Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la SX?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
@iospero
In LOmbardia si è riusciti ad aprire un Forum : " http://albalombardo.forumup.it " , ma purtroppo non ha molto seguito. Su circa 500 firmatari del manifesto nella regione, si sono riuniti a Milano quasi una 50tina di persone e forse si sentono rappresentative .
Così non va, la rete deve essere usata meglio e deve dare la possibilità a tutti di esprimersi sui temi più importanti, per questo il Forum dovrebbe essere usato meglio.
Interessante sapere di questo forum. Purtroppo e' un po' difficile per tutti recuperare la fiducia persa nella politica e nei partiti.
Non sara' facile tutto questo ma ci dovremmo arrivare poiche non abbiamo alternative.
Purtroppo per quanto riguarda le discussioni nei forum queste non hanno ancora raggiunto la popolarita che forse dovrebbero avere. Ho usato il condizionale poiche' non e' ancora certo se il dialogare sul forum sia piu' utile che dialogare sulle sedi appropriate qualora ci fossero.
In assenza di queste, i forum possono essere considerati interessanti solo per il fatto che tengono aperto un dialogo con chi non trova altro modo di confrontarsi. Pero' c'e' sempre il pericolo che il tutto finisca col parlarci addosso e questo non va bene per niente anche se il confronto continuo con chi la pensa alla stesso modo non e' da dequalificare del tutto.
Il vero scopo dovrebbe essere quello di interloquire con le persone che contano. Purtroppo questo non si verifica quasi mai anche se posti negli appositi forum di partito. E' proprio questo che dovremmo analizzare maggiormante se sia giusto o sbagliato.
un salutone da Juan
In LOmbardia si è riusciti ad aprire un Forum : " http://albalombardo.forumup.it " , ma purtroppo non ha molto seguito. Su circa 500 firmatari del manifesto nella regione, si sono riuniti a Milano quasi una 50tina di persone e forse si sentono rappresentative .
Così non va, la rete deve essere usata meglio e deve dare la possibilità a tutti di esprimersi sui temi più importanti, per questo il Forum dovrebbe essere usato meglio.
Interessante sapere di questo forum. Purtroppo e' un po' difficile per tutti recuperare la fiducia persa nella politica e nei partiti.
Non sara' facile tutto questo ma ci dovremmo arrivare poiche non abbiamo alternative.
Purtroppo per quanto riguarda le discussioni nei forum queste non hanno ancora raggiunto la popolarita che forse dovrebbero avere. Ho usato il condizionale poiche' non e' ancora certo se il dialogare sul forum sia piu' utile che dialogare sulle sedi appropriate qualora ci fossero.
In assenza di queste, i forum possono essere considerati interessanti solo per il fatto che tengono aperto un dialogo con chi non trova altro modo di confrontarsi. Pero' c'e' sempre il pericolo che il tutto finisca col parlarci addosso e questo non va bene per niente anche se il confronto continuo con chi la pensa alla stesso modo non e' da dequalificare del tutto.
Il vero scopo dovrebbe essere quello di interloquire con le persone che contano. Purtroppo questo non si verifica quasi mai anche se posti negli appositi forum di partito. E' proprio questo che dovremmo analizzare maggiormante se sia giusto o sbagliato.
un salutone da Juan
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Beh, attenzione.pancho ha scritto:Che s'intende per collaborazione? Da come l'intendo io, la collaborazione se ha un'obiettivo serio e condivisibile, la si fa con tutti. Senza descriminazioni preconcette..peanuts ha scritto:Ma secondo voi in questo contesto di "costruzione" si può inserire una collaborazione con il M5S?
Mia opinione personale, sia chiaro.
un salutone da Juan
Grillo potrà non piacere nei modi ma dice un sacco di cose che diciamo noi. Rimborsi elettorali, stato sociale, d'alema e vecchie cariatidi varie fuori dal parlamento, riduzione drastica pensioni parlamentari, eccetera.
Difficile però dialogare con casini o, peggio, con alfano.
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
E dov'è finita questa nuova sinistra?
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Chiaro che questo e' il vero problema ma e' anche vero sapere cosa possiamo fare noi affinche rinsaca questa sinistra. Come vedi, gira e rigira la domanda e' sempre la stessa poiche il tutto, per forza di cose, deve e dovra' cadere giustamente sempre sulle ns.spalle se vogliamo che la democrazia parta dal basso.camillobenso ha scritto:E dov'è finita questa nuova sinistra?
un salutone da Juan
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Democrazia e finanza non vanno d'accordo,.......sentita nuovamente questa sera in tv.
In sostanza è il fascismo finanziario anticipato in sordina da Tremonti.
Santoro, sulla Grecia,......la scelta con referendum su cosa fare (rimanere/andarsene) non sta bene alle varie autorità europee e mondiali.
In sostanza è il fascismo finanziario anticipato in sordina da Tremonti.
Santoro, sulla Grecia,......la scelta con referendum su cosa fare (rimanere/andarsene) non sta bene alle varie autorità europee e mondiali.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Servizio pubblico
Landini vede in pericolo la democrazia in Europa.
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
camillobenso ha scritto:Democrazia e finanza non vanno d'accordo,.......sentita nuovamente questa sera in tv.
In sostanza è il fascismo finanziario anticipato in sordina da Tremonti.
Santoro, sulla Grecia,......la scelta con referendum su cosa fare (rimanere/andarsene) non sta bene alle varie autorità europee e mondiali.
E' questo il vero problema.In sostanza è il fascismo finanziario anticipato in sordina da Tremonti.
Ho aperto parecchi argomenti su questa domanda. http://forumisti.mondoforum.com/viewtop ... +economico
Mi son consumato 2 tastiere per farlo capire ma purtroppo non ho mai avuto risposte nette. Si e' sempre aggirato il problema
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Continuo a leggere i post su questo sito e continuo a trovare il nulla. E questo è un altro esempio.
http://www.soggettopoliticonuovo.it/201 ... manifesto/
L’aut aut che Monti non vede – Guido Viale (Il Manifesto)
Articolo del 21 agosto 2012
«It’s the economy, stupid»: era stato questo lo slogan vincente di Bill Clinton nella campagna contro George Bush (senior) vent’anni fa. Forse oggi è il caso di riprendere quelle stesse parole contro il ragionier Monti, economista di fama mondiale, che non riesce a spiegarsi come mai, avendo «messo i conti in ordine», lo spread italiano continui a essere il triplo di quello di altri paesi quasi altrettanto indebitati e senza quell’avanzo primario (la differenza tra entrate e spese dello Stato destinata al pagamento degli interessi) che nessun altro in Europa può vantare.
