Renzi

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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Re: Renzi

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REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO






IL GESTO PIÙ UTILE CHE RENZI PUÒ FARE
STEFANO FOLLI

SPIEGARE le disavventure della politica come effetto di congiure e complotti è sempre segno di grave debolezza. Un modo per rifiutare la realtà quando questa risulta spiacevole. S’intende, i complotti talvolta esistono, ma sono efficaci se rivolti verso obiettivi circoscritti: ad esempio annichilire un avversario o tagliare le gambe a un candidato sgradito. Ne abbiamo avuto qualche esempio nella politica italiana degli anni recenti. Servono a poco, invece, quando c’è da approfondire le cause di una sconfitta. O riconsiderare una strategia sbagliata. Nel Pd la tensione interna è palpabile, ma non ha ancora dato luogo a un esame critico degli errori commessi nell’ultimo anno. Da quando la campagna sul referendum costituzionale — un momento non privo di solennità che richiedeva il massimo rispetto per il cittadino chiamato a esprimersi sulla Carta fondamentale — si trasformò nella battaglia personale di un uomo, Renzi, contro il resto del mondo. La mancata analisi di quella disfatta è all’origine della crisi che attraversa oggi il Pd. In mezzo ci sono tre passaggi solo in apparenza privi di nesso: la scissione; le primarie che hanno di nuovo consacrato Renzi segretario del partito; e le elezioni comunali, in cui il leader della formazione più importante è rimasto sempre silente e di fatto indifferente agli esiti del voto. Le primarie dovevano restituire al Pd una salda leadership, dopo che Renzi aveva disatteso la promessa di ritirarsi dalla vita pubblica in caso di insuccesso al referendum. In pratica hanno suggellato il partito personale in un rapporto carismatico fra il leader e i suoi fedeli elettori. Gli altri, dirigenti e capi-corrente, sono una sovrastruttura destinata prima o poi a essere spazzata via (si veda la direzione composta da giovani militanti). Di conseguenza le elezioni amministrative sono apparse un accadimento minore sulla via dell’unica prospettiva che conta: le elezioni politiche da celebrare il prima possibile, così da affrettare il ritorno a Palazzo Chigi. In che modo? Attraverso quale percorso, considerando che non si prevede un vincitore sicuro e, anzi, i sondaggi delineano un Parlamento ingovernabile (“impiccato”, dicono gli inglesi)? Qui entra in gioco la straordinaria fiducia in se stesso di Renzi, il suo volontarismo. Se un milione e ottocentomila italiani mi hanno votato nelle primarie — ecco più o meno il ragionamento — cosa impedisce di credere che in proporzione una massa di italiani mi voterà alle politiche, consegnandomi una vittoria che gli scettici escludono e che invece è a portata di mano? A patto ovviamente di liberarmi di lacci e laccioli, cioè di tutti i notabili vecchi e nuovi. Anche se accampati all’esterno come il più insidioso di tutti: Romano Prodi. Questo spiega perché il magro bottino di domenica viene presentato come una mezza vittoria. Se la realtà non piace, meglio rimuoverla. E laddove la sconfitta non si può celare, va attribuita alla congiura dei nemici interni. «Non bisogna cambiare le decisioni del partito, bisogna cambiare il popolo» diceva Brecht in un famoso paradosso. In questo caso, gli elettori di Genova e delle altre città vanno messi fra parentesi perché disturbano, sono un ostacolo lungo il cammino che conduce alla grande sfida finale. Uno contro tutti, come sempre. Se questa è la scelta, i rischi sono notevoli. Gli stessi che si corrono puntando tutto su un numero alla “roulette”. Attendiamoci frizioni sempre più aspre. Quando un personaggio compassato come Franceschini o una figura storica come Veltroni lanciano l’allarme, vuol dire che è stato superato il livello di guardia. Il capo è stato plebiscitato dalle primarie, ma i dirigenti e i quadri intermedi sono disorientati e stanno perdendo la fiducia in lui. È una contraddizione esplosiva che Renzi può sanare con una semplice mossa: rinunciando a candidarsi a Palazzo Chigi. Del resto, rinuncerebbe a qualcosa che in ogni caso è irrealizzabile. Quasi nessuno crede che possa essere lui il premier in grado di creare una coalizione: servirebbe una tendenza alla mediazione che non fa parte del bagaglio renziano. Inoltre, in un sistema proporzionale il presidente del Consiglio lo sceglie Mattarella. E a Palazzo Chigi oggi c’è un uomo, Gentiloni, che si fa apprezzare anche all’estero per il suo equilibrio. Un simile gesto, da parte di Renzi, restituirebbe pace al partito. Toglierebbe dal tavolo l’impressione che si sta giocando solo una spietata lotta di potere. E farebbe di Renzi un politico che sa pensare anche all’interesse generale, quando è necessario.
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REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO




STORIA DI UN PICCOLO TRUFFATORE DI PROVINCIA TOSCANO, CHE AI TEMPI DELLA SCUOLA GLI AMICI CHIAMAVANO “IL BOMBA”, PERCHE’ LE SPARAVA SEMPRE GROSSE.


Politica | Di F. Q.
“In corso un attacco al partito. Fuori dal
Pd c’è solo la sconfitta della sinistra”
A Milano il renzismo filo-berlusconiano


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IlFattoQuotidiano.it / Politica


Matteo Renzi risponde alle critiche dopo le amministrative: “Partito sotto attacco. Fuori dal Pd, c’è la sconfitta della sinistra”
di F. Q. | 1 luglio 2017

