendum sulla riforma costituzionale, quanto piuttosto la sua scelta di votare per Virginia Raggi alle comunali di Roma del 2016. Scelta di cui poi si era pentito, ammettendolo con la solita franchezza. “È stata la priva volta che ho tradito la sinistra”, aveva detto spiegando quella decisione. Poi aggiungerà: “Sarà anche l’ultima”.
Valentino Parlato morto, il comunista eretico con il gusto della provocazione che doveva fare “l’avvocaticchio” in Libia
di Valerio Valentini
Tra la cacciata da Tripoli e l'incontro con Gheddafi il fondatore del Manifesto sarà tante cose: intellettuale e militante di partito, esperto di politica economica, giornalista di mestiere (“Girava sempre con il giornale sotto il braccio”, dice chi lo conosceva bene) e provocatore per vocazione. Ripensando all’epoca in cui la sua generazione “si gettava nella lotta”, ammetterà: “Noi dell’Urss non sapevamo nulla”
di Valerio Valentini | 2 maggio 2017
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Più informazioni su: Valentino Parlato
Per chi, come lui, coltivava il senso dell’umorismo e il gusto della provocazione in modo quasi maniacale, era normale scherzare anche sugli eventi più traumatici della vita. Come l’espulsione dalla Libia, avvenuta nel 1951. “Se fossi sfuggito a questa prima ondata, da bravo studente in Legge sarei diventato un avvocato tripolino e quando Gheddafi m’avrebbe poi cacciato, nel 1979, insieme a tutti gli altri, mi sarei ritrovato in Italia, a quasi 50 anni, a fare l’avvocaticchio per una compagnia d’assicurazione ad Agrigento, a Catania. Un incubo. L’ho veramente scampata bella”.
Valentino Parlato, morto nella notte tra l’1 e il 2 di maggio a 86 anni, in Libia – per la precisione a Tripoli – c’era nato il 7 febbraio 1931. Suo padre, funzionario del fisco originario di Favara, fu mandato dal regime fascista a lavorare in quella che all’epoca era la colonia più prestigiosa. E dalla Libia fu cacciato all’età di vent’anni, a causa della sua militanza comunista, quando ormai il Paese africano non era più la nostra “quarta sponda”, ma ricadeva sotto il protettorato britannico. “Sul finire di una notte di novembre – racconterà Parlato molti anni dopo – i poliziotti inglesi entrarono in casa nostra. Erano armati, la perquisirono e mi arrestarono. Io non appena li vidi, prima ancora che fossero dentro, buttai dalla finestra tutte le pubblicazioni visibilmente comuniste che tenevo in casa. Avevo paura della prigione, e invece quando capii che l’auto militare mi portava in direzione del porto trassi un sospiro di sollievo. Espulsione, e non galera”. In Libia ci sarebbe poi tornato, mezzo secolo dopo, da invitato speciale e con tutti gli onori. Gheddafi lo convocherà per un colloquio molto amichevole: “Gli avevo fatto avere i documenti della nostra Associazione per il progresso della Libia, quelli elaborati all’epoca della mia giovinezza tripolina”.
Tra la cacciata e il ritorno, però, in quei 50 anni Valentino Parlato fu molte cose. Intellettuale e militante di partito, esperto di politica economica, giornalista di mestiere (“Girava sempre con il giornale sotto il braccio”, dice chi lo conosceva bene) e provocatore per vocazione. Comunista “eretico”, che ripensando all’epoca in cui la sua generazione “si gettava nella lotta”, ammetterà: “Noi dell’Urss non sapevamo nulla”.
Lasciata la Libia, Parlato arriva a Roma, dove s’iscrive all’Università. E lì che conosce Luciana Castellina, ed è in quel momento – sempre il ’51 – che entra nel Pci. E conosce i leader delle correnti opposte: con tutti stringe rapporti che resteranno solidi, e da tutti si fa stimare. Correttore di bozze all’Unità di Pietro Ingrao e Alfredo Reichlin (quelli che stavano, si direbbe oggi, alla sinistra del partito), passa ben presto a lavorare nella sezione economica del Comitato centrale, al famigerato quinto piano di Botteghe Oscure, diretta da Giorgio Amendola. Che invece è alla testa della destra del Pci, quella dei cosiddetti “miglioristi”, tra le cui fila figurano anche Emanuele Macaluso e Giorgio Napolitano. Col primo i rapporti sono – e si manterranno – molto amichevoli; col futuro presidente della Repubblica un po’ meno. Lo ammetterà, ironico come sempre, lo stesso Parlato: “Una volta Amendola mi chiese: Ma perché ce l’hai con Napolitano? È così gentile, è tanto educato. E io: Apposta”.