Le borse non sono cieche: spread alto ed economia a pezzi vanno insieme Il fatto è che con le sue misure «salvaitalia», «crescitalia», spending review e «spremilavoro» Monti ha letteralmente strangolato, e continua a strangolare, l’economia italiana: la sua base produttiva e occupazionale, le sue imprese, le sue potenzialità; mentre con il pareggio di bilancio in Costituzione e il fiscal compact ha posto le premesse perché nei prossimi anni e decenni l’economia italiana non possa mai più riprendersi: esattamente come in Grecia. Perché allora la finanza internazionale (e nazionale), che guarda alla sostanza delle cose e non ai discorsi, non dovrebbe aspettarsi che un programma del genere porti diritto al fallimento?
Lo spread è la dimostrazione che, in barba ai cosiddetti «fondamentali», la scommessa è proprio questa. A difesa di Monti si potrebbe argomentare che a non capire questa cosa elementare (o a fingere di non capirla, per nascondere altri obiettivi) non è solo lui ma che è in buona compagnia.
Innanzitutto del suo governo e dei partiti che lo sostengono; che continuano a blaterare di un “dopo Monti”, come se questo governo non stesse mettendo le premesse (addirittura in Costituzione!), perché il dopo non si differenzi minimamente dal prima (compreso il «prima di Monti», con cui è sempre più evidente la sostanziale continuità, a parte lo «stile» al posto del carnevale). Ma dietro o accanto a lui, a confermarlo nella sua pretesa di salvatore della patria, c’è tutto l’establishment della finanza internazionale, a partire da Goldman Sachs che lo ha allevato insieme al suo socio Draghi. Entrambi si presentano come i demiurghi dalle cui decisioni dipendono le sorti non solo dell’Italia ma anche quelle dell’euro, e insieme all’euro, dell’Unione europea – e per inevitabile contagio, come ben ha capito Obama, prigioniero anche lui, però, dello staff di finanzieri nelle cui mani si è messo contando di addomesticarli e non di esserne addomesticato – dell’economia mondiale. Ma entrambi cominciano a capire che il gioco in cui si sono messi è più grande di loro (nonostante tutta la «potenza di fuoco» che Draghi sostiene di voler mettere in campo); e forse più grande di chiunque altro al mondo.
Perché il modo di operare della finanza non è una congiura, ma un meccanismo cieco che nessuno in realtà governa: giacché è un contesto in cui ciascuno, anche le maggiori potenze del mondo, non può più agire se a difesa del proprio, per quanto immenso, «particulare»: che nel corso del tempo si è andato riducendo sempre più alla contabilità dei margini realizzati giorno per giorno: magari e per lo più, come si sta scoprendo giorno per giorno, attraverso meccanismi truffaldini: come la manipolazione del libor e dei rating, le scommesse contro governi o investitori di cui si è consulenti (i famigerati Cds, spacciati per il loro contrario, cioè assicurazioni contro il fallimento). O le modificazione delle regole delle vendite allo scoperto: quella con cui Draghi, allora ancora Governatore di Banca d’Italia, ha a suo tempo spianato la strada alla nomina di Monti.
Le regole con cui tenere sotto (parziale) controllo gli spiriti mortiferi della finanza, messi a punto tra la crisi del 1929 e la conferenza di Bretton Woods (a favore, per la verità, di una parte ridotta e privilegiata delle nazioni) sono state abolite da tempo in nome del pensiero unico, della deregolamentazione e della libera circolazione dei capitali. E con un solo obiettivo: privatizzare tutto e riprendere ai lavoratori quel poco che avevano conquistato in più di un secolo di lotta di classe.
Non saranno quindi né Monti né Draghi a porre un freno o a invertire questo processo. La partita tornerà ben presto in forme drammatiche e in un contesto tumultuoso e privo di mediazioni – distrutte o rese insignificanti dalla degenerazione della «politica» – nelle mani delle vittime del loro operato: ma in un contesto nazionale e internazionale carico di rischi autoritari e di elementi di confusione. È questo il quadro di riferimento di ogni possibile discussione sulla «ripresa» d’autunno.
http://www.soggettopoliticonuovo.it/201 ... manifesto/
L’aut aut che Monti non vede – Guido Viale (Il Manifesto)
Articolo del 21 agosto 2012
«It’s the economy, stupid»: era stato questo lo slogan vincente di Bill Clinton nella campagna contro George Bush (senior) vent’anni fa. Forse oggi è il caso di riprendere quelle stesse parole contro il ragionier Monti, economista di fama mondiale, che non riesce a spiegarsi come mai, avendo «messo i conti in ordine», lo spread italiano continui a essere il triplo di quello di altri paesi quasi altrettanto indebitati e senza quell’avanzo primario (la differenza tra entrate e spese dello Stato destinata al pagamento degli interessi) che nessun altro in Europa può vantare.
Le borse non sono cieche: spread alto ed economia a pezzi vanno insieme Il fatto è che con le sue misure «salvaitalia», «crescitalia», spending review e «spremilavoro» Monti ha letteralmente strangolato, e continua a strangolare, l’economia italiana: la sua base produttiva e occupazionale, le sue imprese, le sue potenzialità; mentre con il pareggio di bilancio in Costituzione e il fiscal compact ha posto le premesse perché nei prossimi anni e decenni l’economia italiana non possa mai più riprendersi: esattamente come in Grecia. Perché allora la finanza internazionale (e nazionale), che guarda alla sostanza delle cose e non ai discorsi, non dovrebbe aspettarsi che un programma del genere porti diritto al fallimento?
Lo spread è la dimostrazione che, in barba ai cosiddetti «fondamentali», la scommessa è proprio questa. A difesa di Monti si potrebbe argomentare che a non capire questa cosa elementare (o a fingere di non capirla, per nascondere altri obiettivi) non è solo lui ma che è in buona compagnia.
