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UncleTom
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La povertà è il più grosso business inventato dai ricchi
Scritto il 01/6/17 • nella Categoria: idee Condividi

La pubblicazione dei dati Eurostat sull’aumento della povertà e del rischio-povertà in Europa ha suscitato sui media il solito dibattito, viziato in partenza dal rappresentare l’impoverimento come un “problema”, come un effetto indesiderato delle politiche di rigore.

«In realtà il bombardamento sociale del rigore finanziario non è sostanzialmente diverso dai bombardamenti militari, nei quali l’obbiettivo dichiarato è un pretesto non soltanto per il consumismo delle bombe (tanto paga il contribuente), ma anche per fare il maggior numero possibile di “danni collaterali”, cioè di vittime civili».

Lo scriveva “Comidad” nel 2012, ma sembra scritto oggi.

«Anche il rigore è un business, e il “danno collaterale” della maggiore povertà apre a sua volta nuove frontiere al business».

In questi anni, aggiunge il blog, è risultato sempre più evidente il nesso consequenziale tra l’aumento della povertà e la finanziarizzazione dei rapporti sociali: «La povertà diventa un business finanziario, costringendo i poveri all’indebitamento crescente».

Lo confermano annunci come quello del governo tedesco, che si vantà di aver raggiunto il pareggio di bilancio con un anno di anticipo.

Ma la Germania «ha potuto finanziare il suo debito pubblico a tasso zero, poiché, contestualmente, sono stati i paesi del Sud dell’Europa non solo a pagare tassi di interesse più alti, ma anche a indebitarsi maggiormente».

Dopo il funesto 2011, in cui il mainstream ha ripetuto in modo martellante il “mantra del debito”, visto come problema e colpa sociale, «si è poi scoperto che il governo Monti non soltanto non ha ridotto il debito pubblico, ma lo ha aumentato», annota “Comidad”, in un post ripreso dal blog “La Crepa nel Muro”.

«Il cosiddetto spread si è rivelato così una tassa sulla povertà, un’elemosina dei poveri nei confronti dei ricchi».

E intanto ha fatto passi da gigante «l’addestramento dei poveri all’uso degli strumenti finanziari».

Lo stesso governo Monti rilanciò la Social Card di tremontiana memoria: viste le cifre in ballo per quella carta prepagata, il vantaggio per le famiglie è apparso subito «pressoché inesistente».

Semmai a incassare sarebbe stato il gestore finanziario, BancoPosta.

Lo scopo della Social Card, in realtà, era quello di «allargare il target dei servizi finanziari», tanto per cambiare sul modello degli Usa, dove «anche lì in via sperimentale, la Social Security Card si è diffusa a macchia d’olio», arrivando nel 2013 a dieci milioni di utenti.

«I paesi anglosassoni stanno dimostrando che i poveri costituiscono un target inesauribile per l’offerta di servizi finanziari», sottolinea “Comidad”.

«Non soltanto la carta di credito viene oggi concessa anche ai disoccupati, ma questi sono anche fatti oggetto di un vero e proprio allettamento per dotarsi di questo “servizio” finanziario.

Il fatto è comprensibile, se si considera che disoccupati e precari possono essere ridotti ad un livello assoluto di dipendenza da questi strumenti finanziari; cosa che non sarebbe possibile nei confronti di chi disponesse di fonti regolari di reddito».

Se i prestiti ai poveri fossero ancora in contanti, allora i rischi di insolvenza «sarebbero mortali per un business del genere».

Ma oggi c’è il denaro elettronico, e quindi «le banche non devono compromettere la propria liquidità per concedere carte di credito».

I poveri tendono ancora a servirsi soprattutto di contanti, «ma le banche intendono sollevare le masse da questa condizione primitiva, attraverso quello che chiamano un programma di “inclusione finanziaria”».

Aggiunge “Comidad”: «Il suono nobile e commovente della parola “inclusione” serve a nascondere il fatto che si tratta di un programma a basso rischio d’impresa per lo sfruttamento delle possibilità di indebitamento delle masse più povere».

Il blog ricorda che già nel 2007 il governo britannico elaborò un piano di inclusione finanziaria «per salvare le masse di “unbanked” dal loro misero destino e per metterle a disposizione dell’amorevole offerta di servizi bancari».

Lo stesso governo britannico «ha ritenuto di porre una deroga ai limiti della sua “spending review” pur di stanziare dei fondi per questo piano umanitario».

