Renzi
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Re: Renzi
L'ITALIETTA E' SEMPRE LA STESSA.
90 ANNI FA CERVO BIANCO
OGGI PINOCCHIO MUSSOLONI
6 mag 2017 16:26
LA STORIA DEL FINTO CAPO INDIANO CHE INGANNÒ MUSSOLINI E L'ITALIA INTERA - NEL 1924, L'ITALIA FASCISTA IMPAZZI' PER LA VISITA DIPLOMATICA DI "CERVO BIANCO". CHE IN REALTÀ ERA UN ATTORE DI CIRCO
- TRA CONTESSE, SIFILIDE, PONTEFICE E DUCE, LA STORIA DI UN GENIO DELLA TRUFFA DIVENTA UN DOCUMENTARIO (VIDEO)
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 147255.htm
Simone Viaro per http://www.vice.com/it
Se c'è una cosa che mi affascina, nella lunga e variegata storia delle truffe, è la natura di alcune di esse, esattamente a metà strada tra l'atto delinquenziale e il colpo di genio. All'interno di questa ristretta cerchia, anche il nostro Paese ha i propri esempi—e uno di questi è una truffa sconosciuta ai più e che invece, per la sua estrema comicità e il totale impatto dissacrante, andrebbe resa nota. Sto parlando della storia di Cervo Bianco, il pellerossa che si prese gioco del Duce.
Siamo nel giugno del 1924 e in Italia regna un malcontento difficile da gestire sia per la forte crisi economica, sia per le sempre più evidenti violenze fasciste ai danni degli avversari politici. In più, dopo l'omicidio del giornalista e deputato socialista Giacomo Matteotti, diventato scomodo in seguito alle denunce legate ai brogli elettorali, i sospetti si concentrano sui fascisti usciti vincitori dalle elezioni.
È in questo contesto che sbarca a Trieste "Cervo Bianco"—un cantante, ballerino e attore che si presenta come un principe pellerossa. Appena arrivato in Italia, Cervo Bianco giustifica la sua visita come la prima tappa di un lungo tour europeo allo scopo di incontrare capi di stato e parlare al cospetto della Società delle Nazioni delle condizioni di vita degli indiani d'America, privati dagli Stati Uniti delle loro terre e della loro libertà e confinati nelle riserve in condizoni di povertà assoluta. Agli occhi degli occidentali e degli italiani, dunque, Cervo Bianco appare come una specie di condottiero intento ridare voce ai più deboli.
Secondo lo studioso e documentarista Beppe Leonetti, che sul personaggio di Cervo Bianco ha girato un documentario di prossima uscita, quella degli italiani nei confronti del capo indiano ha "assunto ben presto i tratti significativi della più classica delle infatuazioni." In un batter d'occhio, l'interesse delle folle nei confronti di questa figura bizzarra a metà tra uno sciamano e un capopopolo cresce sempre di più a ogni sua apparizione pubblica.
Il tour italiano di Cervo Bianco—che arriva toccare l'intera penisola, passando per otto città tra cui Napoli e Roma—è finanziato da due contesse austriache, Antonia e Melania Khevenhüller, madre e figlia. Cervo Bianco le ha conosciute a Nizza, in seguito a uno dei tanti spettacoli in cui questi fa sfoggio delle sue doti istrioniche: le due donne rimangono così affascinate dalla sua figura che, una volta venute a conoscenza delle terribili condizioni di vita degli indiani d'America, decidono di supportarlo nella sua campagna di sensibilizzazione.
Le cronache dell'epoca, di cui in quel periodo Cervo Bianco è protagonista assoluto, raccontano di cene sfarzose offerte ogni giorno a una trentina di commensali senza battere ciglio, tutto a spese della famiglia Khevenhüller. Un articolo dell'epoca uscito su La Stampa mostra bene quale fosse lo stile di vita del capo indiano e—di conseguenza—il tipo di fascino che esercitava:
"Il principe ha estratto manciate di biglietti da 50 e 10 lire, che distribuì ai più vicini. Naturalmente la folla non tardò a crescere ed in breve il donatore è stato completamente attorniato. Le banconote furono esaurite ben presto ed il principe è salito in automobile, allontanandosi dopo qualche sforzo. In piazza Unità, la folla continuò a sostare a lungo in attesa del ritorno del principe, ma inutilmente".
Con queste manifestazioni di sfarzo, Cervo Bianco conquista il cuore del paese—uscito spossato dal logorante conflitto mondiale e desideroso di riscatto. Come mi ha spiegato Leonetti, il motivo del suo rapido successo è facilmente riconducibile ad alcuni fattori propizi: la disposizione d'animo favorevole di un popolo in grande difficoltà a idolatrare un uomo forte e dalla vita avventurosa—virile e coraggioso—e l'assenso di un certo tipo di personalità influenti, nel caso specifico i gerarchi locali, che ne facilitano l'ascesa.
Solo che appunto, Cervo Bianco non è un vero capo indiano. Sotto quello pseudonimo si nasconde Edgar Laplante, un meticcio originario del Rhode Island, figlio di un muratore e di una nativa americana. Nel suo libro L'anno dell'indiano, un romanzo dedicato a questa vicenda e recentemente ristampato da Einaudi, lo scrittore Ernesto Ferrero lo descrive come "un artista, un attore eccellente che era riuscito a cogliere i desideri collettivi, trasformandoli in un personaggio [...] Un uomo di complessione atletica, d'occhio languido e naso imperioso, capace di trasmettere un alone di autorevolezza, un carisma naturale" che "aveva assunto un'identità fittizia ma credibile, che sfruttata ad arte poteva diventare redditizia."
Sempre secondo Ferrero, Laplante aveva vestito per la prima volta i panni del capo indiano in occasione di una messinscena organizzata dalla Paramount per pubblicizzare il suo colossal I pionieri. "Laplante avrebbe dovuto guidare gli Arapaho, presentarli al gentile pubblico, illustrarne i costumi, la ferocia e l'abilità guerriera," scrive Ferrero. "il film ne avrebbe ricavato un sapore di verità, di vita vissuta. Il pubblico voleva cose vere."
Da allora, Laplante non era più uscito dal personaggio e proprio da questa esperienza aveva preso spunto per la farsa con cui ha ingannato tutta Italia per diversi mesi.
Intanto il suo tour continua e ovunque vada Cervo Bianco viene acclamato. Il quotidiano fascista Epoca, descrivendo la sua visita a Bari, ricorda che "lungo è l'elenco delle offerte e dei donativi con cui l'Altezza indiana ha voluto onorare la nostra città"—offerte tra cui spicca la somma di 10mila lire devoluta alla Federazione provinciale fascista. Ad Ancona un drappello ufficiale lo accoglie intonando l'inno Giovinezza!.
A Firenze invece lo portano in visita alla fabbrica di ceramiche Ginori e gli viene regalato un busto che ne riproduce le fattezze. Quando arriva a Trieste viene a conoscenza della figura di d'Annunzio e dell'impresa del volo su Vienna: per non voler essere da meno, il capo indiano affitta un idrovolante e atterra a Fiume, dove viene proclamato "fascista ad honorem."
