Come se ne viene fuori ?
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Re: Come se ne viene fuori ?
REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO
Mentre il centrosinistra si sta sgretolando come un colosso d’argilla, il centrodestra vola, scrivevano gli STRUMPTRUPPEN in preda all’euforia da vittoria.
Ma non era così. Solo loro non volevano vedere, per evidente convenienza.
Ma un tweet di troppo del bauscione di Porta Cicca, ha fatto traboccare il vaso.
Gli STRUMPTRUPPEN non hanno più potuto far finta di niente.
Anche perché, la mummia cinese di Hardcore, qualche giorno fa aveva dichiarato candidamente, che la guida del centrodestra spetta a chi ha più voti.
E alla fine della settimana scorsa, i sondaggi erano più che unanimi. La Lega nel centrodestra ha più voti di Farsa Italia.
Se anche l'altro Matteo ora fa il bullo
Alessandro Sallusti - Lun, 03/07/2017 - 15:00
commenta
Matteo Salvini, come noto, si muove a tutto campo senza risparmio di energie. È un gran lavoratore e ha, legittimamente, un'enorme stima di sé e una scarsa stima degli altri.
Per certi versi i risultati gli danno ragione (ha preso la Lega moribonda al 4 per cento e l'ha portata attorno al 14) e per questo si vede già a Palazzo Chigi a capo di una coalizione ancora non meglio definita. Nella sua bulimia comunicativa, sabato se l'è presa con noi, accusandoci in un tweet di aver nascosto la crescita della Lega rilevata in due sondaggi pubblicati da Corriere e Repubblica: «DiVertente - scrive - il Giornale di casa Berlusconi, manco a Cuba...».
Anche ai leader capita di prendere cantonate: la fretta, l'arroganza, il caldo, la stanchezza, a volte un bicchiere di troppo, una cattiva compagnia ed ecco che parte la cavolata. Carta canta: abbiamo riportato correttamente, nei grafici e nei testi, il buon risultato della Lega secondo il sondaggio de La Repubblica (13,8 contro il 14,4 di Forza Italia) e il risorpasso secondo quello del Corriere (15 contro 14,3).
Sono settimane che i due partiti del centrodestra si scambiano nei sondaggi la palma del più votato, e noi riportiamo tutto serenamente e liberamente, perché l'abitudine consolidata di «casa Berlusconi» è di non interferire nei contenuti dei mezzi di cui si trova a essere azionista di maggioranza. Ti dirò di più, caro Matteo. I giornalisti di «casa Berlusconi», da sempre così abituati, difficilmente accetterebbero imposizioni, a differenza di quanto avveniva, ahimè, nel giornale e nella radio padani di «casa Salvini», purtroppo chiusi per mancanza di libertà e quindi di gradimento. Tanto è vero, Matteo, che non hai schifato in questi anni di apparire su
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 15591.html
Mentre il centrosinistra si sta sgretolando come un colosso d’argilla, il centrodestra vola, scrivevano gli STRUMPTRUPPEN in preda all’euforia da vittoria.
Ma non era così. Solo loro non volevano vedere, per evidente convenienza.
Ma un tweet di troppo del bauscione di Porta Cicca, ha fatto traboccare il vaso.
Gli STRUMPTRUPPEN non hanno più potuto far finta di niente.
Anche perché, la mummia cinese di Hardcore, qualche giorno fa aveva dichiarato candidamente, che la guida del centrodestra spetta a chi ha più voti.
E alla fine della settimana scorsa, i sondaggi erano più che unanimi. La Lega nel centrodestra ha più voti di Farsa Italia.
Se anche l'altro Matteo ora fa il bullo
Alessandro Sallusti - Lun, 03/07/2017 - 15:00
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Matteo Salvini, come noto, si muove a tutto campo senza risparmio di energie. È un gran lavoratore e ha, legittimamente, un'enorme stima di sé e una scarsa stima degli altri.
Per certi versi i risultati gli danno ragione (ha preso la Lega moribonda al 4 per cento e l'ha portata attorno al 14) e per questo si vede già a Palazzo Chigi a capo di una coalizione ancora non meglio definita. Nella sua bulimia comunicativa, sabato se l'è presa con noi, accusandoci in un tweet di aver nascosto la crescita della Lega rilevata in due sondaggi pubblicati da Corriere e Repubblica: «DiVertente - scrive - il Giornale di casa Berlusconi, manco a Cuba...».
Anche ai leader capita di prendere cantonate: la fretta, l'arroganza, il caldo, la stanchezza, a volte un bicchiere di troppo, una cattiva compagnia ed ecco che parte la cavolata. Carta canta: abbiamo riportato correttamente, nei grafici e nei testi, il buon risultato della Lega secondo il sondaggio de La Repubblica (13,8 contro il 14,4 di Forza Italia) e il risorpasso secondo quello del Corriere (15 contro 14,3).
Sono settimane che i due partiti del centrodestra si scambiano nei sondaggi la palma del più votato, e noi riportiamo tutto serenamente e liberamente, perché l'abitudine consolidata di «casa Berlusconi» è di non interferire nei contenuti dei mezzi di cui si trova a essere azionista di maggioranza. Ti dirò di più, caro Matteo. I giornalisti di «casa Berlusconi», da sempre così abituati, difficilmente accetterebbero imposizioni, a differenza di quanto avveniva, ahimè, nel giornale e nella radio padani di «casa Salvini», purtroppo chiusi per mancanza di libertà e quindi di gradimento. Tanto è vero, Matteo, che non hai schifato in questi anni di apparire su
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 15591.html
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Re: Come se ne viene fuori ?
Ma poi molti parlando di destra inspiegabilmente parlano solo di quella fascista e non sanno più che esiste una destra che difende la distruzione dei diritti sociali in nome di un capitalismo senza regole. Uno deve opporsi al fascismo, ma questo nella sua disumanità che uno non deve scordarsi per non riviverlo non c'entra nulla con la mondializzazione.pancho ha scritto:Allora la mia domanda e' questa:PERCHE RISPPUNTA LA DESTRA?UncleTom ha scritto:REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO
Marco Damilano ha scritto il suo articolo per L’Espresso, titolandolo:
Venti di destra
Sovranisti,populisti,
antiparlamentaristi,
nazionalisti, fascisti…
E uniti possono vincere
Non c’è sufficiente consapevolezza di un pericolo a destra nella vita politica italiana, ad avvertirlo, sembra preistoria, era stato Aldo Moro, in un consiglio nazionale della Dc nel 1961, all’indomani della fallita svolta autoritaria del governo Tambroni.
Viene la vertigine, perché da allora sono passati decenni, repubbliche, riforme costituzionali, partiti secolari sono tramontati, leadership scintillanti sono appassite, ma resta l’errore di avversari e analisti: la sottovalutazione, la mancanza di consapevolezza, l’incapacità di vedere cosa si muove nel profondo, nel sotterraneo della società.
E come un fantasma, un fiume carsico che riaffiora appena trovi lo sbocco, in questa estate 2017 di deserto della politica, di piazze vuote e urne prosciugate, rispunta la Destra.
CONTINUA
Se voglio essere coerente con me stesso poiche precedentemente ho messo in discussione il termine di SINISTRA quindi, se vale per la sinistra ancor più puo' valere per la DESTRA se in questi 2 termini ognuno di noi puo' dare la propria interpretazione?
Come al gioco dell'oca ritorniamo sempre da capo con i ns discordi se una volta per tutte non decidiamo che significato dare ORA a questi termini.
E qui per non ripetermi vi rimando a quanto da me scritto precedentemente sul 3D di Antonio sul tema della rivincita di Marx.
un salutone
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Re: Come se ne viene fuori ?
INFERNO VIVERE NEL GIRONE DEI DANNATI DELLO STIVALONE.
Questo articolo induce ad una profonda riflessione sulla realtà di tipo infernale che domina l’Italia, ma anche il resto del mondo.
Rispondere alla propria coscienza porta diritti alla sospensione dell’esperienza della vita.
Questa è la sorte di chi aveva vent’anni nel ’43 e ha scelto di combattere il nazifascismo, e di quella che anni dopo ha fatto la scelta del primato della vita civile, come Falcone e Borsellino.
(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti nella diretta web-radio “Border Nights” del 27 giugno 2017. Avvocato, già gran maestro della comunione massonica di Piazza del Gesù, saggista e romanziere, Carpeoro ha pubblicato nel 2016 il saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia l’esistenza in ambito euro-atlantico di un apparato di “sovragestione” del potere, che include elementi massonici dell’élite internazionale e settori dei servizi segreti, impiegati nella strategia della tensione che si traduce nell’attuale neo-terrorismo firmato Isis. Nel libro, Carpeoro segnala inoltre l’esistenza – mai dichiarata ufficialmente, né menzionata da nessun altro – della Loggia P1, di cui a P2 di Gelli, poi “sacrificata” quando non serviva più, rappresentava solo una sorta di succursale, costituita a scopo di depistaggio).
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Massoni Nato, mafia, Gladio. E addio Falcone e Borsellino
Scritto il 15/7/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Il vero motivo per cui sono stati uccisi Falcone e Borsellino?
Le loro indagini sarebbero arrivate a stabilire gli elementi comuni, da un punto di vista finanziario, tra mafia americana e politica americana e tra mafia italiana e politica italiana.
Nella consapevolezza che sarebbe stato ucciso, Falcone aveva affidato a Borsellino dei documenti.
E non appena Borsellino ha dato dei segnali, facendo capire che li avrebbe utilizzati, è stato fatto fuori.
I mandanti?
Sono un complesso di attori e interessi, che io chiamo “sovragestione”.
Mafia, massoneria, Gladio, Cia, Nato.
La loggia Colosseum?
Corrisponde a una logica, dell’immediato dopoguerra, di gestione dell’Italia da parte della Cia e della Nato.
C’è stato un personaggio, che si chiamava Frank Gigliotti, entrato nella Cia prima della fine della guerra.
Nella sua dimensione di italo-americano, venne mandato in Italia per fare in modo che il nostro paese avesse, nel dopoguerra, uno sviluppo politico e sociale massonico, del tipo previsto dalla “sovragestione”.
Lui arriva e innanzitutto sovrintende allo sbarco degli americani in Sicilia facendo accorti con la mafia e con gli autonomisti siciliani, corrente Finocchiaro Aprile.
Gigliotti nomina un plenipotenziario (Charles Fama, ndr), e lo munisce di un interprete particolare, un certo Vito Genovese, braccio destro di Lucky Luciano nella mafia italo-americana (una grande eccezione alla regola siciliana, perché Vito Genovese era napoletano).
