Renzi
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Re: Renzi
REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO
SUICIDIO IN DIRETTA DI UN ASPIRANTE DUCE
Un libro che comprerò mai, e che non leggerò mai anche se me lo regalano.
La resa dei conti di Renzi in 'Avanti': "Io tradito da chi aiutai"
E' uscito in libreria 'Avanti', il libro dell'ex premier. Dopo le anticipazioni di vari giornali, l'Espresso l'ha letto integralmente. Ecco il Matteo segreto. Dagli attacchi a De Bortoli ai retroscena su Roberto Speranza che gli chiede di andare a Palazzo Chigi al posto di Letta: "Rilancia tu il paese andando a governare". "Ma Enrico aveva il broncio, mi consegnò solo un fogliaccio scritto a mano". Da questo brano emergono l'anima del politico e il tormento umano: «Di quei giorni ricordo gli ostaggi liberati»
DI MARCO DAMILANO
12 luglio 2017
"Diciamolo subito: questa è una storia strana...". È l'incipit di Avanti, il libro di Matteo Renzi pubblicato da Feltrinelli, da oggi in libreria, anticipato a capitoli da tutti i giornali, che L'Espresso ha letto in versione integrale. Avrebbe potuto essere lo stesso di Gabriel Garcia Marquez in "Cent'anni di solitudine": «Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio...»
Il plotone di esecuzione per Renzi si materializza «un freddo pomeriggio a Palazzo Chigi», il 7 dicembre 2016, quando il protagonista alza la cornetta e chiede uno scotch. "Mi immagino i collaboratori sussurrare preoccupati: «Che fa adesso? Si butta sull'alcol?» Invece è lo scotch marrone per fare gli scatoloni. Renzi ha perso e se ne va e come in un lungo flash back parte il racconto dei mille giorni di governo.
Firenze dove «a me le cose vanno bene, anzi benone». Roberto Speranza capogruppo del Pd che nel 2014 gli chiede di andare a Palazzo Chigi al posto di Letta: «Matteo, così non andiamo da nessuna parte. Hai vinto le primarie, rilancia tu il paese, andando a governare».
La telefonata di Napolitano con l'invito a cena al Quirinale. Letta quando si era candidato anni prima alle primarie aveva preso «la miseria dell'11 per cento dei voti», ricorda Renzi, gli stessi di Civati. Però Enrico «entra in modalità broncio» perché «ci sono intere carriere costruite sul vittimismo anziché sui risultati».
Il momento solenne del passaggio di consegne: «Letta mi riceve nell'ufficio e mi consegna un foglio scritto a mano in tutta fretta, con alcuni punti appena abbozzati. È un fogliaccio che sembra la brutta copia di qualcosa. L'ho tenuto con me per mille giorni, nel cassetto alla destra della scrivania. E quando ho lasciato Palazzo Chigi me lo sono portato via, per ricordarmi sempre come non si lasciano le cose».
In 240 pagine la storia di Matteo premier. Gli amici da difendere, Boschi, Lotti, Carrai, i nemici, in testa Ferruccio de Bortoli, «non è oro quel che luccica», la rivendicazione orgogliosa della diversità: «So che sono altro, sono altrove”. Sì, ma dove? E soprattutto: in quale direzione?
Eccone un brano
di Matteo Renzi da 'Avanti' (Feltrinelli)
"Quello di cui abbiamo bisogno è portare il Pd di più in mezzo alla gente. E far sì che i cittadini si avvicinino alla politica dalla parte dei contenuti, non dalla parte degli slogan. Voglio ascoltare, certo. Ma abbiamo anche molto da raccontare. Vogliamo costruire insieme il programma, ma senza trasformare questo viaggio in una semplice campagna d’ascolto. Abbiamo un sacco di cose da dire e da condividere. E ho la stessa voglia di partire che mi accompagnava quando – scout della branca Rover/Scolte – preparavo lo zaino rileggendo puntualmente prima di ogni route una poesia bellissima di Eugenio Montale, Prima del viaggio, che inizia così: “Prima del viaggio si scrutano gli orari, / le coincidenze, le soste, le pernottazioni / e le prenotazioni” e finisce con: “E ora, che ne sarà / del mio viaggio? / Troppo accuratamente l’ho studiato / senza saperne nulla. Un imprevisto / è la sola speranza. Ma mi dicono / che è una stoltezza dirselo”.
Un imprevisto è la sola speranza. E l’imprevisto sono i rapporti umani.
Questa è la vera grande ricchezza del fare politica. Il momento più intenso, a livello emotivo, dei mille giorni è stato il 26 maggio 2014, il giorno dopo le elezioni europee del 2014. Ma non per la ragione che tutti possono immaginare. Certo, nessun partito in Italia aveva mai superato il 40% dei voti dai tempi della Democrazia cristiana di Amintore Fanfani, nel 1958: una grande responsabilità, segno di un consenso diffuso, difficile da replicare ma tutto sommato simile – anche geograficamente – a quello che avremmo riscosso in occasione del referendum.
Ma l’emozione di quel giorno deriva da un’altra vicenda, totalmente diversa.
In quel periodo, insieme all’autorità delegata ai servizi segreti, Marco Minniti, e ai dirigenti dell’intelligence, sto seguendo personalmente il recupero di un cooperante italiano che da mesi è nelle mani degli estremisti islamici. Abbiamo segnali poco chiari su quello che sta per accadere con la formazione del sedicente Stato islamico. Le truppe irachene controllano ancora Mosul, ma di lì a qualche settimana subiranno una catastrofica sconfitta. Quanti civili in fuga, quante donne violentate, quanti uomini uccisi, quante vite spezzate!
Ma prima di tutto questo, riusciamo a recuperare Federico Motka, con la consueta straordinaria gestione dell’emergenza da parte dell’unità di crisi della Farnesina. In questo genere di situazioni l’Italia eccelle per la professionalità di chi si occupa del supporto psicologico al rapito, dei rapporti con la famiglia, del recupero, della collaborazione con le agenzie d’intelligence di tutto il mondo. Si tratta, tuttavia, di un tema molto spinoso, anche nel rapporto con i nostri partner internazionali: Germania e Italia hanno una maggiore flessibilità rispetto a Gran Bretagna e Stati Uniti nella trattativa con i sequestratori, per questo le nostre iniziative possono generare tensioni con i paesi amici. Ma certe iniziative salvano vite e, a volte, non solo quelle dei rapiti.
La comunicazione della liberazione alla famiglia, una volta sicuri al cento per cento della riuscita dell’operazione, tocca a me. Marco Minniti mi dà il segnale convenuto. Alzo la cornetta e chiamo la mamma di Federico. È la prima volta che la sento di persona, ma i ragazzi dell’unità di crisi e del team dell’Agenzia per i servizi esterni le sono stati accanto quotidianamente, così come hanno fatto con le altre famiglie nelle stesse condizioni. Sono quasi le venti.
“Signora, sono Matteo Renzi. Le posso dare finalmente la notizia che aspetta da un anno: Federico in questo momento è libero. È su un nostro aereo. Lo stiamo riportando in Italia. Veniamo a prenderla, tra qualche ora lei potrà riabbracciarlo.” Non riuscirò mai, dico mai, a restituire l’emozione di una donna a cui viene ridato il proprio figlio.
Fare politica consente un solo lusso, un unico e gigantesco lusso: quello di vivere emozioni e rapporti umani inesprimibili. Di quel 26 maggio 2014, molto più dello strepitoso risultato elettorale ricordo il grido soffocato della mamma di Federico. Lo sento ancora risuonare. Come sento ancora i singhiozzi e i silenzi delle madri che non hanno avuto la possibilità di riabbracciare i loro figli. Penso a quelle che poi sono state chiamate “mamme Erasmus”, che hanno ricevuto una telefonata tremenda, dopo che le loro giovanissime figlie erano rimaste uccise in un incidente stradale spaventoso all’altezza di Tarragona. Ero insieme a loro a Barcellona, ad aspettare le salme. Puoi solo stare in silenzio, accanto al dolore di un altro. Accanto a persone che non avevi mai incontrato e che non incontrerai mai più, ma per cui oggi sei lo stato. Uno stato che si fa prossimo alle famiglie, che fa sentire la propria compassione, la propria capacità di soffrire insieme.
Questa è la dimensione umana della politica. Per me fa la differenza. Mi spinge a impegnarmi, muovermi, lavorare. Qualcuno pensa che dovrei calmarmi un po’, magari fermarmi. Ma il problema non è se sto fermo io. Il problema è se sta fermo il paese. L’Italia non può stare ferma. Nessun italiano (o quasi) vuole restare fermo. Solo i politici – non tutti per fortuna – hanno interesse a lasciare il più possibile le cose come stanno. Solo quelli che si godono le rendite di posizione preferiscono che l’Italia resti com’è. Chi vuole correre avanti, chi non si accontenta, chi ha bisogno di migliorare la sua situazione finisce ostaggio di questi interessi. Io dico no.
Per questo, anche per questo, ho scritto questo libro. Per invitare, coinvolgere, entusiasmare. Perché ho capito di essere depositario dei sogni di una parte degli italiani – e non per quello che sono io, ma per una serie di circostanze. Perché penso che un politico abbia il dovere di andare oltre i 140 caratteri di un tweet per esprimere compiutamente le proprie idee. Perché sono convinto che, anche senza violare le regole deontologiche, chi ha svolto un servizio per le istituzioni debba essere trasparente e sviscerare punto perpunto gli argomenti che hanno segnato la sua esperienza o – più banalmente – rispondere alle critiche che gli sono state rivolte.
Quello che soprattutto vorrei condividere è l’unicità dell’avventura vissuta con il gruppo di persone con cui ho lavorato negli ultimi anni. Siamo lontani anni luce dai circoli autoreferenziali, dai salotti aristocratici, dai poteri forti (che spesso sono tali solo nelle definizioni). Siamo persone semplici, senza vitalizio ma con grande vitalità. Quando leggo di alcuni colleghi che avrebbero fratelli assunti con lauti stipendi in società pubbliche, mi inorgoglisco pensando a mio fratello Samuele, che si è laureato in Medicina con il massimo dei voti e ha deciso di andarsene da Firenze, prima, e dall’Italia, poi, per non essere considerato “il fratello di”. Oggi lavora in Canada, come oncologo pediatrico, senza che nessuno possa dirgli nulla. Si è costruito tutto da solo. Non ha avuto mai una mano da parte mia. E hanno ragione i miei genitori quando dicono che è lui, Samuele, il figlio di cui vanno orgogliosi.
Hanno detto che sono l’uomo delle lobby, io che sono un boy-scout di provincia… Ancora oggi mi domando come faccia la gente a volermi ancora bene nonostante i vergognosi talk show che da tre anni dipingono di me un’immagine che alla fine non sopporto nemmeno io.
Mi dicono in tanti: Matteo, fai vedere che sei diverso da come appari. Diglielo che vuoi cambiare il tuo carattere. Ma a me non interessano le apparenze, non voglio improvvisamente giocare a fare quello simpatico, cercare di lanciare un’operazione di immagine.
Le falsità allucinanti che ti piovono addosso quando sei fuori da tutto sono come le lodi sperticate di cui ti ricoprono quando sei al potere: non tolgono e non aggiungono nulla alla verità della tua persona, alla verità di ciò che sei. Ho pestato tanti piedi, troppi piedi per non immaginarmi che avrebbero fatto ditutto per farmela pagare. Ma ho la libertà di guardare al futuro senza padrini e senza padroni. Anzi. C’è una parola che pochi utilizzano in politica. È la parola “riconoscenza”. Quelli bravi, quelli esperti, quelli di lungo corso te la spiegano con facilità: la riconoscenza è un valore che non ti devi aspettare quando ti impegni in politica. Cancella dalla mente che qualcuno ti dica grazie per avergli offerto qualche incarico di responsabilità. Nessun politico ti ringrazierà di quello che hai fatto per lui: penserà sempre che tutto ciò che ha avuto sia stato solo merito suo. Ho sempre giudicato barbaro questo concetto. Gli obiettivi si raggiungono insieme. E quando qualche volta mi è capitato di scegliere una persona, anziché un’altra, mi sono guadagnato l’odio perpetuo dell’escluso, ma difficilmente la gratitudine di chi ho proposto.