Politica
L'intervento del segretario all'assemblea dei circoli, in corso a Milano, è in buona parte dedicata a demolire le critiche, interne ed esterne, piovute dopo la sconfitta ai ballottaggi. A chi chiede di guardare a sinistra per la creare una coalizione: "Non ho nostalgia dell'Unione: si parlavano addosso invece di parlare agli italiani. Con quel meccanismo, il Paese si è fermato non è andato avanti. Ho nostalgia di Veltroni, che immaginava un Pd diverso"
di F. Q. | 1 luglio 2017
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Più informazioni su: Matteo Renzi, Milano, PD
“Chi immagina il centrosinistra senza il Pd vince il premio Nobel della fantasia, ma non raggiunge alcun risultato concreto”. Matteo Renzi si sfoga nel corso dell’intervento all’assemblea dei circoli del Partito Democratico. Lo fa puntando il dito contro chi dentro – e accanto – al partito nella settimana dopo i ballottaggi ha rimesso in discussione la sua leadership o sta cercando sponde e alleanze per costruire un’alleanza tra i fuoriusciti dai dem. E che nello stesso momento sono riuniti a Roma, a piazza Santi Apostoli. Buona parte del discorso del segretario è dedicato – senza mai nominarli – a quelli delle “polemicuzze”, le chiama così. Ai vari Franceschini, Bersani, D’Alema, Pisapia.
“È un attacco contro il Pd. Ma così attaccano l’unica diga che c’è in Italia contro i populisti – attacca il segretario – Fuori dal Pd non c’è la rivoluzione socialista, marxista, leninista, ma M5s o la Lega. Fuori non c’è la sinistra di lotta e di governo ma la sconfitta della sinistra”. La prima parte del suo intervento nel secondo giorno dell’assemblea a Milano è tutto incentrato sulla difesa dal fronte interno. Tira dritto, Renzi: “Noi siamo molto, molto in difficoltà perché adesso c’è un mondo là fuori che ha raccontato tutta un’altra storia e si aspetta che io parli di coalizioni, di legge elettorale, di emendamenti, e noi siamo qua a parlare di altro, perché pensiamo che la politica sia cosa seria”.


Non lo cita, ma ribatte anche a Dario Francheschini, la voce più autorevole tra coloro che hanno detto “qualcosa non va, deve unire” aggiungendo che la “discussione è appena aperta”. Mentre i fedelissimi di Renzi hanno provato a spegnere le polemiche. Allo stesso tempo è una risposta anche a Giuliano Pisapia, che lo aveva sfidato a fare le primarie di coalizione: “Due mesi fa, le primarie. Non mi aspettavo 2 milioni di persone. Per qualcuno sono con la scadenza: vogliono le primarie autunno-inverno, primavera-estate. Ma cosa hanno detto le primarie? Hanno dimostrato che nel Pd conta la gente. Io rispondo alle primarie, non ai capi-corrente, corrente, ai caminetti”.
E ancora: “Non ho nostalgia dell’Unione: si parlavano addosso invece di parlare agli italiani. Con quel meccanismo, il Paese si è fermato non è andato avanti”. Quindi il richiamo al sogno maggioritario: “Ho nostalgia di altro, di Walter Veltroni che ha immaginato un Pd diverso. Aveva ragione a dire ‘Non stiamo contro Berlusconi, ma stiamo insieme noi per idea nuova di Paese'”. Eppure anche il fondatore del partito lo aveva punzecchiato negli scorsi giorni in un’intervista a La Repubblica: “A Renzi ho sempre riconosciuto che la sua ispirazione di fondo somigliava a quella del Lingotto. Ma ora, e gliel’ho detto con sincerità, faccia a faccia, gli consiglio di cambiare passo, serve una nuova stagione“.
Poi torna a martellare sulle divisioni del partito: “C’è un virus dell’autodistruzione della sinistra: nelle due settimane successive alle primarie, i sondaggi sono andati bene. Ed è partita immediatamente la polemica interna. Ho passato il primo semestre del 2017 a capire chi fabbrica prove false contro me e la mia famiglia – dice riferendosi al caso Consip che vede il padre, Tiziano, indagato per traffico d’influenze – Non mi preoccupa, quindi, un attacco contro il Pd. Non sono preoccupato per me, difendo questa comunità”.
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REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO


Gli asini volano????????

Per quella parte di italiani che si definisce “renziana”, sì, …. credono agli asini che volano.

Uno che crede alle panzane del maestro di Trombone, in arte Pinocchio Mussoloni, non può non credere agli asini che volano.





Vaccini, Renzi: “Una società che non fa vaccinare i bambini è incivile. Nostra verità non teme scie chimiche e sirene”
di Gisella Ruccia | 1 luglio 2017
• 2,3 mila


Più informazioni su: Matteo Renzi, Movimento 5 Stelle, PD, Vaccini




“Noi del Pd dobbiamo parlare di vaccini, di scuola, di cultura. E andremo a discutere nel merito con tutti, anche coi genitori che non vogliono vaccinare i figli. E diremo che siamo orgogliosi di fare un pezzo di strada con persone che vengono dal mondo della società civile che si contrasta alla società incivile, perché una società che non fa vaccinare i bambini è una società incivile“. Così il leader dem, Matteo Renzi, si pronuncia sulla obbligatorietà dei vaccini, intervenendo al Forum Nazionale dei circoli di partito a Milano. E non sono mancate le occasioni in cui il segretario del Pd si è tolto i sassolini dalla scarpa contro le correnti interne avverse e contro il M5S. Renzi, oltre a invocare “un vaccino contro le bufale, la miopia, la stupidità, le falsità”, ha sottolineato, rivolgendosi ironicamente al professor Roberto Burioni, ospite dell’evento: “C’è un virus per cui non c’è vaccino: il virus dell’autodistruzione della sinistra. Nei 15 giorni successivi alle primarie del Pd, i sondaggi hanno iniziato ad andare bene: 31-32%. Allora è partita immediatamente la politica interna. Ma parliamoci chiaramente: ormai ci siamo abituati. Venghino, signori, venghino. Prego, accomodatevi. Io ho passato il primo semestre del 2017 a cercare di capire chi fabbrica prove false su di me e sulla mia famiglia, figuratevi se è un problema se parte una discussione interna. Noi siamo sorridenti e tranquilli. Il punto, però” – ha continuato – “è che questo attacco è contro il Pd, non contro di me. Attacchi cioè l’unica diga che c’è in Italia contro i populisti, una realtà che sia da destra sia da sinistra non è in grado di rispondere alle esigenze della gente. E chi immagina di fare il centrosinistra senza il Pd vince il Premio Nobel della fantasia. Non ho nostalgia dei tavoloni dell’Unione con 12 sigle di alleanze e litigavano dalla mattina alla sera. Con quel meccanismo lì l’Italia si è fermata e io voglio andare avanti. Aveva ragione Veltroni quando diceva che non stiamo contro Berlusconi, ma stiamo insieme per una idea di Paese”. Poi la stoccata al M5S: “Noi siamo nel tempo delle falsità. Ma c’è una verità che non ha paura delle scie chimiche e dei falsi allunaggi. Una verità che pensa che nel Mediterraneo ci siano i migranti e non le sirene, come ha detto una deputata del M5S. Tocca a noi del Pd separare il segnale dal rumore. Non possiamo stare a inseguirli su ogni polemica, su ogni discussione, su ogni critica”

http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07 ... e/3700186/
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IlFattoQuotidiano.it / Lavoro & Precari