Anche la Banca d’Italia «ha impostato un piano analogo, in attuazione delle indicazioni del G-20 a riguardo».

A quanto pare, continua “Comidad”, «il denaro elettronico ha un club di supporter piuttosto nutrito».

La Banca Mondiale, nella sua veste di agenzia specializzata dell’Onu, rappresenta l’avanguardia in questo progetto di “soccorso mondiale agli unbanked”.

Robert Zoellick, presidente della Banca Mondiale sino al 2011, ha profuso più di tutti il suo personale impegno nella “financial inclusion”.

«Zoellick costituisce il prototipo del perfetto “bombanchiere”: proviene da Goldman Sachs e, nel periodo in cui ha fatto parte dell’amministrazione Bush, è stato uno dei promotori più zelanti dell’aggressione all’Iraq.

Zoellick è anche un ospite d’onore, pressoché fisso, del Consiglio Atlantico della Nato».

Le banche hanno ormai una pessima reputazione e, spesso, persino una pessima stampa.

«Ma le denunce possono rimanere sul vago, mentre, come si dice, il diavolo si annida nei dettagli.

C’è qualche prestigioso commentatore che auspica addirittura un passaggio completo al denaro elettronico, con l’abbandono definitivo del contante; ciò in nome della lotta all’evasione fiscale, come se l’elettronica fosse intrinsecamente onesta, e fosse in grado solo di “tracciare” e non potesse anche sviare».

Per “Comidad”, l’unico risultato certo dell’adozione integrale del denaro elettronico «sarebbe invece quello di rendere definitiva la “financial inclusion”, cioè di non porre più limiti alle possibilità per le banche di impoverire e sfruttare i popoli».
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MESSAGGIO NELLA BOTTIGLIA PER GLI STORICI FUTURI, SE IL PIANETA RESISTERA’ AGLI EVENTI DEI PAZZOIDI CHE LO GUIDANO IN QUESTA ULTIMA FASE.



Nell’anno 2017,detto anche l’anno della sfiga, la gran parte della popolazione abitante in quel fazzoletto di terra chiamato ex Bel Paese, si era convertita alla religione Bunga-Bunga, ed accettava volentieri la pratica attiva della fede religiosa pur che venisse lasciata in pace nelle sue distrazioni quotidiane.

Vedi ad esempio “PANE E CIRCENS”, che in quell’epoca andava molto di moda il “CIRCENS CHIAMATO” CALCIO.





Tutto come previsto: i conti pubblici non tornano
Padoan chiede alla Ue uno sconto di 10 miliardi

Il ministro del Tesoro scrive a Dombrovskis e Moscovici: “Sforzo di riforma ininterrotto. Ma nel 2018
il deficit calerà solo dello 0,3 percento del Pil”. Ma il Def prevedeva un aggiustamento dello 0,9


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Che i numeri del Documento di economia e finanza presentato in aprile fossero scritti sull’acqua era già evidente, visto che prevedeva per il 2018 un aggiustamento dei conti di portata tale che il governo avrebbe dovuto trovare solo per quello oltre 15 miliardi. Ora Pier Carlo Padoan lo ammette platealmente in una lettere inviata alla Commissione europea. L’Italia intende mettere in campo con la prossima legge di Bilancio un aggiustamento strutturale del deficit pari allo 0,3% del pil. Contro lo 0,9% (dal 2,1% del 2017 all’1,2% del 2018) previsto dal Def, nel frattempo esaminato e approvato dal Parlamento. Lo sconto richiesto – che Padoan dà per già ottenuto – ammonta a circa 10 miliardi di euro
di F. Q.
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La versione di Dagospia:




1 giu 2017 13:50


ELEZIONI ALLE PORTE, PADOAN CHIEDE LO SCONTO ALLA UE


– IL MINISTRO FA CONTENTO RENZI E SCRIVE A BRUXELLES CHE L’ITALIA NEL 2018 CORREGGERA’ IL DEFICIT DELLO 0,3%, CONTRO LO 0,8%: 9 MILIARDI IN MENO


– PER GIUSTIFICARSI ELENCA SCUSE COME JOHN BELUSHI IN “BLUES BROTHER”



http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 149002.htm
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BUNGA-BUNGA DRY



Bankitalia, Visco si richiama alla
politica responsabile dimenticando
risparmiatori truffati e responsabilità
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(Francesco Puppato, “Dietro il dissesto delle banche venete spunta l’ombra della Germania”, da “Wall Street Italia” dell’11 giugno 2017).






