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Re: Diario della caduta di un regime.

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L'ETERNO EX BEL PAESE......



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Scarpinato: Falcone ucciso da mafia e 007, su ordine di chi?

Scritto il 30/5/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi




Il 23 maggio 1992 esplose l’autostrada di Capaci e si portò via Giovanni Falcone, Francesca Morvillo e gli uomini della scorta. In questi 25 anni abbiamo raggiunto l’importante risultato di condannare all’ergastolo gli esecutori mafiosi delle stragi e i componenti della “commissione” di Cosa Nostra che le deliberarono. Ma restano ancora impermeabili alle indagini rilevanti zone d’ombra: un cumulo di fonti processuali, tali e tante da non potere essere neppure accennate tutte, convergono nel fare ritenere che la strategia stragista del 1992-’93 ebbe matrici e finalità miste, frutto di una convergenza di interessi tra la mafia e altre forze criminali. Di che tipo? Lo diceva già in un’informativa del 1993 la Dia (Direzione Investigativa Antimafia): dietro le stragi si muoveva una «aggregazione di tipo orizzontale, in cui ciascuno dei componenti è portatore di interessi particolari perseguibili nell’ambito di un progetto più complesso in cui convergono finalità diverse»; e dietro gli esecutori mafiosi c’erano menti che avevano «dimestichezza con le dinamiche del terrorismo e con i meccanismi della comunicazione di massa nonché una capacità di sondare gli ambienti della politica e di interpretarne i segnali».

Traduzione: insieme a personaggi come Salvatore Riina, Matteo Messina Denaro, i fratelli Graviano e altri boss che perseguivano interessi propri di Cosa Nostra, si mossero altre forze che utilizzarono la mafia come braccio armato, come “instrumentum regni” e come causale di copertura per i loro sofisticati disegni finalizzati a destabilizzare la politica. Questa convergenza di interessi criminali la rivelò per primo Elio Ciolini, un ambiguo personaggio implicato nelle indagini per la strage di Bologna, legato al mondo dei servizi segreti, della massoneria e dell’eversione nera. Nel 1992 era in carcere a Bologna e il 4 marzo e il 18 marzo, poco prima che si scatenasse l’inferno, anticipò ai magistrati che nel marzo-luglio del ’92 sarebbe stato ucciso un importante esponente della Dc, sarebbero state compiute stragi e poi si sarebbe distolto «l’impegno dell’opinione pubblica dalla lotta alla mafia, con un pericolo diverso e maggiore di quello della mafia». Tutti quegli eventi puntualmente si verificarono: il 12 marzo ’92 fu assassinato l’eurodeputato Salvo Lima, proconsole di Andreotti in Sicilia; il 23 maggio fu consumata la strage di Capaci; il 19 luglio quella di via D’Amelio; poi – sempre come Ciolini aveva anticipato – la strategia stragista si spostò al Centro-Nord con le mattanze di Milano e Firenze e gli attentati a Roma.

Tutte azioni rivendicate da comunicati a nome della “Falange Armata”, sigla di un’organizzazione eversiva che serviva appunto a distogliere l’opinione pubblica dal pericolo mafioso. Ma Ciolini non fu l’unico ad avere la “sfera di cristallo” che gli consentì di rivelare con così largo anticipo l’unitarietà e il respiro strategico della lunga campagna stragista. Il 21 e il 22 maggio 1992 l’agenzia di stampa “Repubblica”, vicina ai servizi segreti, pronosticò che di lì a poco ci sarebbe stato un bel “botto esterno” per giustificare uno voto di emergenza che avrebbe sparigliato i giochi di potere in corso per la elezione del nuovo presidente della Repubblica. Anche questo evento puntualmente si verificò il 23 maggio: il “botto esterno” di Capaci azzerò le manovre per portare alla presidenza della Repubblica il senatore Giulio Andreotti e contribuì all’elezione dell’outsider Oscar Luigi Scalfaro.