L’Unità, “inizio con Gramsci, fine con Renzi”. I lavoratori contro il segretario Pd: “Ha rottamato noi e i nostri diritti”



VIDEO: 02:27
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07 ... i/3701535/


di Manolo Lanaro | 2 luglio 2017

commenti (41)
 3 mila


Più informazioni su: Giuliano Pisapia, L'Unità, Matteo Renzi, PD, Pier Luigi Bersani


I giornalisti de L’Unità sono venuti in Piazza Santi Apostoli a Roma, nella piazza di Pisapia e Articolo 1-Mdp per manifestare contro le decisioni del gruppo dirigente del Pd che hanno appena lanciato ‘Democratica’ la nuova iniziativa editoriale dem. L’Unità è stata completamente abbandonata. Siamo trentacinque famiglie senza stipendio da mesi e senza cassa integrazione, stiamo vivendo una situazione drammatica ed ora al danno, si aggiunge la beffa della nascita di ‘Democratica‘: evidentemente l’obicettivo del Pd e di Renzi era questo. Liberarsi de L’Unità. La rottamazione di Renzi si è spinta fino a rottamare l’Unità senza neppure tutelare i diritti dei lavoratori. Non so se questa è una cosa possibile per un partito che si chiama ‘Democratico’ e Renzi – concludono i lavoratori – non si può tirare fuori da questa situazione, scaricando le responsabilità sui privati”









di Manolo Lanaro | 2 luglio 2017
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Re: Renzi

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A cosa serve conquistarsi una fetta di potere???

A SMANETTARE IN QUESTE DIREZIONI




Consip, Lillo perquisito consegna il cellulare
“Io e Sciarelli costretti. Per Tiziano Renzi nulla”
I magistrati di Napoli hanno emesso un decreto di perquisizione per il vicedirettore del Fatto Quotidiano dopo un esposto dell’imprenditore Romeo (in carcere) per il contenuto del libro Di Padre in figlio

Giustizia & Impunità
Chi indaga cerca un atto giudiziario ben preciso: si tratta di un’informativa del Noe di Napoli, per l’esattezza quella del 9 gennaio pubblicata da Corriere della Sera, Repubblica e Messaggero il giorno dell’interrogatorio del padre dell’ex premier, indagato per traffico illecito di influenze (di V. Iurillo). Marco Lillo prima di entrare nella caserma della Guardia di Finanza di Montegiordano (Cs): “Rispettiamo la legge e il lavoro dei magistrati, ma non posso non notare che due diverse procure possono scandagliare i cellulari privati di due giornalisti, mentre per il padre dell’ex premier non è stato fatto nulla”
di F. Q.
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Re: Renzi

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IL GRANDE SODOMIZZATORE




Renzi tira dritto: "Lo Ius soli è una questione di civiltà"
Alla Direzione Pd il segretario chiede al partito più concretezza e meno litigi
Lucio Di Marzo - Gio, 06/07/2017 - 16:34
commenta
Più attenzione alle riforme e ai "temi concreti" e meno tempo sprecato a discutere all'interno del partito.

È questo che Matteo Renzi chiude ai Democratici, durante i lavori della direzione Pd, spingendo i suoi a ragionare su ciò che interessa ai cittadini, piuttosto che su dinamiche che non appassionano.
Aprendo i lavori, il segretario ha chiesto ai suoi di andare "avanti sullo Ius soli", definendolo "un principio di civiltà" e sostenendo che non si possa ignorare il capitolo immigrazione, perché "sarà il tema della prossima campagna elettorale e di quelle dei prossimi 20 anni".
Poi i complimenti al ministro dell'Interno, Marco Minniti, e l'annuncio di un tour in tutto il Paese per i prossimi dieci mesi, chiedendo nel frattempo ai membri del partito di "essere classe dirigente" e non parlarsi addosso, "essere finestra" degli elettori e non "specchio di se stessi", in vista di elezioni nel 2018.

http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 17226.html




C’è da chiedersi perché gli italiani si bevono sempre tutto e di più con una grandissima facilità.



6 lug 2017 15:07
ALTRO CHE SPENDING REVIEW… E’ 'NA SPENDING DI PIU’!

– IL TANTO SBANDIERATO TAGLIO ALLE AUTO BLU DELL’EX PREMIER RENZI (“IN VENDITA SU EBAY LE MASERATI BLINDATE DI STATO”) SI E’ RIVELATO UN BLUFF

- QUEST’ANNO RAGGIUNTA QUOTA 30.000 CON OLTRE 9.000 VETTURE IN PIU’ SOLO NEL 2016 - IL PRIMATO VA A ORISTANO E AD ALTRI COMUNI DEL SUD



Roberto Petrini per la Repubblica

La valanga delle auto di Stato non si arresta. Anni di polemiche e denunce hanno solo scalfito un sistema che continua a proliferare nonostante la spending review e la necessità di moralizzare la vita pubblica.

A conti fatti parlare di riduzione è stato un bluff. I dati sono pubblici, ma nessuno ha fatto le somme: l'ultimo censimento sulle auto della Pubblica Amministrazione, concluso il 28 febbraio del 2017, ha prodotto un immenso tabellone in pdf. Repubblica ha chiesto alla società di data management Twig, guidata da Aldo Cristadoro, di trattare e confrontare le cifre con il precedente censimento chiuso nel febbraio dell'anno scorso. Ebbene: il risultato è che nel 2016 sono emerse 8.791 auto di servizio in più, si è passati da quota 20.891 a 29.682.

L'emersione di circa 9.000 auto in più dipende per buona parte dalla maggiore accuratezza del censimento e dal numero di risposte pervenute dove si dichiara il possesso di almeno una auto di servizio: ciò significa che basta fare una rilevazione più approfondita per scoprire che le auto di servizio in Italia sono molte di più di quanto si pensi. Eppure, nel comunicare i dati del 2016, il governo sottolineò una riduzione di 1.049 auto, pari al 3,3 per cento rispetto al 2015. Invece secondo la rielaborazione e il riallineamento dei dati fatta da Twig per quei due anni, anche per via della maggiore partecipazione al censimento delle amministrazioni, sarebbero emersi quasi 2.000 veicoli in più.

Ma la vicenda delle auto di servizio, per le quali lo Stato spende una cifra considerevole ogni anno, e che si tenta di prendere di petto dal 2012, quando fu varato il primo decreto di contenimento, si presta ad altre sorprese. Quando Matteo Renzi annunciò, nei primi mesi del 2015 di voler vendere su eBay le Maserati blindate di Stato, la mastodontica platea delle auto di servizio italiane era già stata più che dimezzata.