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Crisi banche venete, la Germania vuol mangiarsi il Nord-Est


Scritto il 19/6/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet




«In caso di una crisi non risolta delle due banche venete che si sono recentemente trovate a navigare in cattive acque, gli effetti non sarebbero molto inferiori a quelli generati dal default della Grecia». Queste le parole che Fabrizio Viola, ad della Banca Popolare di Vicenza, ha rilasciato al “Corriere della Sera” il 2 giugno e poi riportate anche da “Business Insider Italia”. Se consideriamo, infatti, che Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca hanno concesso prestiti “buoni” (ovvero al netto di sofferenze e incagli) per circa 30 miliardi di euro concentrati in gran parte nel nord-est Italia, cioè il territorio più importante per l’economia nazionale, è facile intuire quale sia lo sconquasso che si verrebbe a creare tramite la procedura del bail-in, che impone il rientro forzoso degli impegni a tutela dei depositi. Il debito è il motore dell’economia e intervenire in questo modo sarebbe come togliere ossigeno a tutti quegli imprenditori che fanno affidamento sui prestiti ricevuti dalle due banche; da qui, si innescherebbe la chiusura di un numero importantissimo di piccole e medie aziende, ovvero quelle che caratterizzano il tessuto industriale del nord-est ma anche italiano (le piccolissime, piccole e medie imprese costituiscono circa il 95% del tessuto indistriale italiano).

La lente di ingrandimento, secondo opinioni del settore, è stata posta volutamente sulle banche operanti in questo territorio sotto la spinta della Germania; le aziende tedesche hanno un forte interscambio con quelle operanti nel nord-est Italia e potrebbero sostituirsi ad esse o comprarle a basso prezzo in caso di fallimento. Chiudere il motore dell’economia italiana significherebbe per la Germania avere il controllo del mercato e rafforzare sempre più la propria posizione di leader in tutta Europa. Il processo sarebbe quello di usare la medesima strategia usata con la Grecia, ovvero sollecitare da una parte tramite le autorità europee dei piani di risanamento improntati su manovre “lacrime e sangue” e, dall’altro, acquisire le aziende in totale crisi per una manciata di euro (l’aeroporto di Atene è stato acquisito dalla tedesca AviAllance per 600 milioni, così come altri 14 aeroporti, per lo più turistici, erano stati acquisiti in precedenza sempre dai tedeschi per un totale di 1,2 miliardi).

Il fondato sospetto prende forma studiando a ritroso le strategie messe in pratiche dalla Germania: prima ha salvato le proprie banche impiegando più di 200 miliardi tenendo impegnata l’Italia a recuperare lo spread (2011/2012), poi ha creato la procedura del bail-il (2015) che vincola l’intervento pubblico ad ultima spiaggia facendo ricorrere gli istituti bancari a salvarsi con i soldi dei correntisti, infine sta cercando di accelerare la chiusura dei due istituti bancari tramite le pressioni fatte in sede europea da Jens Weidmann (presidente della Bundesbank e candidato alla successione di Mario Draghi al vertice della Bce nell’autunno del 2018) visto il rischio di elezioni anticipate, che sotto l’effetto dell’onda populista potrebbe mettere i bastoni tra le ruote al progetto tedesco tramite un cambio di governo italiano.

I tedeschi non intendono l’Europa come un processo di progressiva integrazione tra economie tra loro diverse sotto un’ottica di socializzazione, avendone invece una concezione egemonica espressa tramite le misure di austerity fiscale che finora non ha fornito esempi di successo tra gli Stati dell’Unione Europea, se non a favore della Germania stessa. Tutto questo, insieme al colpevole ritardo con cui le autorità italiane hanno compreso il fine del bail-in, potrebbe mettere in serio rischio l’economia italiana dando il definitivo via libera alla Germania per il controllo dell’Europa.