Molti collaboratori di giustizia ci hanno confermato in seguito che un selezionato numero di capi della Commissione regionale di Cosa Nostra, riuniti alla fine del 1991 in un casolare della campagna di Enna, avevano discusso per vari giorni quel complesso progetto politico che stava dietro alle stragi. Un progetto che fu tenuto segreto ad altri capi e ai ranghi inferiori dell’organizzazione, ai quali venne fatto credere che le stragi servivano solo a scopi interni alla mafia, cioè a costringere lo Stato a scendere a patti, garantendo in vari modi impunità e benefici penitenziari. E invece – come la Dia evidenziò già nel 1993 – dietro quella campagna si celavano menti raffinate e soggetti esterni, il cui ruolo attivo emerge anche nella fase esecutiva delle stragi. Purtroppo, dopo 25 anni di indagini, non è stato ancora possibile identificarli. Sono ancora ignoti i personaggi che, dopo la strage di Capaci, si affrettarono a ispezionare i file del computer di Falcone (riguardanti Gladio e i delitti politico-mafiosi) nel suo ufficio romano al ministero della giustizia, alla ricerca di documenti scottanti di cui evidentemente conoscevano l’esistenza. E restano senza nome anche gli uomini degli apparati di sicurezza che fornirono ai mafiosi le riservatissime informazioni logistiche indispensabili per uccidere Falcone già nel 1989 nel momento in cui si sarebbe concesso un bagno sulla scogliera del suo villino all’Addaura.

Da Falcone si passa poi a Borsellino, appena 57 giorni dopo. Chi era il personaggio non appartenente alla mafia che, come ha rivelato il collaboratore Gaspare Spatuzza, reo confesso della strage di via D’Amelio, assistette alle operazioni di caricamento dell’esplosivo nell’autovettura utilizzata per l’assassinio di Paolo Borsellino e della sua scorta? Chi conosce le regole della mafia sa bene che tenere segreta a uomini d’onore l’identità degli altri compartecipi alla fase esecutiva di una strage è un’anomalia evidentissima: la prova dell’esistenza di un livello superiore che deve restare noto solo a pochi capi. Altri pezzi mancanti su via D’Amelio? Francesca Castellese, moglie del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo, in un colloquio intercettato il 14 dicembre ’93, poco dopo il rapimento del loro figlio Giuseppe (avvenuto il 23 novembre), scongiurò il marito di non parlare ai magistrati degli “infiltrati” nell’esecuzione della strage di via D’Amelio. Quell’intercettazione è agli atti del processo, ma quegli “infiltrati” è stato impossibile identificarli e assicurarli alla giustizia.

Chi è in possesso dell’agenda rossa di Paolo Borsellino trafugata, con una straordinaria e lucida tempistica, pochi minuti dopo l’immane esplosione di via D’Amelio? Su quell’agenda è noto che Paolo aveva annotato i terribili segreti intravisti negli ultimi mesi di vita. Segreti che l’avevano sconvolto e convinto di non avere scampo, perché – come confidò alla moglie Agnese – sarebbe stata la mafia a ucciderlo, ma solo quando altri lo avessero deciso. Chi erano questi “altri”? L’elenco delle domande che sinora non hanno avuto risposta disegna i contorni di un iceberg ancora sommerso che né le inchieste parlamentari né i processi sono mai riusciti a portare alla luce, per una pluralità di fattori che si sommano e delineano un quadro inquietante. Possibile che i magistrati che indagano da 25 anni non siano riusciti a fare luce su tutto questo? E come si fa, quando vengono sottratti ai magistrati documenti decisivi per l’accertamento di retroscena occulti? Ho già accennato alle carte di Falcone e all’agenda di Borsellino, episodi che si inscrivono in una lunga tradizione di carte rubate sui misteri d’Italia: dalla sparizione delle bobine con gli interrogatori di Aldo Moro nella prigione delle Br al trafugamento dei documenti segreti del generale Carlo Alberto dalla Chiesa dopo il suo assassinio.