Innanzitutto del suo governo e dei partiti che lo sostengono; che continuano a blaterare di un “dopo Monti”, come se questo governo non stesse mettendo le premesse (addirittura in Costituzione!), perché il dopo non si differenzi minimamente dal prima (compreso il «prima di Monti», con cui è sempre più evidente la sostanziale continuità, a parte lo «stile» al posto del carnevale). Ma dietro o accanto a lui, a confermarlo nella sua pretesa di salvatore della patria, c’è tutto l’establishment della finanza internazionale, a partire da Goldman Sachs che lo ha allevato insieme al suo socio Draghi. Entrambi si presentano come i demiurghi dalle cui decisioni dipendono le sorti non solo dell’Italia ma anche quelle dell’euro, e insieme all’euro, dell’Unione europea – e per inevitabile contagio, come ben ha capito Obama, prigioniero anche lui, però, dello staff di finanzieri nelle cui mani si è messo contando di addomesticarli e non di esserne addomesticato – dell’economia mondiale. Ma entrambi cominciano a capire che il gioco in cui si sono messi è più grande di loro (nonostante tutta la «potenza di fuoco» che Draghi sostiene di voler mettere in campo); e forse più grande di chiunque altro al mondo.
Perché il modo di operare della finanza non è una congiura, ma un meccanismo cieco che nessuno in realtà governa: giacché è un contesto in cui ciascuno, anche le maggiori potenze del mondo, non può più agire se a difesa del proprio, per quanto immenso, «particulare»: che nel corso del tempo si è andato riducendo sempre più alla contabilità dei margini realizzati giorno per giorno: magari e per lo più, come si sta scoprendo giorno per giorno, attraverso meccanismi truffaldini: come la manipolazione del libor e dei rating, le scommesse contro governi o investitori di cui si è consulenti (i famigerati Cds, spacciati per il loro contrario, cioè assicurazioni contro il fallimento). O le modificazione delle regole delle vendite allo scoperto: quella con cui Draghi, allora ancora Governatore di Banca d’Italia, ha a suo tempo spianato la strada alla nomina di Monti.
Le regole con cui tenere sotto (parziale) controllo gli spiriti mortiferi della finanza, messi a punto tra la crisi del 1929 e la conferenza di Bretton Woods (a favore, per la verità, di una parte ridotta e privilegiata delle nazioni) sono state abolite da tempo in nome del pensiero unico, della deregolamentazione e della libera circolazione dei capitali. E con un solo obiettivo: privatizzare tutto e riprendere ai lavoratori quel poco che avevano conquistato in più di un secolo di lotta di classe.
Non saranno quindi né Monti né Draghi a porre un freno o a invertire questo processo. La partita tornerà ben presto in forme drammatiche e in un contesto tumultuoso e privo di mediazioni – distrutte o rese insignificanti dalla degenerazione della «politica» – nelle mani delle vittime del loro operato: ma in un contesto nazionale e internazionale carico di rischi autoritari e di elementi di confusione. È questo il quadro di riferimento di ogni possibile discussione sulla «ripresa» d’autunno.
Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Londra: se il Marxismo è ancora tra noi
Paolo Mossetti
«Il conflitto di classe sembrava semplice, un tempo: “La borghesia produce innanzi tutto i suoi seppellitori. La sua caduta ed il trionfo del proletariato sono altrettanto inevitabili”. Questo scrivevano Marx e Engels tra il 1847 e il 1848 nel secondo libro più venduto della storia, Il Manifesto del Partito comunista. Oggi, a 164 anni di distanza, la situazione è esattamente all’opposto. I proletari, lungi dal seppellire il capitalismo, lo stanno tenendo in vita artificialmente. Gli sfruttati e i sottopagati apparentemente liberati dalla più grande rivoluzione socialista della storia – quella cinese – sono condotti sull’orlo del suicidio per far continuare a giocare quelli in Occidente con i loro iPad. I soldi della Cina finanziano un’America altrimenti in bancarotta».
Inizia così un pezzo di Stuart Jeffries per il Guardian, dal titolo Why Marxism is on the rise again, perché il marxismo si sta rialzando di nuovo. Non un patetico foglio sovversivo, ma il più importante quotidiano progressista britannico decide di rispolverale i testi di Marx and Engels e si chiede come mai riescano ancora, nello scenario di macerie del mondo contemporaneo, ad alimentare una qualche speranza di cambiamento. La domanda non è del tutto peregrina, dato che dal 5 al 9 luglio si è tenuto a Londra il festival Marxism 2012. Non era una novità.
L’evento è organizzato da oltre un decennio dal Socialist Workers’ Party, un partito minoritario ben lontano dalle stanze dei bottoni. Ma questa volta è stato diverso: il festival ha ottenuto un’attenzione senza precedenti, soprattutto da parte dei più giovani. Ho deciso di farci un salto dopo aver aver ricevuto l’invito contemporaneamente da un amico ventenne artista di Camberwell, una traduttrice italiana di Islington, uno scrittore di New Cross e un anarchico sessantenne di Hackney.
Ci sentivamo in buona compagnia, anche prima del festival: l’editoria inglese sta sparando sugli scaffali munizioni letterarie di tutto rilievo, tali e tante da far pensare che il dibattito sul marxismo non sia del tutto esaurito – come invece pare essere in Italia. Terry Eagleton ha pubblicato l’anno scorso un libro intitolato Why Marx Was Right. Alain Badiou ha partorito un volume dalla copertina rossa col titolo The Communist Hypothesis. E si dichiarano senza alcun timore o tremore “marxisti” personaggi come l’ancora attivissimo Eric Hobsbawn, Jacques Ranciere, il sempre piu’ di moda Slavoj Žižek, il ventisettenne Owen Jones che ha affrontato la tematica dei chav – i tamarri inglesi – con l’ispirazione del primo Pasolini. Resta da vedere se le loro munizioni saranno di granata o di cerbottana.
Questione di epoca e di segnali: la più importante casa editrice radical anglosassone, la Verso, dopo aver quasi rischiato la bancarotta nel 2006, ora pubblica decine di nuovi titoli l’anno. Le vendite del Capitale, nonostante la concorrenza di self-help alla Coehlo e di self-made men alla Jobs, sono schizzate verso l’alto a partire dal 2008. E per fare ancora piu’ paura ai benpensanti progressisti: sarà un caso che i sondaggi dicono che nella Germania dell’Est e in generale in quasi tutti i paesi dell’ex Cortina di ferro c’e’ più nostalgia per il socialismo che entusiasmo per la Rivoluzione Digitale?