Dai massimi vertici di Bruxelles agli assessori comunali di piccoli paesini, mi è capitato talvolta di selezionare talenti. Mi è successo di fare scelte che hanno segnato il destino personale di numerosi politici. I tanti che mi accusano di aver scelto le persone in base al requisito della lealtà personale dovrebbero riconoscere che sono invece frequenti i casi in cui coloro che abbiamo scelto, nei momenti di difficoltà, ci sono poi stati tutt’altro che vicini. Bene – cioè, veramente è un peccato, ma è la vita. L’importante è che facciano bene, non che ringrazino. Mi auguro che siano felici e che si comportino rettamente seguendo sempre ciò che serve all’interesse pubblico, non ciò che conta per la loro carriera. Non provo verso di loro nessun sentimento di rancore, nessun desiderio di rivincita. Sono un uomo felice, forte e fortunato. Ho ricevuto più di quello che ho dato e sono sempre dell’idea che si debba ringraziare per quel che si è avuto, non vivere di bronci e di rimpianti.
Quando persone che hanno fatto parte della meravigliosa esperienza dei mille giorni – dopo aver condiviso tutto, anche i dettagli – prendono le distanze da ciò che abbiamo fatto insieme, non stanno facendo del male a me, ma a loro, alla loro credibilità, alla loro coerenza, alla loro affidabilità per il futuro. Più che la riconoscenza mi interessa il riconoscimento di ciò che abbiamo fatto: che si prenda atto che qualcosa è cambiato. Il fatto che uno come me – senza dover render conto a nessuno se non ai propri sostenitori, commoventi nella loro tenacia – sia arrivato alla guida del paese dimostra che l’Italia è la terra dove tutto è possibile.
Ai ragazzi che incontravo da presidente del Consiglio in carica ho ripetuto più volte: “Se ce l’ho fatta io, ce la può fare chiunque di voi”. Loro si mettevano a ridere. Ma io ero serio. E lo sono tuttora: se il paese più istituzionalmente gerontocratico si permette di dare le chiavi del palazzo per tre anni a un under-40 venuto dal nulla significa che tutto è veramente possibile. Bisogna crederci, però. Avere l’ardire di provarci. Non lasciare che i professionisti del “si è sempre fatto così” abbiano ancora la meglio. Tutto può cambiare, io ci credo ancora. Anzi, dopo quello che ho visto, ci credo ancora di più. Non ci interessa cambiare l’immagine per gratificare il nostro ego. Noi vogliamo cambiare l’Italia per i nostri figli. E questa Italia la cambieremo. Andando avanti, insieme" © Riproduzione riservata 12 luglio 2017
http://espresso.repubblica.it/attualita ... =HEF_RULLO
SUICIDIO IN DIRETTA DI UN ASPIRANTE DUCE
Un libro che comprerò mai, e che non leggerò mai anche se me lo regalano.
La resa dei conti di Renzi in 'Avanti': "Io tradito da chi aiutai"
E' uscito in libreria 'Avanti', il libro dell'ex premier. Dopo le anticipazioni di vari giornali, l'Espresso l'ha letto integralmente. Ecco il Matteo segreto. Dagli attacchi a De Bortoli ai retroscena su Roberto Speranza che gli chiede di andare a Palazzo Chigi al posto di Letta: "Rilancia tu il paese andando a governare". "Ma Enrico aveva il broncio, mi consegnò solo un fogliaccio scritto a mano". Da questo brano emergono l'anima del politico e il tormento umano: «Di quei giorni ricordo gli ostaggi liberati»
DI MARCO DAMILANO
12 luglio 2017
"Diciamolo subito: questa è una storia strana...". È l'incipit di Avanti, il libro di Matteo Renzi pubblicato da Feltrinelli, da oggi in libreria, anticipato a capitoli da tutti i giornali, che L'Espresso ha letto in versione integrale. Avrebbe potuto essere lo stesso di Gabriel Garcia Marquez in "Cent'anni di solitudine": «Molti anni dopo, di fronte al plotone di esecuzione, il colonnello Aureliano Buendia si sarebbe ricordato di quel remoto pomeriggio in cui suo padre lo aveva condotto a conoscere il ghiaccio...»
Il plotone di esecuzione per Renzi si materializza «un freddo pomeriggio a Palazzo Chigi», il 7 dicembre 2016, quando il protagonista alza la cornetta e chiede uno scotch. "Mi immagino i collaboratori sussurrare preoccupati: «Che fa adesso? Si butta sull'alcol?» Invece è lo scotch marrone per fare gli scatoloni. Renzi ha perso e se ne va e come in un lungo flash back parte il racconto dei mille giorni di governo.
Firenze dove «a me le cose vanno bene, anzi benone». Roberto Speranza capogruppo del Pd che nel 2014 gli chiede di andare a Palazzo Chigi al posto di Letta: «Matteo, così non andiamo da nessuna parte. Hai vinto le primarie, rilancia tu il paese, andando a governare».
La telefonata di Napolitano con l'invito a cena al Quirinale. Letta quando si era candidato anni prima alle primarie aveva preso «la miseria dell'11 per cento dei voti», ricorda Renzi, gli stessi di Civati. Però Enrico «entra in modalità broncio» perché «ci sono intere carriere costruite sul vittimismo anziché sui risultati».
Il momento solenne del passaggio di consegne: «Letta mi riceve nell'ufficio e mi consegna un foglio scritto a mano in tutta fretta, con alcuni punti appena abbozzati. È un fogliaccio che sembra la brutta copia di qualcosa. L'ho tenuto con me per mille giorni, nel cassetto alla destra della scrivania. E quando ho lasciato Palazzo Chigi me lo sono portato via, per ricordarmi sempre come non si lasciano le cose».
In 240 pagine la storia di Matteo premier. Gli amici da difendere, Boschi, Lotti, Carrai, i nemici, in testa Ferruccio de Bortoli, «non è oro quel che luccica», la rivendicazione orgogliosa della diversità: «So che sono altro, sono altrove”. Sì, ma dove? E soprattutto: in quale direzione?
Eccone un brano
di Matteo Renzi da 'Avanti' (Feltrinelli)
"Quello di cui abbiamo bisogno è portare il Pd di più in mezzo alla gente. E far sì che i cittadini si avvicinino alla politica dalla parte dei contenuti, non dalla parte degli slogan. Voglio ascoltare, certo. Ma abbiamo anche molto da raccontare. Vogliamo costruire insieme il programma, ma senza trasformare questo viaggio in una semplice campagna d’ascolto. Abbiamo un sacco di cose da dire e da condividere. E ho la stessa voglia di partire che mi accompagnava quando – scout della branca Rover/Scolte – preparavo lo zaino rileggendo puntualmente prima di ogni route una poesia bellissima di Eugenio Montale, Prima del viaggio, che inizia così: “Prima del viaggio si scrutano gli orari, / le coincidenze, le soste, le pernottazioni / e le prenotazioni” e finisce con: “E ora, che ne sarà / del mio viaggio? / Troppo accuratamente l’ho studiato / senza saperne nulla. Un imprevisto / è la sola speranza. Ma mi dicono / che è una stoltezza dirselo”.
Un imprevisto è la sola speranza. E l’imprevisto sono i rapporti umani.
Questa è la vera grande ricchezza del fare politica. Il momento più intenso, a livello emotivo, dei mille giorni è stato il 26 maggio 2014, il giorno dopo le elezioni europee del 2014. Ma non per la ragione che tutti possono immaginare. Certo, nessun partito in Italia aveva mai superato il 40% dei voti dai tempi della Democrazia cristiana di Amintore Fanfani, nel 1958: una grande responsabilità, segno di un consenso diffuso, difficile da replicare ma tutto sommato simile – anche geograficamente – a quello che avremmo riscosso in occasione del referendum.
Ma l’emozione di quel giorno deriva da un’altra vicenda, totalmente diversa.
In quel periodo, insieme all’autorità delegata ai servizi segreti, Marco Minniti, e ai dirigenti dell’intelligence, sto seguendo personalmente il recupero di un cooperante italiano che da mesi è nelle mani degli estremisti islamici. Abbiamo segnali poco chiari su quello che sta per accadere con la formazione del sedicente Stato islamico. Le truppe irachene controllano ancora Mosul, ma di lì a qualche settimana subiranno una catastrofica sconfitta. Quanti civili in fuga, quante donne violentate, quanti uomini uccisi, quante vite spezzate!
Ma prima di tutto questo, riusciamo a recuperare Federico Motka, con la consueta straordinaria gestione dell’emergenza da parte dell’unità di crisi della Farnesina. In questo genere di situazioni l’Italia eccelle per la professionalità di chi si occupa del supporto psicologico al rapito, dei rapporti con la famiglia, del recupero, della collaborazione con le agenzie d’intelligence di tutto il mondo. Si tratta, tuttavia, di un tema molto spinoso, anche nel rapporto con i nostri partner internazionali: Germania e Italia hanno una maggiore flessibilità rispetto a Gran Bretagna e Stati Uniti nella trattativa con i sequestratori, per questo le nostre iniziative possono generare tensioni con i paesi amici. Ma certe iniziative salvano vite e, a volte, non solo quelle dei rapiti.
La comunicazione della liberazione alla famiglia, una volta sicuri al cento per cento della riuscita dell’operazione, tocca a me. Marco Minniti mi dà il segnale convenuto. Alzo la cornetta e chiamo la mamma di Federico. È la prima volta che la sento di persona, ma i ragazzi dell’unità di crisi e del team dell’Agenzia per i servizi esterni le sono stati accanto quotidianamente, così come hanno fatto con le altre famiglie nelle stesse condizioni. Sono quasi le venti.
“Signora, sono Matteo Renzi. Le posso dare finalmente la notizia che aspetta da un anno: Federico in questo momento è libero. È su un nostro aereo. Lo stiamo riportando in Italia. Veniamo a prenderla, tra qualche ora lei potrà riabbracciarlo.” Non riuscirò mai, dico mai, a restituire l’emozione di una donna a cui viene ridato il proprio figlio.
Fare politica consente un solo lusso, un unico e gigantesco lusso: quello di vivere emozioni e rapporti umani inesprimibili. Di quel 26 maggio 2014, molto più dello strepitoso risultato elettorale ricordo il grido soffocato della mamma di Federico. Lo sento ancora risuonare. Come sento ancora i singhiozzi e i silenzi delle madri che non hanno avuto la possibilità di riabbracciare i loro figli. Penso a quelle che poi sono state chiamate “mamme Erasmus”, che hanno ricevuto una telefonata tremenda, dopo che le loro giovanissime figlie erano rimaste uccise in un incidente stradale spaventoso all’altezza di Tarragona. Ero insieme a loro a Barcellona, ad aspettare le salme. Puoi solo stare in silenzio, accanto al dolore di un altro. Accanto a persone che non avevi mai incontrato e che non incontrerai mai più, ma per cui oggi sei lo stato. Uno stato che si fa prossimo alle famiglie, che fa sentire la propria compassione, la propria capacità di soffrire insieme.
Questa è la dimensione umana della politica. Per me fa la differenza. Mi spinge a impegnarmi, muovermi, lavorare. Qualcuno pensa che dovrei calmarmi un po’, magari fermarmi. Ma il problema non è se sto fermo io. Il problema è se sta fermo il paese. L’Italia non può stare ferma. Nessun italiano (o quasi) vuole restare fermo. Solo i politici – non tutti per fortuna – hanno interesse a lasciare il più possibile le cose come stanno. Solo quelli che si godono le rendite di posizione preferiscono che l’Italia resti com’è. Chi vuole correre avanti, chi non si accontenta, chi ha bisogno di migliorare la sua situazione finisce ostaggio di questi interessi. Io dico no.
Per questo, anche per questo, ho scritto questo libro. Per invitare, coinvolgere, entusiasmare. Perché ho capito di essere depositario dei sogni di una parte degli italiani – e non per quello che sono io, ma per una serie di circostanze. Perché penso che un politico abbia il dovere di andare oltre i 140 caratteri di un tweet per esprimere compiutamente le proprie idee. Perché sono convinto che, anche senza violare le regole deontologiche, chi ha svolto un servizio per le istituzioni debba essere trasparente e sviscerare punto perpunto gli argomenti che hanno segnato la sua esperienza o – più banalmente – rispondere alle critiche che gli sono state rivolte.
Quello che soprattutto vorrei condividere è l’unicità dell’avventura vissuta con il gruppo di persone con cui ho lavorato negli ultimi anni. Siamo lontani anni luce dai circoli autoreferenziali, dai salotti aristocratici, dai poteri forti (che spesso sono tali solo nelle definizioni). Siamo persone semplici, senza vitalizio ma con grande vitalità. Quando leggo di alcuni colleghi che avrebbero fratelli assunti con lauti stipendi in società pubbliche, mi inorgoglisco pensando a mio fratello Samuele, che si è laureato in Medicina con il massimo dei voti e ha deciso di andarsene da Firenze, prima, e dall’Italia, poi, per non essere considerato “il fratello di”. Oggi lavora in Canada, come oncologo pediatrico, senza che nessuno possa dirgli nulla. Si è costruito tutto da solo. Non ha avuto mai una mano da parte mia. E hanno ragione i miei genitori quando dicono che è lui, Samuele, il figlio di cui vanno orgogliosi.