(Francesco Puppato, “Dietro il dissesto delle banche venete spunta l’ombra della Germania”, da “Wall Street Italia” dell’11 giugno 2017).
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Crisi bancarie, più che economia sembra un romanzo sadomaso




di Fabio Scacciavillani | 19 giugno 2017

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Devo farvi una confessione scabrosa. Quando da economista mi imbatto nelle cronache della crisi bancaria italiana, mi assale una sensazione inquietante: mi sembra di leggere la versione dadaista di un romanzo sadomaso che invece di essere ambientato in qualche oscuro boudoir, si svolge tra Palazzo Koch, Palazzo Chigi, l’Eurotower, La Commissione Europea, la Consob, i Consigli di Amministrazione etruschi, veneti e adriatici.

E’ una sensazione inevitabile perché se osserviamo bene ci sono tutti gli ingredienti del genere: gli intrecci perversi; le sottomissioni volontarie dei clienti alle richieste di comprare azioni, i frustini sotto forma di direttive europee, le Commissarie descritte in stivali di pelle e guanti borchiati a infliggere punizioni umilianti in forma di requisiti di capitale, gli amministratori che si autodescrivono come educandi svizzeri, la Banca d’Italia e la Consob nella parte delle ingenue fanciulle subornate e violate dall’Europa subdola e degenerata. E poi le ammucchiate perverse dei politici con i banchieri in Toscana, qualche cappuccetto rosso (non della Hatù), le manette (non di peluche) a Siena.

E in questo ambiente depravato, il Tesoro si spende alla ricerca di nuove fantasie erotiche alternative al bail-in, descritto come un’immonda e rozza pratica di stampo barbaro-teutonico, quindi non applicabile ai sofisticati gusti di Roma, che in quanto a orge, modestamente, ha una tradizione plurimillenaria.

Ma poi ci sono dei twist del topos di assoluto pregio letterario. Nelle versioni classiche dei romanzi sadomaso è l’uomo di mondo porcellone che nell’alcova seduce e imbriglia la verginella ignara delle nequizie del mondo. Mentre nella versione dadaista, nelle “50 sfumature di Visco”, è la vergine della politica che fa profferte al maturo e potente banchiere ammaliandolo col suo fascino affinato nel contado etrusco.

Rispetto al Divin Marchese o a Histoire d’O ci sono anche delle pregevoli trovate che da economista non posso esimermi dal trovare geniali. Si prenda l’ingresso di Atlante, il nano superdotato che in un sol colpo avrebbe impresso al mercato dei crediti deteriorati una traiettoria stellare, risolvendo la crisi bancaria in una settimana. Poi, calate le braghe per la scena madre, si scopre che il nano superdotato è in realtà un patetico ermafrodito le cui miserie vengono ignominosamente destinate a coprire qualche buco (contabile, s’intende, perché non vorrei trascendere nel dadaismo). Ma non soddisfatti di questa performance, entra in scena addirittura Atlante 2, che promette defaillances ancora più turpi e figure ancora più meschine.

Il quadro non sarebbe peraltro completo senza il codazzo di lacché e valletti nei media dediti a coprire gli scandali descrivendo cotali oscene ammucchiate come cene eleganti e informandoci che probilmente qualche palpeggiamento sarà avenuto, qualche slip sarà stato calato, ma cosa volete, signori, siamo uomini di mondo, abbiamo fatto 3 anni di militare tra Rignano e Pontassieve, dopo un severo addestramento all’accademia spaziale (nel senso delle balle) di Arcore.

Quando alfine appare che la fantasia dadaista stia per esaurirsi, ecco un nuovo capitolo che riaccende la fiamma del plot. Banca d’Italia e governo hanno adocchiato delle banche dalle carni un po’ mature e non senza qualche trascorso scollacciato. Sfoderando strumenti da hard bondage hanno imposto agli amministratori (senza chiedere agli azionisti a cui viene concesso al massimo il voyeurismo a pagamento) di congiungersi adguatamente bendati in un consesso carnale con le venete. Da Milano le stagionate cortigiane oppongono resistenza, si negano, si sfilano, ma sanno che contro fruste e catene romane non c’è partita (tantomeno di giro). Potranno consolarsi pensando che il destino poteva essere crudelmente peggiore: ad esempio il decreto del governo che sospende il rimborso del bond di Veneto Banca è un gatto a nove code che si abbatte su quei risparmiatori, né sado, né maso, ma semplicemente boccaloni, in quanto ancora credono all’esistenza della proprietà privata in Italia e dibattendosi sotto l’incalzare della sferza urlano: lo Stato siamo noi!