Parlando con amici scrittori e accademici non ho potuto non far notare, piu’ con disincanto che con malinconia, che di tutto questo sembra non esserci eco alcuna in Italia. E non perché l’Inghilterra, nonostante la sua verve intellettuale, non soffra di forme diffusissime di oppressione e manipolazione sociale, ma perché qui certe sacche minoritarie di resistenza sembrano potersi esprimere, e certi gruppi di discussione sono attivi persino nei media mainstream, e non ridotti al silenzio e al ridicolo. Ve li immaginate un Fatto, una Repubblica o una Stampa affrontare un dibattito sulla modernità di Marx anziché sulla diatriba Travaglio-D’Avanzo?
Augusto Illuminati commenta: «Il marxismo non gode di salute smagliante nell’accademia e nelle pubblicazioni ed è sparito completamente nell’area ex-Pci, che un tempo l’aveva ospitato, deformato, ma comunque trasmesso. C’è tuttavia la speranza che alcuni elementi rinascano nella crisi e dentro un ciclo di lotte, di cui abbiamo avuto indizi nel biennio scorso e forse qualche barlume anche ora. Sarà un marxismo difficilmente commisurabile alla tradizione che si perpetua». E Paolo Persichetti aggiunge: «Il cantiere marxiano è sempre stato attualissimo. Il problema investe invece la sua ricezione politica. Esiste oggi una prassi politica efficace che si ispira a Marx? A me non sembra affatto. I vari marxismi del Novecento non hanno più molto da dire. La sfida è sul terreno di una politica ancora tutta da reinventare».
http://www.alfabeta2.it/2012/09/10/lond ... a-tra-noi/
Paolo Mossetti
«Il conflitto di classe sembrava semplice, un tempo: “La borghesia produce innanzi tutto i suoi seppellitori. La sua caduta ed il trionfo del proletariato sono altrettanto inevitabili”. Questo scrivevano Marx e Engels tra il 1847 e il 1848 nel secondo libro più venduto della storia, Il Manifesto del Partito comunista. Oggi, a 164 anni di distanza, la situazione è esattamente all’opposto. I proletari, lungi dal seppellire il capitalismo, lo stanno tenendo in vita artificialmente. Gli sfruttati e i sottopagati apparentemente liberati dalla più grande rivoluzione socialista della storia – quella cinese – sono condotti sull’orlo del suicidio per far continuare a giocare quelli in Occidente con i loro iPad. I soldi della Cina finanziano un’America altrimenti in bancarotta».
Inizia così un pezzo di Stuart Jeffries per il Guardian, dal titolo Why Marxism is on the rise again, perché il marxismo si sta rialzando di nuovo. Non un patetico foglio sovversivo, ma il più importante quotidiano progressista britannico decide di rispolverale i testi di Marx and Engels e si chiede come mai riescano ancora, nello scenario di macerie del mondo contemporaneo, ad alimentare una qualche speranza di cambiamento. La domanda non è del tutto peregrina, dato che dal 5 al 9 luglio si è tenuto a Londra il festival Marxism 2012. Non era una novità.
L’evento è organizzato da oltre un decennio dal Socialist Workers’ Party, un partito minoritario ben lontano dalle stanze dei bottoni. Ma questa volta è stato diverso: il festival ha ottenuto un’attenzione senza precedenti, soprattutto da parte dei più giovani. Ho deciso di farci un salto dopo aver aver ricevuto l’invito contemporaneamente da un amico ventenne artista di Camberwell, una traduttrice italiana di Islington, uno scrittore di New Cross e un anarchico sessantenne di Hackney.
Ci sentivamo in buona compagnia, anche prima del festival: l’editoria inglese sta sparando sugli scaffali munizioni letterarie di tutto rilievo, tali e tante da far pensare che il dibattito sul marxismo non sia del tutto esaurito – come invece pare essere in Italia. Terry Eagleton ha pubblicato l’anno scorso un libro intitolato Why Marx Was Right. Alain Badiou ha partorito un volume dalla copertina rossa col titolo The Communist Hypothesis. E si dichiarano senza alcun timore o tremore “marxisti” personaggi come l’ancora attivissimo Eric Hobsbawn, Jacques Ranciere, il sempre piu’ di moda Slavoj Žižek, il ventisettenne Owen Jones che ha affrontato la tematica dei chav – i tamarri inglesi – con l’ispirazione del primo Pasolini. Resta da vedere se le loro munizioni saranno di granata o di cerbottana.
Questione di epoca e di segnali: la più importante casa editrice radical anglosassone, la Verso, dopo aver quasi rischiato la bancarotta nel 2006, ora pubblica decine di nuovi titoli l’anno. Le vendite del Capitale, nonostante la concorrenza di self-help alla Coehlo e di self-made men alla Jobs, sono schizzate verso l’alto a partire dal 2008. E per fare ancora piu’ paura ai benpensanti progressisti: sarà un caso che i sondaggi dicono che nella Germania dell’Est e in generale in quasi tutti i paesi dell’ex Cortina di ferro c’e’ più nostalgia per il socialismo che entusiasmo per la Rivoluzione Digitale?
Parlando con amici scrittori e accademici non ho potuto non far notare, piu’ con disincanto che con malinconia, che di tutto questo sembra non esserci eco alcuna in Italia. E non perché l’Inghilterra, nonostante la sua verve intellettuale, non soffra di forme diffusissime di oppressione e manipolazione sociale, ma perché qui certe sacche minoritarie di resistenza sembrano potersi esprimere, e certi gruppi di discussione sono attivi persino nei media mainstream, e non ridotti al silenzio e al ridicolo. Ve li immaginate un Fatto, una Repubblica o una Stampa affrontare un dibattito sulla modernità di Marx anziché sulla diatriba Travaglio-D’Avanzo?
Augusto Illuminati commenta: «Il marxismo non gode di salute smagliante nell’accademia e nelle pubblicazioni ed è sparito completamente nell’area ex-Pci, che un tempo l’aveva ospitato, deformato, ma comunque trasmesso. C’è tuttavia la speranza che alcuni elementi rinascano nella crisi e dentro un ciclo di lotte, di cui abbiamo avuto indizi nel biennio scorso e forse qualche barlume anche ora. Sarà un marxismo difficilmente commisurabile alla tradizione che si perpetua». E Paolo Persichetti aggiunge: «Il cantiere marxiano è sempre stato attualissimo. Il problema investe invece la sua ricezione politica. Esiste oggi una prassi politica efficace che si ispira a Marx? A me non sembra affatto. I vari marxismi del Novecento non hanno più molto da dire. La sfida è sul terreno di una politica ancora tutta da reinventare».