Nel frattempo, un breve periodo di collaborazioni con la Banca Mondiale vale a metterlo un po’ in cattiva luce agli occhi di molti compagni. Anche se la rottura definitiva avverrà, com’è noto, nell’ottobre del ’69, quando il gruppo del Manifesto fu radiato dal Comitato centrale e Parlato – insieme a Pintor, Castellina, Natoli e Rossanda – è tra i più determinati nel decidere di fondare il giornale a cui per tutta la vita resterà legato. “Da direttore, in varie occasioni, e da padre nobile e guida spirituale, sempre”, ricorda chi in quella redazione ha lavorato per decenni. “Sembra retorica, ma è così: si è sempre fatto carico di tutti i problemi, soprattutto economici, a cui Il manifesto negli anni è andato incontro. Il mantra della redazione? Ai tempi d’oro, per portare a casa la giornata bisognava chiedersi sempre tre cose. Nell’ordine: Cosa pensa Rossana? Scrive Luigi? Dov’è Valentino?’. Ma se su Rossanda e Pintor potevano talvolta esserci dei dubbi, Parlato sapevamo per certo che era sempre disponibile. Anche solo per telefonare a un collaboratore irreperibile, anche per contattare un ministro o un parlamentare, che ovviamente a lui rispondevano subito”.
Dal Manifesto Parlato si allontana nel dicembre del 2012: l’ultimo tra i fondatori a decidersi al grande addio. Lo fa con una lettera indirizzata all’allora direttrice, Norma Rangeri. “Quel che state facendo per il rilancio del giornale non mi convince affatto”, scrive. “Dopo più di 40 anni sono fuori da questo Manifesto che è stata tanta parte della mia vita”. Per lui, però, resterà sempre quello “il giornale”: lo chiamava così, senz’altri attributi. Ma parlava con tutti, anche con i quotidiani del centrodestra, anche quando la cosa risultava sgradita ai suoi amici. È successo anche di recente, nel dicembre scorso, quando Parlato si è concesso a il Giornale – nel senso del quotidiano di Alessandro Sallusti – per un’intervista, replicando poi ai malumori di qualche conoscente con una battuta che la dice lunga sulla sua autoironia: “Mi hanno detto che il colloquio sarebbe finito sul giornale. E io inevitabilmente ho pensato al Manifesto”.
Due volte sposato, con Clara Valenzano prima e con Delfina Bonada poi, tre volte padre. Fedele ai suoi ideali giovanili, ma sempre convinto della necessità di non perdere contatto con la realtà del proprio tempo, negli anni della Seconda Repubblica guarda con simpatia a Romano Prodi. Non a Massimo D’Alema, che invece critica più volte. È al Manifesto di Parlato che il segretario del Pds nel 1995 dichiara, con una frase poi destinata a rimanere celebre: “La Lega è una costola della sinistra”. Più di tutto, al leader della Quercia Parlato rimprovera la decisione di bombardare il Kosovo, durante la sua permanenza a Palazzo Chigi. Ne nascono scintille, ma in seguito i rapporti tornano piuttosto cordiali.
Fumatore accanito, protesta contro “la liberticida” legge Sirchia: “Non escludo che, dopo le sigarette, si passi a vietare tutto il resto”. Chi lo ha incontrato, negli ultimi mesi, lo ricorda acciaccato ma apparentemente in buona salute. E sempre lucidissimo nelle sue provocazioni. Non tanto il suo No convinto al referendum sulla riforma costituzionale, quanto piuttosto la sua scelta di votare per Virginia Raggi alle comunali di Roma del 2016. Scelta di cui poi si era pentito, ammettendolo con la solita franchezza. “È stata la priva volta che ho tradito la sinistra”, aveva detto spiegando quella decisione. Poi aggiungerà: “Sarà anche l’ultima”.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
ARRUOLATO A SINISTRA ANCHE FRANCESCO
2 mag 2017 16:19
IL COMPAGNO BERGOGLIO
- IL LIBRO “THE POLITICAL POPE” SVELA LA MENTORE COMUNISTA DEL PAPA: SI TRATTA DELLA PARAGUAIANA ESTHER BALLESTRINO DE CAREAGA
- LA DONNA LEGGEVA LIBRI SUL MARXISMO E POI LI PASSAVA AL GIOVANE BERGOGLIO: “LEGGERE QUESTI TESTI MI HA AIUTATO A REALIZZARE QUESTIONI SOCIALI CHE POI AVREI RITROVATO NELLA DOTTRINA CATTOLICA”
Estratto dal libro di George Neumayr “The Political Pope: How Pope Francis Is Delighting the Liberal Left and Abandoning Conservatives” pubblicato da http://www.spectator.org
Dopo che Papa Francesco all’inizio del suo pontificato declinò il capitalismo come una “trickle down economy” (cosiddetta economia della goccia), una frase polemica coniata dalla sinistra durante i primi anni di Reagan, Rush Limbaugh ha commentato: “Questa frase venuta fuori dalla bocca del Papa è puro marxismo”. Michael Savage l’ha addirittura chiamato il Papa di Lenin. Ma Francesco prende evidentemente questi frasi come complimenti: “Ho incontrato tanti marxisti nella mia vita ed erano brave persone perciò non mi sento offeso”, ha detto il Pontefice alla stampa.