PS: questo post è tratto da un mio intervento a I Conti della Belva andato in onda sabato 17 giugno su Radio 24.
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Re: Economia

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REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO






Popolari venete, Bankitalia e Consob colpevoli
Ora risarciscano i danni a risparmiatori e Stato




L’ANALISI DI PAOLO FIOR – I contribuenti sono chiamati a pagare il conto del crac delle due banche
Ma a rispondere dovrebbe essere chi l’ha reso possibile. Serve poi una procura per i reati finanziari






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Ora che la frittata è fatta e che i contribuenti sono chiamati a pagare il conto plurimiliardario del crac delle due banche venete, sull’intera vicenda si cercherà di stendere una coltre di silenzio per coprire le responsabilità di chi l’ha gestita. Il Tesoro prova addirittura a spiegarci che abbiamo fatto un ottimo affare a caricarci sulle spalle il peso di crediti inesigibili, perdite, contenziosi e esuberi e regalare a Intesa Sanpaolo la parte buona. Le colpe sono in capo a Gianni Zonin, Vincenzo Consoli e ai loro compagni di merende, che però non avrebbero potuto stare al timone per quasi un ventennio senza la complicità diretta e indiretta di autorità di controllo
di Paolo Fior

•A bocca asciutta 86mila azionisti. Rimborsi con molti paletti per chi ha bond subordinati •Il decreto fa tabula rasa delle leggi (di G. Meletti)

•le reazioni dei giornali e della stampa estera (di f. capozzi) •Gli analisti: “ottimo affare per Intesa Sanpaolo. fino a 390 milioni di utili in più”


•Allarme mutui e prestiti: chi è in ritardo con i pagamenti si vedrà chiedere il rientro (di C. Di Foggia)
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Re: Economia

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Da Etruria alle popolari venete passando per Mps
Banche salvate, il conto per l’Italia è 68 miliardi




Sono 7 gli istituti di credito le cui azioni e obbligazioni sono state azzerate a partire dal novembre 2015
Poi ci sono gli aumenti di capitale bruciati, i soldi messi dallo Stato e i contributi del sistema bancario






Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan e il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco sono molto contenti. Il crac della Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, lasciate marcire per anni da una Vigilanza bancaria distratta se non complice, è stato risolto impegnando 17 miliardi dei contribuenti, ma era “l’unica soluzione, comunque la migliore”. E adesso, soprattutto, ci assicurano che la crisi bancaria è finita, che è tutto a posto, non ci sono altre minacce in vista. È vero, lo avevano già detto il 22 novembre 2015, dopo il come sempre frettoloso e sgarruppato bail-in all’italiana di Banca Marche, Etruria, Cassa Ferrara e Carichieti
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Re: Economia

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REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO








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Banchieri marci e oligarchi, la vera Bad Company è l’Ue
Scritto il 11/7/17 • nella Categoria: idee Condividi

Nella Barcellona mercantile e marinara del 1300 un banchiere che avesse fatto fallimento compromettendo i risparmi di chi si fosse a lui affidato, sarebbe stato decapitato in piazza.

Da quel feroce mondo medioevale, ove chi speculava sul danaro veniva considerato usuraio e tollerato solo se apportava grandi ricchezze alle comunità, molto progresso si è fatto.

Oggi le banche falliscono, ma i banchieri, che godono di un disistima presso l’opinione pubblica superiore a quella medioevale, non pagano mai, in tutta Europa non uno di loro è in prigione.

Il salvataggio delle due banche venete fallite con soldi pubblici che daranno profitti privati, benedetto dalle autorità della Unione Europea, è un esempio del regime finanziario che oggi ci comanda.

Dopo il fallimento di Lehman Brothers nel 2008 negli Stati Uniti, che diede il via alla grande crisi mondiale che tra alti e bassi ancora continua, tutte le istituzioni politiche ed economiche, la Unione Europea in primo luogo, decisero che per fermare il contagio bisognava salvare ad ogni costo le banche dal fallimento.

Secondo il precedente capo della Commissione Europea, Barroso, ben 4.000 miliardi di danaro pubblico in tutta Europa furono spesi per salvare le banche.

Questa denuncia non ha avuto alcun seguito nella politica europea e neppure il suo estensore se ne é sentito toccato, visto che ora opera in Goldman Sachs.

Una valanga di soldi dei cittadini europei ha difeso e rafforzato il potere dei banchieri, ma non un solo istituto di credito è stato assunto in mano pubblica per questo.