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Re: Come possiamo contribuire a far nascere un partito x la
Lettera a coloro che hanno aderito in vista del 2013
pubblicata da Soggetto Politico Nuovo il giorno Giovedì 20 settembre 2012 alle ore 10.52
Care e cari,
è arrivato anche per noi il momento di prepararci a “saltare” (Hic Rhodus, hic salta…). Di prepararci cioè a decidere sul “che fare” in vista delle elezioni politiche, con una discussione all’altezza dei propositi del nostro Manifesto, che non ne tradisca né il merito né il metodo. Da Parma in poi abbiamo detto che non stiamo con il PD che sostiene Monti, né nelle sue primarie prive di un orizzonte decente di contenuti; che vogliamo costruire un’alternativa a questo governo, al neoliberismo e alle politiche di austerità europee. Di che cosa fare di fronte a queste elezioni si parla nei nostri nodi e tra chi ci segue con simpatia, ma ora dobbiamo accelerare e stringere, perché il tempo non è molto (dobbiamo arrivare a una posizione entro massimo novembre) e molte le cose da fare.
Diciamo subito che questa discussione non parte da zero. Che alcuni punti fermi – alcuni “paletti” – già ci sono, ben chiari, nel definirne i termini. Almeno tre, inscritti nel nostro atto di nascita e parte del nostro DNA. Fin da quando a marzo abbiamo lanciato il Manifesto per un soggetto politico nuovo, e dall’Assemblea di Firenze, almeno tre messaggi sono stati chiarissimi:
1. La questione dell’urgenza. Abbiamo detto che ci muovevamo perché avvertivamo che non c’era più tempo. Che la crisi dei partiti tradizionali aveva raggiunto un punto tale (di non ritorno) da minacciare di contagiare le istituzioni e la stessa democrazia.
2. Il rifuto di un nuovo partitino. Un “soggetto politico nuovo”, non un “nuovo partito politico” per dire che si voleva avviare un processo di cambiamento radicale e totale nel modo di costruire e concepire la rappresentanza, non dare vita a una nuova micro-formazione tra le altre, come le altre, contro le altre.
3. Il metodo è il contenuto. Abbiamo ripetuto fino alla noia che la nostra identità consisteva nella volontà di uno stile diverso di fare politica, altri valori, certo, ma anche altre forme, altri metodi, altre pratiche non solo da proclamare a parole ma da mettere concretamente in atto nel modo di discutere, di decidere, di agire quotidianamente.
Ora, questi tre punti costituiscono le sponde entro cui condurre la nostra discussione sulla scadenza elettorale. Non ne prefigurano l’esito, ma sono le coordinate entro cui muoverci. Se non ci dicono con precisione che cosa fare, ci dicono che cosa non possiamo fare.
1. Non possiamo far finta di niente. Non possiamo “saltare un giro”. E’ la conseguenza diretta del primo punto. Non possiamo dire che per il 2013 “non siamo pronti”, che è meglio aspettare le amministrative – un terreno su cui certamente ci muoveremmo con maggiore facilità e disinvoltura -. Che dobbiamo ancora lavorare al nostro programma e alla nostra identità, prima di “fare il salto” (appunto). La crisi della politica è talmente profonda che apre uno spazio immenso: c’è oggi una massa di elettrici ed elettori “liquida”, in uscita massiccia dai contenitori tradizionali, lungo tutto l’arco dello schieramento politico. Un fiume in piena di “senza rappresentanza”, disgustati dai partiti che hanno retto in questi mesi la maggioranza del governo Monti e alla ricerca di un veicolo che permetta loro di farsi sentire. Questa “liquidità” politica è insieme una risorsa e una minaccia. Se intercettati, quegli elettori possono dare davvero una svolta al nostro sistema politico. Se lasciati orfani, possono produrre destabilizzazione e logoramento delle istituzioni. O coagularsi a formare “nuovi mostri”.
Saltare l’agenda elettorale dei prossimi mesi comporta il rischio di sparire del tutto e di non esistere nel momento forse più importante e pericoloso della nostra storia repubblicana. Tanto più che il quadro delle proposte elettorali che si stanno profilando rende il tutto ancor più urgente, non solo la crisi radicale di democrazia e rappresentanza, ma il paese reale e le sue ferite: record di disoccupazione, deindustrializzazione, disperazione operaia, precarietà assoluta giovanile. Si recita in questo teatro la vera antipolitica.
2. Non possiamo coltivare il “peccato” dell’autosufficienza. Non possiamo cioè pensare a una “lista Alba”, che in solitudine chiami a contarsi gli/le “albigesi”, né possiamo veicolarci nei e con i partiti esistenti. La situazione non offre spazi a una soluzione identitaria e non siamo nati per questo. Non possiamo che esser parte di un processo politico ampio – che guardi a una prospettiva “maggioritaria”, in grado cioè di parlare a una platea vastissima di donne e di uomini, non ai puri e duri già convinti – proseguendo nella costruzione di un soggetto politico nuovo e di uno spazio pubblico allargato, di quella Italia che stanno relegando in un angolo. Per questo, con questa parte di Italia, vogliamo costruire una proposta di grande ambizione, per le prossime politiche.
3. Non vogliamo un’altra “sinistra arcobaleno”. Un assemblaggio di sigle e partitini messi insieme con riunioni di vertice, accordi di segreteria, elaborazione del programma con bilancini e manuale Cencelli. Un puzzle pronto a rompersi subito dopo il voto. E soprattutto un metodo che contraddice la nostra costituzione originaria, il nostro Manifesto.
4. Non vogliamo affrontare la questione elettorale partendo dal tema delle alleanze e delle variabili delle leggi elettorali, ma partendo dai contenuti, dal progetto e dalle forme radicalmente nuove di pratica politica, da un’ambizione alta. Essere “realistici”, assumere una posizione di mediazione con questi partiti o dedicarci a calcoli elettorali, ci farebbe perdere senso. Il senso dell’emergenza in cui viviamo.