Insomma: Gigliotti impiega come interprete un mafioso, il plenipotenziario che gestisce, per conto degli americani, la Sicilia appena invasa.
Dopodiché si sposta su Roma, dove si dovrebbero ricostituire le due massonerie soppresse dal fascismo, cioè il Grande Oriente d’Italia, massoneria anglosassone, e Piazza del Gesù, massoneria scozzese.
Nel momento in cui avviene questa ricostituzione, Gigliotti – promettendo il riconoscimento americano al Grande Oriente d’Italia – si mette a sabotare Piazza del Gesù, dividendo i vari eredi di quella tradizione e mettendoli contro Raoul Palermi, che era il gran maestro.
E fabbrica una “nuova” Piazza del Gesù, appositamente, scegliendo un altro personaggio molto discusso, il principe Giovanni Alliata di Montereale, che aveva preso in mano un ramo di Piazza del Gesù, presieduto in precedenza dal conte Pier Andrea Bellerio.
A questo punto, Gigliotti fa unificare Alliata di Montereale con il Grande Oriente d’Italia, nel quale riconosce la massoneria unita, scavallando Palermi e tutti gli altri.
Nel frattempo, organizza una serie di logge Nato, in Italia, obbligando il Grande Oriente a dar loro la copertura.
Precisamente, costituisce a Verona la Verona American Lodge, a Livorno la Benjamin Franklin (che poi sarà trasferita a Pisa), a Bagnoli la Truman, a San Vito dei Normanni la J.J. McClellan.
Poi prende tutto il personale americano dell’ambasciata Usa a Roma e gli fa costituire, fondandola personalmente, la loggia Colosseum di Roma.
Tutte queste logge sovrintendono poi alla costituzione di un organismo che si chiama Gladio, Stay Behind.
Tramite il suo fido, che si chiama Roberto Ascarelli, Gigliotti cura personalmente la formazione di Licio Gelli nel Goi, per poi mettergli in mano la gestione della P2, che avrebbe dovuto depistare l’attenzione dall’esistenza della P1, già ricostituita nel 1948, avendo come “venerabile” il vice di Enrico Mattei all’Eni, Eugenio Cefis.
La loggia Colosseum è poi stata espulsa dal Goi dall’allora gran maestro Giuliano Di Bernardo, poco prima che questi lasciasse la guida del Grande Oriente, nel 1993; non so se poi la loggia Colosseum sia stata riaccolta nel Goi.
Della loggia Benjamin Frankin ho parlato in occasione dei recenti attentati: è la loggia delle “porcherie” (lo sono anche le altre, che però in realtà, più che altro, sono essenzialmente strumenti della Nato per controllare il personale americano in Italia), mentre la Frankin ha avuto un altro ruolo.
Attenzione: le scelte di questi nomi non sono mai casuali.
Chi era Franklin? Un presidente Usa, certo.
Ma anche uno scienziato: l’inventore del parafulmine.
E quindi come si doveva chiamare, la loggia di copertura?
Quello della copertura è un ruolo diverso da quello del depistaggio, che avviene dopo le cose sono successe; la copertura viene preparata prima che le cose accadano, quindi il depistaggio può essere una conseguenza della copertura.
Questo articolo induce ad una profonda riflessione sulla realtà di tipo infernale che domina l’Italia, ma anche il resto del mondo.
Rispondere alla propria coscienza porta diritti alla sospensione dell’esperienza della vita.
Questa è la sorte di chi aveva vent’anni nel ’43 e ha scelto di combattere il nazifascismo, e di quella che anni dopo ha fatto la scelta del primato della vita civile, come Falcone e Borsellino.
(Gianfranco Carpeoro, dichiarazioni rilasciate a Fabio Frabetti nella diretta web-radio “Border Nights” del 27 giugno 2017. Avvocato, già gran maestro della comunione massonica di Piazza del Gesù, saggista e romanziere, Carpeoro ha pubblicato nel 2016 il saggio “Dalla massoneria al terrorismo”, che denuncia l’esistenza in ambito euro-atlantico di un apparato di “sovragestione” del potere, che include elementi massonici dell’élite internazionale e settori dei servizi segreti, impiegati nella strategia della tensione che si traduce nell’attuale neo-terrorismo firmato Isis. Nel libro, Carpeoro segnala inoltre l’esistenza – mai dichiarata ufficialmente, né menzionata da nessun altro – della Loggia P1, di cui a P2 di Gelli, poi “sacrificata” quando non serviva più, rappresentava solo una sorta di succursale, costituita a scopo di depistaggio).
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Massoni Nato, mafia, Gladio. E addio Falcone e Borsellino
Scritto il 15/7/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi
Il vero motivo per cui sono stati uccisi Falcone e Borsellino?
Le loro indagini sarebbero arrivate a stabilire gli elementi comuni, da un punto di vista finanziario, tra mafia americana e politica americana e tra mafia italiana e politica italiana.
Nella consapevolezza che sarebbe stato ucciso, Falcone aveva affidato a Borsellino dei documenti.
E non appena Borsellino ha dato dei segnali, facendo capire che li avrebbe utilizzati, è stato fatto fuori.
I mandanti?
Sono un complesso di attori e interessi, che io chiamo “sovragestione”.
Mafia, massoneria, Gladio, Cia, Nato.
La loggia Colosseum?
Corrisponde a una logica, dell’immediato dopoguerra, di gestione dell’Italia da parte della Cia e della Nato.
C’è stato un personaggio, che si chiamava Frank Gigliotti, entrato nella Cia prima della fine della guerra.
Nella sua dimensione di italo-americano, venne mandato in Italia per fare in modo che il nostro paese avesse, nel dopoguerra, uno sviluppo politico e sociale massonico, del tipo previsto dalla “sovragestione”.
Lui arriva e innanzitutto sovrintende allo sbarco degli americani in Sicilia facendo accorti con la mafia e con gli autonomisti siciliani, corrente Finocchiaro Aprile.
Gigliotti nomina un plenipotenziario (Charles Fama, ndr), e lo munisce di un interprete particolare, un certo Vito Genovese, braccio destro di Lucky Luciano nella mafia italo-americana (una grande eccezione alla regola siciliana, perché Vito Genovese era napoletano).
Insomma: Gigliotti impiega come interprete un mafioso, il plenipotenziario che gestisce, per conto degli americani, la Sicilia appena invasa.
Dopodiché si sposta su Roma, dove si dovrebbero ricostituire le due massonerie soppresse dal fascismo, cioè il Grande Oriente d’Italia, massoneria anglosassone, e Piazza del Gesù, massoneria scozzese.
Nel momento in cui avviene questa ricostituzione, Gigliotti – promettendo il riconoscimento americano al Grande Oriente d’Italia – si mette a sabotare Piazza del Gesù, dividendo i vari eredi di quella tradizione e mettendoli contro Raoul Palermi, che era il gran maestro.
E fabbrica una “nuova” Piazza del Gesù, appositamente, scegliendo un altro personaggio molto discusso, il principe Giovanni Alliata di Montereale, che aveva preso in mano un ramo di Piazza del Gesù, presieduto in precedenza dal conte Pier Andrea Bellerio.
A questo punto, Gigliotti fa unificare Alliata di Montereale con il Grande Oriente d’Italia, nel quale riconosce la massoneria unita, scavallando Palermi e tutti gli altri.
Nel frattempo, organizza una serie di logge Nato, in Italia, obbligando il Grande Oriente a dar loro la copertura.
Precisamente, costituisce a Verona la Verona American Lodge, a Livorno la Benjamin Franklin (che poi sarà trasferita a Pisa), a Bagnoli la Truman, a San Vito dei Normanni la J.J. McClellan.
Poi prende tutto il personale americano dell’ambasciata Usa a Roma e gli fa costituire, fondandola personalmente, la loggia Colosseum di Roma.
Tutte queste logge sovrintendono poi alla costituzione di un organismo che si chiama Gladio, Stay Behind.
Tramite il suo fido, che si chiama Roberto Ascarelli, Gigliotti cura personalmente la formazione di Licio Gelli nel Goi, per poi mettergli in mano la gestione della P2, che avrebbe dovuto depistare l’attenzione dall’esistenza della P1, già ricostituita nel 1948, avendo come “venerabile” il vice di Enrico Mattei all’Eni, Eugenio Cefis.
La loggia Colosseum è poi stata espulsa dal Goi dall’allora gran maestro Giuliano Di Bernardo, poco prima che questi lasciasse la guida del Grande Oriente, nel 1993; non so se poi la loggia Colosseum sia stata riaccolta nel Goi.
Della loggia Benjamin Frankin ho parlato in occasione dei recenti attentati: è la loggia delle “porcherie” (lo sono anche le altre, che però in realtà, più che altro, sono essenzialmente strumenti della Nato per controllare il personale americano in Italia), mentre la Frankin ha avuto un altro ruolo.
Attenzione: le scelte di questi nomi non sono mai casuali.
Chi era Franklin? Un presidente Usa, certo.
Ma anche uno scienziato: l’inventore del parafulmine.
E quindi come si doveva chiamare, la loggia di copertura?
Quello della copertura è un ruolo diverso da quello del depistaggio, che avviene dopo le cose sono successe; la copertura viene preparata prima che le cose accadano, quindi il depistaggio può essere una conseguenza della copertura.
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Re: Come se ne viene fuori ?
REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO
Premessa
I fatti del G8 di Genova del 20 luglio 2001, riportati da Wikipedia.
Chi fosse in possesso di dati discordanti è pregato di renderli noti.
Carlo Giuliani
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Carlo Giuliani (Roma, 14 marzo 1978 – Genova, 20 luglio 2001) era un ragazzo appartenente al movimento no-global,[1] ucciso durante i fatti del G8 di Genova.