Hanno detto che sono l’uomo delle lobby, io che sono un boy-scout di provincia… Ancora oggi mi domando come faccia la gente a volermi ancora bene nonostante i vergognosi talk show che da tre anni dipingono di me un’immagine che alla fine non sopporto nemmeno io.
Mi dicono in tanti: Matteo, fai vedere che sei diverso da come appari. Diglielo che vuoi cambiare il tuo carattere. Ma a me non interessano le apparenze, non voglio improvvisamente giocare a fare quello simpatico, cercare di lanciare un’operazione di immagine.
Le falsità allucinanti che ti piovono addosso quando sei fuori da tutto sono come le lodi sperticate di cui ti ricoprono quando sei al potere: non tolgono e non aggiungono nulla alla verità della tua persona, alla verità di ciò che sei. Ho pestato tanti piedi, troppi piedi per non immaginarmi che avrebbero fatto ditutto per farmela pagare. Ma ho la libertà di guardare al futuro senza padrini e senza padroni. Anzi. C’è una parola che pochi utilizzano in politica. È la parola “riconoscenza”. Quelli bravi, quelli esperti, quelli di lungo corso te la spiegano con facilità: la riconoscenza è un valore che non ti devi aspettare quando ti impegni in politica. Cancella dalla mente che qualcuno ti dica grazie per avergli offerto qualche incarico di responsabilità. Nessun politico ti ringrazierà di quello che hai fatto per lui: penserà sempre che tutto ciò che ha avuto sia stato solo merito suo. Ho sempre giudicato barbaro questo concetto. Gli obiettivi si raggiungono insieme. E quando qualche volta mi è capitato di scegliere una persona, anziché un’altra, mi sono guadagnato l’odio perpetuo dell’escluso, ma difficilmente la gratitudine di chi ho proposto.
Dai massimi vertici di Bruxelles agli assessori comunali di piccoli paesini, mi è capitato talvolta di selezionare talenti. Mi è successo di fare scelte che hanno segnato il destino personale di numerosi politici. I tanti che mi accusano di aver scelto le persone in base al requisito della lealtà personale dovrebbero riconoscere che sono invece frequenti i casi in cui coloro che abbiamo scelto, nei momenti di difficoltà, ci sono poi stati tutt’altro che vicini. Bene – cioè, veramente è un peccato, ma è la vita. L’importante è che facciano bene, non che ringrazino. Mi auguro che siano felici e che si comportino rettamente seguendo sempre ciò che serve all’interesse pubblico, non ciò che conta per la loro carriera. Non provo verso di loro nessun sentimento di rancore, nessun desiderio di rivincita. Sono un uomo felice, forte e fortunato. Ho ricevuto più di quello che ho dato e sono sempre dell’idea che si debba ringraziare per quel che si è avuto, non vivere di bronci e di rimpianti.
Quando persone che hanno fatto parte della meravigliosa esperienza dei mille giorni – dopo aver condiviso tutto, anche i dettagli – prendono le distanze da ciò che abbiamo fatto insieme, non stanno facendo del male a me, ma a loro, alla loro credibilità, alla loro coerenza, alla loro affidabilità per il futuro. Più che la riconoscenza mi interessa il riconoscimento di ciò che abbiamo fatto: che si prenda atto che qualcosa è cambiato. Il fatto che uno come me – senza dover render conto a nessuno se non ai propri sostenitori, commoventi nella loro tenacia – sia arrivato alla guida del paese dimostra che l’Italia è la terra dove tutto è possibile.
Ai ragazzi che incontravo da presidente del Consiglio in carica ho ripetuto più volte: “Se ce l’ho fatta io, ce la può fare chiunque di voi”. Loro si mettevano a ridere. Ma io ero serio. E lo sono tuttora: se il paese più istituzionalmente gerontocratico si permette di dare le chiavi del palazzo per tre anni a un under-40 venuto dal nulla significa che tutto è veramente possibile. Bisogna crederci, però. Avere l’ardire di provarci. Non lasciare che i professionisti del “si è sempre fatto così” abbiano ancora la meglio. Tutto può cambiare, io ci credo ancora. Anzi, dopo quello che ho visto, ci credo ancora di più. Non ci interessa cambiare l’immagine per gratificare il nostro ego. Noi vogliamo cambiare l’Italia per i nostri figli. E questa Italia la cambieremo. Andando avanti, insieme" © Riproduzione riservata 12 luglio 2017
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Re: Renzi
UN GIORNO ALL'INFERNO.
GIRONE : MASOCHISTI
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Andrea Scanzi
Politica
Renzi da Mentana, ancora un harakiri per Matteo
di Andrea Scanzi | 13 luglio 2017
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Più informazioni su: Bersaglio Mobile, Enrico Mentana, La7, Matteo Renzi
Andrea Scanzi
Giornalista e scrittore
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Non vorrei essere nei panni di chi cura quel che non è curabile, ovvero l’immagine di Renzi. Ieri, l’ex premier sperava di creare l’evento; di apparire credibile; di uscire vincitore. Al contrario, la sua prova a Bersaglio mobile è stato l’ennesimo flop.
Il suo libro, intitolato con consueta originalità Avanti, andrà in classifica e per questo molti scriveranno “ancora un successo per lui”, ma ci andrà solo perché a luglio è impossibile non andarci (se l’autore è famoso).
La verità è che Renzi, ieri, ha di nuovo sbagliato tutto. Tre prove.
1. Renzi non è quasi mai riuscito a fare autocritica. Nella sua narrazione (se usate ancora storytelling metto mano alla fondina) lui è sempre quello che ha fatto bene e gli altri quello che non hanno capito. Sul job(s) act, sulla scuola, sugli 80 euro, sulla legge elettorale. Su tutto.
Ogni tanto dava proprio la sensazione netta di delirare e di avere perso completamente il contatto con la realtà. Lui non sbaglia mai. Le perde tutte e lo odiano quasi tutti, ma lui non sbaglia mai: vedi tu com’è strana la vita. Il “quasi”, che ho usato prima, è riferito all’estemporanea autocritica sugli 80 euro: “Ho sbagliato perché li ho presentati come televendita, avrei dovuto coinvolgere 4 professori“. Si presume che con ciò volesse alludere al Beppe della Rassinata, il Poro Schifoso, Tony Binarelli e Gigi il fioraio. Gli unici che ancora lo difendono, assieme a LaVia e alla Fusani.
2. Renzi non riesce più a creare l’evento. Ed è così da anni. Ieri non aveva praticamente contro nessuno, eppure – nonostante la bravura di Mentana, che lo ha più volte messo in difficoltà – non è andato oltre il 3.82% di share. Il programma In Onda, di Parenzo e Telese, prima di lui, ha fatto il 5.30. Gli ospiti? Landini, Sallusti e De Masi. Certo, la fascia di In onda (la stessa di Otto e mezzo) è solitamente più forte.
E La7 d’estate non vive mai il suo momento d’oro. Ma la cifra portata a casa ieri da Renzi è largamente inferiore allo share di Floris (stesso orario, ma con la Berlinguer contro). Identica o inferiore a Piazzapulita di Formigli (stesso orario e controprogrammazione ben più feroce). Pressoché identica o di poco superiore a La Gabbia (stesso orario e stessa sera di messa in onda).
Tre anni fa, la sua presentazione di un libro sarebbe stata un evento: oggi no. Certo, i renziani replicheranno che un Bersaglio Mobile con Orlando non sarebbe neanche arrivato al 3%, ed è possibile, ma se il metro di giudizio è Orlando allora Mastrota è Jimmy Page. Renzi, pur con tutta la fiumana di prime pagine e servizi dedicati al nuovo libro (presentato appunto ieri sera su La7), fa meno share di un Salvini o un Di Battista.
E fa pure meno share dell’ispettore Barnaby, che sebbene sia stato girato quando ancora c’era Badoglio ha raggiunto quattro giorni fa il 4.25% (stessa rete e stesso orario). Nonostante la bella intervista di Mentana, che peraltro incide sugli ascolti molto più di lui, Renzi è diventato uno come tanti. E non da ieri: basta controllare le sue performance in tivù negli ultimi due anni. Non è colpa del programma, dei conduttori, del mondo. E’ colpa sua: ha frantumato drammaticamente le palle.
Le ha proprio prosciugate, azzerate, vilipese. A tutti. Forse pure a se stesso.
3. Renzi ci prova a sembrare più “simpatico”, o anche solo più umile. Ma non ce la fa. Non gli viene proprio. E’ la solita storia della rana e dello scorpione. Parte calmo e si forza di sembrare alla mano. Poi però, minuto dopo minuto, gli torna su tutta la supponenza. Come se l’arroganza fosse il suo reflusso esofageo (e viceversa). Gli torna su tutta la boria. L’antipatia. L’aggressività.
Basta una domanda contropelo e deborda, come peraltro debordava il suo collo da quei poveri vestiti, che forse gli stavano cinque anni fa. E che lui, vittima di se stesso, continua pateticamente a indossare. Un’altra prova, forse, del suo non accettare il proprio declino vertiginoso. Se Renzi avesse attorno qualcuno che gli vuole bene, bene sul serio, si fermerebbe. Forse per sempre: del resto lo aveva promesso (tra le mille promesse fatte). Ma attorno ha solo droidi e yesmen, quindi la slavina è destinata a durare.
Per sua sfortuna, ma temo pure nostra.
P.S. Su Tony Binarelli scherzavo.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07 ... o/3728045/
di Andrea Scanzi | 13 luglio 2017
GIRONE : MASOCHISTI
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Andrea Scanzi
Politica
Renzi da Mentana, ancora un harakiri per Matteo
di Andrea Scanzi | 13 luglio 2017
243
8,7 mila
Più informazioni su: Bersaglio Mobile, Enrico Mentana, La7, Matteo Renzi
Andrea Scanzi
Giornalista e scrittore
Post | Articoli
Non vorrei essere nei panni di chi cura quel che non è curabile, ovvero l’immagine di Renzi. Ieri, l’ex premier sperava di creare l’evento; di apparire credibile; di uscire vincitore. Al contrario, la sua prova a Bersaglio mobile è stato l’ennesimo flop.
Il suo libro, intitolato con consueta originalità Avanti, andrà in classifica e per questo molti scriveranno “ancora un successo per lui”, ma ci andrà solo perché a luglio è impossibile non andarci (se l’autore è famoso).
La verità è che Renzi, ieri, ha di nuovo sbagliato tutto. Tre prove.
1. Renzi non è quasi mai riuscito a fare autocritica. Nella sua narrazione (se usate ancora storytelling metto mano alla fondina) lui è sempre quello che ha fatto bene e gli altri quello che non hanno capito. Sul job(s) act, sulla scuola, sugli 80 euro, sulla legge elettorale. Su tutto.
Ogni tanto dava proprio la sensazione netta di delirare e di avere perso completamente il contatto con la realtà. Lui non sbaglia mai. Le perde tutte e lo odiano quasi tutti, ma lui non sbaglia mai: vedi tu com’è strana la vita. Il “quasi”, che ho usato prima, è riferito all’estemporanea autocritica sugli 80 euro: “Ho sbagliato perché li ho presentati come televendita, avrei dovuto coinvolgere 4 professori“. Si presume che con ciò volesse alludere al Beppe della Rassinata, il Poro Schifoso, Tony Binarelli e Gigi il fioraio. Gli unici che ancora lo difendono, assieme a LaVia e alla Fusani.
2. Renzi non riesce più a creare l’evento. Ed è così da anni. Ieri non aveva praticamente contro nessuno, eppure – nonostante la bravura di Mentana, che lo ha più volte messo in difficoltà – non è andato oltre il 3.82% di share. Il programma In Onda, di Parenzo e Telese, prima di lui, ha fatto il 5.30. Gli ospiti? Landini, Sallusti e De Masi. Certo, la fascia di In onda (la stessa di Otto e mezzo) è solitamente più forte.
E La7 d’estate non vive mai il suo momento d’oro. Ma la cifra portata a casa ieri da Renzi è largamente inferiore allo share di Floris (stesso orario, ma con la Berlinguer contro). Identica o inferiore a Piazzapulita di Formigli (stesso orario e controprogrammazione ben più feroce). Pressoché identica o di poco superiore a La Gabbia (stesso orario e stessa sera di messa in onda).