5. Non possiamo utilizzare i vecchi schemi. tra coloro che elaborano un’altra idea di come uscire dalla crisi economica, contenuti alternativi al pensiero neoliberista dominante. Abbiamo anche chiaro che la crisi non è solo di “economia” ma di cultura e di democrazia, in questa fase costituente del neoliberismo, che mira a liberarsi insieme della mediazione con il lavoro e della democrazia. E non si tratta solo di altri contenuti: nell’Italia che abbiamo visto nella primavera scorsa, nella campagna per i referendum nelle elezioni amministrative e nelle piazze, nel mondo di singole/i, associazioni e movimenti, che hanno circondato la Fiom in questi ultimi anni c’è vitalità politica e desiderio di partecipazione, ma anche fortissimo il bisogno di spazi nuovi per l’agire collettivo, altre forme del fare politica, di accogliere l’intera dimensione personale di donne e uomini, la loro vita, le loro relazioni, la difesa dei propri territori, di una dimensione comunitaria. Forme che non stanno più da un pezzo dentro la pratica dei partiti.
Dentro queste coordinate ogni soluzione è aperta, affidata alla discussione che condurremo collettivamente, a partire dai nodi della nostra rete, per coinvolgere la maggior parte di chi ha sottoscritto il nostro Manifesto.
Scelte organizzative, forme della partecipazione, scelta degli interlocutori, geografia delle alleanze, modalità di selezione delle candidature, delle donne e degli uomini che vorremmo vedere fare parte della nostra rappresentanza, tutto è affidato alla nostra capacità di dar vita a una discussione e ad un’elaborazione davvero collettiva e dal basso, nelle prossime settimane. Tenendo ben presente anche lo spirito con cui ci siamo imbarcati nell’avventura di ALBA: in primo luogo la nostra opzione “esistenziale”, chiamiamola così, per dare vita a un’altra politica nelle forme e nelle passioni.
LA PROPOSTA su cui intendiamo confrontarci e lavorare è la presentazione alle elezioni di una lista di democrazia radicale, una lista “arancione”, per un’altra Europa, antiliberista, per il lavoro e per i beni comuni, per la giustizia ambientale e sociale. Una lista che dia voce a quell’Italia vasta, tutt’altro che minoritaria, che tra il 2010 e il 2011 ha mosso il paese e prodotto la rottura culturale vera con il berlusconismo.
Non pensiamo a una lista della sola “ALBA”, sappiamo che tante e tanti altri stanno elaborando idee, praticando relazioni politiche e conflitti sociali. Pensiamo alle battaglie della Fiom e dei No-Tav, a quelle del Teatro Valle o del Macao per l’autogestione degli spazi comuni, alla proposta di De Magistris, alle riflessioni di Micromega, agli appelli che stanno uscendo da più realtà. Ce ne sentiamo parte, perché è il tentativo comune di dare voce, spazio di partecipazione e autorappresentanza, a quella società che già esiste, non solo civile ma politica, che in tante città ha vissuto la spinta e percepito la speranza del movimento “arancione” del 2011.
Proponiamo di ripartire dal lavoro, dalla difesa dei suoi diritti e della sua dignità. Dal lavoro inteso come relazione politica complessiva, appartenenza a una comunità: cioè non solo economicistica, ma capace di riconsiderare i tempi della produzione e della riproduzione, la cura del lavoro e il lavoro di cura, i ruoli e le relazioni fra i generi e prima ancora con i corpi, le emozioni, la sofferenza e l’amore, il paesaggio. Un principio di ragionamento, un’altra cultura della società.
Questa non è tanto o solo un’alternativa “di sinistra”, è qualche cosa che può parlare a un mondo molto più vasto che non sa nemmeno o non sa più che cos’è, nella perdita di senso della sinistra di questi anni. Un’alternativa di democrazia e tessuto collettivo, cura del territorio e partecipazione.
Potrebbe voler dire mettere insieme una parte molto significativa di chi ha votato centro-sinistra, tutto il mondo che ha combattuto per la Costituzione, il sindacalismo che ha difeso diritti e democrazia del lavoro, l’altra economia, il volontariato, le donne che hanno riempito le piazze del febbraio-marzo 2011. L’opposto del minoritarismo, costruzione di nuova egemonia. Dobbiamo proprio puntare altissimo, non esiste una via di mezzo.
Per questa proposta è di fondamentale importanza, occasione di reciproca valorizzazione, la campagna referendaria che sta aprendosi. Quegli stessi soggetti possono infatti tornare sulla scena in un’azione diffusa di presa di coscienza popolare per la riconquista dei diritti del lavoro e dei beni comuni, riempiendo della realtà della democrazia proprio i mesi che precedono la campagna elettorale.
Alla fine di questo percorso dovremo valutare insieme il coinvolgimento, le risposte che avremo, il grado di coinvolgimento realizzato.
Chi condivide questa proposta, chi è disposto a spendersi, come si realizza, ottiene la risposta larga e plurale che è necessaria?
Possiamo e dobbiamo verificare l’esito di questo percorso con gli strumenti democratici che sono già elementi fondanti della nostra bozza di statuto, ovvero con una consultazione vincolante referendaria. Per questo dobbiamo lanciare, al più presto, una discussione larga in tutti i nodi di ALBA, (entro settembre, già molti incontri sono fissati, altri ne fisseremo).
Per poi procedere alla verifica “ sul campo” , aprendo una discussione pubblica e partecipata in tutto il paese, con i soggetti sociali dell’altra Italia del biennio 2010-2011, con le realtà protagoniste del conflitto ambientale e sociale, avviando in ogni sede incontri e confronti. E occorre avere un riscontro completo di questa attività interna e esterna di confronto, una verifica vera, da cui potrebbe anche risultare che la nostra proposta non è praticabile.
Dobbiamo arrivare ad una comune valutazione in un tempo compatibile e, come già indicato nella bozza di nostro statuto, attuare entro fine novembre una consultazione generale referendaria di tutti gli/le aderenti ad ALBA, aperta a tutte e tutti coloro che si sentono parte di questo percorso. Soltanto dopo questo indispensabile percorso aperto di verifica affronteremo la questione delle alleanze, anche in base alla legge elettorale che ci sarà.
Un’ultima considerazione: è vero che una lista non è un soggetto politico. Questo richiede alla base la costruzione di un tessuto orizzontale, relazioni sociali, politiche e personali. Essa può costituire tuttavia un passo avanti nel processo di costruzione della nuova soggettività politica. Proprio per questo si richiedono regole nuove e radicalmente democratiche per selezionare candidature, incarichi, funzioni. Deve subito essere chiara una forte discontinuità con i modelli politici esistenti, con un forte senso di rinnovata responsabilità, collettiva (movimenti, associazioni, ecc.) ed individuale. Mettiamoci in cammino.