In relazione all'uccisione, il carabiniere ausiliario Mario Placanica è stato indagato per omicidio e poi prosciolto dalla giustizia italiana avendo agito per legittima difesa contro Giuliani che, a volto coperto, tentava di colpirlo con un estintore. La Corte europea dei diritti dell'uomo, alla quale la famiglia Giuliani aveva fatto ricorso, ha accolto la ricostruzione italiana in merito ai fatti specifici della morte ma ha criticato la gestione dei sistemi di sicurezza attorno al vertice da parte dell'Italia, che avrebbe minimizzato i rischi. In conseguenza di ciò la Corte dispose un risarcimento di 40.000 euro ai familiari di Giuliani a carico dello Stato italiano[2]. La stessa Corte ha infine assolto lo Stato Italiano con sentenza definitiva nel 2011.[3][4]
I fatti del 20 luglio 2001[modifica | modifica wikitesto]
Gli scontri[modifica | modifica wikitesto]
La morte di Carlo Giuliani è legata ai disordini avvenuti a Genova il 20 luglio del 2001 in Via Tolemaide nel quartiere Foce, presso la stazione Brignole, dove si verificarono violenti scontri tra manifestanti anti-g8 e forze dell'ordine. Secondo amici e familiari la partecipazione a quegli eventi da parte di Giuliani fu promossa dalle notizie relative ai disordini che in quelle ore circolavano. Secondo queste testimonianze, tali notizie lo convinsero a rinunciare alla gita al mare che aveva programmato quella mattina per dirigersi verso il corteo delle Tute Bianche. La versione che vorrebbe Giuliani in procinto quel giorno di dirigersi verso la spiaggia genovese sarebbe avvalorata dal costume da bagno che indossava sotto i pantaloni al momento del decesso.[10][11] L'autopsia ha rilevato che Giuliani, al momento del decesso, indossava "pantaloncini sportivi in materiale sintetico di colore rosso" sotto "pantaloni di una tuta ginnica di colore blu in cotone acetato", insieme a una "canottiera bianca di cotone, tagliata sul davanti e ampiamente intrisa di materiale ematico", "scarponcini sportivi da trekking" e "calze di lana"[12].
A seguito di una carica abortita in via Caffa (l'unica effettuata lateralmente al corteo) da parte dei carabinieri della compagnia CCIR "Echo" - 12° btg carabinieri "Sicilia", in piazza Alimonda, durante la frettolosa ritirata dei circa 70 militari presenti, una Land Rover Defender con tre carabinieri a bordo (l'autista Filippo Cavataio, Mario Placanica e Dario Raffone), facendo manovra per seguire la ritirata degli uomini rimane apparentemente bloccata contro un grosso cassonetto per rifiuti. L'utilità della carica, il numero di uomini impegnati e la valutazione di fattibilità saranno oggetto successivamente di pareri e testimonianze contrastanti da parte degli ufficiali responsabili del reparto, uno dei quali riconoscerà durante la visione dei filmati nel processo sui fatti del 20 luglio che il reparto lanciò dei sassi in direzione dei manifestanti.[13] L'autista sosterrà poi che sarebbe rimasto bloccato a causa di una manovra errata di un altro veicolo Land Rover Defender che seguiva la carica delle forze dell'ordine.
Sulla credibilità di tale dichiarazione getta un'ombra una serie di fotografie a disposizione della magistratura dai giorni successivi al 20 luglio 2001, la cui diffusione è stata resa possibile solo successivamente all'archiviazione del procedimento aperto nei confronti del carabiniere Mario Placanica. Da queste fotografie emerge con chiarezza come il cassonetto fosse utilizzato come schermo protettivo da almeno un carabiniere: questa circostanza renderebbe credibile che il carabiniere Filippo Cavataio non abbia tentato di spostare il contenitore per evitare di travolgere il collega[14].
La posizione dei due Defender e il loro ruolo operativo in quella situazione sono stati messi fortemente in discussione dallo stesso capitano Cappello, che durante il processo spiega come sia improponibile in linea generale farsi scortare da mezzi non blindati in operazioni di ordine pubblico. In particolare Cappello specifica di non aver avuto percezione della presenza dei mezzi in quella posizione, e dichiara di non aver dato nessuna disposizione sui due Defender specificando che dal suo punto di vista sarebbe stato un suicidio disporli a seguito del contingente.[15]
Il veicolo rimane così fermo per alcuni secondi durante i quali viene preso d'assalto da alcuni dei manifestanti che stavano inseguendo le forze dell'ordine in ritirata verso la parte bassa di via Caffa e piazza Tommaseo, dove vi era il raggruppamento dei carabinieri e delle forze di polizia. Tra questi, Carlo Giuliani, con il volto coperto da un passamontagna, che raccoglie e solleva un estintore, già precedentemente scagliato contro il mezzo da un altro manifestante e poi caduto a terra, manifestando l'intenzione di lanciarlo a propria volta contro il veicolo dei carabinieri.[16]
Dall'interno del veicolo un carabiniere - identificato come Mario Placanica secondo le sue stesse dichiarazioni - dopo aver estratto e puntato la pistola verso i manifestanti intimandogli di andarsene, spara due colpi. Un colpo raggiunge allo zigomo sinistro Carlo Giuliani che morirà nei minuti successivi. Il fuoristrada, nel tentativo di fuggire rapidamente dai manifestanti, riprende la manovra passando sul corpo del ragazzo due volte (una prima in retromarcia, la seconda a marcia avanti). Sono le 17:27 del 20 luglio 2001. Tutta la sequenza è registrata nei filmati degli operatori presenti sul posto.
Per ulteriori informazioni riportate da Wikipedia, vedere:
https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Giuliani
CONTINUA
Premessa
I fatti del G8 di Genova del 20 luglio 2001, riportati da Wikipedia.
Chi fosse in possesso di dati discordanti è pregato di renderli noti.
Carlo Giuliani
Da Wikipedia, l'enciclopedia libera.
Carlo Giuliani (Roma, 14 marzo 1978 – Genova, 20 luglio 2001) era un ragazzo appartenente al movimento no-global,[1] ucciso durante i fatti del G8 di Genova.
In relazione all'uccisione, il carabiniere ausiliario Mario Placanica è stato indagato per omicidio e poi prosciolto dalla giustizia italiana avendo agito per legittima difesa contro Giuliani che, a volto coperto, tentava di colpirlo con un estintore. La Corte europea dei diritti dell'uomo, alla quale la famiglia Giuliani aveva fatto ricorso, ha accolto la ricostruzione italiana in merito ai fatti specifici della morte ma ha criticato la gestione dei sistemi di sicurezza attorno al vertice da parte dell'Italia, che avrebbe minimizzato i rischi. In conseguenza di ciò la Corte dispose un risarcimento di 40.000 euro ai familiari di Giuliani a carico dello Stato italiano[2]. La stessa Corte ha infine assolto lo Stato Italiano con sentenza definitiva nel 2011.[3][4]
I fatti del 20 luglio 2001[modifica | modifica wikitesto]
Gli scontri[modifica | modifica wikitesto]
La morte di Carlo Giuliani è legata ai disordini avvenuti a Genova il 20 luglio del 2001 in Via Tolemaide nel quartiere Foce, presso la stazione Brignole, dove si verificarono violenti scontri tra manifestanti anti-g8 e forze dell'ordine. Secondo amici e familiari la partecipazione a quegli eventi da parte di Giuliani fu promossa dalle notizie relative ai disordini che in quelle ore circolavano. Secondo queste testimonianze, tali notizie lo convinsero a rinunciare alla gita al mare che aveva programmato quella mattina per dirigersi verso il corteo delle Tute Bianche. La versione che vorrebbe Giuliani in procinto quel giorno di dirigersi verso la spiaggia genovese sarebbe avvalorata dal costume da bagno che indossava sotto i pantaloni al momento del decesso.[10][11] L'autopsia ha rilevato che Giuliani, al momento del decesso, indossava "pantaloncini sportivi in materiale sintetico di colore rosso" sotto "pantaloni di una tuta ginnica di colore blu in cotone acetato", insieme a una "canottiera bianca di cotone, tagliata sul davanti e ampiamente intrisa di materiale ematico", "scarponcini sportivi da trekking" e "calze di lana"[12].
A seguito di una carica abortita in via Caffa (l'unica effettuata lateralmente al corteo) da parte dei carabinieri della compagnia CCIR "Echo" - 12° btg carabinieri "Sicilia", in piazza Alimonda, durante la frettolosa ritirata dei circa 70 militari presenti, una Land Rover Defender con tre carabinieri a bordo (l'autista Filippo Cavataio, Mario Placanica e Dario Raffone), facendo manovra per seguire la ritirata degli uomini rimane apparentemente bloccata contro un grosso cassonetto per rifiuti. L'utilità della carica, il numero di uomini impegnati e la valutazione di fattibilità saranno oggetto successivamente di pareri e testimonianze contrastanti da parte degli ufficiali responsabili del reparto, uno dei quali riconoscerà durante la visione dei filmati nel processo sui fatti del 20 luglio che il reparto lanciò dei sassi in direzione dei manifestanti.[13] L'autista sosterrà poi che sarebbe rimasto bloccato a causa di una manovra errata di un altro veicolo Land Rover Defender che seguiva la carica delle forze dell'ordine.
Sulla credibilità di tale dichiarazione getta un'ombra una serie di fotografie a disposizione della magistratura dai giorni successivi al 20 luglio 2001, la cui diffusione è stata resa possibile solo successivamente all'archiviazione del procedimento aperto nei confronti del carabiniere Mario Placanica. Da queste fotografie emerge con chiarezza come il cassonetto fosse utilizzato come schermo protettivo da almeno un carabiniere: questa circostanza renderebbe credibile che il carabiniere Filippo Cavataio non abbia tentato di spostare il contenitore per evitare di travolgere il collega[14].
La posizione dei due Defender e il loro ruolo operativo in quella situazione sono stati messi fortemente in discussione dallo stesso capitano Cappello, che durante il processo spiega come sia improponibile in linea generale farsi scortare da mezzi non blindati in operazioni di ordine pubblico. In particolare Cappello specifica di non aver avuto percezione della presenza dei mezzi in quella posizione, e dichiara di non aver dato nessuna disposizione sui due Defender specificando che dal suo punto di vista sarebbe stato un suicidio disporli a seguito del contingente.[15]
Il veicolo rimane così fermo per alcuni secondi durante i quali viene preso d'assalto da alcuni dei manifestanti che stavano inseguendo le forze dell'ordine in ritirata verso la parte bassa di via Caffa e piazza Tommaseo, dove vi era il raggruppamento dei carabinieri e delle forze di polizia. Tra questi, Carlo Giuliani, con il volto coperto da un passamontagna, che raccoglie e solleva un estintore, già precedentemente scagliato contro il mezzo da un altro manifestante e poi caduto a terra, manifestando l'intenzione di lanciarlo a propria volta contro il veicolo dei carabinieri.[16]
Dall'interno del veicolo un carabiniere - identificato come Mario Placanica secondo le sue stesse dichiarazioni - dopo aver estratto e puntato la pistola verso i manifestanti intimandogli di andarsene, spara due colpi. Un colpo raggiunge allo zigomo sinistro Carlo Giuliani che morirà nei minuti successivi. Il fuoristrada, nel tentativo di fuggire rapidamente dai manifestanti, riprende la manovra passando sul corpo del ragazzo due volte (una prima in retromarcia, la seconda a marcia avanti). Sono le 17:27 del 20 luglio 2001. Tutta la sequenza è registrata nei filmati degli operatori presenti sul posto.