La Germania, sempre ultra rigorista verso i paesi del Sud, ha speso 247 miliardi solo per salvare le sue banche locali.

Alla fine la crisi bancaria globale nella Unione Europea fu scongiurata e come ringraziamento un finanziere britannico, prima della Brexit a cui ovviamente era contrario, affermò: l’economia è ripartita ed è ora che noi banchieri la si finisca di sentirci in colpa.

Salvato il sistema coi soldi dei cittadini, cioè coi tagli allo stato sociale, alla sanità, alle pensioni, all’istruzione, l’Unione Europea decise che era giunto il momento di essere davvero per il libero mercato.

È quindi stata varata l’Unione Bancaria, da noi ovviamente presentata come un altro passo verso i meravigliosi Stati Uniti d’Europa.

L’unione bancaria, come il Fiscal Compact e altre sconcezze, in realtà era solo una ulteriore sottrazione di sovranità economica agli Stati, a favore delle banche, della burocrazia europea e naturalmente del potere del solo Stato diverso da tutti gli altri, la Germania.

Ai governanti e ai politici italiani, da Monti, a Letta, a Renzi, che hanno gestito l’adesione dell’Italia alla unione bancaria, secondo me una causa per danni andrebbe fatta.

Infatti quella decisione, invece che mettere in sicurezza il sistema bancario del nostro paese, lo ha esposto a tutte le tempeste.

Il succo del nuovo trattato era proibire i salvataggi di stato delle banche, cui finora tutti i paesi più ricchi d’Europa erano ricorsi.

Dal 2016, le banche in crisi avrebbero dovuto essere salvate con i soldi dei loro azionisti e dei loro correntisti, per deposti superiori a 100.000 euro.

Non so come si traduca in tedesco “chi ha avuto ha avuto, chi ha dato ha dato”, ma il concetto è quello.

In inglese, la lingua che si usa sempre per fregarci, invece tutto questo è stato definito: passare dal “bail out” al “bail in”.

Ovviamente la chiusura dell’ombrello di Stato, usato in tutta Europa, ha accelerato le sofferenze delle banche gia in difficoltà, ed in Italia abbiamo avuto il crollo prima delle banche toscane, legate al Pd e poi di quelle venete legate storicamente al centrodestra.

Un fallimento bipartizan.

Il primo fallimento, quello toscano, è stato affrontato proprio con il bail in e ha provocato una catastrofe economica e sociale.

Per questo, al crollo delle banche venete tutto il potere governativo italiano ed europeo ha deciso di reagire in altro modo.

È il metodo europeo della cavia, usato brutalmente sulla Grecia e calibrato più prudentemente sugli altri paesi Piigs.

Si sperimenta una misura brutale e poi si aggiusta la dose tenendo conto delle vittime e soprattutto delle ribellioni provocate.

Così per le banche venete gli aiuti di Stato, fieramente avversati dalla Ue quando si tratti di chiudere fabbriche e tagliare servizi, sono stati subito approvati dai vertici europei.

Lo strumento trovato per salvare l’ipocrisia e favorire gli affari è, anche qui c’è l’inglese, la “bad company”.

Letteralmente la cattiva impresa, quella sulla quale vengon scaricati, debiti, costi, personale in esubero, in modo che la nuova impresa che rileva l’attività, la “new company”, parta solo con il miglior cuore del carciofo.

L’uso della bad company in Italia non è nuovo.

In Alitalia il governo Berlusconi la adoperò per permettere alla crema della imprenditoria italiana di salvare la compagnia aerea, con i risultati che abbiamo visto e pagato.

Il top manager modello per Renzi, Marchionne, fece lo stesso alla Fiat di Pomigliano.

Da un lato la bad company che aveva come unica ragione sociale la cassa integrazione per migliaia di operai, dall’altro la newco dove venivano selezionati uno per uno coloro che avrebbero ripreso a lavorare in condizioni durissime.

La bad company è diventata il modello italiano di gestione di crisi e ristrutturazioni, da ultimo in Ilva, ed è quindi stato adottato anche per le banche venete.

Non c’è strumento migliore per socializzare le perdite e privatizzare i profitti.

Lo Stato si è accollato tutti i costi e gli esuberi delle banche fallite, Banca Intesa ne ha rilevato le attività al prezzo di 1 euro, naturalmente a condizione di ricevere finanziamenti e garanzie adeguate.