ALBA – Comitato esecutivo nazionale
10 settembre 2012
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pubblicata da Soggetto Politico Nuovo il giorno Giovedì 20 settembre 2012 alle ore 10.52
Care e cari,
è arrivato anche per noi il momento di prepararci a “saltare” (Hic Rhodus, hic salta…). Di prepararci cioè a decidere sul “che fare” in vista delle elezioni politiche, con una discussione all’altezza dei propositi del nostro Manifesto, che non ne tradisca né il merito né il metodo. Da Parma in poi abbiamo detto che non stiamo con il PD che sostiene Monti, né nelle sue primarie prive di un orizzonte decente di contenuti; che vogliamo costruire un’alternativa a questo governo, al neoliberismo e alle politiche di austerità europee. Di che cosa fare di fronte a queste elezioni si parla nei nostri nodi e tra chi ci segue con simpatia, ma ora dobbiamo accelerare e stringere, perché il tempo non è molto (dobbiamo arrivare a una posizione entro massimo novembre) e molte le cose da fare.
Diciamo subito che questa discussione non parte da zero. Che alcuni punti fermi – alcuni “paletti” – già ci sono, ben chiari, nel definirne i termini. Almeno tre, inscritti nel nostro atto di nascita e parte del nostro DNA. Fin da quando a marzo abbiamo lanciato il Manifesto per un soggetto politico nuovo, e dall’Assemblea di Firenze, almeno tre messaggi sono stati chiarissimi:
1. La questione dell’urgenza. Abbiamo detto che ci muovevamo perché avvertivamo che non c’era più tempo. Che la crisi dei partiti tradizionali aveva raggiunto un punto tale (di non ritorno) da minacciare di contagiare le istituzioni e la stessa democrazia.
2. Il rifuto di un nuovo partitino. Un “soggetto politico nuovo”, non un “nuovo partito politico” per dire che si voleva avviare un processo di cambiamento radicale e totale nel modo di costruire e concepire la rappresentanza, non dare vita a una nuova micro-formazione tra le altre, come le altre, contro le altre.
3. Il metodo è il contenuto. Abbiamo ripetuto fino alla noia che la nostra identità consisteva nella volontà di uno stile diverso di fare politica, altri valori, certo, ma anche altre forme, altri metodi, altre pratiche non solo da proclamare a parole ma da mettere concretamente in atto nel modo di discutere, di decidere, di agire quotidianamente.
Ora, questi tre punti costituiscono le sponde entro cui condurre la nostra discussione sulla scadenza elettorale. Non ne prefigurano l’esito, ma sono le coordinate entro cui muoverci. Se non ci dicono con precisione che cosa fare, ci dicono che cosa non possiamo fare.
1. Non possiamo far finta di niente. Non possiamo “saltare un giro”. E’ la conseguenza diretta del primo punto. Non possiamo dire che per il 2013 “non siamo pronti”, che è meglio aspettare le amministrative – un terreno su cui certamente ci muoveremmo con maggiore facilità e disinvoltura -. Che dobbiamo ancora lavorare al nostro programma e alla nostra identità, prima di “fare il salto” (appunto). La crisi della politica è talmente profonda che apre uno spazio immenso: c’è oggi una massa di elettrici ed elettori “liquida”, in uscita massiccia dai contenitori tradizionali, lungo tutto l’arco dello schieramento politico. Un fiume in piena di “senza rappresentanza”, disgustati dai partiti che hanno retto in questi mesi la maggioranza del governo Monti e alla ricerca di un veicolo che permetta loro di farsi sentire. Questa “liquidità” politica è insieme una risorsa e una minaccia. Se intercettati, quegli elettori possono dare davvero una svolta al nostro sistema politico. Se lasciati orfani, possono produrre destabilizzazione e logoramento delle istituzioni. O coagularsi a formare “nuovi mostri”.
Saltare l’agenda elettorale dei prossimi mesi comporta il rischio di sparire del tutto e di non esistere nel momento forse più importante e pericoloso della nostra storia repubblicana. Tanto più che il quadro delle proposte elettorali che si stanno profilando rende il tutto ancor più urgente, non solo la crisi radicale di democrazia e rappresentanza, ma il paese reale e le sue ferite: record di disoccupazione, deindustrializzazione, disperazione operaia, precarietà assoluta giovanile. Si recita in questo teatro la vera antipolitica.
2. Non possiamo coltivare il “peccato” dell’autosufficienza. Non possiamo cioè pensare a una “lista Alba”, che in solitudine chiami a contarsi gli/le “albigesi”, né possiamo veicolarci nei e con i partiti esistenti. La situazione non offre spazi a una soluzione identitaria e non siamo nati per questo. Non possiamo che esser parte di un processo politico ampio – che guardi a una prospettiva “maggioritaria”, in grado cioè di parlare a una platea vastissima di donne e di uomini, non ai puri e duri già convinti – proseguendo nella costruzione di un soggetto politico nuovo e di uno spazio pubblico allargato, di quella Italia che stanno relegando in un angolo. Per questo, con questa parte di Italia, vogliamo costruire una proposta di grande ambizione, per le prossime politiche.
3. Non vogliamo un’altra “sinistra arcobaleno”. Un assemblaggio di sigle e partitini messi insieme con riunioni di vertice, accordi di segreteria, elaborazione del programma con bilancini e manuale Cencelli. Un puzzle pronto a rompersi subito dopo il voto. E soprattutto un metodo che contraddice la nostra costituzione originaria, il nostro Manifesto.
4. Non vogliamo affrontare la questione elettorale partendo dal tema delle alleanze e delle variabili delle leggi elettorali, ma partendo dai contenuti, dal progetto e dalle forme radicalmente nuove di pratica politica, da un’ambizione alta. Essere “realistici”, assumere una posizione di mediazione con questi partiti o dedicarci a calcoli elettorali, ci farebbe perdere senso. Il senso dell’emergenza in cui viviamo.