Per ulteriori informazioni riportate da Wikipedia, vedere:
https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Giuliani
CONTINUA
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Re: Come se ne viene fuori ?
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Premessa
I fatti del G8 di Genova del 20 luglio 2001, riportati da Wikipedia.
Chi fosse in possesso di dati discordanti è pregato di renderli noti.
Carlo Giuliani
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Carlo Giuliani (Roma, 14 marzo 1978 – Genova, 20 luglio 2001) era un ragazzo appartenente al movimento no-global,[1] ucciso durante i fatti del G8 di Genova.
In relazione all'uccisione, il carabiniere ausiliario Mario Placanica è stato indagato per omicidio e poi prosciolto dalla giustizia italiana avendo agito per legittima difesa contro Giuliani che, a volto coperto, tentava di colpirlo con un estintore. La Corte europea dei diritti dell'uomo, alla quale la famiglia Giuliani aveva fatto ricorso, ha accolto la ricostruzione italiana in merito ai fatti specifici della morte ma ha criticato la gestione dei sistemi di sicurezza attorno al vertice da parte dell'Italia, che avrebbe minimizzato i rischi. In conseguenza di ciò la Corte dispose un risarcimento di 40.000 euro ai familiari di Giuliani a carico dello Stato italiano[2]. La stessa Corte ha infine assolto lo Stato Italiano con sentenza definitiva nel 2011.[3][4]
I fatti del 20 luglio 2001[modifica | modifica wikitesto]
Gli scontri[modifica | modifica wikitesto]
La morte di Carlo Giuliani è legata ai disordini avvenuti a Genova il 20 luglio del 2001 in Via Tolemaide nel quartiere Foce, presso la stazione Brignole, dove si verificarono violenti scontri tra manifestanti anti-g8 e forze dell'ordine. Secondo amici e familiari la partecipazione a quegli eventi da parte di Giuliani fu promossa dalle notizie relative ai disordini che in quelle ore circolavano. Secondo queste testimonianze, tali notizie lo convinsero a rinunciare alla gita al mare che aveva programmato quella mattina per dirigersi verso il corteo delle Tute Bianche. La versione che vorrebbe Giuliani in procinto quel giorno di dirigersi verso la spiaggia genovese sarebbe avvalorata dal costume da bagno che indossava sotto i pantaloni al momento del decesso.[10][11] L'autopsia ha rilevato che Giuliani, al momento del decesso, indossava "pantaloncini sportivi in materiale sintetico di colore rosso" sotto "pantaloni di una tuta ginnica di colore blu in cotone acetato", insieme a una "canottiera bianca di cotone, tagliata sul davanti e ampiamente intrisa di materiale ematico", "scarponcini sportivi da trekking" e "calze di lana"[12].
A seguito di una carica abortita in via Caffa (l'unica effettuata lateralmente al corteo) da parte dei carabinieri della compagnia CCIR "Echo" - 12° btg carabinieri "Sicilia", in piazza Alimonda, durante la frettolosa ritirata dei circa 70 militari presenti, una Land Rover Defender con tre carabinieri a bordo (l'autista Filippo Cavataio, Mario Placanica e Dario Raffone), facendo manovra per seguire la ritirata degli uomini rimane apparentemente bloccata contro un grosso cassonetto per rifiuti. L'utilità della carica, il numero di uomini impegnati e la valutazione di fattibilità saranno oggetto successivamente di pareri e testimonianze contrastanti da parte degli ufficiali responsabili del reparto, uno dei quali riconoscerà durante la visione dei filmati nel processo sui fatti del 20 luglio che il reparto lanciò dei sassi in direzione dei manifestanti.[13] L'autista sosterrà poi che sarebbe rimasto bloccato a causa di una manovra errata di un altro veicolo Land Rover Defender che seguiva la carica delle forze dell'ordine.
Sulla credibilità di tale dichiarazione getta un'ombra una serie di fotografie a disposizione della magistratura dai giorni successivi al 20 luglio 2001, la cui diffusione è stata resa possibile solo successivamente all'archiviazione del procedimento aperto nei confronti del carabiniere Mario Placanica. Da queste fotografie emerge con chiarezza come il cassonetto fosse utilizzato come schermo protettivo da almeno un carabiniere: questa circostanza renderebbe credibile che il carabiniere Filippo Cavataio non abbia tentato di spostare il contenitore per evitare di travolgere il collega[14].
La posizione dei due Defender e il loro ruolo operativo in quella situazione sono stati messi fortemente in discussione dallo stesso capitano Cappello, che durante il processo spiega come sia improponibile in linea generale farsi scortare da mezzi non blindati in operazioni di ordine pubblico. In particolare Cappello specifica di non aver avuto percezione della presenza dei mezzi in quella posizione, e dichiara di non aver dato nessuna disposizione sui due Defender specificando che dal suo punto di vista sarebbe stato un suicidio disporli a seguito del contingente.[15]
Il veicolo rimane così fermo per alcuni secondi durante i quali viene preso d'assalto da alcuni dei manifestanti che stavano inseguendo le forze dell'ordine in ritirata verso la parte bassa di via Caffa e piazza Tommaseo, dove vi era il raggruppamento dei carabinieri e delle forze di polizia. Tra questi, Carlo Giuliani, con il volto coperto da un passamontagna, che raccoglie e solleva un estintore, già precedentemente scagliato contro il mezzo da un altro manifestante e poi caduto a terra, manifestando l'intenzione di lanciarlo a propria volta contro il veicolo dei carabinieri.[16]
Dall'interno del veicolo un carabiniere - identificato come Mario Placanica secondo le sue stesse dichiarazioni - dopo aver estratto e puntato la pistola verso i manifestanti intimandogli di andarsene, spara due colpi. Un colpo raggiunge allo zigomo sinistro Carlo Giuliani che morirà nei minuti successivi. Il fuoristrada, nel tentativo di fuggire rapidamente dai manifestanti, riprende la manovra passando sul corpo del ragazzo due volte (una prima in retromarcia, la seconda a marcia avanti). Sono le 17:27 del 20 luglio 2001. Tutta la sequenza è registrata nei filmati degli operatori presenti sul posto.
Per ulteriori informazioni riportate da Wikipedia, vedere:
https://it.wikipedia.org/wiki/Carlo_Giuliani
CONTINUA
Sulla stampa nazionale 16 anni dopo:
22 lug 2017 15:56
“MI SONO SCUSATO MA HO DETTO CIO’ CHE PENSANO TUTTI”
– PARLA IL CONSIGLIERE DEL PD DI ANCONA DIEGO URBISAGLIA NELLA BUFERA DOPO LE FRASI SU CARLO GIULIANI
– "SE MIO FIGLIO SI TROVASSE, COME PLACANICA, IN UNA CAMIONETTA, IN QUELLA SITUAZIONE, COSA DOVREI DIRGLI? FATTI COLPIRE DALL’ESTINTORE?"
Stefania Piras per il Messaggero
Consigliere che effetto fa vedersi sulle home page di tutti i siti?
«Mi sento un po' sballottato, si è scatenato un casino. Ho usato parole eccessive, ma i miei amici su Facebook che hanno letto il post non ci hanno neanche badato, mille volte parlando ci siamo chiesti: ma tu cosa avresti fatto?».
Ora se lo è chiesto da politico.
«All' epoca ero un ragazzetto di 23 anni, portavo le pizze per pagarmi l' università e le vacanze, ora sono un padre. Io non avrei preso un estintore e non lo avrei brandito contro qualcuno. Invece se mi fossi trovato dentro la camionetta dei carabinieri non lo so cosa avrei fatto, probabilmente quello che ha fatto Placanica. Il G8 è stata una situazione scappata di mano».
Un po' come il suo post
«Beh se penso che mio figlio può trovarsi dentro una camionetta in quella situazione, cosa gli dico?».
Il coordinatore nazionale del Pd Lorenzo Guerini è intervenuto e non a sua difesa
«Farà quello che crede».
Ha ricevuto solidarietà?
«Sì, come in tutte le cose, ho visto dei commenti, ma non mi interessa: quella è la mia pagina personale. Sono parole fuori dalle righe».
Fuori dalle righe?
«Ho detto che avrebbe dovuto prendere la mira. Ho chiesto scusa».
Giuliani è morto comunque, anche senza le sue perizie balistiche su Facebook.
«Lei cita parole che ho cancellato. Io ho raccontato una sensazione che avevo all' epoca e oggi l' ho riproposta da padre».
Non lo riscriverebbe?
«Ho usato parole eccessive. Il pensiero espresso nel 2001 rimane, l' ho pensato, che devo fare? Io ho detto con chi parteggiavo in quella circostanza, ecco, ma ho usato i termini sbagliati, e questa storia ha preso una piega esagerata».
Lei è anche vigile del fuoco, lavora con gli estintori...
«Ma lei non si è identificata all' epoca? Guardi io faccio il consigliere, mi occupo di altro, abbiamo approvato da poco una mia mozione di un bando con contributi per le famiglie che non si possono permettere di far fare sport a pagamento ai propri figli, io faccio queste cose qui».
Ha mai partecipato a manifestazioni con scontri?
«No, mai, la società si cambia da dentro le istituzioni, come quei ragazzi di leva quel giorno, quei carabinieri».
Se il suo partito, il Pd, la sanziona cosa farà?
«C' è un collegio di garanti no? Mi ascolteranno, no?».
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Re: Come se ne viene fuori ?