Al termine di quella marcia trionfale che sembra destinata a non fermarsi mai, arriva il suggello definitivo: la notizia di un incontro tra Cervo Bianco e le due personalità più importanti dell'epoca, il Papa e il Duce. L'incontro viene programmato ufficialmente ma, per cause fortuite, non si verificherà mai. Il pontefice si limita a far recapitare al capo indiano due fotografie autografate, mentre Mussolini si dice impossibilitato perché costretto in Toscana per far fronte agli scioperi dei minatori.
Da lì in poi, la situazione di Cervo Bianco si fa sempre più difficile. Iniziano anche a circolare voci che sia un ciarlatano, diffuse principalmente da Giorgio Khevenhüller, figlio e fratello delle due contesse, che di ritorno da un viaggio in Africa scopre che il patrimonio di famiglia è stato alleggerito di ben un milione di lire dallo stile di vita del capo indiano. Di conseguenza a Cervo Bianco viene a mancare anche il sostegno finanziario, e viene denunciato alle autorità per truffa.
La notizia della denuncia arriva a Laplante mentre è ricoverato in un sanatorio torinese perché malato di sifilide. Una volta che ha capito di essere smascherato, l'ex capo indiano fugge a Lugano, dove viene raggiunto da un telegramma della polizia.
Arrestato e incarcerato prima a Lugano e poi in Italia, Laplante trascorre tre anni in prigione. Dopo il suo rilascio, la sua perizia psichiatrica lo definisce un "bugiardo patologico dalla personalità istrionica."
Secondo Beppe Leonetti, "Edgar Laplante è stato attore secondario a cui si è presentata, per una volta soltanto, l'occasione di interpretare il ruolo principale." Leonetti osserva anche che "Laplante non ha rappresentato solamente un truffatore, ma quasi un eroe inconsapevole, vittima in un certo qual modo della sua leggerezza; una persona sola e sofferente che solo tardivamente ha acquisito consapevolezza dei reati che aveva commesso."
Sul perché un così bislacco e grossolano caso di truffa abbia monopolizzato per diversi mesi l'attenzione di un'intera nazione si sono espressi bene i giornalisti Oreste del Buono e Giorgio Boiatti, secondo i quali "non era stato Laplante a inventare Cervo Bianco per gli italiani, ma gli italiani a inventare Cervo Bianco per Laplante. [ Gli italiani] avevano bisogno di qualcuno su cui proiettare il loro confuso desiderio di fasto e d'avventura, un mago che li guarisse dalla mediocrità del loro presente, qualcuno da applaudire per meriti che nessuno conosceva esattamente, e che consistevano principalmente in una ricchezza favolosa."
Di questa vicenda dai confini che ancor oggi non sembrano essere ben delineati, rimane la sequela di inganni e mezze verità che Cervo Bianco si è lasciato alle spalle. Ma anche un ritratto efficacissimo degli italiani dell'epoca, del loro desiderio di essere ingannati, del loro bisogno nel credere a maschere e finzioni teatrali.
90 ANNI FA CERVO BIANCO
OGGI PINOCCHIO MUSSOLONI
6 mag 2017 16:26
LA STORIA DEL FINTO CAPO INDIANO CHE INGANNÒ MUSSOLINI E L'ITALIA INTERA - NEL 1924, L'ITALIA FASCISTA IMPAZZI' PER LA VISITA DIPLOMATICA DI "CERVO BIANCO". CHE IN REALTÀ ERA UN ATTORE DI CIRCO
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http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 147255.htm
Simone Viaro per http://www.vice.com/it
Se c'è una cosa che mi affascina, nella lunga e variegata storia delle truffe, è la natura di alcune di esse, esattamente a metà strada tra l'atto delinquenziale e il colpo di genio. All'interno di questa ristretta cerchia, anche il nostro Paese ha i propri esempi—e uno di questi è una truffa sconosciuta ai più e che invece, per la sua estrema comicità e il totale impatto dissacrante, andrebbe resa nota. Sto parlando della storia di Cervo Bianco, il pellerossa che si prese gioco del Duce.
Siamo nel giugno del 1924 e in Italia regna un malcontento difficile da gestire sia per la forte crisi economica, sia per le sempre più evidenti violenze fasciste ai danni degli avversari politici. In più, dopo l'omicidio del giornalista e deputato socialista Giacomo Matteotti, diventato scomodo in seguito alle denunce legate ai brogli elettorali, i sospetti si concentrano sui fascisti usciti vincitori dalle elezioni.
È in questo contesto che sbarca a Trieste "Cervo Bianco"—un cantante, ballerino e attore che si presenta come un principe pellerossa. Appena arrivato in Italia, Cervo Bianco giustifica la sua visita come la prima tappa di un lungo tour europeo allo scopo di incontrare capi di stato e parlare al cospetto della Società delle Nazioni delle condizioni di vita degli indiani d'America, privati dagli Stati Uniti delle loro terre e della loro libertà e confinati nelle riserve in condizoni di povertà assoluta. Agli occhi degli occidentali e degli italiani, dunque, Cervo Bianco appare come una specie di condottiero intento ridare voce ai più deboli.
Secondo lo studioso e documentarista Beppe Leonetti, che sul personaggio di Cervo Bianco ha girato un documentario di prossima uscita, quella degli italiani nei confronti del capo indiano ha "assunto ben presto i tratti significativi della più classica delle infatuazioni." In un batter d'occhio, l'interesse delle folle nei confronti di questa figura bizzarra a metà tra uno sciamano e un capopopolo cresce sempre di più a ogni sua apparizione pubblica.
Il tour italiano di Cervo Bianco—che arriva toccare l'intera penisola, passando per otto città tra cui Napoli e Roma—è finanziato da due contesse austriache, Antonia e Melania Khevenhüller, madre e figlia. Cervo Bianco le ha conosciute a Nizza, in seguito a uno dei tanti spettacoli in cui questi fa sfoggio delle sue doti istrioniche: le due donne rimangono così affascinate dalla sua figura che, una volta venute a conoscenza delle terribili condizioni di vita degli indiani d'America, decidono di supportarlo nella sua campagna di sensibilizzazione.
Le cronache dell'epoca, di cui in quel periodo Cervo Bianco è protagonista assoluto, raccontano di cene sfarzose offerte ogni giorno a una trentina di commensali senza battere ciglio, tutto a spese della famiglia Khevenhüller. Un articolo dell'epoca uscito su La Stampa mostra bene quale fosse lo stile di vita del capo indiano e—di conseguenza—il tipo di fascino che esercitava:
"Il principe ha estratto manciate di biglietti da 50 e 10 lire, che distribuì ai più vicini. Naturalmente la folla non tardò a crescere ed in breve il donatore è stato completamente attorniato. Le banconote furono esaurite ben presto ed il principe è salito in automobile, allontanandosi dopo qualche sforzo. In piazza Unità, la folla continuò a sostare a lungo in attesa del ritorno del principe, ma inutilmente".