Ma penso anche alla miniera di tracce documentali custodita nella villa di via Bernini a Palermo, dove Salvatore Riina aveva abitato negli ultimi anni della sua latitanza. Si impedì ai magistrati di perquisire l’abitazione di Riina immediatamente dopo il suo arresto il 15 gennaio 1993: ci assicurarono che il luogo era strettamente sorvegliato giorno e notte, mentre in realtà fu abbandonato poche ore dopo quella stessa assicurazione, lasciando campo libero a squadre di “solerti pulitori” che ebbero agio per diversi giorni di far sparire ogni cosa, smurando persino la cassaforte e ridipingendo le pareti per eliminare eventuali tracce di Dna. Chi è in possesso da 24 anni di quei documenti e che uso ne ha fatto? Decine di mafiosi, anche boss di prima grandezza, hanno collaborato con la giustizia. Certamente più di molti uomini delle istituzioni. Purtroppo tacciono ancora tanti boss che sanno tutto: i fratelli Graviano, Santapaola, Madonia e altri capi detenuti. E anche alcuni collaboratori danno l’impressione di sapere molto più di quel che dicono, ma di autocensurarsi. E penso anche ai silenzi prolungati e all’amnesia generalizzata di alcuni esponenti delle istituzioni, che solo con il forcipe delle indagini penali si sono decisi, a distanza di anni, a rivelare brandelli di verità.

Quali erano i segreti sul coinvolgimento di apparati deviati dello Stato in stragi e omicidi eseguiti dalla mafia che Giovanni Ilardo, capomafia legato ai servizi segreti e alla destra eversiva, aveva promesso di rivelare ai magistrati pochi giorni prima di essere assassinato il 10 maggio 1996, proprio mentre si apprestava a mettere a verbale le sue dichiarazioni iniziando a collaborare? Lo stesso Ilardo era stato il primo a indicare Pietro Rampulla, anch’egli mafioso ed estremista di destra, come l’artificiere della strage di Capaci, che infatti sarebbe stato poi condannato con sentenza definitiva. Alcuni eventi recenti, ancora in corso di verifica processuale, sembrano dimostrare che purtroppo questa non è solo una tragica storia del passato. Per esempio le recenti rivelazioni del collaboratore di giustizia Vito Galatolo, capo dell’importante mandamento di Resuttana, membro di una famiglia mafiosa implicata in stragi e delitti eccellenti del passato e vecchia amica di apparati deviati delle istituzioni. Racconta Galatolo che alla fine del 2012 il capo latitante di Cosa Nostra, Messina Denaro, protagonista della stagione stragista del 1992-’93, ha ordinato l’omicidio del pm Nino Di Matteo, impegnato nelle indagini sulla trattativa fra Stato e mafia, con un’autobomba.

Galatolo ha dichiarato che sia lui sia altri capi erano rimasti colpiti dal fatto che l’identità dell’artificiere messo a disposizione da Messina Denaro, doveva restare ignota a tutti, compresi i capi di Cosa Nostra. Una circostanza che, ancora una volta, contrastava palesemente con le regole mafiose e indicava la partecipazione anche in quel progetto stragista di soggetti esterni, portatori di interessi criminali convergenti con quelli della mafia. Prima che Galatolo iniziasse a collaborare rivelando l’episodio, un esposto anonimo aveva già messo al corrente la magistratura che Messina Denaro aveva ordinato una strage su richiesta di suoi “amici romani” per interessi politici che andavano oltre quelli di Cosa Nostra. Continuare a ricercare la verità è un dovere non solo istituzionale, ma anche morale. Il modo più autentico per onorare la memoria, per dare un senso al sacrificio dei tanti servitori dello Stato e alla morte di tante vittime innocenti le cui vite sono state inghiottite nei gorghi tumultuosi di quello che Giovanni Falcone definì “il gioco grande del potere” una guerra sporca giocata con tutti i mezzi nel “fuori scena” della storia.

(Roberto Scarpinato, dichiarazioni rilasciate a Marco Travaglio per l’intervista “Strage di Capaci, una verità a brandelli: interessi politici oscuri tramano ancora”, pubblivata dal “Fatto Quotidiano” il 23 maggio 2017. Scarpinato, già membro del pool antimafia siciliano, è oggi procuratore generale presso la Corte d’Appello di Palermo).
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Re: Diario della caduta di un regime.

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...PRENDERE LE DISTANZE....

L'ORDINE IMPERATIVO E CATEGORICO DEGLI STRUMPTRUPPEN




Le carte che inchiodano Fini:
"Protezione al re delle slot"


Nell'ordinanza del gip di Roma gli affari illeciti di Fini e del "clan" Tulliani. "Le immersioni spesate ai Caraibi"

di Chiara Giannini

poco fa
7
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Re: Diario della caduta di un regime.