PURE QUEL "GENIO" DI FACCI. CI AVEVA MESSO IL BECCO E LA SUA POSIZIONE ERA SCONTATA
22 lug 2017 19:37
NON MI MANCHERAI, CARLO GIULIANI
- FACCI: "ORA ANCHE NEL PD C’E’ CHI SI SCHIERA CON PLACANICA MA DA SINISTRA LO COPRONO DI INSULTI
- I FATTI RESTANO QUESTI: 17 ANNI FA A GENOVA È MORTO UN MANIFESTANTE VIOLENTO UCCISO DA UN CARABINIERE CHE APRÌ IL FUOCO PER LEGITTIMA DIFESA: A QUESTO VA AGGIUNTO CHE IL MILITARE SI È RITIRATO DAL SERVIZIO, MENTRE LA MADRE DEL VIOLENTO È DIVENTATA SENATRICE"
Filippo Facci per Libero Quotidiano
Prima la cronaca. Un consigliere del Pd di Ancona, Diego Urbisaglia, ha messo su Facebook una celebre foto del G8 di Genova del 2001 in cui si vede il solito Carlo Giuliani con l' estintore in mano davanti alla camionetta dei carabinieri, presa d' assalto dai no global e quindi anche da lui. Poi ha scritto, il consigliere:
«Estate 2001. Ho portato le pizze tutta l' estate per aiutare i miei a pagarmi l' università e per una vacanza che avrei fatto a settembre. Guardavo quelle immagini e, dentro di me, tra Carlo Giuliani con un estintore in mano e un mio coetaneo in servizio di leva, parteggiavo per quest' ultimo». E già qui, per un piddino, era un azzardo. Ma poi ha aggiunto: «Oggi, che sono padre, se dentro quella camionetta ci fosse mio figlio, gli griderei di sparare e di prendere bene la mira.
Sì, sono cattivo e senza cuore, ma c' era in ballo o la vita di uno o la vita dell' altro. Estintore contro pistola. Non mi mancherai, Carlo Giuliani».
Per quanto crudele, quello scontro del 2001 fu anche illegalità contro legalità: ma ve lo immaginate, ora, che cos' è successo dopo che il consigliere Urbisaglia ha postato queste parole? Su Facebook ovviamente l' hanno messo in mezzo: «Spero che qualcuno lo cacci» ha scritto il deputato di Sinistra italiana Arturo Scotto, mentre altri, a Urbisaglia, auguravano la morte o gli davano del fascista. Il quale è pur sempre un piddino, quindi ha ritenuto di doversi in parte «scusare per le parole troppo pesanti».
Ma la verità è che le sue scuse non hanno rettificato nulla. Infatti ha detto: «Quel post fotografa una scena: quella del lancio dell' estintore e la conseguente reazione del carabiniere. All' epoca avevo la stessa età dei protagonisti, e anche all' epoca pensai: se fossi stato lì dentro, avrei sparato anche io. Ho fatto un parallelismo, e a mio figlio che cosa dovrei dire, fatti tirare un estintore addosso?». Ergo: il concetto resta, dunque lui non ha cancellato il post su Facebook e tantomeno intende lasciare la carica di consigliere comunale: «Mi dovrei dimettere perché ai tempi tifavo per un carabiniere?».
Dai fatti di Genova non sono passati cent' anni, e sono fatti che non si possono certo mischiare e confondere con le parallele violenze dei poliziotti alla Diaz: ne consegue che l' episodio capitato al consigliere del Pd fa semplicemente parte delle ragioni per cui questo Paese fatica a essere una nazione normale, una nazione, cioè, in cui non si rischi di invertire i termini tra le assassini e forze dell' ordine. I fatti li hanno assodati e stra-assodati da molto tempo, con tutti gli strumenti possibili: 17 anni fa, a Genova, è morto un manifestante violento di nome Carlo Giuliani, ucciso da un carabiniere che sparò per legittima difesa. Il fatto è indiscutibile, e se nel tempo è diventato altro - al punto che da anni resistono cippi commemorativi dedicati a "Carlo Giuliani, ragazzo" - è solo perché Genova in quel momento era al centro della cronaca, e le scene dell' uccisione furono mostrate da tutte le televisioni del mondo.
Un gruppo di carabinieri, che seguiva un corteo da una via laterale, fu preso a sassate e ripiegò lasciando in coda due fuoristrada che rimasero intralciati; uno dei due fu circondato da decine di manifestanti che iniziarono ad attaccare il veicolo con sassi e assi di legno («Bastardi, vi ammazziamo», gridarono) e i violenti, tra i quali Giuliani, sfondarono i finestrini e cercarono di colpire gli occupanti terrorizzati.
Il carabiniere Mario Placanica minacciò questi vigliacchi con la pistola d' ordinanza e, visto che non si allontanavano, sparò due colpi: uno colpì Giuliani - non è ancora chiaro se direttamente o di rimbalzo - il quale aveva il volto coperto e cercava di scagliare un estintore. Fine. Dopo infinite inchieste e processi, anche della Corte Europea, i fatti restano questi, e va aggiunto che il carabiniere si è ritirato dal servizio, mentre la madre del violento è diventata senatrice. Cosicché, l' altro giorno, ancora una volta ci sono state delle commemorazioni per ricordare Carlo Giuliani: ma non ha capito, chi ancora lo martirizza, che ce lo ricordiamo benissimo.
22 lug 2017 19:37
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Filippo Facci per Libero Quotidiano
Prima la cronaca. Un consigliere del Pd di Ancona, Diego Urbisaglia, ha messo su Facebook una celebre foto del G8 di Genova del 2001 in cui si vede il solito Carlo Giuliani con l' estintore in mano davanti alla camionetta dei carabinieri, presa d' assalto dai no global e quindi anche da lui. Poi ha scritto, il consigliere:
«Estate 2001. Ho portato le pizze tutta l' estate per aiutare i miei a pagarmi l' università e per una vacanza che avrei fatto a settembre. Guardavo quelle immagini e, dentro di me, tra Carlo Giuliani con un estintore in mano e un mio coetaneo in servizio di leva, parteggiavo per quest' ultimo». E già qui, per un piddino, era un azzardo. Ma poi ha aggiunto: «Oggi, che sono padre, se dentro quella camionetta ci fosse mio figlio, gli griderei di sparare e di prendere bene la mira.
Sì, sono cattivo e senza cuore, ma c' era in ballo o la vita di uno o la vita dell' altro. Estintore contro pistola. Non mi mancherai, Carlo Giuliani».
Per quanto crudele, quello scontro del 2001 fu anche illegalità contro legalità: ma ve lo immaginate, ora, che cos' è successo dopo che il consigliere Urbisaglia ha postato queste parole? Su Facebook ovviamente l' hanno messo in mezzo: «Spero che qualcuno lo cacci» ha scritto il deputato di Sinistra italiana Arturo Scotto, mentre altri, a Urbisaglia, auguravano la morte o gli davano del fascista. Il quale è pur sempre un piddino, quindi ha ritenuto di doversi in parte «scusare per le parole troppo pesanti».
Ma la verità è che le sue scuse non hanno rettificato nulla. Infatti ha detto: «Quel post fotografa una scena: quella del lancio dell' estintore e la conseguente reazione del carabiniere. All' epoca avevo la stessa età dei protagonisti, e anche all' epoca pensai: se fossi stato lì dentro, avrei sparato anche io. Ho fatto un parallelismo, e a mio figlio che cosa dovrei dire, fatti tirare un estintore addosso?». Ergo: il concetto resta, dunque lui non ha cancellato il post su Facebook e tantomeno intende lasciare la carica di consigliere comunale: «Mi dovrei dimettere perché ai tempi tifavo per un carabiniere?».
Dai fatti di Genova non sono passati cent' anni, e sono fatti che non si possono certo mischiare e confondere con le parallele violenze dei poliziotti alla Diaz: ne consegue che l' episodio capitato al consigliere del Pd fa semplicemente parte delle ragioni per cui questo Paese fatica a essere una nazione normale, una nazione, cioè, in cui non si rischi di invertire i termini tra le assassini e forze dell' ordine. I fatti li hanno assodati e stra-assodati da molto tempo, con tutti gli strumenti possibili: 17 anni fa, a Genova, è morto un manifestante violento di nome Carlo Giuliani, ucciso da un carabiniere che sparò per legittima difesa. Il fatto è indiscutibile, e se nel tempo è diventato altro - al punto che da anni resistono cippi commemorativi dedicati a "Carlo Giuliani, ragazzo" - è solo perché Genova in quel momento era al centro della cronaca, e le scene dell' uccisione furono mostrate da tutte le televisioni del mondo.
Un gruppo di carabinieri, che seguiva un corteo da una via laterale, fu preso a sassate e ripiegò lasciando in coda due fuoristrada che rimasero intralciati; uno dei due fu circondato da decine di manifestanti che iniziarono ad attaccare il veicolo con sassi e assi di legno («Bastardi, vi ammazziamo», gridarono) e i violenti, tra i quali Giuliani, sfondarono i finestrini e cercarono di colpire gli occupanti terrorizzati.
Il carabiniere Mario Placanica minacciò questi vigliacchi con la pistola d' ordinanza e, visto che non si allontanavano, sparò due colpi: uno colpì Giuliani - non è ancora chiaro se direttamente o di rimbalzo - il quale aveva il volto coperto e cercava di scagliare un estintore. Fine. Dopo infinite inchieste e processi, anche della Corte Europea, i fatti restano questi, e va aggiunto che il carabiniere si è ritirato dal servizio, mentre la madre del violento è diventata senatrice. Cosicché, l' altro giorno, ancora una volta ci sono state delle commemorazioni per ricordare Carlo Giuliani: ma non ha capito, chi ancora lo martirizza, che ce lo ricordiamo benissimo.
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Re: Come se ne viene fuori ?
UncleTom ha scritto:PURE QUEL "GENIO" DI FACCI. CI AVEVA MESSO IL BECCO E LA SUA POSIZIONE ERA SCONTATA
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Prima la cronaca. Un consigliere del Pd di Ancona, Diego Urbisaglia, ha messo su Facebook una celebre foto del G8 di Genova del 2001 in cui si vede il solito Carlo Giuliani con l' estintore in mano davanti alla camionetta dei carabinieri, presa d' assalto dai no global e quindi anche da lui. Poi ha scritto, il consigliere:
«Estate 2001. Ho portato le pizze tutta l' estate per aiutare i miei a pagarmi l' università e per una vacanza che avrei fatto a settembre. Guardavo quelle immagini e, dentro di me, tra Carlo Giuliani con un estintore in mano e un mio coetaneo in servizio di leva, parteggiavo per quest' ultimo». E già qui, per un piddino, era un azzardo. Ma poi ha aggiunto: «Oggi, che sono padre, se dentro quella camionetta ci fosse mio figlio, gli griderei di sparare e di prendere bene la mira.
Sì, sono cattivo e senza cuore, ma c' era in ballo o la vita di uno o la vita dell' altro. Estintore contro pistola. Non mi mancherai, Carlo Giuliani».