Tre anni fa, la sua presentazione di un libro sarebbe stata un evento: oggi no. Certo, i renziani replicheranno che un Bersaglio Mobile con Orlando non sarebbe neanche arrivato al 3%, ed è possibile, ma se il metro di giudizio è Orlando allora Mastrota è Jimmy Page. Renzi, pur con tutta la fiumana di prime pagine e servizi dedicati al nuovo libro (presentato appunto ieri sera su La7), fa meno share di un Salvini o un Di Battista.
E fa pure meno share dell’ispettore Barnaby, che sebbene sia stato girato quando ancora c’era Badoglio ha raggiunto quattro giorni fa il 4.25% (stessa rete e stesso orario). Nonostante la bella intervista di Mentana, che peraltro incide sugli ascolti molto più di lui, Renzi è diventato uno come tanti. E non da ieri: basta controllare le sue performance in tivù negli ultimi due anni. Non è colpa del programma, dei conduttori, del mondo. E’ colpa sua: ha frantumato drammaticamente le palle.
Le ha proprio prosciugate, azzerate, vilipese. A tutti. Forse pure a se stesso.
3. Renzi ci prova a sembrare più “simpatico”, o anche solo più umile. Ma non ce la fa. Non gli viene proprio. E’ la solita storia della rana e dello scorpione. Parte calmo e si forza di sembrare alla mano. Poi però, minuto dopo minuto, gli torna su tutta la supponenza. Come se l’arroganza fosse il suo reflusso esofageo (e viceversa). Gli torna su tutta la boria. L’antipatia. L’aggressività.
Basta una domanda contropelo e deborda, come peraltro debordava il suo collo da quei poveri vestiti, che forse gli stavano cinque anni fa. E che lui, vittima di se stesso, continua pateticamente a indossare. Un’altra prova, forse, del suo non accettare il proprio declino vertiginoso. Se Renzi avesse attorno qualcuno che gli vuole bene, bene sul serio, si fermerebbe. Forse per sempre: del resto lo aveva promesso (tra le mille promesse fatte). Ma attorno ha solo droidi e yesmen, quindi la slavina è destinata a durare.
Per sua sfortuna, ma temo pure nostra.
P.S. Su Tony Binarelli scherzavo.
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di Andrea Scanzi | 13 luglio 2017
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Re: Renzi
REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO
» Politica
sabato 15/07/2017
Sondaggi, l’effetto Renzi sui sondaggi continua: il Pd crolla al 24%
Per l’Ipr Marketing i dem sono in caduta, ma Mdp ne approfitta solo un po’. Stabile M5S, mentre hanno ottimi numeri Lega e Fratelli d’Italia
di RQuotidiano | 15 luglio 2017
•
•
| 13
Per tabella, vedere:
http://www.ilfattoquotidiano.it/premium ... lla-al-24/
Il Pd che sprofonda al 24 per cento, con Matteo Renzi che continua a perdere consenso. Il M5S che tiene, sospeso tra il 28 e il 29, ma che non è più alle vette di inizio anno. E l’arcipelago rosso che in tutto vale attorno al 9 per cento, ma che può arrivare almeno a qualcosa in più. L’ultimo sondaggio di Ipr Marketing, realizzato tra lunedì e martedì, racconta di un elettorato “sempre più polverizzato”, come lo definisce il direttore dell’istituto, Antonio Noto.
Ma soprattutto racconta che il Pd continua a perdere (potenziali) elettori. Ed è proprio Noto a mettere in fila cifre: “Nelle settimane precedenti le primarie dello scorso aprile, il partito oscillava tra il 27 e il 28 per cento. Ma dopo l’elezione di Renzi a segretario e l’esplodere dello scontro interno ha cominciato a scendere, stabilizzandosi tra il 25 e il 26. Ora però è sceso sotto il 25, la quota più o meno del Pd alle Politiche del 2013, con Bersani segretario. E di fatto, è anche la soglia sotto la quale la situazione del partito si può definire critica”.
Tradotto, c’è un’emorragia che sembra colpa soprattutto di Renzi. E Noto conferma: “Chi lascia lo fa soprattutto in dissenso verso il segretario. A mio avviso, il Pd renziano può contare su uno zoccolo duro del 22 per cento. E quella cifra si avvicina pericolosamente”. Tanto può il calo degli ultimi tempi, che però non drena consenso verso altri. Già, perché secondo Noto “il 90 per cento degli elettori che abbandonano i democratici dichiara di non voler più votare nessun partito”. E quindi va a ingrossare il già affollato settore dell’astensione. Insomma, non c’è una fuga verso gli scissionisti di Mdp-Articolo 1 che, sempre a detta di Noto, “sono ormai stabilmente al 6 per cento, da settimane. E questo contando anche Giuliano Pisapia tra i suoi leader”. Piuttosto stabile anche Sinistra Italiana, “tra il 2 e il 3”.
Ma quanto può pesare una coalizione rossa? “Il 10, forse anche il 12 per cento, ossia grosso modo le percentuali di Rifondazione comunista nel suo momento migliore” sostiene il direttore di Ipr. Certo, poi ci sono anche gli altri. A partire dai Cinque Stelle, che il sondaggio dà tra il 28 e il 29. “Sono sostanzialmente stabili, ma tra febbraio e marzo avevano superato il 30 per cento, toccando anche il 32” spiega Noto. Insomma, il Movimento non scoppia di salute. “Colpa anche di tante, recenti polemiche” sostiene il sondaggista. Sicuramente però sta peggio Forza Italia, all’11,5 per cento. Distante dal 14 della Lega Nord, “tonica” secondo Noto. Come Fratelli d’Italia, al 5 per cento (“e non da oggi”). Mentre gli alfaniani di Ap se ne stanno al 3 per cento. Numeri che, se confrontati con gli altri, descrivono una verità ormai chiara: “Nessuno ad oggi, con questa legge elettorale, ha i numeri per formare un governo, neppure in coalizione”.
@lucadecarolis
» Politica
sabato 15/07/2017
Sondaggi, l’effetto Renzi sui sondaggi continua: il Pd crolla al 24%
Per l’Ipr Marketing i dem sono in caduta, ma Mdp ne approfitta solo un po’. Stabile M5S, mentre hanno ottimi numeri Lega e Fratelli d’Italia
di RQuotidiano | 15 luglio 2017
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| 13
Per tabella, vedere:
http://www.ilfattoquotidiano.it/premium ... lla-al-24/
Il Pd che sprofonda al 24 per cento, con Matteo Renzi che continua a perdere consenso. Il M5S che tiene, sospeso tra il 28 e il 29, ma che non è più alle vette di inizio anno. E l’arcipelago rosso che in tutto vale attorno al 9 per cento, ma che può arrivare almeno a qualcosa in più. L’ultimo sondaggio di Ipr Marketing, realizzato tra lunedì e martedì, racconta di un elettorato “sempre più polverizzato”, come lo definisce il direttore dell’istituto, Antonio Noto.
Ma soprattutto racconta che il Pd continua a perdere (potenziali) elettori. Ed è proprio Noto a mettere in fila cifre: “Nelle settimane precedenti le primarie dello scorso aprile, il partito oscillava tra il 27 e il 28 per cento. Ma dopo l’elezione di Renzi a segretario e l’esplodere dello scontro interno ha cominciato a scendere, stabilizzandosi tra il 25 e il 26. Ora però è sceso sotto il 25, la quota più o meno del Pd alle Politiche del 2013, con Bersani segretario. E di fatto, è anche la soglia sotto la quale la situazione del partito si può definire critica”.
Tradotto, c’è un’emorragia che sembra colpa soprattutto di Renzi. E Noto conferma: “Chi lascia lo fa soprattutto in dissenso verso il segretario. A mio avviso, il Pd renziano può contare su uno zoccolo duro del 22 per cento. E quella cifra si avvicina pericolosamente”. Tanto può il calo degli ultimi tempi, che però non drena consenso verso altri. Già, perché secondo Noto “il 90 per cento degli elettori che abbandonano i democratici dichiara di non voler più votare nessun partito”. E quindi va a ingrossare il già affollato settore dell’astensione. Insomma, non c’è una fuga verso gli scissionisti di Mdp-Articolo 1 che, sempre a detta di Noto, “sono ormai stabilmente al 6 per cento, da settimane. E questo contando anche Giuliano Pisapia tra i suoi leader”. Piuttosto stabile anche Sinistra Italiana, “tra il 2 e il 3”.
Ma quanto può pesare una coalizione rossa? “Il 10, forse anche il 12 per cento, ossia grosso modo le percentuali di Rifondazione comunista nel suo momento migliore” sostiene il direttore di Ipr. Certo, poi ci sono anche gli altri. A partire dai Cinque Stelle, che il sondaggio dà tra il 28 e il 29. “Sono sostanzialmente stabili, ma tra febbraio e marzo avevano superato il 30 per cento, toccando anche il 32” spiega Noto. Insomma, il Movimento non scoppia di salute. “Colpa anche di tante, recenti polemiche” sostiene il sondaggista. Sicuramente però sta peggio Forza Italia, all’11,5 per cento. Distante dal 14 della Lega Nord, “tonica” secondo Noto. Come Fratelli d’Italia, al 5 per cento (“e non da oggi”). Mentre gli alfaniani di Ap se ne stanno al 3 per cento. Numeri che, se confrontati con gli altri, descrivono una verità ormai chiara: “Nessuno ad oggi, con questa legge elettorale, ha i numeri per formare un governo, neppure in coalizione”.
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Re: Renzi
15 lug 2017 15:41
I POLITICI STUFANO IN TV FIGURIAMOCI IN LIBRERIA
- QUANDO SCRIVONO UN LIBRO, E’ FLOP ASSICURATO!
- IL VOLUME DI LETTA E PRODI HA VENDUTO SOLO 108 COPIE. DELUDONO GLI ULTIMI LAVORI DI VELTRONI (6 MILA COPIE), FINI (2 MILA) E D' ALEMA (5 MILA)
- BENE INVECE SALVINI E DI BATTISTA
- QUANTO VENDERA’ IL LIBRO DI RENZI?
Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano”
Si fa un gran parlare del libro Avanti (Feltrinelli, pp. 240, euro 16) di Matteo Renzi appena pubblicato, ma i numeri dicono che sul mercato i saggi scritti dai politici vanno Indietro tutta. Così come gli intellettuali prestati alla politica inevitabilmente falliscono (da Platone in poi), allo stesso modo i politici che si cimentano a fare gli scrittori fanno flop in termini di vendite.
Certo, all' interno della categoria "parlamentari o segretari di partito che si improvvisano scrittori" vanno fatti alcuni distinguo: perlopiù i politici bolliti, usurati o già "trombati" vantano un numero di copie vendute pari quasi ai loro voti, cioè pochissime; invece i giovani rampanti, che per anagrafe, stile o partito di riferimento si presentano come innovatori, funzionano meglio anche sul mercato editoriale, forse perché i loro testi suonano non come resoconti di un fallimento, ma come vangeli profetici di un' era che verrà.
Ecco allora un breve resoconto, dati alla mano (gentilmente fornitici dalla Nielsen, azienda leader nell' analisi delle tendenze di acquisto). La maglia nera va al libro di Enrico Letta e Romano Prodi, Tra politica e politiche. La lezione di Nino Andreatta (Il Mulino), edito nell' ottobre 2016, che ha venduto finora la miseria di 108 copie, circa 13 al mese. Per avere una misura del flop, basti considerare che nello stesso periodo la top three dei saggi di politica in Italia ha venduto in media 34.616 copie.
È andato piuttosto male anche il libro di Walter Veltroni, E se noi domani (Rizzoli), che nel 2013 si prometteva di offrire al lettore un ricettario per la sinistra del futuro, ma ha piazzato solo 6.265 copie vendute, di cui 6.214 nei primi 12 mesi (anche qui è impietoso il confronto con i tre libri di politica più venduti nello stesso anno, che registrano una media di ben 48.159 copie). E che dire ancora di Letta che, pure da solo, non sfonda nonostante le numerose ospitate tv per promuovere il suo ultimo libro: Contro venti e maree.
Idee sull' Europa e sull' Italia (Il Mulino), pubblicato nel marzo di quest' anno, finora conta 7.374 copie vendute, non proprio numeri da bestseller. Sintomatica dell' importanza della credibilità del politico nel momento della pubblicazione è la parabola di Gianfranco Fini: se il suo Il futuro della libertà (Rizzoli), pubblicato nel novembre 2009, quando l' allora presidente della Camera era ancora in auge, ha raggiunto la cifra record di 30.676 copie, il suo successivo L' Italia che vorrei (Rubbettino), edito nel 2010, mentre si consumava lo strappo con Berlusconi, si è fermato a 2mila.