Bergoglio, d’altra parte, è cresciuto in un’Argentina socialista che gli ha lasciato senz’altro un segno. Ha anche raccontato ai giornalisti Javier Camara e Sebastian Pfaffen di aver letto da giovane tanti libri sul comunismo che gli dava il suo datore di lavoro e che ci sono stati periodi in cui aspettava con ansia l’uscita del giornale La Vanguardia che non era venduto insieme agli altri quotidiani ma che era diffuso dai militanti socialisti.
Il “capo” a cui Papa Francesco fa riferimento è Esther Ballestrino de Careaga che descrive non solo come una fervente paraguaiana comunista ma anche una delle sue grandi mentori. “Lei spesso leggeva libri rossi e poi li passava a me così come testi sui principi di un’America Latina comunista. Leggere queste dottrine mi ha aiutato a realizzare questioni sociali che poi avrei ritrovato nella dottrina cattolica. Da Vescovo di Buenos Aires mise in salvo volumi di letteratura marxista della sua famiglia dalle autorità che volevano requisirle. Bergoglio fece anche contrabbando di libri comunisti incluso il Capitale di Marx.
“La Ballestrino è poi scomparsa tragicamente nelle mani delle forze armate di sicurezza nel 1977”, ha riferito il corrispondente del Vaticano John Allen. “Circa trent’anni dopo, quando i suoi resti sono stati ritrovati e identificati, Bergoglio diede il permesso affinché venisse sepolta nel giardino della chiesa di Santa Cruz a Buenos Aires.
Tutti questi dettagli del passato lasciano intendere da dove vengono gli influssi ideologici del Papa. “I comunisti hanno rubato la nostra bandiera”, ha detto il Pontefice nel 2014, “la bandiera dei popoli”. Nei primi anni del Ventesimo secolo, momento in cui il marxismo si stava espandendo nel mondo, Papa Pio XI dichiarò la seguente teoria: “Nessuno può essere allo stesso tempo un buon cattolico e un buon socialista”. A sentire parlare oggi Papa Francesco sembrerebbe che nessuno possa essere allo stesso tempo un buon cattolico e un oppositore del socialismo.
“L’ineguaglianza è la radice del male”, scrisse Bergoglio su Twitter nel 2014. Ci si sarebbe aspettati Marx a pronunciare una frase del genere e nessun altro predecessore di Francesco avrebbe mai pronunciato frasi del genere. Secondo la dottrina cattolica, il male del mondo viene da Satana.
Se la scrittrice satirica, Eveline Waught, fosse stata viva ancora oggi, avrebbe mai immaginato la scena di Papa Francesco che riceve dalle mani di un despota del Latino America una croce a forma di falce e martello come è successo a luglio del 2015 in Bolivia? Questo il curioso regalo del presidente comunista Evo Morales al Pontefice.
Il presidente boliviano ha preso ispirazione per questo dono dal crocifisso disegnato dal prete Frate Luis Espinal che apparteneva all’Ordine dei Gesuiti (come Papa Francesco). Papa Francesco ha accettato di buon grado questo regalo e ha raccontato alla stampa, sul volo che lo riportava a Roma, che non l’ha considerato come un’offesa. Morales ha detto “Sento che adesso ho un Papa. Non mi sono mai sentito così prima”.