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IlFattoQuotidiano.it / Politica





Strage Bologna, saltano i risarcimenti. Bolognesi (Pd): “Anniversario? Chiunque venga del governo è sgradito. Presa in giro infinita”


VIDEO -05:48
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/05 ... a/3622353/

di Gisella Ruccia | 29 maggio 2017

commenti (18)
 672


Più informazioni su: Andrea Orlando, Finanziaria, Governo Gentiloni, Manovra Correttiva, Paolo Bolognesi, PD, Strage di Bologna


Durissimo j’accuse di Paolo Bolognesi, deputato indipendente eletto col Pd e presidente dell’Associazione dei familiari delle vittime della strage del 2 Agosto, contro il governo Gentiloni. Intervistato da Radio Città Del Capo (qui l’audio integrale), il parlamentare condanna con toni severi la mancata promessa del governo: nella manovra correttiva, infatti, sono saltati i risarcimenti alle vittime di terrorismo e stragi, perché le soluzioni dei residuali problemi applicativi della legge 206 sulle indennità non sono state inserite nel disegno di legge sulle ‘Disposizioni in materia finanziaria’, all’ultimo esame della commissione Bilancio della Camera, come invece il governo aveva garantito. Bolognesi fa un excursus della vicenda e spiega: “Nonostante gli accordi, mi hanno telefonato l’altra sera per smentire tutto, dicendo che costava troppo, quando già nella legge del 2004 queste spese erano coperte. Sono quindi tutte bufale. Quando non sanno come fare, arriva la Ragioneria a dire che il costo è troppo alto. Siamo stanchi di essere presi in giro. Il governo non ci ascolta mai. Ora basta. Il prossimo 2 agosto il governo può anche stare a casa. Alla prossima cerimonia in ricordo delle vittime della strage alla stazione di Bologna, chiunque verrà del governo sarà una persona sgradita ai familiari delle vittime. E’ ora che la smettano di venire qui a raccontare panzane. Basta. Fine. Chiuso”. E aggiunge: “Questo è un governo che potrebbe sembrare amico, ma non lo è. E’ ora di finirla, non possiamo essere presi in giro così. Abbiamo tutti deciso che qualsiasi esponente del governo verrà trattato qui da persona sgradita. Non importa fischiarlo o sbatterlo fuori dalla porta, basta dirgli quello che pensi del suo comportamento. E dirglielo in faccia. Questa gente viene, fa delle gran promesse, ti assicura, ma ora basta”. Poi sottolinea: “Io non voterò la finanziaria e se ci sarà la fiducia, non la voto. Gli altri deputati Pd? Molti di loro ci hanno dato solidarietà, ma quando si trovano là, nelle segrete stanze, al limite fanno qualche rimostranza. Non possono fare un granché. Quando c’è la parola del governo, è definitiva. Qui si tratta di gente che si prende impegni e non li mantiene. Una cosa di bassissimo profilo. Hanno davvero una faccia tosta incredibile, perché a Bologna sono venuti Delrio, Poletti e due volte De Vincenti, che addirittura ci disse che era tutto predisposto. Poi scoprimmo che alcuni ministeri non avevano niente di pronto, abbiamo dovuto ridare carte e documenti. Cioè, è davvero una presa in giro infinita“. Bolognesi rincara: “Si vede che i terroristi portano più voti delle vittime del terrorismo. Basti vedere il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, che si è messo a fare dei discorsi di giustizia riparativa, il che è un modo surrettizio per chiudere gli Anni di Piombo senza che i terroristi dicano la verità. Siamo a arrivati a questo punto. Pensate il grado di fiducia che possiamo avere in un governo che si comporta in questo modo”

di Gisella Ruccia | 29 maggio 2017
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Re: Diario della caduta di un regime.

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L'ULTIMA SPIAGGIA PER CHI PENSA CHE QUESTA SIA ANCORA UNA DEMOCRAZIA????????????????