Contano le diverse dimensioni della casa editrice, certo, ma soprattutto la caratura del personaggio, se si considera che uno come Massimo D' Alema, sempre con Rubbettino, ha superato ampiamente le 5mila copie col libro Non solo euro. A conferma di questo fenomeno, si potrebbe vedere l' andamento delle vendite del libro di Mario Monti: La democrazia in Europa (Rizzoli), scritto insieme a Sylvie Goulard e pubblicato nel 2012, quando il Professore era in sella al governo e qualcuno credeva ancora al suo metodo Lacrime&Sangue, ha venduto 12.098 copie, salvo poi crollare in edizione Bur nell' ottobre 2013, con appena 232 copie, quando Monti era già stato scalzato da Palazzo Chigi.
Diverso andazzo fanno registrare i saggi delle nuove leve della politica che, coi loro faccioni in copertina, fungono da calamita per i lettori. Così, se Alessandro Di Battista, con il recente A testa in su.
Investire in felicità per non essere sudditi (Rizzoli), segna 13.745 copie vendute, Matteo Salvini valica il confine delle 15mila copie (per l' esattezza 15.025 - ma Rizzoli ne certifica già 20.243) con Secondo Matteo. Follia e coraggio per cambiare il Paese (Rizzoli), scritto a sei mani con il nostro Matteo Pandini e con Rodolfo Sala. Il più performante, in questo senso, è proprio Matteo Renzi i cui Fuori! (Rizzoli) e Oltre la rottamazione (Mondadori), pubblicati entrambi quando il segretario del Pd ancora non era a capo del governo, hanno venduto rispettivamente 20mila e 15mila copie.
Un dato interessante, comune a tutti, è però il fatto che si tratta sempre di shortseller, libri dalla breve durata in fatto in vendite, che dopo il primo anno dalla pubblicazione pressoché scompaiono della circolazione. Saggi come quelli di Renzi, di Monti o di Veltroni hanno esaurito pressoché la totalità delle copie vendute nei primi 12 mesi. La dimostrazione che non diventeranno mai dei classici, e che tutti si dimenticheranno presto (senza perderci granché) di quanto hanno scritto.
I POLITICI STUFANO IN TV FIGURIAMOCI IN LIBRERIA
- QUANDO SCRIVONO UN LIBRO, E’ FLOP ASSICURATO!
- IL VOLUME DI LETTA E PRODI HA VENDUTO SOLO 108 COPIE. DELUDONO GLI ULTIMI LAVORI DI VELTRONI (6 MILA COPIE), FINI (2 MILA) E D' ALEMA (5 MILA)
- BENE INVECE SALVINI E DI BATTISTA
- QUANTO VENDERA’ IL LIBRO DI RENZI?
Gianluca Veneziani per “Libero quotidiano”
Si fa un gran parlare del libro Avanti (Feltrinelli, pp. 240, euro 16) di Matteo Renzi appena pubblicato, ma i numeri dicono che sul mercato i saggi scritti dai politici vanno Indietro tutta. Così come gli intellettuali prestati alla politica inevitabilmente falliscono (da Platone in poi), allo stesso modo i politici che si cimentano a fare gli scrittori fanno flop in termini di vendite.
Certo, all' interno della categoria "parlamentari o segretari di partito che si improvvisano scrittori" vanno fatti alcuni distinguo: perlopiù i politici bolliti, usurati o già "trombati" vantano un numero di copie vendute pari quasi ai loro voti, cioè pochissime; invece i giovani rampanti, che per anagrafe, stile o partito di riferimento si presentano come innovatori, funzionano meglio anche sul mercato editoriale, forse perché i loro testi suonano non come resoconti di un fallimento, ma come vangeli profetici di un' era che verrà.
Ecco allora un breve resoconto, dati alla mano (gentilmente fornitici dalla Nielsen, azienda leader nell' analisi delle tendenze di acquisto). La maglia nera va al libro di Enrico Letta e Romano Prodi, Tra politica e politiche. La lezione di Nino Andreatta (Il Mulino), edito nell' ottobre 2016, che ha venduto finora la miseria di 108 copie, circa 13 al mese. Per avere una misura del flop, basti considerare che nello stesso periodo la top three dei saggi di politica in Italia ha venduto in media 34.616 copie.
È andato piuttosto male anche il libro di Walter Veltroni, E se noi domani (Rizzoli), che nel 2013 si prometteva di offrire al lettore un ricettario per la sinistra del futuro, ma ha piazzato solo 6.265 copie vendute, di cui 6.214 nei primi 12 mesi (anche qui è impietoso il confronto con i tre libri di politica più venduti nello stesso anno, che registrano una media di ben 48.159 copie). E che dire ancora di Letta che, pure da solo, non sfonda nonostante le numerose ospitate tv per promuovere il suo ultimo libro: Contro venti e maree.
Idee sull' Europa e sull' Italia (Il Mulino), pubblicato nel marzo di quest' anno, finora conta 7.374 copie vendute, non proprio numeri da bestseller. Sintomatica dell' importanza della credibilità del politico nel momento della pubblicazione è la parabola di Gianfranco Fini: se il suo Il futuro della libertà (Rizzoli), pubblicato nel novembre 2009, quando l' allora presidente della Camera era ancora in auge, ha raggiunto la cifra record di 30.676 copie, il suo successivo L' Italia che vorrei (Rubbettino), edito nel 2010, mentre si consumava lo strappo con Berlusconi, si è fermato a 2mila.
Contano le diverse dimensioni della casa editrice, certo, ma soprattutto la caratura del personaggio, se si considera che uno come Massimo D' Alema, sempre con Rubbettino, ha superato ampiamente le 5mila copie col libro Non solo euro. A conferma di questo fenomeno, si potrebbe vedere l' andamento delle vendite del libro di Mario Monti: La democrazia in Europa (Rizzoli), scritto insieme a Sylvie Goulard e pubblicato nel 2012, quando il Professore era in sella al governo e qualcuno credeva ancora al suo metodo Lacrime&Sangue, ha venduto 12.098 copie, salvo poi crollare in edizione Bur nell' ottobre 2013, con appena 232 copie, quando Monti era già stato scalzato da Palazzo Chigi.
Diverso andazzo fanno registrare i saggi delle nuove leve della politica che, coi loro faccioni in copertina, fungono da calamita per i lettori. Così, se Alessandro Di Battista, con il recente A testa in su.
Investire in felicità per non essere sudditi (Rizzoli), segna 13.745 copie vendute, Matteo Salvini valica il confine delle 15mila copie (per l' esattezza 15.025 - ma Rizzoli ne certifica già 20.243) con Secondo Matteo. Follia e coraggio per cambiare il Paese (Rizzoli), scritto a sei mani con il nostro Matteo Pandini e con Rodolfo Sala. Il più performante, in questo senso, è proprio Matteo Renzi i cui Fuori! (Rizzoli) e Oltre la rottamazione (Mondadori), pubblicati entrambi quando il segretario del Pd ancora non era a capo del governo, hanno venduto rispettivamente 20mila e 15mila copie.
Un dato interessante, comune a tutti, è però il fatto che si tratta sempre di shortseller, libri dalla breve durata in fatto in vendite, che dopo il primo anno dalla pubblicazione pressoché scompaiono della circolazione. Saggi come quelli di Renzi, di Monti o di Veltroni hanno esaurito pressoché la totalità delle copie vendute nei primi 12 mesi. La dimostrazione che non diventeranno mai dei classici, e che tutti si dimenticheranno presto (senza perderci granché) di quanto hanno scritto.
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Re: Renzi
17 lug 2017 09:28
1. C’È UN NUOVO NAUFRAGO A LARGO DEL CANALE DI SICILIA: E’ IL BULLETTO MATTEO RENZI
2. IL SILURAMENTO DELLO “IUS SOLI” E’ LA SUA ENNESIMA SCONFITTA: HA PROVATO A FORZARE PARLAMENTO E GOVERNO E INVECE GENTILONI GLI HA FATTO CAPIRE CHE NON CI SONO I NUMERI
3. D’ALTRONDE, SOLO UN POLLASTRO POTEVA IMMAGINARE CHE, TRA SBARCHI E PAURE DI “INVASIONE” DI MIGRANTI, SI POTESSE BLINDARE UNA LEGGE SUI DIRITTI DI CITTADINANZA: SALVINI, GRILLINI E “FARSA ITALIA” ERANO GIA' PRONTI A INCENDIARE L’OPINIONE PUBBLICA
4. E POI IL BULLETTO, CHE SPERAVA NELLA FIDUCIA SULLO IUS SOLI, HA RICEVUTO IL MESSAGGIO DI MATTARELLA: “SE GENTILONI CADE, SI FA UN GENTILONI BIS. NIENTE ELEZIONI ANTICIPATE”
1 - IL TIMORE DI «CADERE» CON LA FIDUCIA LA BATTUTA DI RENZI: PACE COL MONDO
GENTILONI E RENZI
Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera”
«Pace col mondo...». Raccontano che Matteo Renzi abbia reagito con una battuta conciliante alla telefonata del presidente del Consiglio, che a metà pomeriggio gli comunicava la (sofferta) decisione di stoppare la legge sulla cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia. «Matteo, non ci sono le condizioni per forzare - è stata la spiegazione di Paolo Gentiloni -. Al Senato non abbiamo i numeri e, se mettiamo la fiducia, il governo cade». E Renzi, che ci aveva messo la faccia sfidando tutto e tutti: «Paolo lo sai, per me era un provvedimento importante. Ma capisco le preoccupazioni per la tenuta della maggioranza e mi rimetto alle tue decisioni».
Al Nazareno la notizia era attesa e temuta, eppure tra i dirigenti del Pd c'è chi insinua che Gentiloni «non ha avuto la forza di imporre ad Alfano il provvedimento». E non per un problema di voti. «I numeri al Senato ci sono», è il leitmotiv dei renziani. Ma il premier ha alzato lo sguardo rispetto alle dinamiche parlamentari e si è assunto in prima persona la responsabilità del rinvio, maturando, come ha spiegato ai collaboratori, «una scelta di realismo».
L'Italia vive un momento drammatico per gli sbarchi e Gentiloni spera che le trattative sui flussi migratori con i partner europei portino presto a sviluppi positivi. Perché buttare un cerino su una catasta di legna? In questo clima, con i sindaci di piccoli Comuni che rifiutano di accogliere i migranti e Salvini che stasera sbarca a Civitavecchia, Gentiloni ha fiutato il rischio di «incendiare il Paese» portando in Aula una mina come lo ius soli. «C'è troppa voglia in giro di scatenarsi su questo tema - è l' assillo che il premier ha confidato ai suoi -. Non possiamo permetterci di far cadere il governo e offrire una carta vincente alle destre».
A settembre, si augura Gentiloni, questa torrida estate sarà finita e forse Alfano si rassegnerà a votare a favore, come gli ha promesso. Al ministro degli Esteri e leader di Ap i renziani addossano il peso di una sconfitta politica per il loro leader. «Se Alfano avesse detto sì, i suoi senatori non lo avrebbero seguito, perché sono sotto la minaccia di Salvini. Chi vota la legge non sarà nelle liste elettorali».
Fermare la riforma non è stato indolore per Gentiloni, favorevole a una legge sostenuta dal mondo cattolico e del volontariato. Ma il premier sente di aver fatto la cosa giusta, «evitando che una scelta di civiltà si trasformi in una guerra di odio». La reazione di Renzi, che non vuole aprire un fronte di fibrillazione anche con il governo, è improntata alla cautela. Ma qualche tensione deve essersi innescata se un alto dirigente dem la legge così: «Non è Renzi che ha fatto una figuraccia, è il governo che non ci fa una bella figura sulla tenuta della maggioranza». E poi, sottovoce: «La legge di bilancio ce la approviamo da soli? Se non passa, ognuno si assumerà le sue responsabilità».
^^^^
2 - RENZI: VICENDA COSTATA AL PD 2 PUNTI AL MESE NEI SONDAGGI
Marco Conti per “il Messaggero”
La maggioranza non c'è più e il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ne prende atto in una domenica pomeriggio di luglio. Non c'è sullo ius soli e non c'è per ora, sostiene il presidente del Consiglio che promette il suo impegno per approvare in autunno la legge che assegna la cittadinanza ai minori nati in Italia, da genitori stranieri. Dopo giorni di attesa la questione si chiude. Complice il calendario cinico e baro di palazzo Madama, ma anche per colpa o merito - a seconda dei punti di vista - soprattutto dei centristi di Ap che non garantiscono al premier numeri certi a palazzo Madama.