2 mag 2017 16:19
IL COMPAGNO BERGOGLIO
- IL LIBRO “THE POLITICAL POPE” SVELA LA MENTORE COMUNISTA DEL PAPA: SI TRATTA DELLA PARAGUAIANA ESTHER BALLESTRINO DE CAREAGA
- LA DONNA LEGGEVA LIBRI SUL MARXISMO E POI LI PASSAVA AL GIOVANE BERGOGLIO: “LEGGERE QUESTI TESTI MI HA AIUTATO A REALIZZARE QUESTIONI SOCIALI CHE POI AVREI RITROVATO NELLA DOTTRINA CATTOLICA”
Estratto dal libro di George Neumayr “The Political Pope: How Pope Francis Is Delighting the Liberal Left and Abandoning Conservatives” pubblicato da http://www.spectator.org
Dopo che Papa Francesco all’inizio del suo pontificato declinò il capitalismo come una “trickle down economy” (cosiddetta economia della goccia), una frase polemica coniata dalla sinistra durante i primi anni di Reagan, Rush Limbaugh ha commentato: “Questa frase venuta fuori dalla bocca del Papa è puro marxismo”. Michael Savage l’ha addirittura chiamato il Papa di Lenin. Ma Francesco prende evidentemente questi frasi come complimenti: “Ho incontrato tanti marxisti nella mia vita ed erano brave persone perciò non mi sento offeso”, ha detto il Pontefice alla stampa.
Bergoglio, d’altra parte, è cresciuto in un’Argentina socialista che gli ha lasciato senz’altro un segno. Ha anche raccontato ai giornalisti Javier Camara e Sebastian Pfaffen di aver letto da giovane tanti libri sul comunismo che gli dava il suo datore di lavoro e che ci sono stati periodi in cui aspettava con ansia l’uscita del giornale La Vanguardia che non era venduto insieme agli altri quotidiani ma che era diffuso dai militanti socialisti.
Il “capo” a cui Papa Francesco fa riferimento è Esther Ballestrino de Careaga che descrive non solo come una fervente paraguaiana comunista ma anche una delle sue grandi mentori. “Lei spesso leggeva libri rossi e poi li passava a me così come testi sui principi di un’America Latina comunista. Leggere queste dottrine mi ha aiutato a realizzare questioni sociali che poi avrei ritrovato nella dottrina cattolica. Da Vescovo di Buenos Aires mise in salvo volumi di letteratura marxista della sua famiglia dalle autorità che volevano requisirle. Bergoglio fece anche contrabbando di libri comunisti incluso il Capitale di Marx.
“La Ballestrino è poi scomparsa tragicamente nelle mani delle forze armate di sicurezza nel 1977”, ha riferito il corrispondente del Vaticano John Allen. “Circa trent’anni dopo, quando i suoi resti sono stati ritrovati e identificati, Bergoglio diede il permesso affinché venisse sepolta nel giardino della chiesa di Santa Cruz a Buenos Aires.
Tutti questi dettagli del passato lasciano intendere da dove vengono gli influssi ideologici del Papa. “I comunisti hanno rubato la nostra bandiera”, ha detto il Pontefice nel 2014, “la bandiera dei popoli”. Nei primi anni del Ventesimo secolo, momento in cui il marxismo si stava espandendo nel mondo, Papa Pio XI dichiarò la seguente teoria: “Nessuno può essere allo stesso tempo un buon cattolico e un buon socialista”. A sentire parlare oggi Papa Francesco sembrerebbe che nessuno possa essere allo stesso tempo un buon cattolico e un oppositore del socialismo.
“L’ineguaglianza è la radice del male”, scrisse Bergoglio su Twitter nel 2014. Ci si sarebbe aspettati Marx a pronunciare una frase del genere e nessun altro predecessore di Francesco avrebbe mai pronunciato frasi del genere. Secondo la dottrina cattolica, il male del mondo viene da Satana.
Se la scrittrice satirica, Eveline Waught, fosse stata viva ancora oggi, avrebbe mai immaginato la scena di Papa Francesco che riceve dalle mani di un despota del Latino America una croce a forma di falce e martello come è successo a luglio del 2015 in Bolivia? Questo il curioso regalo del presidente comunista Evo Morales al Pontefice.
Il presidente boliviano ha preso ispirazione per questo dono dal crocifisso disegnato dal prete Frate Luis Espinal che apparteneva all’Ordine dei Gesuiti (come Papa Francesco). Papa Francesco ha accettato di buon grado questo regalo e ha raccontato alla stampa, sul volo che lo riportava a Roma, che non l’ha considerato come un’offesa. Morales ha detto “Sento che adesso ho un Papa. Non mi sono mai sentito così prima”.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Valentino Parlato, visto attraverso le lenti della destra.