Con queste manifestazioni di sfarzo, Cervo Bianco conquista il cuore del paese—uscito spossato dal logorante conflitto mondiale e desideroso di riscatto. Come mi ha spiegato Leonetti, il motivo del suo rapido successo è facilmente riconducibile ad alcuni fattori propizi: la disposizione d'animo favorevole di un popolo in grande difficoltà a idolatrare un uomo forte e dalla vita avventurosa—virile e coraggioso—e l'assenso di un certo tipo di personalità influenti, nel caso specifico i gerarchi locali, che ne facilitano l'ascesa.
Solo che appunto, Cervo Bianco non è un vero capo indiano. Sotto quello pseudonimo si nasconde Edgar Laplante, un meticcio originario del Rhode Island, figlio di un muratore e di una nativa americana. Nel suo libro L'anno dell'indiano, un romanzo dedicato a questa vicenda e recentemente ristampato da Einaudi, lo scrittore Ernesto Ferrero lo descrive come "un artista, un attore eccellente che era riuscito a cogliere i desideri collettivi, trasformandoli in un personaggio [...] Un uomo di complessione atletica, d'occhio languido e naso imperioso, capace di trasmettere un alone di autorevolezza, un carisma naturale" che "aveva assunto un'identità fittizia ma credibile, che sfruttata ad arte poteva diventare redditizia."
Sempre secondo Ferrero, Laplante aveva vestito per la prima volta i panni del capo indiano in occasione di una messinscena organizzata dalla Paramount per pubblicizzare il suo colossal I pionieri. "Laplante avrebbe dovuto guidare gli Arapaho, presentarli al gentile pubblico, illustrarne i costumi, la ferocia e l'abilità guerriera," scrive Ferrero. "il film ne avrebbe ricavato un sapore di verità, di vita vissuta. Il pubblico voleva cose vere."
Da allora, Laplante non era più uscito dal personaggio e proprio da questa esperienza aveva preso spunto per la farsa con cui ha ingannato tutta Italia per diversi mesi.
Intanto il suo tour continua e ovunque vada Cervo Bianco viene acclamato. Il quotidiano fascista Epoca, descrivendo la sua visita a Bari, ricorda che "lungo è l'elenco delle offerte e dei donativi con cui l'Altezza indiana ha voluto onorare la nostra città"—offerte tra cui spicca la somma di 10mila lire devoluta alla Federazione provinciale fascista. Ad Ancona un drappello ufficiale lo accoglie intonando l'inno Giovinezza!.
A Firenze invece lo portano in visita alla fabbrica di ceramiche Ginori e gli viene regalato un busto che ne riproduce le fattezze. Quando arriva a Trieste viene a conoscenza della figura di d'Annunzio e dell'impresa del volo su Vienna: per non voler essere da meno, il capo indiano affitta un idrovolante e atterra a Fiume, dove viene proclamato "fascista ad honorem."
Al termine di quella marcia trionfale che sembra destinata a non fermarsi mai, arriva il suggello definitivo: la notizia di un incontro tra Cervo Bianco e le due personalità più importanti dell'epoca, il Papa e il Duce. L'incontro viene programmato ufficialmente ma, per cause fortuite, non si verificherà mai. Il pontefice si limita a far recapitare al capo indiano due fotografie autografate, mentre Mussolini si dice impossibilitato perché costretto in Toscana per far fronte agli scioperi dei minatori.
Da lì in poi, la situazione di Cervo Bianco si fa sempre più difficile. Iniziano anche a circolare voci che sia un ciarlatano, diffuse principalmente da Giorgio Khevenhüller, figlio e fratello delle due contesse, che di ritorno da un viaggio in Africa scopre che il patrimonio di famiglia è stato alleggerito di ben un milione di lire dallo stile di vita del capo indiano. Di conseguenza a Cervo Bianco viene a mancare anche il sostegno finanziario, e viene denunciato alle autorità per truffa.
La notizia della denuncia arriva a Laplante mentre è ricoverato in un sanatorio torinese perché malato di sifilide. Una volta che ha capito di essere smascherato, l'ex capo indiano fugge a Lugano, dove viene raggiunto da un telegramma della polizia.
Arrestato e incarcerato prima a Lugano e poi in Italia, Laplante trascorre tre anni in prigione. Dopo il suo rilascio, la sua perizia psichiatrica lo definisce un "bugiardo patologico dalla personalità istrionica."
Secondo Beppe Leonetti, "Edgar Laplante è stato attore secondario a cui si è presentata, per una volta soltanto, l'occasione di interpretare il ruolo principale." Leonetti osserva anche che "Laplante non ha rappresentato solamente un truffatore, ma quasi un eroe inconsapevole, vittima in un certo qual modo della sua leggerezza; una persona sola e sofferente che solo tardivamente ha acquisito consapevolezza dei reati che aveva commesso."
Sul perché un così bislacco e grossolano caso di truffa abbia monopolizzato per diversi mesi l'attenzione di un'intera nazione si sono espressi bene i giornalisti Oreste del Buono e Giorgio Boiatti, secondo i quali "non era stato Laplante a inventare Cervo Bianco per gli italiani, ma gli italiani a inventare Cervo Bianco per Laplante. [ Gli italiani] avevano bisogno di qualcuno su cui proiettare il loro confuso desiderio di fasto e d'avventura, un mago che li guarisse dalla mediocrità del loro presente, qualcuno da applaudire per meriti che nessuno conosceva esattamente, e che consistevano principalmente in una ricchezza favolosa."
Di questa vicenda dai confini che ancor oggi non sembrano essere ben delineati, rimane la sequela di inganni e mezze verità che Cervo Bianco si è lasciato alle spalle. Ma anche un ritratto efficacissimo degli italiani dell'epoca, del loro desiderio di essere ingannati, del loro bisogno nel credere a maschere e finzioni teatrali.
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Re: Renzi
LA COERENZA CONTRADDISTINGUE GLI UOMINI.
SE IL "PARON", PER I SUOI INTERESSI, DOVESSE APPRODARE AL NAZARENO 2.0, ALESSANDRO SALLUSTI SCRIVEREBBE ANCORA QUEST'ARTICOLO??????????????????????
Serve subito una legittima difesa da Renzi
Alessandro Sallusti - Sab, 06/05/2017 - 15:25
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I pasticci della legge-truffa sulla legittima difesa e del via libera alle molestie telefoniche commerciali dei call center sono figli di due fattori.
Il primo è che il Parlamento è completamente allo sbando: deputati e senatori considerano la legislatura finita e pensano solo a come portare a casa la ricandidatura, cosa non semplice alla luce della scomposizione che ha cambiato gli equilibri di tutti i partiti. Il secondo si chiama Matteo Renzi, che non ha ancora deciso cosa fare da grande. O, meglio, lui vuole andare a votare il prima possibile e tornare a fare il premier, ma non sa bene ancora con l'aiuto di chi. Così un giorno strizza l'occhio ai centristi, il seguente alla sua sinistra, un altro ancora insegue i grillini sui temi più improbabili. È tutto un ordine e contrordine, fino a farci credere che le leggi sulla legittima difesa e sui call center, votate dalla sua maggioranza, proprio non gli piacciono.