30 mag 2017 15:04


SOGNI DI UNA NOTTE DI MEZZA PRIMAVERA

- LA SCOMMESSA DI TRAVAGLIO: UN’ALLEANZA M5S CON I FUORIUSCITI DEL PD, RIFONDAZIONE, GLI “TSIPRAS” DI NOANTRI, CIVATI, VERDI E VENDOLIANI

– SE LE FRATTAGLIE DI SINISTRA ARRIVANO AL 10% IL GIOCO E’ FATTO






Marco Travaglio per il Fatto Quotidiano


Ora che pare certo il sistema elettorale tedesco, si spera che non venga snaturato con le solite stravaganze all'italiana per piegarlo alle convenienze di questo o quello. È un modello accettabile per tre motivi: viene dal Paese più prospero e meglio governato tra i grandi d' Europa; ha un impianto proporzionale ed elegge metà parlamentari con l' uninominale di collegio e l' altra metà con le liste, dunque garantisce la rappresentanza e costringe i partiti a candidare gente valida, non solo i servi del capo; e obbliga i piccoli a unirsi per raggiungere almeno il 5%, evitando la solita galassia di listarelle ricattatorie (anche se, per completare l' opera, andrebbero rivisti i regolamenti parlamentari tagliando i viveri ai mini-gruppi).


Tutti dicono che è un modello fatto apposta per favorire un governo Renzusconi, magari capitanato da Carlo Calenda, il Macron de noantri. E che i 5Stelle l' hanno sposato perché non vogliono governare, ma lucrare sulle vergogne assicurate dal ritorno di Caimano&Caimanino finalmente sposi.


Ma non è affatto detto. Intanto, se ogni partito peserà in Parlamento in base a quanti voti presi, senza più torsioni ipermaggioritarie, non è scontato che la somma Pd+ FI faccia almeno il 50% più uno.

E poi, mentre è prevedibile che Pd (più qualche frattaglia centrista), M5S e destra B.-Salvini-Meloni (più gli altri centrini) presenteranno una lista e un candidato di collegio per ciascuno, nessuno sa ancora nulla del pianeta sinistra, ora polverizzato fra Mdp bersanian-dalemiano, Campo Progressista di Pisapia, vendoliani di Si, Verdi, Rifondazione, ex-Tsipras, civatiani di Possibile ecc.

Se tutto ciò che orbita alla sinistra del Pd trovasse un leader e una casa comuni, potrebbe superare il 5% e anche puntare al 10. E sarebbe l' interlocutore naturale per la forza che, non per ideologia ma per programma, le è più vicina o meno lontana: i 5Stelle.
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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QUANDO IL PALCOSCENICO DELLA POLITICA E' CALPESTATO DAI SUPER CAROGNONI(GRANDI CAROGNE)


Ora Renzi scarica Alfano:
"Perché ha paura del 5%?"

A Porta a Porta il segretario Pd prende di mira Alfano: "Ministro di tutto non prende il 5% e vuole mettere veti?"


di Raffaello Binelli

43 minuti fa
330
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Re: Diario della caduta di un regime.

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UN GIORNO DI ORDINARIA FOLLIA NELL’INFERNO CHIAMATO “PIANETA TERRA-REPARTO BEL PAESE”



VERO O FALSO?






Fortuna, l'ultima accusa di Titò: "Nel palazzo una rete di pedofili"
3/35

Leggo
Marco Di Caterino3 ore fa

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© Redazione
«In quell'isolato, al primo piano c'era la stanza dei bambini... Lo sapevano tutti e tutti sapevano quello che succedeva. Tanto che uno degli inquilini è stato condannato a dieci anni per aver abusato della figlia dodicenne. In quel maledetto posto, abitato da napoletani, mi hanno messo in mezzo, perché io non sono del loro ambiente. Io sono di Afragola».
Dichiarazioni choc quelle rese in modo spontaneo vale a dire senza il contraddittorio alla fine di una breve udienza da Raimondo Caputo, per gli inquirenti l'orco assassino di Fortuna Loffredo, spinta giù dallo stesso edificio dal quale precipitò nel vuoto il 27 aprile del 2013, il piccolo Antonio Giglio, figlio di Marianna Fabozzi, che nel processo Fortuna Loffredo è coimputata con Titò per concorso in violenze sessuali sulle sue tre bambine. La stessa Fabozzi è indagata dalla procura di Napoli per omicidio volontario per la morte del piccolo Antonio, e Titò per concorso nello stesso reato.
Quella che doveva essere solo un'udienza tecnica del processo davanti alla quinta sezione di Corte di Assise (presidente Alfonso Barbarano, giudice a latere Annalisa De Tollis), ha invece riservato più di un colpo di scena. In apertura del dibattimento il presidente ha letto il dispositivo che rigetta la richiesta della difesa e alcuni avvocati di parte civile di avere un confronto in aula tra Raimondo Caputo, che accusa del delitto la sua ex convivente, e Marianna Fabozzi, che invece nelle sue dichiarazioni spontanee ha di fatto fornito un alibi per Titò. Inoltre Barbarano ha rigettato la richiesta di ascoltare in aula la prima figlia di Marianna Fabozzi, abusata da Titò con le altre due sorelline, la cui testimonianza raccolta dal pm Claudia Maone e dal procuratore aggiunto Domenico Airoma (i due magistrati dalla Procura di Napoli Nord che hanno condotto con tenacia un'indagine durata circa tre anni) costituisce la prova principe dell'intero dibattimento formalizzata e cristallizzata in due udienze dell'incidente probatorio.