3 mag 2017 13:13
BISI E RISI
- QUANDO PARLATO ANDAVA DA MEDIOBANCA E DA GERONZI PER CERCARE FINANZIAMENTI PER MANDARE IN EDICOLA ‘IL MANIFESTO’ MENTRE LE COMUNISTELLE IN REDAZIONE GIOCAVANO A FARE LA RIVOLUZIONE
- UN GALANTUOMO CHE HA CONSENTITO A MOLTI RADICAL-CHIC DI FARE I PURI
Luigi Bisignani per Il Tempo
Pochi più di Valentino Parlato, hanno incarnato le contraddizioni della sinistra. Giornalista di razza, ma ancor più persona perbene, ha consentito a troppi comunisti radical-chic di fare i puri. Se non fosse stato per lui, sarebbero rimasti disoccupati. È stato una sorta di infiltrato speciale nei Palazzi in cerca di finanziamenti che permisero al Manifesto di uscire in edicola.
Mentre molti facevano la rivoluzione in redazione, Parlato lo scovavi nelle anticamere di Mediobanca o in quelle di Cesare Geronzi, 'imperatore' del credito. Ma rimanendo sempre con la schiena dritta e le dita rovinate dalle sigarette.
Difese Orazio Bagnasco, ideatore di Europrogramme che le centrali finanziarie tradizionali fecero saltare, non per interesse ma per convinzione, e la magistratura gli diede ragione. Questo era Parlato, un vero galantuomo che ha permesso a tante 'comunistelle' di giocare con il fuoco perché c'era chi guardava loro le spalle. Ciao Valentino!
3 mag 2017 13:13
BISI E RISI
- QUANDO PARLATO ANDAVA DA MEDIOBANCA E DA GERONZI PER CERCARE FINANZIAMENTI PER MANDARE IN EDICOLA ‘IL MANIFESTO’ MENTRE LE COMUNISTELLE IN REDAZIONE GIOCAVANO A FARE LA RIVOLUZIONE
- UN GALANTUOMO CHE HA CONSENTITO A MOLTI RADICAL-CHIC DI FARE I PURI
Luigi Bisignani per Il Tempo
Pochi più di Valentino Parlato, hanno incarnato le contraddizioni della sinistra. Giornalista di razza, ma ancor più persona perbene, ha consentito a troppi comunisti radical-chic di fare i puri. Se non fosse stato per lui, sarebbero rimasti disoccupati. È stato una sorta di infiltrato speciale nei Palazzi in cerca di finanziamenti che permisero al Manifesto di uscire in edicola.
Mentre molti facevano la rivoluzione in redazione, Parlato lo scovavi nelle anticamere di Mediobanca o in quelle di Cesare Geronzi, 'imperatore' del credito. Ma rimanendo sempre con la schiena dritta e le dita rovinate dalle sigarette.
Difese Orazio Bagnasco, ideatore di Europrogramme che le centrali finanziarie tradizionali fecero saltare, non per interesse ma per convinzione, e la magistratura gli diede ragione. Questo era Parlato, un vero galantuomo che ha permesso a tante 'comunistelle' di giocare con il fuoco perché c'era chi guardava loro le spalle. Ciao Valentino!
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
IN MEZZO A TANTE LODI, UNA PECCA:
IL RICORDO DI ROSSANA ROSSANDA: "DOMENICA AVEVA VOTATO ALLE PRIMARIE PD? NON LO SAPEVO. SPERO NON ABBIA VOTATO RENZI...
3 mag 2017 15:36
"LA RIVOLUZIONE NON RUSSA"
- CECCARELLI IN GLORIA DI VALENTINO PARLATO: I SUOI TITOLI AL 'MANIFESTO' ERANO CAPOLAVORI DI SARCASMO E POESIA
- IL RICORDO DI ROSSANA ROSSANDA: "DOMENICA AVEVA VOTATO ALLE PRIMARIE PD? NON LO SAPEVO. SPERO NON ABBIA VOTATO RENZI… FARE PER TANTI ANNI UN GIORNALE SENZA UN EDITORE E UN PARTITO ALLE SPALLE, È STATA UN' IMPRESA PAZZESCA"
- VIDEO
http://www.dagospia.com/rubrica-2/media ... 146999.htm
Filippo Ceccarelli per la Repubblica
È già difficile guadagnarsi il titolo di Maestro, ma nel caso del giornalismo, entità quant' altre mai opinabile e relativa, è quasi impossibile. Sennonché, per qualche misteriosa legge dei simili si può pensare - forse! - che solo un giornalista tanto più appassionato quanto più scettico potrebbe meritarsi tale dignità. Ebbene: a sentirselo tributare, per prima cosa si sarebbe acceso una sigaretta, in silenzio. Fumava sempre, infatti, e non solo a getto continuo, ma con mite allegria qualche anno fa aveva addirittura pubblicato per i libri del Manifesto una guida, Segnali di fumo appunto, sui locali di Roma e Milano in cui era ancora consentito spipacchiare in libertà.