Succede così: lui ordina di fare o dire una certa cosa, poi al mattino, di buon'ora, legge i commenti dei giornali, apre internet e studia le reazioni della gente sui social, quindi decide: o conferma o fa trapelare la sua indignazione a costo di fare la figura del «segretario a sua insaputa». È in campagna elettorale permanente. Blandisce, minaccia, scarica le colpe (è impossibile che non abbia dato l'ok a leggi così importanti, sia nella sostanza che mediaticamente). E, tanto per avvelenare un po' i pozzi, lascia circolare la voce che il premier Gentiloni potrebbe anche non essere ricandidato alle prossime elezioni: ha superato i tre mandati e, a norma di statuto del Pd, solo il segretario può autorizzare l'eccezione.
È questo un clima per produrre una legge elettorale equa ed efficace? Non penso proprio. Mettiamoci una pietra sopra. In qualche modo, ovviamente, andremo prima o poi a votare, ma dalle urne uscirà tutto, appunto, «in qualche modo». Cioè si voterà alla spera in Dio. Che, a differenza di una volta («nel segreto dell'urna Dio ti vede e Stalin no, quindi vota Dc», era lo slogan degli anni Cinquanta), non si sa più a che voto corrisponda. Il che complica di non poco le cose.
SE IL "PARON", PER I SUOI INTERESSI, DOVESSE APPRODARE AL NAZARENO 2.0, ALESSANDRO SALLUSTI SCRIVEREBBE ANCORA QUEST'ARTICOLO??????????????????????
Serve subito una legittima difesa da Renzi
Alessandro Sallusti - Sab, 06/05/2017 - 15:25
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I pasticci della legge-truffa sulla legittima difesa e del via libera alle molestie telefoniche commerciali dei call center sono figli di due fattori.
Il primo è che il Parlamento è completamente allo sbando: deputati e senatori considerano la legislatura finita e pensano solo a come portare a casa la ricandidatura, cosa non semplice alla luce della scomposizione che ha cambiato gli equilibri di tutti i partiti. Il secondo si chiama Matteo Renzi, che non ha ancora deciso cosa fare da grande. O, meglio, lui vuole andare a votare il prima possibile e tornare a fare il premier, ma non sa bene ancora con l'aiuto di chi. Così un giorno strizza l'occhio ai centristi, il seguente alla sua sinistra, un altro ancora insegue i grillini sui temi più improbabili. È tutto un ordine e contrordine, fino a farci credere che le leggi sulla legittima difesa e sui call center, votate dalla sua maggioranza, proprio non gli piacciono.
Succede così: lui ordina di fare o dire una certa cosa, poi al mattino, di buon'ora, legge i commenti dei giornali, apre internet e studia le reazioni della gente sui social, quindi decide: o conferma o fa trapelare la sua indignazione a costo di fare la figura del «segretario a sua insaputa». È in campagna elettorale permanente. Blandisce, minaccia, scarica le colpe (è impossibile che non abbia dato l'ok a leggi così importanti, sia nella sostanza che mediaticamente). E, tanto per avvelenare un po' i pozzi, lascia circolare la voce che il premier Gentiloni potrebbe anche non essere ricandidato alle prossime elezioni: ha superato i tre mandati e, a norma di statuto del Pd, solo il segretario può autorizzare l'eccezione.
È questo un clima per produrre una legge elettorale equa ed efficace? Non penso proprio. Mettiamoci una pietra sopra. In qualche modo, ovviamente, andremo prima o poi a votare, ma dalle urne uscirà tutto, appunto, «in qualche modo». Cioè si voterà alla spera in Dio. Che, a differenza di una volta («nel segreto dell'urna Dio ti vede e Stalin no, quindi vota Dc», era lo slogan degli anni Cinquanta), non si sa più a che voto corrisponda. Il che complica di non poco le cose.
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Re: Renzi
LA LUNGA AGONIA DI UNA REPUBBLICA NATA DALLA RESISTENZA AL FASCISMO
Quando il nuovo fascismo sarà alle porte ricordiamoci di chi gliele avrà fatte trovare aperte”.
Roberto Saviano
7 mag 19:46
L'AMBASCIATORE NON SBARACKA
- LA CASA BIANCA INDISPETTITA CON RENZI: IL DIMISSIONARIO AMBASCIATORE PHILLIPS HA COORDINATO L'AGENDA DI OBAMA NEL SUO TOUR ITALIANO. E HA DETTO PERENTORIAMENTE A PAOLO MAGRI (ISPI) CHE PER AVERE L'EX PRESIDENTE COME OSPITE D'ONORE, AVREBBE DOVUTO ACCETTARE LA SUA LISTA DI INVITATI. CHI ERA AL PRIMO POSTO? MATTEO RENZI...
DAGONEWS
La Casa Bianca è indispettita per il fatto che il dimissionato Ambasciatore Phillips abbia coordinato l'agenda di Barack Obama nel suo tour italiano. Infatti questo viaggio dell'ex Presidente americano è chiaramente colorato di sinistra renziana.
Phillips ha detto perentoriamente al vice presidente ISPI, Paolo Magri, che per avere come Honor Guest alla cena di domani sera Barack Obama avrebbero dovuto accettare la sua lista di invitati. Tra cui per primo spiccava il neo segretario PD Matteo Renzi. Magri si è consultato con il presidente Giampiero Massolo e con quello emerito Giorgio Napolitano è ha immediatamente acconsentito
Quando il nuovo fascismo sarà alle porte ricordiamoci di chi gliele avrà fatte trovare aperte”.
Roberto Saviano
7 mag 19:46
L'AMBASCIATORE NON SBARACKA
- LA CASA BIANCA INDISPETTITA CON RENZI: IL DIMISSIONARIO AMBASCIATORE PHILLIPS HA COORDINATO L'AGENDA DI OBAMA NEL SUO TOUR ITALIANO. E HA DETTO PERENTORIAMENTE A PAOLO MAGRI (ISPI) CHE PER AVERE L'EX PRESIDENTE COME OSPITE D'ONORE, AVREBBE DOVUTO ACCETTARE LA SUA LISTA DI INVITATI. CHI ERA AL PRIMO POSTO? MATTEO RENZI...
DAGONEWS
La Casa Bianca è indispettita per il fatto che il dimissionato Ambasciatore Phillips abbia coordinato l'agenda di Barack Obama nel suo tour italiano. Infatti questo viaggio dell'ex Presidente americano è chiaramente colorato di sinistra renziana.
Phillips ha detto perentoriamente al vice presidente ISPI, Paolo Magri, che per avere come Honor Guest alla cena di domani sera Barack Obama avrebbero dovuto accettare la sua lista di invitati. Tra cui per primo spiccava il neo segretario PD Matteo Renzi. Magri si è consultato con il presidente Giampiero Massolo e con quello emerito Giorgio Napolitano è ha immediatamente acconsentito
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Re: Renzi
Infatti questo viaggio dell'ex Presidente americano è chiaramente colorato di sinistra renziana.
ANCHE DAGOSTINO INVECCHIA.
OPPURE OGGI TOGLIETEGLI IL BOTTIGLIONE.