Peccato che era avvenuto solo sulla carta: alla fine del 2014 un decreto del ministero della Funzione pubblica aveva infatti cambiato i criteri del censimento, cancellando dall'insieme delle auto censibili circa 40 mila veicoli con un colpo di bacchetta magica. Il decreto infatti eliminava le auto destinate al contrasto delle frodi alimentari, alla manutenzione della rete stradale Anas, alla difesa, alla pubblica sicurezza e ai servizi sociali e sanitari. Così si è scesi da quota 60 mila a quota 20 mila sulla quale oggi ragioniamo: cambiando i criteri del censimento sono sparite circa 20 mila auto delle Asl e in genere della sanità regionale. La domanda è: ma se si tratta di semplici auto al servizio della collettività e non di scandalose auto blu con autista, perché non censirle? Contare non vuol dire, mettere all'indice.

Il vero boom delle auto di servizio e blu è nei Comuni: si moltiplicano man mano che i censimenti si fanno più approfonditi. Nel 2016 siamo arrivati a quota 16 mila, quasi il doppio rispetto all'anno precedente e al numero dei municipi che sono circa 8 mila. Senza contare che il panorama dell'auto di servizio non è ancora tutto delineato perché i municipi sono riluttanti e quelli che hanno denunciato il numero delle proprie auto è ancora solo il 60,6 per cento.

La posizione di testa nella classifica dei Comuni che denunciano il maggior numero di auto blu (cioè con annesso autista) è occupata da Oristano: ce ne sono 20 (il che significa 63,2 ogni 100 mila abitanti). Seguono - con netta prevalenza del Sud - Trapani, Brindisi, Messina, Cosenza e Matera. In termini assoluti, e con riferimento alle semplici auto di servizio (cioè senza autista dedicato), in testa c'è Torino con 294 auto, seguita da Roma con 146 auto. Spicca Sassari con 106 auto (83,1 ogni 100 mila abitanti).

Paradossali i casi di Roccasecca dei Volsci (Latina) che denuncia 10 veicoli con autista (sarebbero 872,6 auto su una ipotetica platea di 100 mila abitanti). E delle tre regine dell'auto di servizio: Roseto degli Abruzzi (Teramo), Monopoli (Bari) e Bagheria (Palermo), Comuni con più di 50 vetture a disposizione. A Pietracamela (Teramo) invece, con 271 abitanti, ci sono 4 auto di cui 3 con autista.

Forse l'unico settore dove qualche sforzo è stato fatto è quello dei ministeri. La ministra della Funzione Pubblica, Marianna Madia, disse la verità quando nel febbraio 2016 affermò che le auto delle amministrazioni dello Stato l'anno precedente si erano dimezzate scendendo, come risulta, a quota 274. I conteggi di Twig dicono che il processo è andato avanti e nel 2016 siamo scesi a quota 212. Ma anche in questo caso ci sono problemi di rilevazione statistica che possono trarre in inganno.

L'ex commissario alla spending review Carlo Cottarelli, che aveva avviato un serio intervento di riduzione, nel suo libro "La lista della spesa", le valutava prima del decreto di riduzione in 1.800, tenendo conto che mancano all'appello del censimento le auto del ministero dell'Interno e le auto fornite ai vari dicasteri dai cinque principali corpi di polizia. Tanto per fare un esempio: il "car pool" britannico per i dicasteri conta di solo 80-90 auto. Ma noi siamo lontani.
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Re: Renzi

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REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO




IL GRANDE SODOMIZZATORE


Renzi: “Rispondo a elettori, non a capicorrente”
Ma Franceschini: “Il Pd da solo non vince”

Il leader Pd nella direzione a porte chiuse: “Giriamo per parlare delle idee: le alleanze interessano a 3”
Il ministro: “Bene tutto: ma servono anche gli altri”. Orlando: “Basta caricature, Pisapia non è Ferrero”

Politica
La direzione del Pd per la prima volta dopo tre anni e mezzo è a telecamere spente. Da una parte Matteo Renzi che riduce il dibattito del post-elezioni amministrative a un pié di pagina, ripete che il dibattito interno “interessa a tre o a trecento” e si raccomanda di parlare di risultati di governo: “Se parliamo di alleanze i cittadini non se ne accorgono”. Dall’altra c’è Dario Franceschini, finora sempre leale con il segretario nel partito e nel governo che ripete: “Io sono tra i 350 residuati bellici che pensano che ci sia anche il tema delle alleanze. Quindi parlerò di quella parte che non c’era nella relazione del segretario”
di F. Q.
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Re: Renzi

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UncleTom ha scritto:REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO




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Renzi: “Rispondo a elettori, non a capicorrente”
Ma Franceschini: “Il Pd da solo non vince”

Il leader Pd nella direzione a porte chiuse: “Giriamo per parlare delle idee: le alleanze interessano a 3”
Il ministro: “Bene tutto: ma servono anche gli altri”. Orlando: “Basta caricature, Pisapia non è Ferrero”

Politica
La direzione del Pd per la prima volta dopo tre anni e mezzo è a telecamere spente. Da una parte Matteo Renzi che riduce il dibattito del post-elezioni amministrative a un pié di pagina, ripete che il dibattito interno “interessa a tre o a trecento” e si raccomanda di parlare di risultati di governo: “Se parliamo di alleanze i cittadini non se ne accorgono”. Dall’altra c’è Dario Franceschini, finora sempre leale con il segretario nel partito e nel governo che ripete: “Io sono tra i 350 residuati bellici che pensano che ci sia anche il tema delle alleanze. Quindi parlerò di quella parte che non c’era nella relazione del segretario”
di F. Q.
IlFattoQuotidiano.it / Politica


Renzi alla direzione Pd: “Parliamo dei risultati, le alleanze interessano a 3”. Franceschini: “No, da soli perdiamo”