Per quanto crudele, quello scontro del 2001 fu anche illegalità contro legalità: ma ve lo immaginate, ora, che cos' è successo dopo che il consigliere Urbisaglia ha postato queste parole? Su Facebook ovviamente l' hanno messo in mezzo: «Spero che qualcuno lo cacci» ha scritto il deputato di Sinistra italiana Arturo Scotto, mentre altri, a Urbisaglia, auguravano la morte o gli davano del fascista. Il quale è pur sempre un piddino, quindi ha ritenuto di doversi in parte «scusare per le parole troppo pesanti».
Ma la verità è che le sue scuse non hanno rettificato nulla. Infatti ha detto: «Quel post fotografa una scena: quella del lancio dell' estintore e la conseguente reazione del carabiniere. All' epoca avevo la stessa età dei protagonisti, e anche all' epoca pensai: se fossi stato lì dentro, avrei sparato anche io. Ho fatto un parallelismo, e a mio figlio che cosa dovrei dire, fatti tirare un estintore addosso?». Ergo: il concetto resta, dunque lui non ha cancellato il post su Facebook e tantomeno intende lasciare la carica di consigliere comunale: «Mi dovrei dimettere perché ai tempi tifavo per un carabiniere?».
Dai fatti di Genova non sono passati cent' anni, e sono fatti che non si possono certo mischiare e confondere con le parallele violenze dei poliziotti alla Diaz: ne consegue che l' episodio capitato al consigliere del Pd fa semplicemente parte delle ragioni per cui questo Paese fatica a essere una nazione normale, una nazione, cioè, in cui non si rischi di invertire i termini tra le assassini e forze dell' ordine. I fatti li hanno assodati e stra-assodati da molto tempo, con tutti gli strumenti possibili: 17 anni fa, a Genova, è morto un manifestante violento di nome Carlo Giuliani, ucciso da un carabiniere che sparò per legittima difesa. Il fatto è indiscutibile, e se nel tempo è diventato altro - al punto che da anni resistono cippi commemorativi dedicati a "Carlo Giuliani, ragazzo" - è solo perché Genova in quel momento era al centro della cronaca, e le scene dell' uccisione furono mostrate da tutte le televisioni del mondo.
Un gruppo di carabinieri, che seguiva un corteo da una via laterale, fu preso a sassate e ripiegò lasciando in coda due fuoristrada che rimasero intralciati; uno dei due fu circondato da decine di manifestanti che iniziarono ad attaccare il veicolo con sassi e assi di legno («Bastardi, vi ammazziamo», gridarono) e i violenti, tra i quali Giuliani, sfondarono i finestrini e cercarono di colpire gli occupanti terrorizzati.
Il carabiniere Mario Placanica minacciò questi vigliacchi con la pistola d' ordinanza e, visto che non si allontanavano, sparò due colpi: uno colpì Giuliani - non è ancora chiaro se direttamente o di rimbalzo - il quale aveva il volto coperto e cercava di scagliare un estintore. Fine. Dopo infinite inchieste e processi, anche della Corte Europea, i fatti restano questi, e va aggiunto che il carabiniere si è ritirato dal servizio, mentre la madre del violento è diventata senatrice. Cosicché, l' altro giorno, ancora una volta ci sono state delle commemorazioni per ricordare Carlo Giuliani: ma non ha capito, chi ancora lo martirizza, che ce lo ricordiamo benissimo.
MA OGGI, IL CAMERATA FACCI E' STATO SMENTITO
Carlo Giuliani, espulso dal Pd il politico di Ancona dopo la frase “Placanica doveva prendere bene la mira”
Cronaca
Diego Urbisaglia, consigliere comunale, nel giorno del 16esimo anniversario della morte del giovane manifestante del G8 di Genova, aveva scritto su Facebook: “Se in quella camionetta ci fosse stato mio figlio, gli avrei detto di prendere bene la mira"
di F. Q. | 23 luglio 2017
commenti (35)
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Più informazioni su: Carlo Giuliani, G8 Genova, Mario Placanica, PD
Diego Urbisaglia è fuori dal Pd. Il consigliere comunale di Ancona nel giorno del 16esimo anniversario della morte di Carlo Giuliani aveva scritto sui social che serviva “una mira migliore”. Così è stato cancellato dell’anagrafe degli iscritti e dall’albo degli elettori. Lo ha deciso all’unanimità la Commissione Comunale di Garanzia del partito, riunitasi la mattina del 23 luglio. In sostanza è un’espulsione.
Il 20 luglio scorso, nel giorno dell’anniversario della morte di Giuliani in piazza Alimonda, il consigliere di 39 anni, aveva scritto un post su Facebook che non lasciava spazio a interpretazioni: “Oggi nel 2017 che sono padre, se ci fosse mio figlio dentro quella campagnola gli griderei di sparare e di prendere bene la mira. Sì sono cattivo e senza cuore, ma lì c’era in ballo o la vita di uno o la vita dell’altro. Estintore contro pistola. Non mi mancherai Carlo Giuliani”. In sostanza, parteggiava per il carabiniere Mario Placanica, autore della morte di Carlo Giuliani. Parole che hanno scatenato le polemiche e l’indignazione sul web e che oggi hanno portato l’ex democratico fuori dal partito.
Lo stesso Urbisaglia, sentito oggi dalla Commissione, si è autosospeso dal Pd. Lontano, dunque, dalle parole che aveva pronunciato a caldo in difesa dalle polemiche: “Non mi dimetto. Non credo di doverlo fare solo per aver detto che a vent’anni ho pensato quel che ho scritto” diceva. Chiarirò la mia posizione – aveva affermato in riferimento alla richiesta di Lorenzo Guerini di un’azione della Commissione di garanzia- in quella sede, metteremo tutto nero su bianco e poi si vedrà. Io ho già chiesto scusa per alcune frasi infelici – ha ribadito – prima ancora che si scatenasse la bufera mediatica”.
La cancellazione dell’anagrafe degli iscritti e dall’albo degli elettori è la sanzione più grave prevista dallo statuto del Pd. Urbisaglia ha la possibilità di presentare ricorso “agli organi di garanzia di livello superiore”, informa un comunicato, cioè la Commisione regionale. Se l’espulsione venisse confermata, potrà accedere agli organi di garanzia a livello nazionale. Il politico resta comunque consigliere comunale, fuori dal gruppo consiliare Pd, anche se qualcuno ha ipotizzato un’espulsione anche dal Consiglio comunale di Ancona. Azione impossibile in base al regolamento.
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Re: Come se ne viene fuori ?
CHI RIMETTERA' SUI BINARI QUESTA SOCIETA' DERAGLIATA????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????????
OPPURE IL MONDO DEVE ANDARE A.......................
25 lug 2017 10:11
1. ‘HO UCCISO MIA SORELLA. NON MI IMPORTA’. VIDEO (RACCAPRICCIANTE): LA 18ENNE UBRIACA GUIDA, CANTA E TRASMETTE IN DIRETTA. E SCHIANTA L'AUTO, AMMAZZANDO LA 14ENNE
2. MA NON BASTA: RICOMINCIA A RIPRENDERE, INQUADRA IL CADAVERE DELLA RAGAZZA, INVITANDOLA A SALUTARE LA TELECAMERA - E LA TERZA ADOLESCENTE CHE ERA IN MACCHINA…
VIDEO (VERAMENTE RACCAPRICCIANTE) IN CUI OBDULIA SANCHEZ SCHIANTA LA MACCHINA, E POI RIPRENDE IL CADAVERE DELLA SORELLA 14ENNE MORTE
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 152986.htm
OPPURE IL MONDO DEVE ANDARE A.......................
25 lug 2017 10:11
1. ‘HO UCCISO MIA SORELLA. NON MI IMPORTA’. VIDEO (RACCAPRICCIANTE): LA 18ENNE UBRIACA GUIDA, CANTA E TRASMETTE IN DIRETTA. E SCHIANTA L'AUTO, AMMAZZANDO LA 14ENNE
2. MA NON BASTA: RICOMINCIA A RIPRENDERE, INQUADRA IL CADAVERE DELLA RAGAZZA, INVITANDOLA A SALUTARE LA TELECAMERA - E LA TERZA ADOLESCENTE CHE ERA IN MACCHINA…
VIDEO (VERAMENTE RACCAPRICCIANTE) IN CUI OBDULIA SANCHEZ SCHIANTA LA MACCHINA, E POI RIPRENDE IL CADAVERE DELLA SORELLA 14ENNE MORTE
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 152986.htm
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Re: Come se ne viene fuori ?
REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO
Siamo all’interno di un grosso guaio.
Antefatto per chi non si ricordasse gli avvenimenti di un quarto di secolo fa, visto attraverso le lenti di Aldo Giannuli (Bari, 18 giugno 1952), saggista e storico italiano.
Dalla Prima alla Seconda Repubblica in Italia.
Scritto da Aldo Giannuli. Postato in Italia Repubblicana, Le analisi, Politica interna
1- L’antefatto.
Il crollo della I repubblica avvenne fra il 1992 ed il 1993, ma la frana iniziò almeno cinque anni prima, nel 1987. Lo scioglimento anticipato delle Camere fece sì che, cinque anni dopo, si sarebbe creato l’“ingorgo istituzionale” per la coincidenza delle elezioni del Parlamento e del Presidente della Repubblica. E tutti iniziarono a manovrare in vista di quella scadenza, perché il nuovo Presidente sarebbe stato scelto dal Parlamento eletto nel 1992.
Di conseguenza, chi aveva rapporti di forza favorevoli nel parlamento precedente (in particolare Giulio Andreotti), aveva interesse a spingere il Presidente in carica alle dimissioni, per votare prima del suo scioglimento. E, infatti, Andreotti rivelò l’esistenza di Gladio soprattutto al fine di mettere Cossiga con le spalle al muro e costringerlo a dimettersi, cosa che, però, non accadde.
Nelle elezioni politiche, che ne seguirono, per la prima volta otteneva un eletto la Lega lombarda, destinata ad essere uno dei fattori trainanti nella crisi del 1992-93, mentre la Liga Veneta confermava il successo delle precedenti elezioni.
Contemporaneamente, a Palermo la Mafia decideva di riversare i suoi voti su socialisti e radicali per mandare un segnale alla Dc, dalla quale si riteneva delusa per le condanne fioccate nel “processone” partito dall’inchiesta di Giovanni Falcone.
Dunque iniziava ad incrinarsi il rapporto fra la Dc ed alcuni suoi tradizionali serbatoi elettorali (alta Lombardia, Veneto, Sicilia).