LA SINISTRA RENZIANA NON ESISTE.
E' COME PARLARE DELLA VERGINITA' ODIERNA DI CICCIOLINA
ANCHE DAGOSTINO INVECCHIA.
OPPURE OGGI TOGLIETEGLI IL BOTTIGLIONE.
LA SINISTRA RENZIANA NON ESISTE.
E' COME PARLARE DELLA VERGINITA' ODIERNA DI CICCIOLINA
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Re: Renzi
LA LUNGA AGONIA DI UNA REPUBBLICA NATA DALLA RESISTENZA AL FASCISMO
Quando il nuovo fascismo sarà alle porte ricordiamoci di chi gliele avrà fatte trovare aperte”.
Roberto Saviano
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sabato 06/05/2017
Renzi è tornato: fate finta di non averlo mai visto
di Luisella Costamagna | 6 maggio 2017
| 267
È ufficiale: Renzi è tornato (e – canta subito la Meli sul Corriere – “è determinato”). “Quando mi sono dimesso volevo davvero mollare tutto. (…) Sono stato circondato dall’affetto, dalla cura, dall’esigente attesa, anche dalla rabbia di tantissime donne e uomini. (…) Debbo molto a queste persone perché mi hanno costretto a guardarmi in faccia. Mi hanno costretto a fare i conti con la parola responsabilità”. E via sulle note dell’inno di Mameli e le parole di Ligabue: “Ho fatto in tempo ad avere un futuro, che non fosse soltanto per me”. Ad avercelo un futuro, dicono gli italiani, da soli o in compagnia poco importa.
Renzi è tornato per “responsabilità”, “esigente attesa” e perché “costretto”. Fosse stato per lui avrebbe mollato tutto. Capito la generosità? L’ha fatto per noi!
Renzi è tornato vincendo le primarie. Una prova di democrazia (anche se guastata dall’ennesima inchiesta per irregolarità), ma un po’ più smunta rispetto al 2013, visto che – con 1,8 milioni di votanti – ben un milione di elettori l’ha perso per strada.
Renzi è tornato segretario del Pd prendendo meno voti di tutti i precedenti segretari: 1,2 milioni contro l’1,8 che raccolse nel 2013 (oltre 600 mila voti persi da solo); l’1,6 di Bersani nel 2009 e i quasi 2,7 milioni di Veltroni nel 2007.
Renzi è tornato conquistando soprattutto gli elettori over 64, vincendo al Centro-Nord (dove l’affluenza si è quasi dimezzata, anche nelle Regioni “rosse”) e al Sud (record del 90% a Salerno, dove ha votato più gente che in tutta Napoli, che pure ha il triplo degli iscritti).
Renzi è tornato dopo che la sua riforma costituzionale è stata bocciata dagli italiani e il suo Italicum dalla Consulta. Ora che ha vinto vorrebbe andare alle Politiche (e lo vorrebbero anche gli italiani) ma, nonostante i suoi 3 anni di governo, non abbiamo una legge elettorale per farlo.
Renzi è tornato e, nonostante il suo Jobs Act, il tasso di disoccupazione è all’11,7%, con addirittura 59 mila disoccupati in più tra gli over 50 in un solo mese. Solo per citare l’ultimo boom.
Renzi è tornato all’indomani della “manovrina” da 3,4 miliardi, cui siamo stati costretti dall’Ue perché il suo governo aveva sballato i conti, per tutti i bonus elettorali fatti per vincere il referendum.
Renzi è tornato all’indomani del commissariamento di Alitalia e del prestito ponte da 600 milioni di euro. Lui che nel 2015 diceva “Allacciate le cinture, Alitalia decolla per nuove destinazioni. Il decollo di Alitalia è il decollo dell’Italia. È finito il tempo in cui anche in questo settore bastava lamentarsi. Lavorando duro, l’Italia riprende il volo”; ora scarica ogni responsabilità su Letta e Gentiloni: “Alitalia è uno dei pochi dossier non visti nei mille giorni, perché la scelta di Etihad è stata del governo precedente e la crisi Alitalia è esplosa nella seconda metà di dicembre, dopo il passaggio della campanella con Gentiloni”. Che culo, eh? Lui c’è solo per tagliare nastri, mica posti di lavoro.
Renzi è tornato – come se nulla fosse – inscenando non una rivincita bensì una ripartenza, un nuovo inizio, come se per mille (mille) giorni non avesse già governato. Anche perché, considerati i trascorsi, l’unica è rimuovere e (fingere) di ricominciare da zero. Gli italiani invece se lo ricorderanno?
Quando il nuovo fascismo sarà alle porte ricordiamoci di chi gliele avrà fatte trovare aperte”.
Roberto Saviano
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sabato 06/05/2017
Renzi è tornato: fate finta di non averlo mai visto
di Luisella Costamagna | 6 maggio 2017
| 267
È ufficiale: Renzi è tornato (e – canta subito la Meli sul Corriere – “è determinato”). “Quando mi sono dimesso volevo davvero mollare tutto. (…) Sono stato circondato dall’affetto, dalla cura, dall’esigente attesa, anche dalla rabbia di tantissime donne e uomini. (…) Debbo molto a queste persone perché mi hanno costretto a guardarmi in faccia. Mi hanno costretto a fare i conti con la parola responsabilità”. E via sulle note dell’inno di Mameli e le parole di Ligabue: “Ho fatto in tempo ad avere un futuro, che non fosse soltanto per me”. Ad avercelo un futuro, dicono gli italiani, da soli o in compagnia poco importa.
Renzi è tornato per “responsabilità”, “esigente attesa” e perché “costretto”. Fosse stato per lui avrebbe mollato tutto. Capito la generosità? L’ha fatto per noi!
Renzi è tornato vincendo le primarie. Una prova di democrazia (anche se guastata dall’ennesima inchiesta per irregolarità), ma un po’ più smunta rispetto al 2013, visto che – con 1,8 milioni di votanti – ben un milione di elettori l’ha perso per strada.
Renzi è tornato segretario del Pd prendendo meno voti di tutti i precedenti segretari: 1,2 milioni contro l’1,8 che raccolse nel 2013 (oltre 600 mila voti persi da solo); l’1,6 di Bersani nel 2009 e i quasi 2,7 milioni di Veltroni nel 2007.
Renzi è tornato conquistando soprattutto gli elettori over 64, vincendo al Centro-Nord (dove l’affluenza si è quasi dimezzata, anche nelle Regioni “rosse”) e al Sud (record del 90% a Salerno, dove ha votato più gente che in tutta Napoli, che pure ha il triplo degli iscritti).
Renzi è tornato dopo che la sua riforma costituzionale è stata bocciata dagli italiani e il suo Italicum dalla Consulta. Ora che ha vinto vorrebbe andare alle Politiche (e lo vorrebbero anche gli italiani) ma, nonostante i suoi 3 anni di governo, non abbiamo una legge elettorale per farlo.
Renzi è tornato e, nonostante il suo Jobs Act, il tasso di disoccupazione è all’11,7%, con addirittura 59 mila disoccupati in più tra gli over 50 in un solo mese. Solo per citare l’ultimo boom.