http://www.msn.com/it-it/notizie/italia ... spartanntp
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Re: Diario della caduta di un regime.

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I politicanti dell’Italia che non c’è più s’inventano sempre riforme astratte, a loro uso e consumo, per continuare a sopravvivere nel magna-magna.

L’articolo 1 della vecchia Costituzione del 1948, recita:

« L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. »


Nella prima parte repubblicana è stato così.

Oggi deve essere aggiornato alla realtà vigente, in quanto non più valido, in :


« L’Italia è una Pallocrazia oligarchica, fondata sulle palle per merli doc, che può vivere senza lavoro.
La sovranità appartiene agli oligarchi di secondo livello, che la esercita nelle forme indicate dagli oligarchi della massoneria finanziaria»




478
"Votare Forza Italia significa
meno tasse e stop ai migranti"

Luca Romano
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Re: Diario della caduta di un regime.

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......AD OGNUNO IL SUO "PASTOR TALENT".......
(vedi 3D :http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... 511#p50511)





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8 ore fa
453


Il Cav fissa gli obiettivi:
"Con me si torna al 20%"


Francesco Cramer

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Berlusconi fissa l'obiettivo: "Con me torniamo al 20%"

Il Cavaliere impegnato in prima persona per le Comunali. "Farò almeno tre settimane di campagna elettorale"

Francesco Cramer - Ven, 02/06/2017 - 08:33

commenta

«Con me in campo Forza Italia arriva al 20%», giura Berlusconi che ai migliori sindaci azzurri, spesso ospitati ad Arcore in questi giorni, confida: «Grazie al rinnovamento che voi rappresentate e alla mia forte presenza in campagna elettorale, i consensi al partito torneranno a lievitare».
Già, la sua presenza. Sempre ai sindaci giura: «Sarò al vostro fianco e ho intenzione di fare almeno tre settimane di full immersion di campagna elettorale». Venti giorni, circa, dove sarà impegnato in televisione, online, e sui principali quotidiani. Sarà un'estate calda perché il Cavaliere è convinto che a settembre si andrà a votare.

A dimostrazione che Internet sarà un canale privilegiato per le prossime battaglie politiche c'è il messaggio che ieri l'ex premier azzurro ha voluto diffondere via Facebook. Il ragionamento del Cavaliere: «Per la battaglia sul No alle riforme renziane ha funzionato bene; perché non utilizzarlo ancora?». Quello di ieri era un appello in vista delle prossime amministrative, in programma il prossimo 11 giugno. Una chiamata alle armi: «Il Comune è l'istituzione più vicina ai cittadini, quella che riguarda direttamente la vita quotidiana di ciascuno di noi. Quindi andare a votare è nell'interesse di tutti, delegare ad altri il proprio futuro non è mai una scelta vincente». Un messaggio anche politico: «Vi chiedo di scegliere le liste di Forza Italia e i candidati che noi sosteniamo con gli altri partiti della coalizione di centrodestra. Ognuno di loro, lo posso garantire, è portatore di competenza, di onestà, di capacità di governo. Non abbiamo scelto donne e uomini di partito che hanno già fatto politica, abbiamo scelto il meglio che offre la società civile, il mondo del lavoro, il mondo delle aziende, il mondo delle professioni, della cultura. Quindi non professionisti della politica ma cittadini come voi e come noi, che sentono il dovere di mettere al servizio della collettività la propria competenza, il proprio tempo e il proprio lavoro».