I socialisti, dal canto loro, ottennero la loro migliore affermazione, ma dovettero accettare di cedere alla Dc la Presidenza del Consiglio, in ossequio al “patto della staffetta”, ed entrarono “in apnea”, in attesa che la mano passasse a loro.
Il Pci era definitivamente nell’angolo: in declino elettorale e senza credibili progetti di alleanze. Di lì ad un anno, Alessandro Natta lascerà il posto da Achille Occhetto avviando la trasformazione del partito in senso neo liberista.
Un anno dopo, De Mita conquistava la Presidenza del Consiglio, pur mantenendo la segreteria della Dc: una concentrazione di potere, sempre invisa ai democristiani, per di più in vista della scadenza quirinalizia. Ne derivò il patto trasversale fra Craxi, Andreotti e Forlani (detto Caf) che lo avrebbe impallinato in breve.
Dunque, mentre si confermava l’effervescenza del corpo elettorale, iniziata nel 1983, gli attori del sistema politico si paralizzavano a vicenda con i giochi tutti interni al Palazzo (la staffetta, le alchimie correntizie in vista dell’elezione del Capo dello Stato, l’isolamento del Pci). Martelli chiosò icasticamente: “Ci stiamo incartando”, quel che tradiva la sua familiarità con le carte da gioco, ma insieme ben definiva i giochi di Palazzo.
Nello stesso tempo, i mutamenti sociali ed economici iniziarono a scivolare dal passo al trotto e dal trotto al galoppo. Soprattutto a livello internazionale (1) nel luglio 1987, entrò in vigore l’Atto Unico istitutivo del “grande mercato europeo”, la cui piena attuazione era prevista, appunto, per il 1992, quando, con il trattato di Maastricht, si prospetterà la nascita dell’Euro (2). E quell’atto prevedeva, fra l’altro, la possibilità per qualsiasi azienda europea di partecipare a gare d’appalto per lavori pubblici in ciascun paese dell’Unione. Ciò avrà il suo peso nell’orientare i ceti imprenditoriali che considerarono non più economicamente conveniente la prassi tangentizia, sino a quel punto regola costante. Esso prevedeva, fra l’altro, la possibilità per qualsiasi azienda europea di partecipare a gare d’appalto per lavori pubblici, in ciascun paese dell’Unione.
Ben difficilmente il sistema delle ”aziende fiduciarie di partito” avrebbe potuto continuare indisturbato senza provocare l’esclusione delle aziende italiane dalle gare negli altri paesi europei.
D’altra parte, la prospettiva della moneta unica rendeva molto pesante la situazione del debito pubblico. In particolare i settori finanziari iniziarono a manifestare crescente insofferenza verso un ceto politico troppo avido mentre iniziava a profilarsi la privatizzazione delle aziende a Ppss.
A novembre il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati registrò una punta altissima di SI alla tesi ostile ai magistrati. Il risultato sarà vanificato dalla successiva legge, ma la vicenda scavò un solco profondissimo fra magistratura e classe politica (socialisti in particolare) ponendo le premesse dell’ondata di Mani Pulite.
D’altra parte, a far salire la temperatura contribuirono anche il riemergere, di vecchie partite non regolate ed iniziò a ribollire il fondo limaccioso delle inchieste per strage: nel 1987 la Corte d’Assise di Venezia condannava in primo grado i responsabili della strage di Peteano, e, con loro, diversi ufficiali dei Cc responsabili dei depistaggi, nello stesso tempo, tornava in Italia Stefano Delle Chiaie e prendeva avvio la prima commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi.
Tutti avvenimenti che prepararono il terreno al caso Gladio che, con le inchieste di mafia e quelle di Mani pulite costituirà il tridente che trafiggerà il sistema. Cosa troppo spesso trascurata.
Infatti, parlando della crisi della Prima Repubblica, nella maggior parte dei casi, si punta l’attenzione solo sul tema della corruzione, ma, in realtà essa avverrà su altri due piani egualmente delegittimanti:, mafia e stragi irrisolte.
Si trattò di un quadro di insieme che metteva sotto accusa l’intero ceto politico e gli apparati statali.
CONTINUA
Siamo all’interno di un grosso guaio.
Antefatto per chi non si ricordasse gli avvenimenti di un quarto di secolo fa, visto attraverso le lenti di Aldo Giannuli (Bari, 18 giugno 1952), saggista e storico italiano.
Dalla Prima alla Seconda Repubblica in Italia.
Scritto da Aldo Giannuli. Postato in Italia Repubblicana, Le analisi, Politica interna
1- L’antefatto.
Il crollo della I repubblica avvenne fra il 1992 ed il 1993, ma la frana iniziò almeno cinque anni prima, nel 1987. Lo scioglimento anticipato delle Camere fece sì che, cinque anni dopo, si sarebbe creato l’“ingorgo istituzionale” per la coincidenza delle elezioni del Parlamento e del Presidente della Repubblica. E tutti iniziarono a manovrare in vista di quella scadenza, perché il nuovo Presidente sarebbe stato scelto dal Parlamento eletto nel 1992.
Di conseguenza, chi aveva rapporti di forza favorevoli nel parlamento precedente (in particolare Giulio Andreotti), aveva interesse a spingere il Presidente in carica alle dimissioni, per votare prima del suo scioglimento. E, infatti, Andreotti rivelò l’esistenza di Gladio soprattutto al fine di mettere Cossiga con le spalle al muro e costringerlo a dimettersi, cosa che, però, non accadde.
Nelle elezioni politiche, che ne seguirono, per la prima volta otteneva un eletto la Lega lombarda, destinata ad essere uno dei fattori trainanti nella crisi del 1992-93, mentre la Liga Veneta confermava il successo delle precedenti elezioni.
Contemporaneamente, a Palermo la Mafia decideva di riversare i suoi voti su socialisti e radicali per mandare un segnale alla Dc, dalla quale si riteneva delusa per le condanne fioccate nel “processone” partito dall’inchiesta di Giovanni Falcone.
Dunque iniziava ad incrinarsi il rapporto fra la Dc ed alcuni suoi tradizionali serbatoi elettorali (alta Lombardia, Veneto, Sicilia).
I socialisti, dal canto loro, ottennero la loro migliore affermazione, ma dovettero accettare di cedere alla Dc la Presidenza del Consiglio, in ossequio al “patto della staffetta”, ed entrarono “in apnea”, in attesa che la mano passasse a loro.
Il Pci era definitivamente nell’angolo: in declino elettorale e senza credibili progetti di alleanze. Di lì ad un anno, Alessandro Natta lascerà il posto da Achille Occhetto avviando la trasformazione del partito in senso neo liberista.
Un anno dopo, De Mita conquistava la Presidenza del Consiglio, pur mantenendo la segreteria della Dc: una concentrazione di potere, sempre invisa ai democristiani, per di più in vista della scadenza quirinalizia. Ne derivò il patto trasversale fra Craxi, Andreotti e Forlani (detto Caf) che lo avrebbe impallinato in breve.
Dunque, mentre si confermava l’effervescenza del corpo elettorale, iniziata nel 1983, gli attori del sistema politico si paralizzavano a vicenda con i giochi tutti interni al Palazzo (la staffetta, le alchimie correntizie in vista dell’elezione del Capo dello Stato, l’isolamento del Pci). Martelli chiosò icasticamente: “Ci stiamo incartando”, quel che tradiva la sua familiarità con le carte da gioco, ma insieme ben definiva i giochi di Palazzo.
Nello stesso tempo, i mutamenti sociali ed economici iniziarono a scivolare dal passo al trotto e dal trotto al galoppo. Soprattutto a livello internazionale (1) nel luglio 1987, entrò in vigore l’Atto Unico istitutivo del “grande mercato europeo”, la cui piena attuazione era prevista, appunto, per il 1992, quando, con il trattato di Maastricht, si prospetterà la nascita dell’Euro (2). E quell’atto prevedeva, fra l’altro, la possibilità per qualsiasi azienda europea di partecipare a gare d’appalto per lavori pubblici in ciascun paese dell’Unione. Ciò avrà il suo peso nell’orientare i ceti imprenditoriali che considerarono non più economicamente conveniente la prassi tangentizia, sino a quel punto regola costante. Esso prevedeva, fra l’altro, la possibilità per qualsiasi azienda europea di partecipare a gare d’appalto per lavori pubblici, in ciascun paese dell’Unione.
Ben difficilmente il sistema delle ”aziende fiduciarie di partito” avrebbe potuto continuare indisturbato senza provocare l’esclusione delle aziende italiane dalle gare negli altri paesi europei.
D’altra parte, la prospettiva della moneta unica rendeva molto pesante la situazione del debito pubblico. In particolare i settori finanziari iniziarono a manifestare crescente insofferenza verso un ceto politico troppo avido mentre iniziava a profilarsi la privatizzazione delle aziende a Ppss.
A novembre il referendum sulla responsabilità civile dei magistrati registrò una punta altissima di SI alla tesi ostile ai magistrati. Il risultato sarà vanificato dalla successiva legge, ma la vicenda scavò un solco profondissimo fra magistratura e classe politica (socialisti in particolare) ponendo le premesse dell’ondata di Mani Pulite.
D’altra parte, a far salire la temperatura contribuirono anche il riemergere, di vecchie partite non regolate ed iniziò a ribollire il fondo limaccioso delle inchieste per strage: nel 1987 la Corte d’Assise di Venezia condannava in primo grado i responsabili della strage di Peteano, e, con loro, diversi ufficiali dei Cc responsabili dei depistaggi, nello stesso tempo, tornava in Italia Stefano Delle Chiaie e prendeva avvio la prima commissione parlamentare di inchiesta sulle stragi.
Tutti avvenimenti che prepararono il terreno al caso Gladio che, con le inchieste di mafia e quelle di Mani pulite costituirà il tridente che trafiggerà il sistema. Cosa troppo spesso trascurata.
Infatti, parlando della crisi della Prima Repubblica, nella maggior parte dei casi, si punta l’attenzione solo sul tema della corruzione, ma, in realtà essa avverrà su altri due piani egualmente delegittimanti:, mafia e stragi irrisolte.
Si trattò di un quadro di insieme che metteva sotto accusa l’intero ceto politico e gli apparati statali.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Per di più anche alcuni equilibri internazionali, che avevano garantito l’inamovibilità della classe politica italiana per mezzo secolo, iniziarono a tremare.
In Urss il progetto di rinnovamento gorbacioviano non riusciva a trarsi fuori dalla trappola afghana e, pertanto e si avviava rapidamente verso crisi finale del 1991.