Quindi, aggiustandosi gli occhiali sulla fronte, da dietro la sua monumentale Olivetti 98, Valentino Parlato, Maestro di Giornalismo con doppia maiuscola, avrebbe probabilmente accolto l' onore con un sorriso dei suoi, tipici di chi considera un dovere morale non prendersi mai troppo sul serio.
Ieri se n' è andato, a 86 anni, fra gli ultimi della vecchia guardia del manifesto, "quotidiano comunista". Il 9 aprile scorso, nel suo estremo articolo, ancora una volta aveva scritto che bisognava sforzarsi di capire questo tempo: «Sarà un lungo lavoro e non mancheranno gli errori, ma alla fine un qualche Carlo Marx arriverà». Domenica aveva votato alle primarie del Pd.
Ma nel novero delle sue numerose virtù si fatica a collocare Parlato nell' ambito dell' impegno politico o dell' ideologia. O meglio. Più che come coscienza critica della sinistra o eretico del comunismo vale oggi ricordarlo per le sorprendenti argomentazioni, il dono magico della sintesi e le risorse del secco periodare, il ritmo e la chiarezza del linguaggio, la cultura mai esibita e il guizzo fantastico che spesso faceva dei titoli di prima pagina piccoli, grandi capolavori di spirito polemico, elegante sarcasmo e perfino poesia.
Si può aggiungere un' inguaribile curiosità, anche a livello umano, e quel tratto di garbato distacco dalle mode che riportano più alla persona che al mestiere. Ma in lui l' intreccio appariva in realtà indissolubile: nei commenti calibrati, nella memoria, nei ricordi dispensati dietro il tavolo di qualche convegno come nelle chiacchiere davanti al bancone del Caffè delle Antille, al di là di via Tomacelli, la prima e indimenticata sede del quotidiano.
Una «bella e lunga vita», parole sue, «una storia difficile e faticosa». Valentino era nato in Libia, da genitori siciliani, e laggiù, nell' adolescenza, aveva aperto lo sguardo, generosamente, sulla miseria e le ingiustizie del colonialismo. Fino a farsi comunista e a lottare per l' indipendenza di quella gente; fino a quando, appena ventenne, nel 1951, l' amministrazione britannica non lo aveva caricato a forza su una nave e rispedito in Italia. Qui, come pure succedeva, fu "adottato" dal Pci, debitamente istruito e indirizzato verso studi economici.
Per un po' lavorò in Puglia con Alfredo Reichlin; quindi a Botteghe Oscure, nella Sezione Economia, allora dominata dalla tonitruante figura di "Giorgione" Amendola, forse l' unico esponente del Pci, antenato della futura destra migliorista, capace di seminare dubbi e polemiche nel campo avversario.
Per sua natura indipendente, e anzi a suo modo incline agli ossimori, in tarda età si riconobbe nella definizione (datagli da Paolo Franchi) di "amendoliano di sinistra". Ma l' ardua collocazione non dispensò il giovane Valentino dall' aderire alla corrente o frazione di sinistra che, inizialmente con l' avallo di Ingrao, diede vita al Manifesto- rivista; né poi, nel 1969, si salvò dal conseguente repulisti che lo costrinse ad abbandonare la redazione di Rinascita - «anche se - ricordava in lieta serenità - mi diedero anche la liquidazione ».
Dopo di che, insieme con Pintor, Rossanda e Castellina, divenne uno dei motori del nuovo, austero, elegante, elitario e "solitario", come preferiva lui, quotidiano. Inutile dire che furono anni di straordinaria intensità, non solo professionale.
Idee, articoli, amori, rivalità professionali, scontri generazionali, infinite discussioni, ma pure inusitati, apparentemente, pellegrinaggi in redazione, da Jane Fonda a Ciriaco De Mita.
Molti in effetti apprezzavano la libertà di giudizio di quelle pagine quasi sempre estranee ai giochi del potere e alle scorribande della finanza, animate com' erano da una passione insieme infuocata e rarefatta. Ma c' è da dire che pochi altri giornalisti, per giunta tra quanti si ostinavano a dirsi comunisti, riuscirono come Parlato a ottenere la stima e in certi casi l' amicizia di figure assai diverse fra loro e comunque ben lontane dal mondo e dai precetti del Manifesto: Cesare Romiti, il cardinal Silvestrini, Guido Rossi, Enrico Cuccia, Cesare Geronzi, senza dimenticare il Colonnello Gheddafi che, da nativo libico, Valentino sempre volle considerare - e ha fatto in tempo ad aver ragione - una soluzione di necessaria stabilità.