Il programma è chiaro ed è il core business del berlusconismo: «Meno tasse sulle famiglie, sulle imprese, sul lavoro, che chiedono più sicurezza, che chiedono meno burocrazia e naturalmente più posti di lavoro, che chiedono anche meno vincoli europei e uno stop vero all'immigrazione».

Berlusconi fa riferimento al centrodestra perché spera sempre che la coalizione regga, nonostante le intemperanze di Salvini: «Una vittoria di Forza Italia e del centrodestra avrà anche un grande valore politico, in vista delle elezioni politiche che ormai sono molto vicine». Berlusconi pensa al 24 settembre o poco più in là.

In fondo l'accordo sulla legge elettorale dovrebbe reggere e il governo Gentiloni ha le settimane contate. Il Cavaliere non se ne cruccia perché «spero che manchi davvero poco al momento in cui, dopo quasi 10 anni dall'ultima libera scelta del nostro governo, l'ultimo governo scelto dagli italiani, finalmente gli italiani, dopo 4 governi che loro non hanno eletto, potranno di nuovo scegliere da chi essere governati. Diamo fin d'ora con queste elezioni un segnale forte, scegliendo chi ha dimostrato di saper governare nell'interesse di tutti gli italiani».

Resta, però, il gelo con Salvini. Il quale, anche ieri, ha lanciato il suo aut aut: «Ora l'obiettivo è vincere i Comuni. Ma serve chiarezza sulle alleanze per le politiche. Ora. Non prima delle politiche».
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Re: Diario della caduta di un regime.

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IL CLIMA E’ DESTINATO A SURRISCALDARSI





D’Alema vs Damilano: “Lei è uno stupido”. Poi le scuse in diretta: “Mi dispiace, modo inappropriato”


VIDEO:

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/06 ... o/3630691/

Più informazioni su: La7, Piazzapulita
Battibecco in diretta tra Massimo D’Alema e il gironalista dell’Espresso Marco Damilano, entrambi ospiti degli studi di Piazza Pulita, su La7. Durante la discussione sul presente e sul passato del centrosinistra, Damilano accusa l’ex premier di essere responsabile della caduta del governo Prodi del 1998. “Lei uno stupido” ribatte D’Alema, che dopo però si scusa: “L’ho trattata in modo rude e inappropriato”.

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LA VERSIONE STRUMPTRUPPEN

D'Alema perde le staffe col giornalista Damilano: "Lei è stupido e bugiardo"
Lite in diretta a Piazzapulitca. Protagonisti Massimo D'Alema e il vicedirettore dell'Espresso, Marco Damilano, che l'ha stuzzicato finché l'ex leader dei Ds non ha perso le staffe
Luisa De Montis - Ven, 02/06/2017 - 10:13
commenta
Lite in diretta a Piazzapulitca. Protagonisti Massimo D'Alema e il vicedirettore dell'Espresso, Marco Damilano, che l'ha stuzzicato finché l'ex leader dei Ds non ha perso le staffe.



video
Lite D'Alema-Damilano: "Lei è uno...
Il giornalista gli ricorda del think tank creato a metà anni '90, un gruppo che annoverava gente come Fabrizio Rondolino, Claudio Velardi, Matteo Orfini: "Tutta gente che oggi è diventata renziana - dice Damilano - Non si sente un po' responsabile per aver creato politicamente Matteo Renzi?". D'Alema ribatte: "Per questo lo combatto tutti i giorni, per rimediare all'errore fatto".
Poi la lite continua quando Damilano azzarda un paragone con Renzi: "Io ero cronista nel 1998 e me lo ricordo quando lei disse a Romano Prodi: "Stai sereno...". D'Alema non ci sta: "Lei è uno stupido... e anche bugiardo".
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Re: Diario della caduta di un regime.

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» Politica
sabato 03/06/2017



Elezioni amministrative 2017, Sesto San Giovanni: il candidato bugiardo è indagato dalla Corte dei conti


Roberto Di Stefano, in corsa nell’ex Stalingrado d’Italia con Forza Italia, ha firmato il patto di legalità ma si è scordato che deve restituire 62mila euro. Marito di Silvia Sardone, consigliera comunale forzista a Milano, l'uomo era capo di una società pubblica mentre era consigliere del Comune sestese

di Gianni Barbacetto | 3 giugno 2017
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Ha mentito, Roberto Di Stefano, candidato sindaco a Sesto San Giovanni. Ha sottoscritto con gli altri candidati il “patto di legalità” in cui garantisce di non essere sottoposto ad alcun procedimento penale, civile e contabile. Invece un procedimento in corso ce l’ha: presso la Corte dei conti della Lombardia che gli ha contestato di essersi intascato illegittimamente 62mila euro, soldi pubblici, da una società di cui era amministratore delegato e che poi è miseramente fallita.