5. Non possiamo utilizzare i vecchi schemi. tra coloro che elaborano un’altra idea di come uscire dalla crisi economica, contenuti alternativi al pensiero neoliberista dominante. Abbiamo anche chiaro che la crisi non è solo di “economia” ma di cultura e di democrazia, in questa fase costituente del neoliberismo, che mira a liberarsi insieme della mediazione con il lavoro e della democrazia. E non si tratta solo di altri contenuti: nell’Italia che abbiamo visto nella primavera scorsa, nella campagna per i referendum nelle elezioni amministrative e nelle piazze, nel mondo di singole/i, associazioni e movimenti, che hanno circondato la Fiom in questi ultimi anni c’è vitalità politica e desiderio di partecipazione, ma anche fortissimo il bisogno di spazi nuovi per l’agire collettivo, altre forme del fare politica, di accogliere l’intera dimensione personale di donne e uomini, la loro vita, le loro relazioni, la difesa dei propri territori, di una dimensione comunitaria. Forme che non stanno più da un pezzo dentro la pratica dei partiti.
Dentro queste coordinate ogni soluzione è aperta, affidata alla discussione che condurremo collettivamente, a partire dai nodi della nostra rete, per coinvolgere la maggior parte di chi ha sottoscritto il nostro Manifesto.
Scelte organizzative, forme della partecipazione, scelta degli interlocutori, geografia delle alleanze, modalità di selezione delle candidature, delle donne e degli uomini che vorremmo vedere fare parte della nostra rappresentanza, tutto è affidato alla nostra capacità di dar vita a una discussione e ad un’elaborazione davvero collettiva e dal basso, nelle prossime settimane. Tenendo ben presente anche lo spirito con cui ci siamo imbarcati nell’avventura di ALBA: in primo luogo la nostra opzione “esistenziale”, chiamiamola così, per dare vita a un’altra politica nelle forme e nelle passioni.
LA PROPOSTA su cui intendiamo confrontarci e lavorare è la presentazione alle elezioni di una lista di democrazia radicale, una lista “arancione”, per un’altra Europa, antiliberista, per il lavoro e per i beni comuni, per la giustizia ambientale e sociale. Una lista che dia voce a quell’Italia vasta, tutt’altro che minoritaria, che tra il 2010 e il 2011 ha mosso il paese e prodotto la rottura culturale vera con il berlusconismo.
Non pensiamo a una lista della sola “ALBA”, sappiamo che tante e tanti altri stanno elaborando idee, praticando relazioni politiche e conflitti sociali. Pensiamo alle battaglie della Fiom e dei No-Tav, a quelle del Teatro Valle o del Macao per l’autogestione degli spazi comuni, alla proposta di De Magistris, alle riflessioni di Micromega, agli appelli che stanno uscendo da più realtà. Ce ne sentiamo parte, perché è il tentativo comune di dare voce, spazio di partecipazione e autorappresentanza, a quella società che già esiste, non solo civile ma politica, che in tante città ha vissuto la spinta e percepito la speranza del movimento “arancione” del 2011.
Proponiamo di ripartire dal lavoro, dalla difesa dei suoi diritti e della sua dignità. Dal lavoro inteso come relazione politica complessiva, appartenenza a una comunità: cioè non solo economicistica, ma capace di riconsiderare i tempi della produzione e della riproduzione, la cura del lavoro e il lavoro di cura, i ruoli e le relazioni fra i generi e prima ancora con i corpi, le emozioni, la sofferenza e l’amore, il paesaggio. Un principio di ragionamento, un’altra cultura della società.
Questa non è tanto o solo un’alternativa “di sinistra”, è qualche cosa che può parlare a un mondo molto più vasto che non sa nemmeno o non sa più che cos’è, nella perdita di senso della sinistra di questi anni. Un’alternativa di democrazia e tessuto collettivo, cura del territorio e partecipazione.
Potrebbe voler dire mettere insieme una parte molto significativa di chi ha votato centro-sinistra, tutto il mondo che ha combattuto per la Costituzione, il sindacalismo che ha difeso diritti e democrazia del lavoro, l’altra economia, il volontariato, le donne che hanno riempito le piazze del febbraio-marzo 2011. L’opposto del minoritarismo, costruzione di nuova egemonia. Dobbiamo proprio puntare altissimo, non esiste una via di mezzo.
Per questa proposta è di fondamentale importanza, occasione di reciproca valorizzazione, la campagna referendaria che sta aprendosi. Quegli stessi soggetti possono infatti tornare sulla scena in un’azione diffusa di presa di coscienza popolare per la riconquista dei diritti del lavoro e dei beni comuni, riempiendo della realtà della democrazia proprio i mesi che precedono la campagna elettorale.
Alla fine di questo percorso dovremo valutare insieme il coinvolgimento, le risposte che avremo, il grado di coinvolgimento realizzato.
Chi condivide questa proposta, chi è disposto a spendersi, come si realizza, ottiene la risposta larga e plurale che è necessaria?
Possiamo e dobbiamo verificare l’esito di questo percorso con gli strumenti democratici che sono già elementi fondanti della nostra bozza di statuto, ovvero con una consultazione vincolante referendaria. Per questo dobbiamo lanciare, al più presto, una discussione larga in tutti i nodi di ALBA, (entro settembre, già molti incontri sono fissati, altri ne fisseremo).
Per poi procedere alla verifica “ sul campo” , aprendo una discussione pubblica e partecipata in tutto il paese, con i soggetti sociali dell’altra Italia del biennio 2010-2011, con le realtà protagoniste del conflitto ambientale e sociale, avviando in ogni sede incontri e confronti. E occorre avere un riscontro completo di questa attività interna e esterna di confronto, una verifica vera, da cui potrebbe anche risultare che la nostra proposta non è praticabile.
Dobbiamo arrivare ad una comune valutazione in un tempo compatibile e, come già indicato nella bozza di nostro statuto, attuare entro fine novembre una consultazione generale referendaria di tutti gli/le aderenti ad ALBA, aperta a tutte e tutti coloro che si sentono parte di questo percorso. Soltanto dopo questo indispensabile percorso aperto di verifica affronteremo la questione delle alleanze, anche in base alla legge elettorale che ci sarà.
Un’ultima considerazione: è vero che una lista non è un soggetto politico. Questo richiede alla base la costruzione di un tessuto orizzontale, relazioni sociali, politiche e personali. Essa può costituire tuttavia un passo avanti nel processo di costruzione della nuova soggettività politica. Proprio per questo si richiedono regole nuove e radicalmente democratiche per selezionare candidature, incarichi, funzioni. Deve subito essere chiara una forte discontinuità con i modelli politici esistenti, con un forte senso di rinnovata responsabilità, collettiva (movimenti, associazioni, ecc.) ed individuale. Mettiamoci in cammino.
ALBA – Comitato esecutivo nazionale
10 settembre 2012
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