Che potrebbero arrivare fino a 17 miliardi, con un costo virtuale medio di 440 euro per ognuno dei 38 milioni e mezzi di contribuenti. Il titolo Intesa è volato in Borsa.

La banca Santander di Spagna ha protestato per questo salvataggio, perché in condizioni analoghe essa aveva dovuto rilevare anche tutte le passività, senza scaricarle su una bad company, dell’istituto di credito che salvava, ma La Ue ha risposto che in Italia era tutto regolare.

Sono diventati più buoni?

No le ragioni del sì europeo all’intervento pubblico italiano sono tre.

La prima è che lo Stato paga, ma il privato guadagna.

Se le banche venete fossero state nazionalizzate, allora sì che la Unione Europea sarebbe insorta gridando alla violazione del libero mercato.

L’importante è che lo Stato, coi soldi dei cittadini, non aiuti se stesso e i cittadini che pagano, poi si può fare tutto.

In secondo luogo si può sospettare che Banca Intesa, che usufruisce del salvataggio, sia in tali buoni rapporti con la finanza internazionale, magari anche con quella tedesca, da far presagire nuovi più vasti affari europei.

In terzo luogo c’è la certezza che il governo italiano, per ottenere il via libera al salvataggio delle banche, abbia promesso alla Ue un bel po’ di massacro sociale e privatizzazioni, da realizzare con la prossima finanziaria.

Che dovrebbe procedere a tagli e svendite di servizi e beni pubblici per una cifra superiore ai 20 miliardi stanziati per le banche.

Così i conti tornano e del resto la logica è sempre la stessa: si prendono in ostaggio i lavoratori, i risparmiatori, i cittadini colpiti dalle crisi e poi, per salvarli, si autorizzano le speculazioni più sfacciate.

Nonostante ciò che urla la propaganda di regime, l’alternativa reale non è salvataggi pubblici o libero mercato.

La scelta vera è tra spendere il danaro pubblico a favore del profitto privato e della finanza, oppure per la proprietà pubblica e i cittadini.

A quest’ultima scelta si oppone oggi pesantemente l’Unione Europea, la più grande bad company di cui è necessario liberarsi.

(Giorgio Cremaschi, “La bad company è l’Unione Europea”, da “Micromega” del 4 luglio 2017).
UncleTom
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Economia a rotoli, Draghi pronto a congelare i conti correnti

Scritto il 22/8/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi




L’economia dell’Europa “è tornata a crescere”.

La disoccupazione “cala” anche in Italia.



Le cose vanno così bene, che la Ue sta meditando il congelamento dei depositi, in caso di crisi, per impedire la corsa agli sportelli che trascinerà tutte le banche nell’abisso.



Per salvare le banche, vi vieteranno di ritirare i vostri risparmi.

Lo ha raccontato la “Reuters” il 28 luglio.

La proposta è stata avanzata dall’Estonia, che ha la presidenza pro-tempore della Ue.

La questione è discussa dietro le quinte dall’inizio dell’anno, e ha avuto una accelerazione due mesi fa, quando un panico bancario con corsa agli sportelli ha contribuito al fallimento del Banco Popular, poi “salvata” inglobandola in Santander.

L’Estonia propone, «in caso di circostanze eccezionali», di bloccare tutti i “movimenti di capitale” da 5 a 20 giorni; fra i “capitali” sono espressamente compresi i depositi bancari, anche quelli sotto i 100 mila euro, che ci hanno fatto credere sono “garantiti” (da che?) anche se la vostra banca è fallita.

La Germania è a favore della proposta estone.

Altri paesi sono perplessi, e persino la lobby bancaria teme che questa misura non farà che «indurre i risparmiatori a ritirare i soldi prima».

Se ne riparlerà da settembre; l’Estonia – questa prima della classe e neofita del liberismo, ma incline al bisogno a tornare all’autoritarismo sovietico – preme perché il decreto sia approvato entro novembre (evidentemente temono qualcosa …).

In ogni caso dovrà essere approvato dal Parlamento Europeo.

La discussione, e il rimando all’autunno, già basta dimostrare come i “leader politici europei” non abbiano la minima idea di come gestire uniti il problema della banche in fallimento – una conferma dell’incapacità di un decennio fa, quando la Bce ha salvato la situazione, se vogliamo dir così, “stampando” miliardi su miliardi di euro per trattenere l’Europa “unita” dall’abisso.