Di Stefano fa l’assicuratore (scherzo del destino: proprio come Filippo Penati, lo storico sindaco Pd della rossa Sesto). Ma si vende come “sindaco operaio”: “Per mantenermi agli studi ho lavorato alla Pirelli e sono riuscito a laurearmi in Scienze politiche”. A 28 anni si è iscritto a Forza Italia, nel 2007 è diventato consigliere comunale a Sesto, nel 2012 è stato rieletto e oggi, a 40 anni, è candidato sindaco del centrodestra in quella che è stata la Stalingrado d’Italia. La sua sostenitrice più attiva è la moglie, Silvia Sardone, giovane (e molto televisiva) pasionaria del berlusconismo. Campagna elettorale martellante, programma molto trasversale (c’è perfino il reddito di cittadinanza). Ma qualche scheletro negli armadi. Tutta colpa della società La Fucina, socio di maggioranza la Provincia di Milano e di minoranza i Comuni di Sesto San Giovanni, Bresso e Cologno Monzese. La Fucina è un Bic (business innovation centre), cioè una società che ha il compito di stimolare la creazione di nuove imprese. Nasce nel 1996 con il sostegno dell’Unione europea. Nel 2011, come amministratore delegato, arriva Di Stefano. Già in quell’anno, La Fucina ha un buco di bilancio, che però gli amministratori tengono nascosto. In un documento ufficiale si legge che era stata effettuata una “errata appostazione di alcune voci di bilancio relative, in particolare, alla svalutazione dei crediti nonché dei ratei e riscontri attivi (…). Ciò ha implicato un risultato di esercizio diverso da quello reale, andando a modificare anche il patrimonio netto, con una perdita del capitale sociale”.

I bilanci, dunque, sono stati nella sostanza falsificati per poter andare avanti. Ma “l’illecita prosecuzione dell’attività sociale ha comportato un aumento delle passività, quantificabili in circa 1 milione di euro”. È la cifra che il curatore fallimentare ha chiesto a Di Stefano, in solido con gli altri amministratori. Finora non ha pagato. E comunque un crac non è un gran bel risultato da esibire in curriculum, per uno che si candida a sindaco. Soprattutto se vi è il sospetto che i bilanci siano stati “abbelliti”, con possibili, future conseguenze penali. In più c’è il problema presente, il fatto su cui Di Stefano ha mentito ai cittadini: ha in corso un procedimento della Corte dei conti, che gli ha chiesto di restituire i 62mila euro che ha portato a casa come amministratore delegato della Fucina, dal settembre 2011 al novembre 2012. Non poteva incassarli, perché la legge vieta a chi è amministratore di un ente locale di percepire compensi di società partecipate da quell’ente. E Di Stefano era consigliere comunale di Sesto, che aveva il 10,53 per cento di La Fucina. “I compensi non erano dovuti”, scrive la Procura della Corte dei conti lombarda, “e hanno determinato un danno alla società”.

Una corresponsabilità nel fallimento? Questo lo accerteranno eventualmente i giudici. Intanto però resta inoppugnabile che Di Stefano non poteva intascarsi contemporaneamente i gettoni di consigliere comunale e i compensi di amministratore delegato. La cosa gli era stata chiaramente segnalata, nell’ottobre 2011, dal segretario comunale Mario Spoto. Ma Di Stefano “lo aveva diffidato dall’esprimere pareri sul punto”, scrive la Corte dei conti, ed “è indubbiamente connotata da dolo la condotta del Di Stefano, il quale, diffidando il segretario comunale dall’intraprendere ulteriori iniziative, ha sicuramente ostacolato i doverosi controlli sulla sua posizione allo scopo di continuare a percepire indebitamente gli emolumenti”. Compensi illegittimi, un crac e una menzogna agli elettori: difficili, gli ultimi giorni della campagna elettorale di Di Stefano, aspirante sindaco “operaio”.
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