Inutile anche ricordare che dalla seconda metà degli anni 80 la vita del Manifesto, modello pressoché unico di giornale senza padrone e/o padroni, cominciò a farsi difficile, ma che poi continuamente, disperatamente, tra una sottoscrizione e l' altra, entrò in gioco la sua stessa sopravvivenza.
E qui Valentino, per l' assenza di pregiudizi vissuto come una sorta di ambasciatore in partibus infidelium, dovette dare fondo ai suoi rapporti, da Grauso a Tanzi, da Craxi a Capitalia. In buona sostanza si trattava di prestiti, fideiussioni, finanziamenti e altre trovate finanziarie; quanto insomma era indispensabile per scongiurare la chiusura definitiva di un' esperienza che aveva occupato l' intera sua vita e per la quale, sempre con quella grazia intelligente e quell' onesta simpatia che tutti gli riconoscevano, non esitò a spendersi nelle forme più discrete e laboriose, senza che mai facesse capolino un qualche tornaconto, meno che meno di natura personale.
Perché tanti sono i modi di essere maestri, ma al dunque i migliori sono sempre quelli che pensano agli altri.
La camera ardente sarà allestita a Roma nella Protomoteca del Campidoglio alle ore 15. Mentre la cerimonia funebre si svolgerà alle 18
IL RICORDO DI ROSSANA ROSSANDA: "DOMENICA AVEVA VOTATO ALLE PRIMARIE PD? NON LO SAPEVO. SPERO NON ABBIA VOTATO RENZI...
3 mag 2017 15:36
"LA RIVOLUZIONE NON RUSSA"
- CECCARELLI IN GLORIA DI VALENTINO PARLATO: I SUOI TITOLI AL 'MANIFESTO' ERANO CAPOLAVORI DI SARCASMO E POESIA
- IL RICORDO DI ROSSANA ROSSANDA: "DOMENICA AVEVA VOTATO ALLE PRIMARIE PD? NON LO SAPEVO. SPERO NON ABBIA VOTATO RENZI… FARE PER TANTI ANNI UN GIORNALE SENZA UN EDITORE E UN PARTITO ALLE SPALLE, È STATA UN' IMPRESA PAZZESCA"
- VIDEO
http://www.dagospia.com/rubrica-2/media ... 146999.htm
Filippo Ceccarelli per la Repubblica
È già difficile guadagnarsi il titolo di Maestro, ma nel caso del giornalismo, entità quant' altre mai opinabile e relativa, è quasi impossibile. Sennonché, per qualche misteriosa legge dei simili si può pensare - forse! - che solo un giornalista tanto più appassionato quanto più scettico potrebbe meritarsi tale dignità. Ebbene: a sentirselo tributare, per prima cosa si sarebbe acceso una sigaretta, in silenzio. Fumava sempre, infatti, e non solo a getto continuo, ma con mite allegria qualche anno fa aveva addirittura pubblicato per i libri del Manifesto una guida, Segnali di fumo appunto, sui locali di Roma e Milano in cui era ancora consentito spipacchiare in libertà.
Quindi, aggiustandosi gli occhiali sulla fronte, da dietro la sua monumentale Olivetti 98, Valentino Parlato, Maestro di Giornalismo con doppia maiuscola, avrebbe probabilmente accolto l' onore con un sorriso dei suoi, tipici di chi considera un dovere morale non prendersi mai troppo sul serio.
Ieri se n' è andato, a 86 anni, fra gli ultimi della vecchia guardia del manifesto, "quotidiano comunista". Il 9 aprile scorso, nel suo estremo articolo, ancora una volta aveva scritto che bisognava sforzarsi di capire questo tempo: «Sarà un lungo lavoro e non mancheranno gli errori, ma alla fine un qualche Carlo Marx arriverà». Domenica aveva votato alle primarie del Pd.
Ma nel novero delle sue numerose virtù si fatica a collocare Parlato nell' ambito dell' impegno politico o dell' ideologia. O meglio. Più che come coscienza critica della sinistra o eretico del comunismo vale oggi ricordarlo per le sorprendenti argomentazioni, il dono magico della sintesi e le risorse del secco periodare, il ritmo e la chiarezza del linguaggio, la cultura mai esibita e il guizzo fantastico che spesso faceva dei titoli di prima pagina piccoli, grandi capolavori di spirito polemico, elegante sarcasmo e perfino poesia.