Politica

Per la prima volta dopo oltre 3 anni riunione a porte chiuse e con le telecamere spente: "Grande vittoria" esulta Orfini. Il segretario non parla del flop alle Comunali, ma il ministro lo incalza: "Servono programma, leader, organizzazione, ma servono anche gli altri. E se lo diciamo non c'è da gridare al tradimento". Orlando: "Basta caricature, Pisapia non è Ferrero"
di F. Q. | 6 luglio 2017
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Più informazioni su: Matteo Renzi, PD, Primarie PD
La direzione del Pd per la prima volta dopo tre anni e mezzo è a telecamere spente. “Dobbiamo dirci delle cose” dice Debora Serracchiani prima di entrare. Fare la riunione a porte chiuse è una “grande vittoria”, come la definisce Matteo Orfini appena parte la riunione, dalla quale naturalmente le informazioni circolano eccome. E il risultato è che la direzione ripropone, tali e quali, le posizioni di queste settimane. Da una parte Matteo Renzi che riduce il dibattito del post-elezioni amministrative a un pié di pagina, ripete che il dibattito interno “interessa a tre o a trecento” e si raccomanda: sulla scuola il governo ha investito 4,7 miliardi, “se parliamo di alleanze i cittadini non se ne accorgono”. Dall’altra c’è Dario Franceschini, finora leale con il segretario a tal punto da sostenere – nei congressi, a Palazzo Chigi e in Parlamento – tutte le decisioni dentro il partito e dentro i governi di sua emanazione. Ma Franceschini è la prima frattura nel fronte renziano. E ripete quello che ha detto nei giorni scorsi ai giornali: “Io sono tra i 350 residuati bellici che pensano che ci sia anche il tema delle alleanze. Quindi parlerò di quella parte che non c’era nella relazione del segretario”. La conclusione della discussione, tuttavia, è quella del gioco dell’oca perché Renzi resta dov’è. Nella replica il segretario esprime “rispetto per chi la pensa diversamente” ma risponde che non passerà i prossimi mesi a parlare di coalizioni. “Credo – spera – che gli argomenti che affronteremo nei prossimi mesi saranno diversi dal 50 per cento della discussione fatta qua dentro. Il veto sul fiscal compact è più importante dell’analisi sulle amministrative“.
Renzi aveva solo sfiorato la sconfitta per certi versi irripetibile che il Pd ha registrato alle Comunali del mese scorso. Ha riservato solo un pensiero a Genova, dove – ha detto Renzi – il Pd ha perso con una coalizione “larga, ampia”, mentre si è vinto a Padova dove si era perso nel 2014 quando ci fu, invece, il successo alle Europee. Ma il segretario dice di guardare oltre. Il nuovo slogan è: “Utilizziamo il Pd come una finestra, non come uno specchio per riflettere noi stessi”. La base costitutiva del Pd – attacca – non è l’accordo di qualche capocorrente, ma il voto dei cittadini alle primarie. Sia chiaro, io rispondo a loro, non ai capicorrente”. Anzi: “Non sono interessato né alla mia né alla vostra carriera – ha aggiunto Renzi – ma a portare il Pd in alto. Lo dico senza polemica e con tutto il rispetto: non mi interessa cosa farete voi nella prossima legislatura”. Piuttosto visto che “la prossima campagna elettorale durerà 10 mesi” (tradotto: si vota a maggio), bisogna girare l’Italia: “Il nostro lavoro è bellissimo, ci consente di spalancare il Pd e nei territori siamo gli unici a portare risultati“. E a rivendicare i risultati del governo. Nel frattempo promette che sullo Ius soli bisogna andare avanti, ma in Senato la legge continua a slittare nel calendario: passa davanti di tutto, prima il Codice Antimafia, ora il decreto vaccini.
Ma l’analisi sembra limitata, non solo alla sinistra Pd di Andrea Orlando. E’ proprio Franceschini a farlo notare: “Chi ha detto che abbiamo perso le amministrative perché non c’erano le coalizioni? Non io. Il problema è opposto, che non abbiamo vinto neanche avendo le coalizioni. A Padova – dice il ministro riprendendo l’esempio fatto dall’ex premier – abbiamo vinto ma il Pd ha preso il 13 per cento: siamo un po’ lontani dal poter vincere da soli. Servono le proposte, serve la forza del leader, serve l’azione di governo, serve l’organizzazione, ma servono gli altri, servono le alleanze”. Franceschini sposa la linea di Renzi quasi su tutto, sulla rivendicazione dei risultati, sulla necessità di parlare al Paese: se ci sarà da votare la relazione, io voterò a favore, chiarisce Franceschini. Ma com’è noto, per i democristiani è sempre l’anticamera dell’affondo: “Io il 95 per cento del mio tempo lo dedico ai contenuti con la mia attività del ministero – spiega – ma ogni tanto…”. Ogni tanto, precisa il ministro, bisogna parlare anche del resto, per esempio le alleanze. Spiega: “Giriamo pure il Paese ma non si può evitare di occuparci di legge elettorale e di alleanze”. Bene i contenuti, la forza del leader, l’organizzazione