Il rischio di andare sotto su un voto di fiducia era forte e «Paolo non se l'è sentita», sostengono dalle parti del Nazareno dove da giorni attendevano una scelta. Fosse stato per Renzi - che ieri è stato informato da Gentiloni della decisione - la fiducia l'avrebbe messa da tempo anche perché - ha sostenuto ieri con i suoi il segretario Pd - «questo temporeggiare ha fatto perdere al Pd mezzo punto a settimana» anche per «l'assurdo link con la vicenda dei migranti che non c'entra nulla».
Due punti al mese, sono troppi anche per uno che dice di guardare poco i sondaggi. Ma Gentiloni - malgrado la sensibilità in tema di diritti - non è tipo da azzardi. Soprattutto non può permettersi quel che ieri l'altro Pier Ferdinando Casini suggeriva. Ovvero risolvere la questione «nelle sedi proprie» riunendo il consiglio dei ministri dove sarebbe toccato ad Alfano alzarsi e dire quel no alla fiducia che avrebbe indebolito fortemente il governo. Sarebbe stata questa la certificazione di quello che ormai da tempo avviene al Senato dove il capogruppo del Pd Luigi Zanda è costretto a fare salti mortali perchè la maggioranza c'è solo sulla carta.
Colpa della scissione di Mdp dal Pd e della corsa che molti esponenti centristi stanno facendo verso FI e che Berlusconi nei giorni scorsi ha bloccato proprio per evitare un precipitare della situazione che porterebbe il Paese al voto in autunno. Il rinvio dello ius soli a settembre, e la contemporanea e un po' paradossale promessa di Alfano di votarlo al Senato dopo averlo votato alla Camera, permettono invece al governo di prendere tempo ed evitare che si traggano ora conclusioni sulla tenuta della maggioranza.
Ma con l'avvicinarsi delle urne in Ap i maldipancia sono destinati ad aumentare, e il ministro Costa ora non solo minaccia le dimissioni, ma strizza l'occhio al Cavaliere. E così lo slittamento deciso ieri rischia di certificare l'impotenza della maggioranza che rende l'esecutivo fragile e ben lontano dall'essere il governo del Presidente.
Almeno non certo dell'attuale inquilino del Quirinale dove la vicenda dello ius soli viene seguita con estrema attenzione anche in vista di quello che sarà l'appuntamento decisivo di fine legislatura, il varo della legge di Bilancio, e l'atteso tentativo di riforma della legge elettorale. Se però questa è l'aria, in autunno - quando si chiuderà anche l'ultima finestra elettorale - il tana-liberi-tutti dei tanti parlamentari in cerca di un seggio più o meno sicuro, renderà la situazione esplosiva. Matteo Renzi dal giorno dell'uscita del suo libro ha rimesso ogni scelta nelle mani del presidente del Consiglio: «Decide Paolo, se mette la fiducia la votiamo». Ieri il vicesegretario del Pd Martina non è stato da meno schierandosi a fianco di Gentiloni pur ribadendo il sostegno del Pd allo ius soli.
LA RESA
Mettere nella mani del premier ogni decisione, significa far assumere a Gentiloni non tanto o non solo le eventuali conseguenze politiche qualora il governo dovesse non incassare la fiducia, ma anche le non meno pesanti responsabilità dei rinvii che mostrano come la maggioranza abbia cominciato a segnare il passo. L'irritazione di Mdp nei confronti della scelta del governo è forte.
La richiesta della capogruppo Guerra di votare la legge senza ricorrere al voto di fiducia punta a far venire allo scoperto Pd e Ap più che ad incassare il varo di un ddl appesantito da 50 mila emendamenti, ma mette inevitabilmente nel mirino anche il governo Gentiloni al quale Mdp ha già promesso vita non facile sulla legge di Bilancio. Per evitare di essere nuovamente chiamato in ballo come possibile killer della legislatura, Renzi continua a stare un passo indietro lasciando al premier il compito di valutare se e come andare avanti.
Lo ha fatto sullo ius soli e intende farlo anche sugli altri provvedimenti che presto andranno all'esame del Senato e sui quali rischia di ripetersi lo stesso film: a cominciare dal ddl concorrenza che da due anni il Parlamento si rimpalla. Ovviamente, malgrado il silenzio e l'atteggiamento zen, il segretario del Pd - come si coglie anche nel libro - continua ad avere forti dubbi sui motivi che hanno sinora impedito di anticipare le elezioni di qualche mese. Lo ius soli, come di recente ha ricordato Matteo Orfini, era tra questi.
1. C’È UN NUOVO NAUFRAGO A LARGO DEL CANALE DI SICILIA: E’ IL BULLETTO MATTEO RENZI
2. IL SILURAMENTO DELLO “IUS SOLI” E’ LA SUA ENNESIMA SCONFITTA: HA PROVATO A FORZARE PARLAMENTO E GOVERNO E INVECE GENTILONI GLI HA FATTO CAPIRE CHE NON CI SONO I NUMERI
3. D’ALTRONDE, SOLO UN POLLASTRO POTEVA IMMAGINARE CHE, TRA SBARCHI E PAURE DI “INVASIONE” DI MIGRANTI, SI POTESSE BLINDARE UNA LEGGE SUI DIRITTI DI CITTADINANZA: SALVINI, GRILLINI E “FARSA ITALIA” ERANO GIA' PRONTI A INCENDIARE L’OPINIONE PUBBLICA
4. E POI IL BULLETTO, CHE SPERAVA NELLA FIDUCIA SULLO IUS SOLI, HA RICEVUTO IL MESSAGGIO DI MATTARELLA: “SE GENTILONI CADE, SI FA UN GENTILONI BIS. NIENTE ELEZIONI ANTICIPATE”
1 - IL TIMORE DI «CADERE» CON LA FIDUCIA LA BATTUTA DI RENZI: PACE COL MONDO
GENTILONI E RENZI
Monica Guerzoni per il “Corriere della Sera”
«Pace col mondo...». Raccontano che Matteo Renzi abbia reagito con una battuta conciliante alla telefonata del presidente del Consiglio, che a metà pomeriggio gli comunicava la (sofferta) decisione di stoppare la legge sulla cittadinanza ai figli degli immigrati nati in Italia. «Matteo, non ci sono le condizioni per forzare - è stata la spiegazione di Paolo Gentiloni -. Al Senato non abbiamo i numeri e, se mettiamo la fiducia, il governo cade». E Renzi, che ci aveva messo la faccia sfidando tutto e tutti: «Paolo lo sai, per me era un provvedimento importante. Ma capisco le preoccupazioni per la tenuta della maggioranza e mi rimetto alle tue decisioni».
Al Nazareno la notizia era attesa e temuta, eppure tra i dirigenti del Pd c'è chi insinua che Gentiloni «non ha avuto la forza di imporre ad Alfano il provvedimento». E non per un problema di voti. «I numeri al Senato ci sono», è il leitmotiv dei renziani. Ma il premier ha alzato lo sguardo rispetto alle dinamiche parlamentari e si è assunto in prima persona la responsabilità del rinvio, maturando, come ha spiegato ai collaboratori, «una scelta di realismo».
L'Italia vive un momento drammatico per gli sbarchi e Gentiloni spera che le trattative sui flussi migratori con i partner europei portino presto a sviluppi positivi. Perché buttare un cerino su una catasta di legna? In questo clima, con i sindaci di piccoli Comuni che rifiutano di accogliere i migranti e Salvini che stasera sbarca a Civitavecchia, Gentiloni ha fiutato il rischio di «incendiare il Paese» portando in Aula una mina come lo ius soli. «C'è troppa voglia in giro di scatenarsi su questo tema - è l' assillo che il premier ha confidato ai suoi -. Non possiamo permetterci di far cadere il governo e offrire una carta vincente alle destre».
A settembre, si augura Gentiloni, questa torrida estate sarà finita e forse Alfano si rassegnerà a votare a favore, come gli ha promesso. Al ministro degli Esteri e leader di Ap i renziani addossano il peso di una sconfitta politica per il loro leader. «Se Alfano avesse detto sì, i suoi senatori non lo avrebbero seguito, perché sono sotto la minaccia di Salvini. Chi vota la legge non sarà nelle liste elettorali».
Fermare la riforma non è stato indolore per Gentiloni, favorevole a una legge sostenuta dal mondo cattolico e del volontariato. Ma il premier sente di aver fatto la cosa giusta, «evitando che una scelta di civiltà si trasformi in una guerra di odio». La reazione di Renzi, che non vuole aprire un fronte di fibrillazione anche con il governo, è improntata alla cautela. Ma qualche tensione deve essersi innescata se un alto dirigente dem la legge così: «Non è Renzi che ha fatto una figuraccia, è il governo che non ci fa una bella figura sulla tenuta della maggioranza». E poi, sottovoce: «La legge di bilancio ce la approviamo da soli? Se non passa, ognuno si assumerà le sue responsabilità».
^^^^
2 - RENZI: VICENDA COSTATA AL PD 2 PUNTI AL MESE NEI SONDAGGI
Marco Conti per “il Messaggero”
La maggioranza non c'è più e il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni ne prende atto in una domenica pomeriggio di luglio. Non c'è sullo ius soli e non c'è per ora, sostiene il presidente del Consiglio che promette il suo impegno per approvare in autunno la legge che assegna la cittadinanza ai minori nati in Italia, da genitori stranieri. Dopo giorni di attesa la questione si chiude. Complice il calendario cinico e baro di palazzo Madama, ma anche per colpa o merito - a seconda dei punti di vista - soprattutto dei centristi di Ap che non garantiscono al premier numeri certi a palazzo Madama.
Il rischio di andare sotto su un voto di fiducia era forte e «Paolo non se l'è sentita», sostengono dalle parti del Nazareno dove da giorni attendevano una scelta. Fosse stato per Renzi - che ieri è stato informato da Gentiloni della decisione - la fiducia l'avrebbe messa da tempo anche perché - ha sostenuto ieri con i suoi il segretario Pd - «questo temporeggiare ha fatto perdere al Pd mezzo punto a settimana» anche per «l'assurdo link con la vicenda dei migranti che non c'entra nulla».
Due punti al mese, sono troppi anche per uno che dice di guardare poco i sondaggi. Ma Gentiloni - malgrado la sensibilità in tema di diritti - non è tipo da azzardi. Soprattutto non può permettersi quel che ieri l'altro Pier Ferdinando Casini suggeriva. Ovvero risolvere la questione «nelle sedi proprie» riunendo il consiglio dei ministri dove sarebbe toccato ad Alfano alzarsi e dire quel no alla fiducia che avrebbe indebolito fortemente il governo. Sarebbe stata questa la certificazione di quello che ormai da tempo avviene al Senato dove il capogruppo del Pd Luigi Zanda è costretto a fare salti mortali perchè la maggioranza c'è solo sulla carta.
Colpa della scissione di Mdp dal Pd e della corsa che molti esponenti centristi stanno facendo verso FI e che Berlusconi nei giorni scorsi ha bloccato proprio per evitare un precipitare della situazione che porterebbe il Paese al voto in autunno. Il rinvio dello ius soli a settembre, e la contemporanea e un po' paradossale promessa di Alfano di votarlo al Senato dopo averlo votato alla Camera, permettono invece al governo di prendere tempo ed evitare che si traggano ora conclusioni sulla tenuta della maggioranza.
Ma con l'avvicinarsi delle urne in Ap i maldipancia sono destinati ad aumentare, e il ministro Costa ora non solo minaccia le dimissioni, ma strizza l'occhio al Cavaliere. E così lo slittamento deciso ieri rischia di certificare l'impotenza della maggioranza che rende l'esecutivo fragile e ben lontano dall'essere il governo del Presidente.
Almeno non certo dell'attuale inquilino del Quirinale dove la vicenda dello ius soli viene seguita con estrema attenzione anche in vista di quello che sarà l'appuntamento decisivo di fine legislatura, il varo della legge di Bilancio, e l'atteso tentativo di riforma della legge elettorale. Se però questa è l'aria, in autunno - quando si chiuderà anche l'ultima finestra elettorale - il tana-liberi-tutti dei tanti parlamentari in cerca di un seggio più o meno sicuro, renderà la situazione esplosiva. Matteo Renzi dal giorno dell'uscita del suo libro ha rimesso ogni scelta nelle mani del presidente del Consiglio: «Decide Paolo, se mette la fiducia la votiamo». Ieri il vicesegretario del Pd Martina non è stato da meno schierandosi a fianco di Gentiloni pur ribadendo il sostegno del Pd allo ius soli.