La Banca Centrale, per conto delle banche private, ha assunto il potere reale e totale.

Ormai il potere dei politici e della democrazia, ossia del voto, è una finzione di fronte a istituzioni che possono non solo creare denaro dal nulla, ma anche fissare il costo del denaro del tutto artificialmente, «decidere la preferenza fra il presente e il futuro», ma anche «manipolare il rischio e la percezione del rischio».

Il che è reso necessario, nella logica della finanza globale, dal fatto che gli attivi delle banche sono una finzione – crediti che non valgono nulla – ma da cui dipende il valore di altri “attivi”.

Perché «le banche trasformano il breve termine in lungo termine, il poco rischioso in più rischioso, il poco liquido in liquido; e moltiplicano la moneta, la creano semplicemente concedendo altri crediti; i crediti fanno i depositi.

Tutto posa su promesse»: la promessa che qualcuno, un debitore, da qualche parte, continuerà a pagare gli interessi passivi sul suo debito.

Se tale debitore è, poniamo, lo Stato italiano, con il suo debito pubblico oltre il 130% del Pil, è chiaro che esso non sarà mai onorato.

Ma per le banche quel che conta è l’apparenza della solvibilità degli Stati, perché hanno usato i Bot per garantire altri “attivi” fantastici; se cadono i Bot, cadono tutti gli altri del castello di carte che vi hanno appoggiato sopra.

Occorre dunque che lo Stato continui ad apparire solvibile, continuamente rinnovabile; occorre anche che non sia deprezzato; lo Stato deve dunque aumentare la pressione fiscale, pagare gli interessi sul debito – e sui debiti nuovi contratti per rinnovare il debito, ossia rimandarne al futuro la resa dei conti. Bisogna che continuiamo, noi contribuenti, a pedalare la bicicletta della finanza privata (chiamasi usura), perché se si ferma cade.

Ora però la finzione è giunta al capolinea, come prova lo stesso fatto che la Banca Centrale sta prestando agli stati, e alle banche, a tasso zero, anzi sottozero.

E sul fatto che ormai, il debito mondiale supera il 375% del Pil globale – tale da far sembrare oculata la repubblica italiana. «Se vincono i populisti, la Bce li debellerà provocando una corsa agli sportelli».

I banchieri, gli Shylock, che contrariamente a noi hanno la memoria storica lunga, sanno che a questo punto il rischio è che i governi loro servi vengano rovesciati, e arrivino al potere dei “populisti”: che si riprendano la sovranità monetaria ed esercitino la prerogativa sovrana per eccellenza: il default, il rifiuto di pagare Shylock – e magari sbatterlo in galera.

Dunque stavolta hanno imparato e sanno come contrastare l’avvento della loro nemesi…


La Banca Centrale è già pronta: se dei “populisti” arriveranno al potere in qualche paese, Draghi li sconfiggerà provocando nel paese il panico bancario e la corsa agli sportelli: «Paralizzerà monetariamente il paese, spaventerà la gente per asfissiare le banche – e a meno di chiudere i confini alla fuga di capitali e decretare lo stato d’emergenza – misure decisamente impopolari – i populisti saranno spazzati via in qualche settimana dallo stesso popolo».


Così l’economista Bruno Berthez.


Non credete?

Ma Draghi l’ha già fatto: alla Grecia.

Ha sabotato i piani di Varoufakis per strappare una rinegoziazione del debito (impagabile) del paese, proprio favorendo una corsa agli sportelli delle banche greche, che ha fatto cadere nel panico i depositanti; la banca greca centrale ha ridotto la cifra che si poteva prelevare dai bancomat; in pochi giorni, Tsipras ha dovuto cedere.

La Grecia è oggi serva eterna dell’usuraio, deve dare a Shylock la sua porzione di carne vicino al cuore.

Dunque la Bce può fare il contrario di quello che la misura estone vuole scongiurare, vietando il ritiro dei depositi. Proprio così. Il dittatore totale è prontissimo a fare tutto e il contrario di tutto, per eternare il proprio potere.

Mica sono lì per fare il vostro bene e dire la verità; sono lì per il potere, solo quello.

(Maurizio Blondet, “L’economia va tanto bene, che l’Ue medita di bloccare i depositi”, dal blog di Blondet del 1° agosto 2017).
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