Si può aggiungere un' inguaribile curiosità, anche a livello umano, e quel tratto di garbato distacco dalle mode che riportano più alla persona che al mestiere. Ma in lui l' intreccio appariva in realtà indissolubile: nei commenti calibrati, nella memoria, nei ricordi dispensati dietro il tavolo di qualche convegno come nelle chiacchiere davanti al bancone del Caffè delle Antille, al di là di via Tomacelli, la prima e indimenticata sede del quotidiano.
Una «bella e lunga vita», parole sue, «una storia difficile e faticosa». Valentino era nato in Libia, da genitori siciliani, e laggiù, nell' adolescenza, aveva aperto lo sguardo, generosamente, sulla miseria e le ingiustizie del colonialismo. Fino a farsi comunista e a lottare per l' indipendenza di quella gente; fino a quando, appena ventenne, nel 1951, l' amministrazione britannica non lo aveva caricato a forza su una nave e rispedito in Italia. Qui, come pure succedeva, fu "adottato" dal Pci, debitamente istruito e indirizzato verso studi economici.
Per un po' lavorò in Puglia con Alfredo Reichlin; quindi a Botteghe Oscure, nella Sezione Economia, allora dominata dalla tonitruante figura di "Giorgione" Amendola, forse l' unico esponente del Pci, antenato della futura destra migliorista, capace di seminare dubbi e polemiche nel campo avversario.
Per sua natura indipendente, e anzi a suo modo incline agli ossimori, in tarda età si riconobbe nella definizione (datagli da Paolo Franchi) di "amendoliano di sinistra". Ma l' ardua collocazione non dispensò il giovane Valentino dall' aderire alla corrente o frazione di sinistra che, inizialmente con l' avallo di Ingrao, diede vita al Manifesto- rivista; né poi, nel 1969, si salvò dal conseguente repulisti che lo costrinse ad abbandonare la redazione di Rinascita - «anche se - ricordava in lieta serenità - mi diedero anche la liquidazione ».
Dopo di che, insieme con Pintor, Rossanda e Castellina, divenne uno dei motori del nuovo, austero, elegante, elitario e "solitario", come preferiva lui, quotidiano. Inutile dire che furono anni di straordinaria intensità, non solo professionale.
Idee, articoli, amori, rivalità professionali, scontri generazionali, infinite discussioni, ma pure inusitati, apparentemente, pellegrinaggi in redazione, da Jane Fonda a Ciriaco De Mita.
Molti in effetti apprezzavano la libertà di giudizio di quelle pagine quasi sempre estranee ai giochi del potere e alle scorribande della finanza, animate com' erano da una passione insieme infuocata e rarefatta. Ma c' è da dire che pochi altri giornalisti, per giunta tra quanti si ostinavano a dirsi comunisti, riuscirono come Parlato a ottenere la stima e in certi casi l' amicizia di figure assai diverse fra loro e comunque ben lontane dal mondo e dai precetti del Manifesto: Cesare Romiti, il cardinal Silvestrini, Guido Rossi, Enrico Cuccia, Cesare Geronzi, senza dimenticare il Colonnello Gheddafi che, da nativo libico, Valentino sempre volle considerare - e ha fatto in tempo ad aver ragione - una soluzione di necessaria stabilità.
Inutile anche ricordare che dalla seconda metà degli anni 80 la vita del Manifesto, modello pressoché unico di giornale senza padrone e/o padroni, cominciò a farsi difficile, ma che poi continuamente, disperatamente, tra una sottoscrizione e l' altra, entrò in gioco la sua stessa sopravvivenza.
E qui Valentino, per l' assenza di pregiudizi vissuto come una sorta di ambasciatore in partibus infidelium, dovette dare fondo ai suoi rapporti, da Grauso a Tanzi, da Craxi a Capitalia. In buona sostanza si trattava di prestiti, fideiussioni, finanziamenti e altre trovate finanziarie; quanto insomma era indispensabile per scongiurare la chiusura definitiva di un' esperienza che aveva occupato l' intera sua vita e per la quale, sempre con quella grazia intelligente e quell' onesta simpatia che tutti gli riconoscevano, non esitò a spendersi nelle forme più discrete e laboriose, senza che mai facesse capolino un qualche tornaconto, meno che meno di natura personale.
Perché tanti sono i modi di essere maestri, ma al dunque i migliori sono sempre quelli che pensano agli altri.
La camera ardente sarà allestita a Roma nella Protomoteca del Campidoglio alle ore 15. Mentre la cerimonia funebre si svolgerà alle 18
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