LA RESA
Mettere nella mani del premier ogni decisione, significa far assumere a Gentiloni non tanto o non solo le eventuali conseguenze politiche qualora il governo dovesse non incassare la fiducia, ma anche le non meno pesanti responsabilità dei rinvii che mostrano come la maggioranza abbia cominciato a segnare il passo. L'irritazione di Mdp nei confronti della scelta del governo è forte.
La richiesta della capogruppo Guerra di votare la legge senza ricorrere al voto di fiducia punta a far venire allo scoperto Pd e Ap più che ad incassare il varo di un ddl appesantito da 50 mila emendamenti, ma mette inevitabilmente nel mirino anche il governo Gentiloni al quale Mdp ha già promesso vita non facile sulla legge di Bilancio. Per evitare di essere nuovamente chiamato in ballo come possibile killer della legislatura, Renzi continua a stare un passo indietro lasciando al premier il compito di valutare se e come andare avanti.
Lo ha fatto sullo ius soli e intende farlo anche sugli altri provvedimenti che presto andranno all'esame del Senato e sui quali rischia di ripetersi lo stesso film: a cominciare dal ddl concorrenza che da due anni il Parlamento si rimpalla. Ovviamente, malgrado il silenzio e l'atteggiamento zen, il segretario del Pd - come si coglie anche nel libro - continua ad avere forti dubbi sui motivi che hanno sinora impedito di anticipare le elezioni di qualche mese. Lo ius soli, come di recente ha ricordato Matteo Orfini, era tra questi.
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Re: Renzi
REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO
DALLA GUERRA DI LIBERAZIONE ALLA GUERRA DI DISINTEGRAZIONE
Commenti
mercoledì 12/07/2017
Il potere modello Goldman Sachs, la frase nel libro di Renzi che dice tutto di lui
di Stefano Feltri | 12 luglio 2017
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C’è una frase del libro di Matteo Renzi che riguarda l’ex presidente della Commissione europea José Manuel Barroso e la sua decisione del 2016 di diventare presidente non esecutivo della banca d’affari Goldman Sachs, all’indomani del voto sulla Brexit, per consigliare la banca nei rapporti con Bruxelles. Scrive Renzi: “Non ho mai apprezzato molto lo stile di Barroso. Quando è stato assunto con superstipendio da Goldman Sachs, mi ha colpito l’attacco durissimo che gli ha rivolto François Hollande. Io ne sono rimasto fuori: più che di Barroso – che ha fatto benissimo ad accettare, dal suo punto di vista – l’errore è stato di Goldman Sachs. È proprio vero che non ci sono più le banche d’affari di una volta”. Questo passaggio, che vorrebbe essere spiritoso, dice tutto di Renzi.
Per l’ex premier il problema è che una banca come Goldman si abbassi a reclutare un discutibile politico come Barroso. Ma Renzi non ha obiezioni sul fatto che un rappresentante legittimato da 28 Paesi che nel corso del suo mandato ha discusso di regolamentazione bancaria e di ristrutturazione di debiti greci detenuti da Goldman poi ne diventi dipendente. Renzi non sa, o considera irrilevante, che oltre 150.000 europei si sono mobilitati per denunciare lo scandalo della nomina, per chiedere che a Barroso venissero sospesi i benefici pensionistici di ex presidente della Commissione. Ignora o trascura che perfino la stessa Commissione che ha giudicato l’incarico conforme ai vincoli (erano passati i 18 mesi necessari dalla fine del mandato) ha riconosciuto che Barroso “non ha mostrato la capacità di giudizio che ci si potrebbe aspettare da qualcuno che ha ricoperto un’alta carica per così tanti anni”.
Tutto questo a Renzi non importa. Per lui è normale che un decisore pubblico flirti con una banca mentre è in carica e poi vada a farsi remunerare dopo, anche per la cordialità dimostrata mentre era al potere. Questa è la visione del potere di Renzi. Non si sforza nemmeno più di nasconderlo.
http://www.ilfattoquotidiano.it/premium ... o-goldman/
DALLA GUERRA DI LIBERAZIONE ALLA GUERRA DI DISINTEGRAZIONE
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mercoledì 12/07/2017
Il potere modello Goldman Sachs, la frase nel libro di Renzi che dice tutto di lui
di Stefano Feltri | 12 luglio 2017
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C’è una frase del libro di Matteo Renzi che riguarda l’ex presidente della Commissione europea José Manuel Barroso e la sua decisione del 2016 di diventare presidente non esecutivo della banca d’affari Goldman Sachs, all’indomani del voto sulla Brexit, per consigliare la banca nei rapporti con Bruxelles. Scrive Renzi: “Non ho mai apprezzato molto lo stile di Barroso. Quando è stato assunto con superstipendio da Goldman Sachs, mi ha colpito l’attacco durissimo che gli ha rivolto François Hollande. Io ne sono rimasto fuori: più che di Barroso – che ha fatto benissimo ad accettare, dal suo punto di vista – l’errore è stato di Goldman Sachs. È proprio vero che non ci sono più le banche d’affari di una volta”. Questo passaggio, che vorrebbe essere spiritoso, dice tutto di Renzi.
Per l’ex premier il problema è che una banca come Goldman si abbassi a reclutare un discutibile politico come Barroso. Ma Renzi non ha obiezioni sul fatto che un rappresentante legittimato da 28 Paesi che nel corso del suo mandato ha discusso di regolamentazione bancaria e di ristrutturazione di debiti greci detenuti da Goldman poi ne diventi dipendente. Renzi non sa, o considera irrilevante, che oltre 150.000 europei si sono mobilitati per denunciare lo scandalo della nomina, per chiedere che a Barroso venissero sospesi i benefici pensionistici di ex presidente della Commissione. Ignora o trascura che perfino la stessa Commissione che ha giudicato l’incarico conforme ai vincoli (erano passati i 18 mesi necessari dalla fine del mandato) ha riconosciuto che Barroso “non ha mostrato la capacità di giudizio che ci si potrebbe aspettare da qualcuno che ha ricoperto un’alta carica per così tanti anni”.
Tutto questo a Renzi non importa. Per lui è normale che un decisore pubblico flirti con una banca mentre è in carica e poi vada a farsi remunerare dopo, anche per la cordialità dimostrata mentre era al potere. Questa è la visione del potere di Renzi. Non si sforza nemmeno più di nasconderlo.
http://www.ilfattoquotidiano.it/premium ... o-goldman/
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Re: Renzi
‘Renzi, Boschi e Lotti fregati da questione morale
Pensano di comandare l’establishment che li usa’
PIER LUIGI BERSANI: “Se governi il Paese non puoi usare le relazioni del tuo paese, con la minuscola”
Sullo Ius soli: “Quando Matteo voleva una maggioranza l’ha trovata, ora è comodo scaricare su Gentiloni”
Lavora alla costruzione della sinistra con Pisapia, sostiene la necessità di una legge elettorale e di una manovra, ma avvisa Gentiloni: “Siamo maggioranza, ma stiamo perdendo la pazienza”. Direbbe immediatamente sì alla fiducia sullo Ius soli, “perché è ora, con i barconi, che va approvato”. Rivendica una parte del popolo del Pd a cui offrire un progetto “collettivo”: “Noi siamo una squadra e pratichiamo uno sport di squadra, basta con le discipline individuali”. Intervista al presidente di Articolo 1: da Consip a Banca Etruria, dal Movimento 5 stelle alle amate metafore di Ettore Boffano e Fabrizio d'Esposito
Pensano di comandare l’establishment che li usa’
PIER LUIGI BERSANI: “Se governi il Paese non puoi usare le relazioni del tuo paese, con la minuscola”
Sullo Ius soli: “Quando Matteo voleva una maggioranza l’ha trovata, ora è comodo scaricare su Gentiloni”
Lavora alla costruzione della sinistra con Pisapia, sostiene la necessità di una legge elettorale e di una manovra, ma avvisa Gentiloni: “Siamo maggioranza, ma stiamo perdendo la pazienza”. Direbbe immediatamente sì alla fiducia sullo Ius soli, “perché è ora, con i barconi, che va approvato”. Rivendica una parte del popolo del Pd a cui offrire un progetto “collettivo”: “Noi siamo una squadra e pratichiamo uno sport di squadra, basta con le discipline individuali”. Intervista al presidente di Articolo 1: da Consip a Banca Etruria, dal Movimento 5 stelle alle amate metafore di Ettore Boffano e Fabrizio d'Esposito
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Re: Renzi
REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Davide Vecchi
Politica
Consip, lo statista Renzi si nasconde dietro la salute del padre
di Davide Vecchi | 20 luglio 2017
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Più informazioni su: Consip, Matteo Renzi, Tiziano Renzi
Davide Vecchi
Giornalista
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Mi spiace apprendere che Tiziano Renzi abbia subito un nuovo intervento al cuore e che sia rimasto talmente scosso dall’inchiesta Consip da spingerlo a confidare al figlio Matteo di essere “pronto a fare una pazzia”, cioè togliersi la vita. Tanti auguri di buona guarigione. Ma il figlio Matteo la notizia poteva evitare di renderla pubblica. A me l’ipocrisia dei piagnistei, la ricerca della commiserazione altrui, mi infastidisce. Nascondersi dietro la salute di un padre non è propriamente un gesto da statista, da leader.
04:41
Conosco Tiziano Renzi ormai da quasi dieci anni, seppure i nostri rapporti siano sempre stati esclusivamente professionali: io faccio il giornalista, lui il padre di Matteo Renzi. E il problema è tutto qui: lui è solamente il genitore di un politico rampante e arrampicante. L’interesse nei confronti di Tiziano da parte della stampa è limitato esclusivamente al suo rapporto parentale con il boy scout di Rignano. Punto. Così come l’interesse di molti imprenditori: lo hanno avvicinato non per sue qualità ma per usarlo come tramite nel tentativo di arrivare al figliolo diventato potente. Del resto se per 66 anni di vita hai vissuto tra un fallimento e un altro, tra società nate e morte anche in pochi mesi e, nonostante un impegno costante nella politica locale, non sei riuscito a superare i confini del Valdarno, magari capisci che l’improvvisa notorietà non deriva da meriti tuoi. E invece, il signor Tiziano, non ha capito. O forse ha capito troppo bene.
Stando a quanto emerge dalle carte dell’inchiesta Consip, Renzi senior si è dato un gran da fare in giro per l’Italia sfruttando proprio la parentela con il figlio, gli amici del figlio, il ruolo del figlio. Tanto che a leggere le risultanze investigative della procura di Napoli, il più attivo a brigare con l’imprenditore Romeo è proprio Carlo Russo, giovane amico di Tiziano. Non che lui sia da meno. Si dà un gran da fare. E infatti si ritrova indagato per traffico di influenze dalla procura di Roma. Sicuramente avrà modo di dimostrare la sua estraneità dai fatti, come già avvenuto a Genova dove era indagato per bancarotta fraudolenta ed è stato archiviato. Nel frattempo, invece di lasciarsi strumentalizzare dal figlio, potrebbe arrabbiarsi per gli errori commessi. Uno, in particolare: non aver deciso di abbandonare tutto e ritirarsi nell’orticello quando Matteo è diventato segretario del Pd nel dicembre 2013. E invece s’è messo a brigare, giocando al faccendiere. Di provincia.
Credo che un buon padre debba fare di tutto per non ostacolare il figlio. Per sostenerlo, assecondarlo nelle sue scelte, anche se non le ritiene corrette. Soprattutto quando l’erede ti supera palesemente: tu fermo da una vita a Rignano, lui a Washington con Obama. Lascialo fare.
Certo, se dovessimo prendere per buono il quadro che emerge dalle pagine dell’inchiesta, sei tu che inguai tuo figlio, tanto che Matteo è costretto persino a telefonarti per invitarti a non mentire ai pm. Sì: parto dal presupposto che ciò che dite sia la verità. Ma se volete essere ritenuti credibili allora inizia dal suggerire a Matteo di non nascondersi meschinamente dietro la tua salute, di non usarla per fuggire dal confronto, di rispondere nel merito e non buttarla in caciara. Insomma: digli di fare l’uomo. Non il quaraquaqua, come direbbe Leonardo Sciascia.
Smettetela poi di aggrapparvi al capitano Scafarto e ai presunti errori delle indagini. Perché è un film già visto e rivisto. Si vuol far passare per colpevole chi scopre il reato e non chi lo commette. Davvero volete vendervi come vittime, giocando sulla commiserazione e la pena altrui, invece di difendervi? Matteo Renzi è segretario del Partito Democratico, è stato presidente del Consiglio e aspira a rioccupare quella poltrona. I vostri amici sono ancora al governo e nelle società pubbliche, gestiscono i soldi del Paese. Tu sei indagato, insieme ad altri tuoi amici e frequentatori, eppure i magistrati si sono limitati a interrogarti. Non lamentatevi.