del partito, il web – ha sottolineato Franceschini – ma servono anche gli altri. E le reazioni stizzite di Renzi e soprattutto dei renziani – soprattutto Lorenzo Guerini e Luca Lotti che nei giorni scorsi avevano replicato al ministro – sono immotivate. “Non mettiamo in discussione il segretario appena eletto dalle primarie: me lo ricordo che hai preso due milioni di voti (in realtà ne ha presi 1,2 milioni, ndr) ed è giusto che tu risponda a loro. Ma con rispetto per una comunità formata da uomini e donne che ti hanno votato ma non rinunciano per quattro anni a esprimere un pensiero e una parola”. Perché, precisa Franceschini, “un segretario ascolta la comunità, la tiene insieme con pazienza, senza vedere dietro il pensiero di chi la pensa diversamente un tradimento o un complotto“. Franceschini precisa che non vuole l’Unione (“Me la ricordo bene”) ma “il tema alleanze nelle sedi di partito dobbiamo porcelo: è difficile che uno schieramento da solo abbia la maggioranza e ancora più difficile che un partito da solo possa avere il 51% dei seggi sia alla Camera che al Senato”. E, dice, “dobbiamo partire dal campo del centrosinistra, socialisti in Europa, progressisti nel mondo. E in più il campo, che è un po’ diverso, che ha sostenuto Letta, Renzi e Gentiloni in questi anni”. Il campo “un po’ diverso” sarebbero i centristi, alfaniani compresi. “La Dc non solo quando aveva la maggioranza assoluta ha scelto di governare con i partiti minori, ma in tutte le elezioni, con un proporzionale puro, non è che bastonava i repubblicani o i liberali: cercava di aiutarli a entrare in Parlamento perché sapeva che dopo gli sarebbero serviti per formare un governo”.
Andrea Orlando, come prevedibile, va un po’ oltre, anche in termini di chiarezza. Fa il pontiere, come aveva giurato, con Insieme, il soggetto variopinto delle forze a sinistra del Pd. “Dobbiamo lavorare con Pisapia e chi in quel campo non ha un pregiudizio contro il Pd”. Niente caricature, chiede il ministro della Giustizia: “Nessuno vuole rifare l’Unione. Non sono nostalgico dell’Unione ma Pisapia non è Ferrero. Se siamo in grado di costruire una coalizione è perché nel frattempo c’è stato il Pd. Al tempo dell’Unione il Pd non c’era”. “Siamo sicuri che ce la faremo a prescindente dal modello elettorale?” si chiede Orlando, mentre il centrodestra continua a crescere e mentre si è promesso la Terza Repubblica e si va verso un ritorno alla Prima?. “Noi vogliamo continuare a discutere o ogni volta che qualcuno solleva una questione lo si deve additare come quello che vuole far perdere”. Il guardasigilli non rinuncia a commentare di nuovo la sconfitta delle Comunali: non è un tema locale, dice, per vari motivi. “Rispetto all’ultima analoga tornata c’è stata una crescita fortissima dell’’astensionismo – dice Orlando – Abbiamo subito sconfitte più forti e cocenti nelle aree più forti di insediamento tradizionale della sinistra. Credo che la conflittualità nel centrosinistra non dia vantaggi agli scissionisti ma distacchi pezzi di elettorato”.
Renzi risponde anche ad Orlando: “Capisco che voglia aiutare Pisapia ma io voglio aiutare il Pd. Vogliamo fare campagna elettorale per il Pd o parlare degli altri? Orlando dice ‘non chiedeteci di rinunciare alle nostre idee‘ ma io dico non chiedetelo anche a noi che abbiamo vinto”.
La direzione a porte chiuse (e Orfini esulta)
Il presidente del partito Matteo Orfini, che conduce i lavori della discussione, ha annunciato che anche le prossime riunioni della direzione saranno “in privato”. Orfini ha anche chiesto ai dirigenti presenti (di solito sono un po’ più di cento) di non fare tweet e post su facebook in diretta. La riunione è a porte chiuse, ma le informazioni sono circolate, come si vede. “Eccoci Orfini ha appena chiesto di non fare tweet e post su direzione Pd, quindi dovete aspettare il comunicato ufficiale #auguri” scrive su Twitter Cecilia Carmassi, lucchese, in direzione in quota Michele Emiliano. Poi però si ribella all’indicazione e inizia a twittare: “Invito a non usare i social ma allora perché sono in sala famosi responsabili dei social di vari esponenti renziani?”. E ancora, mentre parla il segretario: “Siamo al #benaltrismo …. altro che questionucole locali e nazionali”. Orfini aveva annunciato lo stop allo streaming come una sua “grande vittoria”.
Dopo l’intervento di Renzi sono intervenuti tra gli altri il deputato Salvatore Margiotta, il sindaco di Reggio Calabria Giuseppe Falcomatà e una delle Millennial che fanno il loro esordio nel “parlamentino” Pd: Arianna Furi, 19 anni, ha suscitato molta curiosità anche perché ha raccontato “questa mattina ho fatto l’orale della maturità“.
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REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO




IL GRANDE SODOMIZZATORE


Ci vuole solo il pelo sullo stomaco di Paolo Mieli per esordire in questo modo:

Oggi si riunisce la direzione del Pd e riprende la navigazione della sinistra italiana verso l’ignoto. La rotta indicata dal nocchiero Matteo Renzi non è chiara;

Identificare Matteo Renzi come il nocchiero della sinistra italiana, è completamente da screanzati manipolatori della realtà.

Matteo Renzi è di destra, che per soddisfare la propria malattia di potere si finge di sinistra per distruggerla, come da accordi con la sovra gestione.

E fino adesso ci sta riuscendo.





Il Pd e le scissioni
LE LOTTE
FRATRICIDE
A SINISTRA


di Paolo Mieli


Oggi si riunisce la direzione del Pd e riprende la navigazione della sinistra italiana verso l’ignoto. La rotta indicata dal nocchiero Matteo Renzi non è chiara; il bastimento ha recentemente urtato contro qualche scoglio e, il 4 dicembre scorso, contro un iceberg, ma è ancora a galla. La ciurma rumoreggia com’è avvezza a fare ormai da decenni. Alcuni tra gli ufficiali in seconda appaiono dediti ad organizzare (ognuno per conto proprio)la prossima sedizione. Forse Dario Franceschini e Andrea Orlando, gli ultimi ad aver lanciato la sfida al capitano, nella giornata di oggi fingeranno di riappacificarsi con lui. Ma si tratterà, appunto, di una finzione, di una sosta lungo un itinerario che è già segnato. E che conduce all’ennesima rivolta. Come fu del resto peri loro predecessori, tutti, nessuno escluso. È il destino di questo partito: non fa in tempo a subire una defezione che c’è già qualcuno pronto a prendere il posto di coloro che se ne sono andati. Raccogliendone le bandiere e facendone proprie le argomentazioni. Anche a costo di entrare in palese conflitto con quel che i nuovi riottosi avevano fatto e sostenuto fino a qualche ora prima. Ai fuorusciti non tocca miglior sorte: le acque in cui si trasferiscono con le loro scialuppe appaiono tutt’altro che tranquille. Dopo un po’ salgono su nuovi bastimenti in cui c’è un’atmosfera strana: quelli che non si erano mai imbarcati sulla nave da cui loro provengono non sembrano entusiasti— eccezion fatta per i più cinici — all’idea di accogliere a braccia aperte coloro che se ne sono allontanati nella penultima e nell’ultima ora.
Inevitabile che il tema maggiormente dibattuto sia: fu giusto salire sulla imbarcazione renziana? E quand’è che fu chiaro che la si doveva abbandonare? Come mai alcuni lo capirono prima, altri ci misero mesi e altri ancora anni? Per quali motivi gran parte degli sbarcati — che pure adesso sostengono essere stata la navigazione funesta fin dall’inizio — sono rimasti a bordo fino a pochissimo tempo fa? È giusto, infine, che chi è sceso per ultimo venga messo a capo di coloro che se ne andarono precedentemente? Chi lo ha deciso? Ed è, oltretutto, una discussione tutt’altro che serena. Si svolge, anzi, all’insegna di un termine che sempre più ricorre in cronache e commenti: «odio». Tempo fa, alla vigilia delle elezioni francesi, Marc Lazar osservava come i dissidi che dividevano le sinistre francesi, benché non fondati su corpus dottrinari definiti come ai tempi del comunismo, provocavano «antagonismi sempre più virulenti» che a volte degeneravano «in espressioni di vero e proprio odio reciproco». La sinistra e non solo quella parigina, gli appariva «impegolata nei suoi conflitti interni e nelle sue rivalità di leadership» al punto da renderla «incapace di comprendere la portata delle mutazioni in atto e le enormi sfide che gravano sulle nostre democrazie». Anche Emanuele Macaluso — grande vecchio del comunismo italiano che non ha mai avuto grande simpatia per l’attuale segretario Pd — di recente ha accantonato il dilemma «Renzi Sì-Renzi No» per soffermarsi su una questione più generale. Si è detto colpito, Macaluso, dall’«eterna» riproposizione dell’«odio a sinistra». Non ha avuto remore a definirla una «disgrazia storica», addirittura un «male incurabile». Anche perché, notava, l’800 è finito, se n’è andato pure il 900, non ci sono più né il socialismo, né il comunismo «con le loro lunghe lotte fratricide», eppure «la pulsione suicida di farsi la guerra a sinistra perdura come se niente fosse». È una pulsione che viene da lontano, da tempi, forse, assai remoti in cui la politica come la conosciamo oggi non esisteva nemmeno. Ma remoti quanto? Impossibile rispondere con una data. Forse ci può aiutare solo la mitologia greca. Qualche giorno fa, Gianni Cuperlo, tra i più colti della combriccola ex Pci, ha messo in guardia i propri compagni dal rischio di «fare la parte dei proci a Itaca». Strana evocazione. Inconsueta. Poco lusinghiera, già nelle premesse, nei confronti dei suoi sodali. L’avvertimento era rivolto, presumibilmente, a coloro che militano dentro e fuori dal Pd per metterli in guardia dal rischio di farsi trascinare in un’ecatombe simile a quella che ha reso celebre il XXII canto dell’Odissea. Èda escludere che Cuperlo intendesse proporre una sovrapposizione tra la figura di Renzi e quella di Ulisse. Ed è anche improbabile che volesse suggerire una qualche analogia tra i nobili pretendenti alla mano di Penelope e coloro che vorrebbero detronizzare il segretario del partito testé rieletto dal congresso. Per quanto, come numero (108) siamo lì. Possibile invece che Cuperlo volesse alludere al clima che, a detta di Omero, si respirava nella reggia di Itaca prima, durante e dopo la strage: i rampolli della nobiltà locale si mostravano in pubblico pensosi del futuro dell’isola, ma in privato elaboravano complicati disegni per la presa del potere abbandonandosi nel contempo a baccanali e a festosi consessi. Non avevano, i proci, un leader riconosciuto, a meno che non si consideri tale Antino o che era soltanto il più irriducibile, il più deciso a togliere di mezzo financo Telemaco, l’erede dinastico e che sarebbe stato il primo ad essere trafitto da una freccia di Odisseo. Il quale Odisseo — ed è un passaggio importante dell’intera vicenda — rinuncerà, persino nei momenti di maggior difficoltà, a stringere accordi con i proci apparentemente più duttili (non scenderà a patti neanche con Eurimaco che, dopo l’uccisione di Antinoo, gli aveva proposto una pace accompagnata da un considerevole indennizzo). E si darà la forza di combattere da solo, tenendo con sé esclusivamente il figlio e due servi fedeli. Il trattativista Eurimaco sarà il secondo dei proci a soccombere; poi, uno a uno, verranno uccisi tutti gli altri. Dopo la carneficina giungerà il tempo del lieto ricongiungimento tra Ulisse e Penelope. Un tempo che lì per lì poteva apparire definitivo ma che invece sarà brevissimo: i parenti dei proci uccisi cercheranno subito una rivincita armata che Ulisse (ora, nel XXIV e ultimo canto, in compagnia del padre Laerte) si mostrerà ben lieto di concedere. Stavolta però sarà Atena, con una saetta di Zeus, ad impedire lo svolgimento della nuova, ennesima, sanguinosa tenzone. E a chiudere lì questa storia di odi e di vendette. Ripetiamo: siamo certi che Cuperlo non volesse proporre un’equiparazione tra la figura di Renzi e quella di Ulisse, accostamento che, tra l’altro, a dispetto degli intendimenti cuperliani, sarebbe stato oltremodo lusinghiero per il politico di Rignano. Ma siamo altresì convinti che il paragone venuto in mente a colui che sfidò Renzi nelle primarie del dicembre 2013, ci dica qualcosa — perfino al di là delle intenzioni — in merito all’aria che traspira dalla dimora del centrosinistra e dagli ambienti che la circondano. Laddove l’unica speranza rimasta a chi auspica la fine delle lotte fratricide che spaventano Macaluso e Lazar sembra essere che Zeus e Atena non si distraggano come hanno fatto per circa tremila anni dopo quei giorni di Itaca. E decidano di intervenire una seconda volta.
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Ci vuole solo il pelo sullo stomaco di Paolo Mieli per esordire in questo modo:

Oggi si riunisce la direzione del Pd e riprende la navigazione della sinistra italiana verso l’ignoto. La rotta indicata dal nocchiero Matteo Renzi non è chiara;

Identificare Matteo Renzi come il nocchiero della sinistra italiana, è completamente da screanzati manipolatori della realtà.

Matteo Renzi è di destra, che per soddisfare la propria malattia di potere si finge di sinistra per distruggerla, come da accordi con la sovra gestione.

E fino adesso ci sta riuscendo.