Renzi è tornato all’indomani della “manovrina” da 3,4 miliardi, cui siamo stati costretti dall’Ue perché il suo governo aveva sballato i conti, per tutti i bonus elettorali fatti per vincere il referendum.
Renzi è tornato all’indomani del commissariamento di Alitalia e del prestito ponte da 600 milioni di euro. Lui che nel 2015 diceva “Allacciate le cinture, Alitalia decolla per nuove destinazioni. Il decollo di Alitalia è il decollo dell’Italia. È finito il tempo in cui anche in questo settore bastava lamentarsi. Lavorando duro, l’Italia riprende il volo”; ora scarica ogni responsabilità su Letta e Gentiloni: “Alitalia è uno dei pochi dossier non visti nei mille giorni, perché la scelta di Etihad è stata del governo precedente e la crisi Alitalia è esplosa nella seconda metà di dicembre, dopo il passaggio della campanella con Gentiloni”. Che culo, eh? Lui c’è solo per tagliare nastri, mica posti di lavoro.
Renzi è tornato – come se nulla fosse – inscenando non una rivincita bensì una ripartenza, un nuovo inizio, come se per mille (mille) giorni non avesse già governato. Anche perché, considerati i trascorsi, l’unica è rimuovere e (fingere) di ricominciare da zero. Gli italiani invece se lo ricorderanno?
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Re: Renzi
FIAT DUX
Boschi commissario di Gentiloni e dissenso interno azzerato: così nasce il nuovo corso del Pd di Renzi
di Manolo Lanaro e Alberto Sofia | 7 maggio 2017
Politica
L'assemblea del partito che sancisce la nuova incoronazione dell'ex premier a segretario dopo le primarie, è ormai iper-renzianizzata, con 700 delegati legati all'ex premier e a Maurizio Martina. La fiducia al Governo Gentiloni è condizionata e accompagnata dalla "circolare Boschi", che vincola l'operato di tutti i ministri al passaggio di conformità della fedelissima del Capo. Ma nessuno, all'hotel Marriott, alza la voce contro il provvedimento. Lei: "Fake news". Ma non smentisce
di Manolo Lanaro e Alberto Sofia | 7 maggio 2017
VISTO CHE LA “BANDA HACKER” E’ IN AZIONE NON PERMETTENDO IL COPIA INCOLLA, PER IL MOMENTO L’ARTICOLO LEGGETELO QUI, CON I VIDEO:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05 ... i/3568542/
SE BLOCCA IN PREVALENZA LE NOTIZIE CHE RIGUARDANO PINOCCHIO MUSSOLONI, COSA SI DEVE DEDURRE, SE NON CHE LA “BANDA HACKER” LAVORA PER IL RITORNO DI PINOCCHIO MUSSOLONI????
Boschi commissario di Gentiloni e dissenso interno azzerato: così nasce il nuovo corso del Pd di Renzi
di Manolo Lanaro e Alberto Sofia | 7 maggio 2017
Politica
L'assemblea del partito che sancisce la nuova incoronazione dell'ex premier a segretario dopo le primarie, è ormai iper-renzianizzata, con 700 delegati legati all'ex premier e a Maurizio Martina. La fiducia al Governo Gentiloni è condizionata e accompagnata dalla "circolare Boschi", che vincola l'operato di tutti i ministri al passaggio di conformità della fedelissima del Capo. Ma nessuno, all'hotel Marriott, alza la voce contro il provvedimento. Lei: "Fake news". Ma non smentisce
di Manolo Lanaro e Alberto Sofia | 7 maggio 2017
VISTO CHE LA “BANDA HACKER” E’ IN AZIONE NON PERMETTENDO IL COPIA INCOLLA, PER IL MOMENTO L’ARTICOLO LEGGETELO QUI, CON I VIDEO:
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05 ... i/3568542/
SE BLOCCA IN PREVALENZA LE NOTIZIE CHE RIGUARDANO PINOCCHIO MUSSOLONI, COSA SI DEVE DEDURRE, SE NON CHE LA “BANDA HACKER” LAVORA PER IL RITORNO DI PINOCCHIO MUSSOLONI????
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Re: Renzi
Da Dagospia:
15 mag 2017 11:52
I GIORNALONI SFANCULANO IL DUCETTO E LA SUA COCCA
– “CORRIERE” E “REPUBBLICA” SPARANO BORDATE SUL GIGLIO MAGICO. NESSUNO CREDE ALLA VERSIONE DELLA BOSCHI E DI RENZI
– E RISPUNTA QUELLO “STANTIO ODORE DI MASSONERIA” INTORNO A BANCA ETRURIA …
Mettere "Il Giornale" tra i giornaloni mi sembra esagerato
Roberto Scafuri per il Giornale
Affaire Etruria: al bando i pettegolezzi, viva la verità. Fa bene a pretenderlo nel salotto tv di Giletti, l' ex premier che «non deve chiedere mai» (come quel ganzo di una marca di profumi). Meglio farebbe, Matteo Renzi, a farsi però qualche domanda e darsi da sé qualche risposta. Tenere in esercizio la memoria fa miracoli, anche sui quaranta; e poi un po' d' analisi della situazione potrebbe giovare a non ficcarsi in altri pasticci.
Non occorre, anzi rischierà di tramutarsi in lancio di boomerang nella nebbia, la commissione d' inchiesta che tutti reclamano. Segretario del Pd compreso: «Dal mio governo non ci sono stati favoritismi, noi quei Cda li abbiamo commissariati. Facciamola, la commissione d' inchiesta, non fondiamo la Repubblica sul pettegolezzo e il sentito dire. Andiamo a vedere le carte. Voglio la verità...».
Ma Renzi ha ancora il dente avvelenato con Ferruccio de Bortoli, che nel suo ultimo libro ha rilanciato lo scandalo raccontando come la Boschi si sia occupata, eccome, della banca di cui era vicepresidente il papà. «Bellissima operazione di marketing», minimizza il piccatissimo Matteo. Dimenticando che il silenzio di Unicredit e la oramai quasi ammissione di una delle fonti di de Bortoli, l' ex ad Ghizzoni («normale parlarsi tra politici e banchieri»), fa ricadere sulla Boschi come «macigno» le ricostruzioni del libro.
Se ne accorgono finalmente anche i due maggiori quotidiani italiani: ciascuno, a modo suo, imbarazzato dal caso. La Repubblica, che comincia una lenta manovra d' allontanamento da Renzi, almeno sul tema, e ospita in prima pagina un commento di Massimo Giannini (vecchia e sgradita conoscenza di Matteo) per puntare il dito sui «troppi silenzi» racchiusi nel cosiddetto «Giglio magico». E l' ex quotidiano diretto da de Bortoli, il Corriere della Sera, sul quale si assiste a un radicale cambio di linea a proposito della vicenda. Causato di sicuro dallo scriteriato attacco di Renzi a de Bortoli, ma anche da una settimana difficile, nella quale era come se si avvertisse il peso delle diverse quote bancarie nel boarding.