C’è un mio collega, Marco Lillo, che per aver fatto il suo mestiere ha subito delle pesanti perquisizioni ovunque, dall’ufficio alla macchina. Hanno perquisito pure il padre di 96 anni. E a casa Lillo nessuno è indagato. Eppure non ha fiatato. Non ha frignato. Non ha gridato al complotto. Né ha cercato di essere commiserato per il coinvolgimento del padre, decisamente anziano e non certo in ottima salute. Per carità lui è soltanto un giornalista, non certo uno degli uomini più potenti del Paese. Ma le qualità di un uomo si misurano dai suoi gesti. Non dalle sue parole. Come i reati: sono ipotizzati sulla base di azioni commesse e non su referti medici. Buona guarigione Tiziano e accetta il consiglio: butta il cellulare e coltiva l’orto.
di Davide Vecchi | 20 luglio 2017
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07 ... e/3742719/
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Consip, lo statista Renzi si nasconde dietro la salute del padre
di Davide Vecchi | 20 luglio 2017
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Mi spiace apprendere che Tiziano Renzi abbia subito un nuovo intervento al cuore e che sia rimasto talmente scosso dall’inchiesta Consip da spingerlo a confidare al figlio Matteo di essere “pronto a fare una pazzia”, cioè togliersi la vita. Tanti auguri di buona guarigione. Ma il figlio Matteo la notizia poteva evitare di renderla pubblica. A me l’ipocrisia dei piagnistei, la ricerca della commiserazione altrui, mi infastidisce. Nascondersi dietro la salute di un padre non è propriamente un gesto da statista, da leader.
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Conosco Tiziano Renzi ormai da quasi dieci anni, seppure i nostri rapporti siano sempre stati esclusivamente professionali: io faccio il giornalista, lui il padre di Matteo Renzi. E il problema è tutto qui: lui è solamente il genitore di un politico rampante e arrampicante. L’interesse nei confronti di Tiziano da parte della stampa è limitato esclusivamente al suo rapporto parentale con il boy scout di Rignano. Punto. Così come l’interesse di molti imprenditori: lo hanno avvicinato non per sue qualità ma per usarlo come tramite nel tentativo di arrivare al figliolo diventato potente. Del resto se per 66 anni di vita hai vissuto tra un fallimento e un altro, tra società nate e morte anche in pochi mesi e, nonostante un impegno costante nella politica locale, non sei riuscito a superare i confini del Valdarno, magari capisci che l’improvvisa notorietà non deriva da meriti tuoi. E invece, il signor Tiziano, non ha capito. O forse ha capito troppo bene.
Stando a quanto emerge dalle carte dell’inchiesta Consip, Renzi senior si è dato un gran da fare in giro per l’Italia sfruttando proprio la parentela con il figlio, gli amici del figlio, il ruolo del figlio. Tanto che a leggere le risultanze investigative della procura di Napoli, il più attivo a brigare con l’imprenditore Romeo è proprio Carlo Russo, giovane amico di Tiziano. Non che lui sia da meno. Si dà un gran da fare. E infatti si ritrova indagato per traffico di influenze dalla procura di Roma. Sicuramente avrà modo di dimostrare la sua estraneità dai fatti, come già avvenuto a Genova dove era indagato per bancarotta fraudolenta ed è stato archiviato. Nel frattempo, invece di lasciarsi strumentalizzare dal figlio, potrebbe arrabbiarsi per gli errori commessi. Uno, in particolare: non aver deciso di abbandonare tutto e ritirarsi nell’orticello quando Matteo è diventato segretario del Pd nel dicembre 2013. E invece s’è messo a brigare, giocando al faccendiere. Di provincia.
Credo che un buon padre debba fare di tutto per non ostacolare il figlio. Per sostenerlo, assecondarlo nelle sue scelte, anche se non le ritiene corrette. Soprattutto quando l’erede ti supera palesemente: tu fermo da una vita a Rignano, lui a Washington con Obama. Lascialo fare.
Certo, se dovessimo prendere per buono il quadro che emerge dalle pagine dell’inchiesta, sei tu che inguai tuo figlio, tanto che Matteo è costretto persino a telefonarti per invitarti a non mentire ai pm. Sì: parto dal presupposto che ciò che dite sia la verità. Ma se volete essere ritenuti credibili allora inizia dal suggerire a Matteo di non nascondersi meschinamente dietro la tua salute, di non usarla per fuggire dal confronto, di rispondere nel merito e non buttarla in caciara. Insomma: digli di fare l’uomo. Non il quaraquaqua, come direbbe Leonardo Sciascia.
Smettetela poi di aggrapparvi al capitano Scafarto e ai presunti errori delle indagini. Perché è un film già visto e rivisto. Si vuol far passare per colpevole chi scopre il reato e non chi lo commette. Davvero volete vendervi come vittime, giocando sulla commiserazione e la pena altrui, invece di difendervi? Matteo Renzi è segretario del Partito Democratico, è stato presidente del Consiglio e aspira a rioccupare quella poltrona. I vostri amici sono ancora al governo e nelle società pubbliche, gestiscono i soldi del Paese. Tu sei indagato, insieme ad altri tuoi amici e frequentatori, eppure i magistrati si sono limitati a interrogarti. Non lamentatevi.
C’è un mio collega, Marco Lillo, che per aver fatto il suo mestiere ha subito delle pesanti perquisizioni ovunque, dall’ufficio alla macchina. Hanno perquisito pure il padre di 96 anni. E a casa Lillo nessuno è indagato. Eppure non ha fiatato. Non ha frignato. Non ha gridato al complotto. Né ha cercato di essere commiserato per il coinvolgimento del padre, decisamente anziano e non certo in ottima salute. Per carità lui è soltanto un giornalista, non certo uno degli uomini più potenti del Paese. Ma le qualità di un uomo si misurano dai suoi gesti. Non dalle sue parole. Come i reati: sono ipotizzati sulla base di azioni commesse e non su referti medici. Buona guarigione Tiziano e accetta il consiglio: butta il cellulare e coltiva l’orto.
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Re: Renzi
REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO
D'ESTATE, ALLA FESTA DELL'UNITA', ORAMAI CI VANNO SOLO LE ZANZARE(quelle vere)
IlFattoQuotidiano.it / Politica
Pd, la Festa è un flop. Disperazione tra gli stand a Milano: “Tragedia, e ci avevano promesso 50mila persone”
03:44
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/07 ... e/3743179/
di Franz Baraggino e Luigi Franco | 20 luglio 2017
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22,4 mila
Più informazioni su: Festa del PD, Festa dell'Unità, Matteo Renzi, Milano, PD
All’ex Scalo Farini di via Valtellina a Milano tutti aspettano Matteo Renzi. Il segretario inaugura gli ultimi quattro giorni della Festa dell’Unità, che fino ad ora ha visto solo dirigenti locali. “Speriamo porti le 50mila persone che ci avevano promesso”, commenta sarcastico chi vende panini alla festa del Pd milanese, che giudica un “flop totale“, un “buco nell’acqua” che per gli esercenti degli stand alimentari si tradurrà in una perdita netta. E si sente truffato: “Ho speso 1200 euro per essere qui con la mia attività, ma ad oggi non ne ho recuperati nemmeno la metà della metà”. Fa caldo, la decadenza dell’ex scalo ferroviario ha il suo fascino ma non si riempie di persone. Il dibattito sulla cyber sicurezza delle 18.00 vede più relatori che astanti. Quelli con Piero Fassino e Luca Lotti beneficiano dell’attesa per il segretario. “Manca la gente, ma non pensavo a un flop così”, aggiunge il titolare di un altro stand pronto a servirci “ottime fritture” nonostante si percepiscano più di 30 gradi. E non ha dubbi: “Tornare l’anno prossimo? Nemmeno per sogno”. Insomma, la partecipazione non è di casa. O forse è diventata un’altra cosa. Sui tavoli che ospiteranno circa un centinaio di persone per #acenaconMatteo c’è un foglio che invita tutti a farsi un selfie, a postarlo con l’hashtag corretto e a loggarsi l’indomani su Facebook per ritrovarsi e condividere ancora, per moltiplicare. Renzi arriva in ritardo, saluta le cucine, poi i commensali. E se ne va. I presenti, quei pochi, sono tutti a tavola, quella organizzata dal Pd milanese. Tra gli stand si avventurano in pochi, i registratori di cassa vanno in bianco anche stasera. Molte le zanzare di Franz Baraggino e Luigi Franco
di Franz Baraggino e Luigi Franco | 20 luglio 2017
D'ESTATE, ALLA FESTA DELL'UNITA', ORAMAI CI VANNO SOLO LE ZANZARE(quelle vere)
IlFattoQuotidiano.it / Politica
Pd, la Festa è un flop. Disperazione tra gli stand a Milano: “Tragedia, e ci avevano promesso 50mila persone”
03:44
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di Franz Baraggino e Luigi Franco | 20 luglio 2017
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22,4 mila
Più informazioni su: Festa del PD, Festa dell'Unità, Matteo Renzi, Milano, PD
All’ex Scalo Farini di via Valtellina a Milano tutti aspettano Matteo Renzi. Il segretario inaugura gli ultimi quattro giorni della Festa dell’Unità, che fino ad ora ha visto solo dirigenti locali. “Speriamo porti le 50mila persone che ci avevano promesso”, commenta sarcastico chi vende panini alla festa del Pd milanese, che giudica un “flop totale“, un “buco nell’acqua” che per gli esercenti degli stand alimentari si tradurrà in una perdita netta. E si sente truffato: “Ho speso 1200 euro per essere qui con la mia attività, ma ad oggi non ne ho recuperati nemmeno la metà della metà”. Fa caldo, la decadenza dell’ex scalo ferroviario ha il suo fascino ma non si riempie di persone. Il dibattito sulla cyber sicurezza delle 18.00 vede più relatori che astanti. Quelli con Piero Fassino e Luca Lotti beneficiano dell’attesa per il segretario. “Manca la gente, ma non pensavo a un flop così”, aggiunge il titolare di un altro stand pronto a servirci “ottime fritture” nonostante si percepiscano più di 30 gradi. E non ha dubbi: “Tornare l’anno prossimo? Nemmeno per sogno”. Insomma, la partecipazione non è di casa. O forse è diventata un’altra cosa. Sui tavoli che ospiteranno circa un centinaio di persone per #acenaconMatteo c’è un foglio che invita tutti a farsi un selfie, a postarlo con l’hashtag corretto e a loggarsi l’indomani su Facebook per ritrovarsi e condividere ancora, per moltiplicare. Renzi arriva in ritardo, saluta le cucine, poi i commensali. E se ne va. I presenti, quei pochi, sono tutti a tavola, quella organizzata dal Pd milanese. Tra gli stand si avventurano in pochi, i registratori di cassa vanno in bianco anche stasera. Molte le zanzare di Franz Baraggino e Luigi Franco
di Franz Baraggino e Luigi Franco | 20 luglio 2017
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- Iscritto il: 11/10/2016, 2:47
Re: Renzi
REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO
IL KAOS
Si era presentato come "IL ROTTAMATORE", ma alla fine è risultato "IL PICCONATORE".
La sovragestione che aveva dato l'OK a questo nuovo personaggio, tramite Napolitano, non si è preoccupata molto del fallimento del 4 dicembre 2016.
Non era diventato DUCE, ma qualcosa l'aveva ottenuta.
HA DEMOLITO IL CENTROSINISTRA.
Dalla prima pagina de il Fatto Quotidiano. oggi in edicola:
CASSE (E URNE) VUOTE Cresce la preoccupazione tra i 184 assunti del Nazareno
Debiti referendari: il Pd deve
ancora 7,7 milioni ai fornitori
IL KAOS
Si era presentato come "IL ROTTAMATORE", ma alla fine è risultato "IL PICCONATORE".
La sovragestione che aveva dato l'OK a questo nuovo personaggio, tramite Napolitano, non si è preoccupata molto del fallimento del 4 dicembre 2016.
Non era diventato DUCE, ma qualcosa l'aveva ottenuta.
HA DEMOLITO IL CENTROSINISTRA.
Dalla prima pagina de il Fatto Quotidiano. oggi in edicola:
CASSE (E URNE) VUOTE Cresce la preoccupazione tra i 184 assunti del Nazareno
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