Il Pd e le scissioni
LE LOTTE
FRATRICIDE
A SINISTRA


di Paolo Mieli


Oggi si riunisce la direzione del Pd e riprende la navigazione della sinistra italiana verso l’ignoto. La rotta indicata dal nocchiero Matteo Renzi non è chiara; il bastimento ha recentemente urtato contro qualche scoglio e, il 4 dicembre scorso, contro un iceberg, ma è ancora a galla. La ciurma rumoreggia com’è avvezza a fare ormai da decenni. Alcuni tra gli ufficiali in seconda appaiono dediti ad organizzare (ognuno per conto proprio)la prossima sedizione. Forse Dario Franceschini e Andrea Orlando, gli ultimi ad aver lanciato la sfida al capitano, nella giornata di oggi fingeranno di riappacificarsi con lui. Ma si tratterà, appunto, di una finzione, di una sosta lungo un itinerario che è già segnato. E che conduce all’ennesima rivolta. Come fu del resto peri loro predecessori, tutti, nessuno escluso. È il destino di questo partito: non fa in tempo a subire una defezione che c’è già qualcuno pronto a prendere il posto di coloro che se ne sono andati. Raccogliendone le bandiere e facendone proprie le argomentazioni. Anche a costo di entrare in palese conflitto con quel che i nuovi riottosi avevano fatto e sostenuto fino a qualche ora prima. Ai fuorusciti non tocca miglior sorte: le acque in cui si trasferiscono con le loro scialuppe appaiono tutt’altro che tranquille. Dopo un po’ salgono su nuovi bastimenti in cui c’è un’atmosfera strana: quelli che non si erano mai imbarcati sulla nave da cui loro provengono non sembrano entusiasti— eccezion fatta per i più cinici — all’idea di accogliere a braccia aperte coloro che se ne sono allontanati nella penultima e nell’ultima ora.
Inevitabile che il tema maggiormente dibattuto sia: fu giusto salire sulla imbarcazione renziana? E quand’è che fu chiaro che la si doveva abbandonare? Come mai alcuni lo capirono prima, altri ci misero mesi e altri ancora anni? Per quali motivi gran parte degli sbarcati — che pure adesso sostengono essere stata la navigazione funesta fin dall’inizio — sono rimasti a bordo fino a pochissimo tempo fa? È giusto, infine, che chi è sceso per ultimo venga messo a capo di coloro che se ne andarono precedentemente? Chi lo ha deciso? Ed è, oltretutto, una discussione tutt’altro che serena. Si svolge, anzi, all’insegna di un termine che sempre più ricorre in cronache e commenti: «odio». Tempo fa, alla vigilia delle elezioni francesi, Marc Lazar osservava come i dissidi che dividevano le sinistre francesi, benché non fondati su corpus dottrinari definiti come ai tempi del comunismo, provocavano «antagonismi sempre più virulenti» che a volte degeneravano «in espressioni di vero e proprio odio reciproco». La sinistra e non solo quella parigina, gli appariva «impegolata nei suoi conflitti interni e nelle sue rivalità di leadership» al punto da renderla «incapace di comprendere la portata delle mutazioni in atto e le enormi sfide che gravano sulle nostre democrazie». Anche Emanuele Macaluso — grande vecchio del comunismo italiano che non ha mai avuto grande simpatia per l’attuale segretario Pd — di recente ha accantonato il dilemma «Renzi Sì-Renzi No» per soffermarsi su una questione più generale. Si è detto colpito, Macaluso, dall’«eterna» riproposizione dell’«odio a sinistra». Non ha avuto remore a definirla una «disgrazia storica», addirittura un «male incurabile». Anche perché, notava, l’800 è finito, se n’è andato pure il 900, non ci sono più né il socialismo, né il comunismo «con le loro lunghe lotte fratricide», eppure «la pulsione suicida di farsi la guerra a sinistra perdura come se niente fosse». È una pulsione che viene da lontano, da tempi, forse, assai remoti in cui la politica come la conosciamo oggi non esisteva nemmeno. Ma remoti quanto? Impossibile rispondere con una data. Forse ci può aiutare solo la mitologia greca. Qualche giorno fa, Gianni Cuperlo, tra i più colti della combriccola ex Pci, ha messo in guardia i propri compagni dal rischio di «fare la parte dei proci a Itaca». Strana evocazione. Inconsueta. Poco lusinghiera, già nelle premesse, nei confronti dei suoi sodali. L’avvertimento era rivolto, presumibilmente, a coloro che militano dentro e fuori dal Pd per metterli in guardia dal rischio di farsi trascinare in un’ecatombe simile a quella che ha reso celebre il XXII canto dell’Odissea. Èda escludere che Cuperlo intendesse proporre una sovrapposizione tra la figura di Renzi e quella di Ulisse. Ed è anche improbabile che volesse suggerire una qualche analogia tra i nobili pretendenti alla mano di Penelope e coloro che vorrebbero detronizzare il segretario del partito testé rieletto dal congresso. Per quanto, come numero (108) siamo lì. Possibile invece che Cuperlo volesse alludere al clima che, a detta di Omero, si respirava nella reggia di Itaca prima, durante e dopo la strage: i rampolli della nobiltà locale si mostravano in pubblico pensosi del futuro dell’isola, ma in privato elaboravano complicati disegni per la presa del potere abbandonandosi nel contempo a baccanali e a festosi consessi. Non avevano, i proci, un leader riconosciuto, a meno che non si consideri tale Antino o che era soltanto il più irriducibile, il più deciso a togliere di mezzo financo Telemaco, l’erede dinastico e che sarebbe stato il primo ad essere trafitto da una freccia di Odisseo. Il quale Odisseo — ed è un passaggio importante dell’intera vicenda — rinuncerà, persino nei momenti di maggior difficoltà, a stringere accordi con i proci apparentemente più duttili (non scenderà a patti neanche con Eurimaco che, dopo l’uccisione di Antinoo, gli aveva proposto una pace accompagnata da un considerevole indennizzo). E si darà la forza di combattere da solo, tenendo con sé esclusivamente il figlio e due servi fedeli. Il trattativista Eurimaco sarà il secondo dei proci a soccombere; poi, uno a uno, verranno uccisi tutti gli altri. Dopo la carneficina giungerà il tempo del lieto ricongiungimento tra Ulisse e Penelope. Un tempo che lì per lì poteva apparire definitivo ma che invece sarà brevissimo: i parenti dei proci uccisi cercheranno subito una rivincita armata che Ulisse (ora, nel XXIV e ultimo canto, in compagnia del padre Laerte) si mostrerà ben lieto di concedere. Stavolta però sarà Atena, con una saetta di Zeus, ad impedire lo svolgimento della nuova, ennesima, sanguinosa tenzone. E a chiudere lì questa storia di odi e di vendette. Ripetiamo: siamo certi che Cuperlo non volesse proporre un’equiparazione tra la figura di Renzi e quella di Ulisse, accostamento che, tra l’altro, a dispetto degli intendimenti cuperliani, sarebbe stato oltremodo lusinghiero per il politico di Rignano. Ma siamo altresì convinti che il paragone venuto in mente a colui che sfidò Renzi nelle primarie del dicembre 2013, ci dica qualcosa — perfino al di là delle intenzioni — in merito all’aria che traspira dalla dimora del centrosinistra e dagli ambienti che la circondano. Laddove l’unica speranza rimasta a chi auspica la fine delle lotte fratricide che spaventano Macaluso e Lazar sembra essere che Zeus e Atena non si distraggano come hanno fatto per circa tremila anni dopo quei giorni di Itaca. E decidano di intervenire una seconda volta.
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