Così che mercoledì il giornale era l' unico a escludere dalla «prima» la notizia sgradita a Renzi, pur provenendo dal suo ex direttore e attuale editorialista (pezzo a pagina 10, pressoché invisibile, «tagliato» sullo scontro Pd-M5S invece che sulla Boschi). Giovedì un piccolo richiamo di «taglio» in prima esaltava un (inesistente) vertice a Palazzo Chigi tra Gentiloni e Boschi (sai la novità: ma serviva per dare l' idea di compattezza nel governo). Venerdì: ancora totale assenza dalla prima pagina e pezzo interno sui legali della Boschi.
Sabato: un Delrio venuto a confondere le acque. Infine ieri, quando il sempre asciutto direttore Luciano Fontana veniva tirato per i capelli alla difesa di de Bortoli. «Si prendono strade laterali per non rispondere a interrogativi molto chiari e semplici», esordiva partendo (nientemeno che) dal rapporto tra informazione e potere. Per arrivare poi a definire «incredibile» l' attacco di Renzi, il cui rapporto con l' informazione «è, per usare un eufemismo, complicato».
Infine un capoverso che suggeriamo a Renzi: «... le inchieste e le intercettazioni dimostrano che intorno al salvataggio (di Etruria, ndr) si mossero personaggi con un passato non raccomandabile (tra gli altri, il faccendiere Carboni, ndr). In quei giorni si raccontava... ( che) a molti soggetti e investitori, anche stranieri, fu chiesto di intervenire... Accadeva sempre questo: esaminavano le carte, facevano alcuni incontri e poi si ritiravano dopo aver conosciuto i personaggi e gli interessi strani che pesavano in quel piccolo mondo».
Ecco: è questo uno di quei «tarli» che ronzano nelle orecchie di Renzi. Magari lo aiutano a ricordare qualcosa. O qualcuno
15 mag 2017 11:52
I GIORNALONI SFANCULANO IL DUCETTO E LA SUA COCCA
– “CORRIERE” E “REPUBBLICA” SPARANO BORDATE SUL GIGLIO MAGICO. NESSUNO CREDE ALLA VERSIONE DELLA BOSCHI E DI RENZI
– E RISPUNTA QUELLO “STANTIO ODORE DI MASSONERIA” INTORNO A BANCA ETRURIA …
Mettere "Il Giornale" tra i giornaloni mi sembra esagerato
Roberto Scafuri per il Giornale
Affaire Etruria: al bando i pettegolezzi, viva la verità. Fa bene a pretenderlo nel salotto tv di Giletti, l' ex premier che «non deve chiedere mai» (come quel ganzo di una marca di profumi). Meglio farebbe, Matteo Renzi, a farsi però qualche domanda e darsi da sé qualche risposta. Tenere in esercizio la memoria fa miracoli, anche sui quaranta; e poi un po' d' analisi della situazione potrebbe giovare a non ficcarsi in altri pasticci.
Non occorre, anzi rischierà di tramutarsi in lancio di boomerang nella nebbia, la commissione d' inchiesta che tutti reclamano. Segretario del Pd compreso: «Dal mio governo non ci sono stati favoritismi, noi quei Cda li abbiamo commissariati. Facciamola, la commissione d' inchiesta, non fondiamo la Repubblica sul pettegolezzo e il sentito dire. Andiamo a vedere le carte. Voglio la verità...».
Ma Renzi ha ancora il dente avvelenato con Ferruccio de Bortoli, che nel suo ultimo libro ha rilanciato lo scandalo raccontando come la Boschi si sia occupata, eccome, della banca di cui era vicepresidente il papà. «Bellissima operazione di marketing», minimizza il piccatissimo Matteo. Dimenticando che il silenzio di Unicredit e la oramai quasi ammissione di una delle fonti di de Bortoli, l' ex ad Ghizzoni («normale parlarsi tra politici e banchieri»), fa ricadere sulla Boschi come «macigno» le ricostruzioni del libro.
Se ne accorgono finalmente anche i due maggiori quotidiani italiani: ciascuno, a modo suo, imbarazzato dal caso. La Repubblica, che comincia una lenta manovra d' allontanamento da Renzi, almeno sul tema, e ospita in prima pagina un commento di Massimo Giannini (vecchia e sgradita conoscenza di Matteo) per puntare il dito sui «troppi silenzi» racchiusi nel cosiddetto «Giglio magico». E l' ex quotidiano diretto da de Bortoli, il Corriere della Sera, sul quale si assiste a un radicale cambio di linea a proposito della vicenda. Causato di sicuro dallo scriteriato attacco di Renzi a de Bortoli, ma anche da una settimana difficile, nella quale era come se si avvertisse il peso delle diverse quote bancarie nel boarding.
Così che mercoledì il giornale era l' unico a escludere dalla «prima» la notizia sgradita a Renzi, pur provenendo dal suo ex direttore e attuale editorialista (pezzo a pagina 10, pressoché invisibile, «tagliato» sullo scontro Pd-M5S invece che sulla Boschi). Giovedì un piccolo richiamo di «taglio» in prima esaltava un (inesistente) vertice a Palazzo Chigi tra Gentiloni e Boschi (sai la novità: ma serviva per dare l' idea di compattezza nel governo). Venerdì: ancora totale assenza dalla prima pagina e pezzo interno sui legali della Boschi.
Sabato: un Delrio venuto a confondere le acque. Infine ieri, quando il sempre asciutto direttore Luciano Fontana veniva tirato per i capelli alla difesa di de Bortoli. «Si prendono strade laterali per non rispondere a interrogativi molto chiari e semplici», esordiva partendo (nientemeno che) dal rapporto tra informazione e potere. Per arrivare poi a definire «incredibile» l' attacco di Renzi, il cui rapporto con l' informazione «è, per usare un eufemismo, complicato».
Infine un capoverso che suggeriamo a Renzi: «... le inchieste e le intercettazioni dimostrano che intorno al salvataggio (di Etruria, ndr) si mossero personaggi con un passato non raccomandabile (tra gli altri, il faccendiere Carboni, ndr). In quei giorni si raccontava... ( che) a molti soggetti e investitori, anche stranieri, fu chiesto di intervenire... Accadeva sempre questo: esaminavano le carte, facevano alcuni incontri e poi si ritiravano dopo aver conosciuto i personaggi e gli interessi strani che pesavano in quel piccolo mondo».
Ecco: è questo uno di quei «tarli» che ronzano nelle orecchie di Renzi. Magari lo aiutano a ricordare qualcosa. O qualcuno
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Re: Renzi
Arrestato il governatore della "Misericordia". Gestiva il cara "Sant'Anna" favorendo la 'ndrangheta. Meloni e M5S accusano: "Alfano gli era legato, si dimetta"
A MEMORIA D'UOMO, SENZA SFORZARSI PIU' DI TANTO, ANGELINO ALFANO ERA IL MINISTRO DELL'INTERNO DEL GOVERNO DI PINOCCHIO MUSSOLONI.
SE TANTO MI DA TANTO, LA MELONI E IL M5S, DOVREBBE CHIEDERE CONTO ANCHE A PINOCCHIO MUSSOLONI PERCHE' L'HA VOLUTO COME MINISTRO DELL'INTERNO PER 3 ANNI.