Come si vede, da quegli anni partono una serie di fili che poi si intrecceranno più tardi per stringersi al collo della classe politica.
Grande è la tentazione di cercare un “principio ordinatore” di tutti questi avvenimenti in un “grande complotto”. Ma basta scorrere la serie di avvenimenti per comprendere che quello è accaduto è la risultante di diversi progetti politici non riconducibili ad unità ed anche di errori, ritardi o pura casualità.
Ad esempio, si può pensare che il caso Gladio faccia parte, insieme a Mani Pulite ed all’istruttoria palermitana di Caselli, di un unico piano ispirato dal Pci? Ma, in questo caso dovremmo pensare che Giulio Andreotti (che, aprì la strada al giudice Casson) fosse complice dello stesso progetto che lo vedeva imputato a Palermo per collusioni con la Mafia ed a Perugia quale mandante dell’assassinio Pecorelli.
Oppure dovremmo pensare che il ministro guardasigilli, il socialista Vassalli, abbia coscientemente lavorato a potenziare il ruolo di quelle Procure della Repubblica che avrebbero affossato il suo partito.
Un processo storico, come quello che portò al crollo del sistema politico fra il 1992 ed il 1993, non può essere ridotto alla dimensione di un complotto più o meno articolato. Di “complotti”, semmai ce ne fu più d’uno (3) e non convergenti ma elidentisi a vicenda, ma l’aspetto prevalente fu quello delle trasformazioni sociali, politiche ed economiche di ampio respiro e il parallelo processo di chiusura autoreferenziale del sistema politico.
E nel 1992 quei processi di sfaldamento giunsero al punto critico: le elezioni segnarono una clamorosa vittoria della Lega ed una parallela sconfitta di tutti i partiti della maggioranza governativa (non era più accaduto dopo il 1953), la frattura con la Mafia si fece manifesta e cruenta, prima con l’uccisione di Salvo Lima (messaggio chiaramente indirizzato ad Andreotti) e dopo con la strategia stragista dei corleonesi.
L’elezione del Presidente, trascinatasi stancamente fra cento manovre di corridoio, precipitò drammaticamente nel giro di poche ore, sotto la violenta pressione dello stragismo mafioso.
Nello stesso tempo lo smantellamento delle Ppss e l’avvio delle privatizzazioni stimolò la nascita di una serie di progetti speculativi che, per massimizzare il vantaggio, meditavano di congedare una classe politica troppo pretenziosa, per collocarne un’altra “più trattabile”.
In questo quadro da “rompete le righe” si svolsero l’inchiesta di Mani pulite e la campagna referendaria contro il sistema proporzionale, che determinarono una rottura costituzionale (4).
Il sistema non crollò perchè ci fu Mani pulite ma, al contrario, Mani pulite ci fu perchè stava crollando tutto.
E questo ci porta a parlare degli sviluppi del processo corruttivo e della delegittimazione del ceto politico che esso produsse.
2- Il dilagare della corruzione.
La corruzione politica, che negli anni sessanta-settanta era diventata generalizzata, con gli anni ottanta divenne sistemica. E ciò non solo per l’estesa gamma della tipologia tangentizia o per la diffusione all’intero paese, ma soprattutto per la sua coincidenza con il funzionamento stesso del sistema politico.
Sino alla metà degli anni settanta, la corruzione, pur estesissima, tuttavia si concretava in una numerosissima serie di casi indipendenti l’uno dall’altro. Ovviamente, poteva accadere che un certo potentato politico si alleasse con un altro per condurre a buon fine una determinata operazione di finanziamento illegale, ma questo accadeva episodicamente.
Con la solidarietà del ceto politico trasversale ai partiti ed agli schieramenti, si determinava una convergenza di interessi che divenne regola del sistema. Ad un certo punto, divenne inevitabile il concerto generalizzato per condurre le operazioni di finanziamento illegale.
Il punto di svincolo fu la legge 8 agosto 1977 n. 584 che riordinò la normativa degli appalti, introducendo come forma prevalente quella dell’“appalto concorso” (5). Come si sa, nell’appalto concorso, l’Amministrazione può limitare l’accesso ad un certo numero di aziende. Altri meccanismi analoghi consentirono man mano di restringere ad un piccolo gruppo di concorrenti (sempre gli stessi) le aziende che si sarebbero spartite l’intero monte lavori. In questo modo ogni azienda aveva determinati referenti politici (una o più correnti di partito).
Per poter escludere altri concorrenti e, nello stesso tempo, massimizzare il profitto delle operazioni, si rendeva necessario evitare scontri fra le diverse cordate aziendal-politiche. Nacque in quel periodo la prassi -poi evidenziatasi nel corso delle inchieste giudiziarie – per la quale l’intero monte-lavori in sede locale (regione, province e comuni) veniva preventivamente diviso, nel corso di riunioni, cui partecipavano tanto le aziende, quanto i rappresentanti delle diverse correnti di partito ed assessori interessati. Si giunse al punto che, per evitare sorprese dell’ultimo momento, ogni azienda inviava la propria documentazione a quella che avrebbe dovuto vincere la gara, in modo che fosse questa a formulare l’offerta di tutti gli altri concorrenti ed essere quindi matematicamente certa della vittoria.
CONTINUA
In Urss il progetto di rinnovamento gorbacioviano non riusciva a trarsi fuori dalla trappola afghana e, pertanto e si avviava rapidamente verso crisi finale del 1991.
Come si vede, da quegli anni partono una serie di fili che poi si intrecceranno più tardi per stringersi al collo della classe politica.
Grande è la tentazione di cercare un “principio ordinatore” di tutti questi avvenimenti in un “grande complotto”. Ma basta scorrere la serie di avvenimenti per comprendere che quello è accaduto è la risultante di diversi progetti politici non riconducibili ad unità ed anche di errori, ritardi o pura casualità.
Ad esempio, si può pensare che il caso Gladio faccia parte, insieme a Mani Pulite ed all’istruttoria palermitana di Caselli, di un unico piano ispirato dal Pci? Ma, in questo caso dovremmo pensare che Giulio Andreotti (che, aprì la strada al giudice Casson) fosse complice dello stesso progetto che lo vedeva imputato a Palermo per collusioni con la Mafia ed a Perugia quale mandante dell’assassinio Pecorelli.
Oppure dovremmo pensare che il ministro guardasigilli, il socialista Vassalli, abbia coscientemente lavorato a potenziare il ruolo di quelle Procure della Repubblica che avrebbero affossato il suo partito.
Un processo storico, come quello che portò al crollo del sistema politico fra il 1992 ed il 1993, non può essere ridotto alla dimensione di un complotto più o meno articolato. Di “complotti”, semmai ce ne fu più d’uno (3) e non convergenti ma elidentisi a vicenda, ma l’aspetto prevalente fu quello delle trasformazioni sociali, politiche ed economiche di ampio respiro e il parallelo processo di chiusura autoreferenziale del sistema politico.
E nel 1992 quei processi di sfaldamento giunsero al punto critico: le elezioni segnarono una clamorosa vittoria della Lega ed una parallela sconfitta di tutti i partiti della maggioranza governativa (non era più accaduto dopo il 1953), la frattura con la Mafia si fece manifesta e cruenta, prima con l’uccisione di Salvo Lima (messaggio chiaramente indirizzato ad Andreotti) e dopo con la strategia stragista dei corleonesi.
L’elezione del Presidente, trascinatasi stancamente fra cento manovre di corridoio, precipitò drammaticamente nel giro di poche ore, sotto la violenta pressione dello stragismo mafioso.
Nello stesso tempo lo smantellamento delle Ppss e l’avvio delle privatizzazioni stimolò la nascita di una serie di progetti speculativi che, per massimizzare il vantaggio, meditavano di congedare una classe politica troppo pretenziosa, per collocarne un’altra “più trattabile”.
In questo quadro da “rompete le righe” si svolsero l’inchiesta di Mani pulite e la campagna referendaria contro il sistema proporzionale, che determinarono una rottura costituzionale (4).
Il sistema non crollò perchè ci fu Mani pulite ma, al contrario, Mani pulite ci fu perchè stava crollando tutto.
E questo ci porta a parlare degli sviluppi del processo corruttivo e della delegittimazione del ceto politico che esso produsse.
2- Il dilagare della corruzione.
La corruzione politica, che negli anni sessanta-settanta era diventata generalizzata, con gli anni ottanta divenne sistemica. E ciò non solo per l’estesa gamma della tipologia tangentizia o per la diffusione all’intero paese, ma soprattutto per la sua coincidenza con il funzionamento stesso del sistema politico.
Sino alla metà degli anni settanta, la corruzione, pur estesissima, tuttavia si concretava in una numerosissima serie di casi indipendenti l’uno dall’altro. Ovviamente, poteva accadere che un certo potentato politico si alleasse con un altro per condurre a buon fine una determinata operazione di finanziamento illegale, ma questo accadeva episodicamente.
Con la solidarietà del ceto politico trasversale ai partiti ed agli schieramenti, si determinava una convergenza di interessi che divenne regola del sistema. Ad un certo punto, divenne inevitabile il concerto generalizzato per condurre le operazioni di finanziamento illegale.
Il punto di svincolo fu la legge 8 agosto 1977 n. 584 che riordinò la normativa degli appalti, introducendo come forma prevalente quella dell’“appalto concorso” (5). Come si sa, nell’appalto concorso, l’Amministrazione può limitare l’accesso ad un certo numero di aziende. Altri meccanismi analoghi consentirono man mano di restringere ad un piccolo gruppo di concorrenti (sempre gli stessi) le aziende che si sarebbero spartite l’intero monte lavori. In questo modo ogni azienda aveva determinati referenti politici (una o più correnti di partito).
Per poter escludere altri concorrenti e, nello stesso tempo, massimizzare il profitto delle operazioni, si rendeva necessario evitare scontri fra le diverse cordate aziendal-politiche. Nacque in quel periodo la prassi -poi evidenziatasi nel corso delle inchieste giudiziarie – per la quale l’intero monte-lavori in sede locale (regione, province e comuni) veniva preventivamente diviso, nel corso di riunioni, cui partecipavano tanto le aziende, quanto i rappresentanti delle diverse correnti di partito ed assessori interessati. Si giunse al punto che, per evitare sorprese dell’ultimo momento, ogni azienda inviava la propria documentazione a quella che avrebbe dovuto vincere la gara, in modo che fosse questa a formulare l’offerta di tutti gli altri concorrenti ed essere quindi matematicamente certa della vittoria.
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