A MEMORIA D'UOMO, SENZA SFORZARSI PIU' DI TANTO, ANGELINO ALFANO ERA IL MINISTRO DELL'INTERNO DEL GOVERNO DI PINOCCHIO MUSSOLONI.
SE TANTO MI DA TANTO, LA MELONI E IL M5S, DOVREBBE CHIEDERE CONTO ANCHE A PINOCCHIO MUSSOLONI PERCHE' L'HA VOLUTO COME MINISTRO DELL'INTERNO PER 3 ANNI.
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Re: Renzi
16 mag 2017 17:59
MASSONI E FANFARONI
- GIOELE MAGALDI DEL “GRANDE ORIENTE DEMOCRATICO”: “MASSONERIA E RENZI? BISOGNEREBBE INDAGARE NON NEI RAPPORTI CASARECCI DEL PADRE MA SUI VIAGGI DEL FIGLIO IN USA. DE BORTOLI HA PROVATO A ENTRARE IN ALCUNI SALOTTI MASSONICI E PER QUESTO HA UN CERTO LIVORE. MACRON È FIGLIO DI UN OPERAZIONE MASSONICA”
Da www.radiocusanocampus.it
Gioele Magaldi, gran maestro di Grande Oriente Democratico, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “Ho scelto Cusano”, condotta da Gianluca Fabi e Livia Ventimiglia su Radio Cusano Campus, emittente dell'Università Niccolò Cusano.
Vicinanza tra il mondo della massoneria e alcune banche italiane. "Sono molte le sciocchezze che si dicono su questo. Ad esempio, Libero intervista il gran maestro di oriente d'Italia Stefano Bisi chiamandolo capo dei massoni italiani. Innanzitutto non è il capo dei massoni italiani, non esiste un capo dei massoni italiani. Stefano Bisi fa notare che Banca Etruria storicamente è fondata dai massoni alla fine dell'800 e fino al 2004 è stata guidata da massoni conclamati.
Le cose si sono complicate quando ai massoni conclamati si sono uniti quelli che Bisi chiama i bischeri. La massoneria ora viene chiamata in causa perchè ne parla Ferruccio De Bortoli. Io ho sempre detto che non era tanto importante indagare i rapporti del padre di Renzi in toscana, ma andavano cercate altre aree: Matteo Renzi a quel tempo andava negli Stati Uniti per bussare alle porte di altre realtà ben più importanti.
De Bortoli dimostra una grande ipocrisia perchè conosce benissimo i mondi massonici, sia quelli caserecci sia quelli sovranazionali. Ha cercato più volte di essere ammesso in salotti massonici importanti come ha fatto Renzi, senza riuscirvi. De Bortoli ha un certo livore verso alcuni ambienti massonici sovranazionali, ma ha soprattutto livore verso Renzi, per vecchie ruggini e interessi di De Bortoli verso la Rai. Delrio è stato l’unico a non essere ipocrita, dicendo di essersi adoperato per salvare Banca Etruria, questo è normale”.
La piramide alle spalle di Macron durante il suo discorso dopo le elezioni. “Quella l'ha fatta costruitre Mitterand. Anche quando i presidenti Ffancesi non sono massoni si confrontano con il Grande oriente. Detto questo Macron è senz'altro figlio di un operazione Massonica, lo sanno tutti che Macron è massone, bisogna capire a quale direttrici appartiene”.
MASSONI E FANFARONI
- GIOELE MAGALDI DEL “GRANDE ORIENTE DEMOCRATICO”: “MASSONERIA E RENZI? BISOGNEREBBE INDAGARE NON NEI RAPPORTI CASARECCI DEL PADRE MA SUI VIAGGI DEL FIGLIO IN USA. DE BORTOLI HA PROVATO A ENTRARE IN ALCUNI SALOTTI MASSONICI E PER QUESTO HA UN CERTO LIVORE. MACRON È FIGLIO DI UN OPERAZIONE MASSONICA”
Da www.radiocusanocampus.it
Gioele Magaldi, gran maestro di Grande Oriente Democratico, è intervenuto ai microfoni della trasmissione “Ho scelto Cusano”, condotta da Gianluca Fabi e Livia Ventimiglia su Radio Cusano Campus, emittente dell'Università Niccolò Cusano.
Vicinanza tra il mondo della massoneria e alcune banche italiane. "Sono molte le sciocchezze che si dicono su questo. Ad esempio, Libero intervista il gran maestro di oriente d'Italia Stefano Bisi chiamandolo capo dei massoni italiani. Innanzitutto non è il capo dei massoni italiani, non esiste un capo dei massoni italiani. Stefano Bisi fa notare che Banca Etruria storicamente è fondata dai massoni alla fine dell'800 e fino al 2004 è stata guidata da massoni conclamati.
Le cose si sono complicate quando ai massoni conclamati si sono uniti quelli che Bisi chiama i bischeri. La massoneria ora viene chiamata in causa perchè ne parla Ferruccio De Bortoli. Io ho sempre detto che non era tanto importante indagare i rapporti del padre di Renzi in toscana, ma andavano cercate altre aree: Matteo Renzi a quel tempo andava negli Stati Uniti per bussare alle porte di altre realtà ben più importanti.
De Bortoli dimostra una grande ipocrisia perchè conosce benissimo i mondi massonici, sia quelli caserecci sia quelli sovranazionali. Ha cercato più volte di essere ammesso in salotti massonici importanti come ha fatto Renzi, senza riuscirvi. De Bortoli ha un certo livore verso alcuni ambienti massonici sovranazionali, ma ha soprattutto livore verso Renzi, per vecchie ruggini e interessi di De Bortoli verso la Rai. Delrio è stato l’unico a non essere ipocrita, dicendo di essersi adoperato per salvare Banca Etruria, questo è normale”.
La piramide alle spalle di Macron durante il suo discorso dopo le elezioni. “Quella l'ha fatta costruitre Mitterand. Anche quando i presidenti Ffancesi non sono massoni si confrontano con il Grande oriente. Detto questo Macron è senz'altro figlio di un operazione Massonica, lo sanno tutti che Macron è massone, bisogna capire a quale direttrici appartiene”.
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- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: Renzi
17 mag 2017 17:34
FLASH!
- AVVISATE PAOLO MIELI DI CAMBIARE STRADA QUANDO INCROCIA IL PROFILO DI MASSIMO D’ALEMA. DOPO AVER VISTO L’EX DIRETTORE DEL CORRIERE DALLA GRUBER CON MATTEO RENZI, A BAFFINO SAREBBE SCAPPATA LA FRASE: “SCODINZOLA COME VEDE IL PADRONE”… - -
FLASH!
- AVVISATE PAOLO MIELI DI CAMBIARE STRADA QUANDO INCROCIA IL PROFILO DI MASSIMO D’ALEMA. DOPO AVER VISTO L’EX DIRETTORE DEL CORRIERE DALLA GRUBER CON MATTEO RENZI, A BAFFINO SAREBBE SCAPPATA LA FRASE: “SCODINZOLA COME VEDE IL PADRONE”… - -
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