Renzi
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Re: Renzi
REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO
DALLA GUERRA DI LIBERAZIONE ALLA GUERRA DI DISINTEGRAZIONE
Berlusconi truffa gli italiani spacciando “Forza Italia” per un partito “moderato”.
Ma alla direzione del suo giornale mantiene un camerata incallito e inossidabile come Alessandro Sallusti, che vede comunisti dappertutto.
E i merli boccaloni italiani abboccano che è un piacere.
Ai comunisti non piacciono gli abbracci
Alessandro Sallusti - Lun, 24/07/2017 - 15:07
commenta
Come politico ha fatto due legislature da deputato di Rifondazione comunista; come sindaco ha spalancato le porte di Milano ai centri sociali, agli immigrati e ai matrimoni gay; da avvocato ha difeso due icone della sinistra: la famiglia di Carlo Giuliani (il giovane galantuomo morto mentre cercava di spaccare la testa di un carabiniere con un estintore al G8 di Genova) e Carlo De Benedetti (l'editore di la Repubblica e non solo) nella causa contro Berlusconi.
Ma tutto questo a Giuliano Pisapia non è bastato per mantenersi in purezza. È scivolato sulla più classica delle bucce di banana, come capita a noi non più giovani: un sorriso troppo smaccato e un abbraccio giudicato eccessivamente affettuoso nei confronti di una bella e giovane signora, che di nome fa Maria Elena Boschi.
Apriti cielo. I compagni fuoriusciti dal Pd che lo stavano incoronando leader della sinistra antirenziana (per intenderci i comunisti) hanno tirato il freno a mano. Fermi tutti: uno che abbraccia la Boschi (è successo sul palco della Festa dell'Unità, non in una alcova clandestina) non può essere il nostro capo. E su questo è in corso un «ampio e approfondito dibattito» in stile soviet con tanto di richieste al povero fedifrago di chiarimenti e scuse ufficiali.
Detto che, fuori di metafora e senza voler irritare la Boldrini con tesi maschiliste, la Boschi la vorrebbero abbracciare due terzi degli italiani di sinistra, centro e destra, e detto che per una volta nella vita il grigio Pisapia ha fatto qualcosa di umano e simpatico per cui invidiarlo, questa surreale polemica dimostra con che gente ha avuto a che fare il - in questo caso - povero Renzi. Vietato sorridere al nemico, anche se è una signora. L'odio al posto della galanteria, il disprezzo che deve farsi fisicità, la politica che deve diventare fatto personale. Questi sono pazzi pericolosi (lo sono sempre stati) oltre che di una stupidità che li copre di ridicolo.
Già che ci siamo, confesso a Paolo Berlusconi, mio editore, che anche io ho peccato, purtroppo non con la Boschi. L'altra sera sono stato appositamente a un dibattito per ascoltare Marco Carrai, che di Renzi è forse il più importante stratega, oltre che genio dell'informatica. Ne è valsa la pena, persona molto interessante e preparata. Alla fine gli ho stretto la mano. Non essendo né io né Paolo Berlusconi comunisti, sono certo che la cosa non avrà conseguenze. Perché noi, per fortuna, siamo fatti così.
DALLA GUERRA DI LIBERAZIONE ALLA GUERRA DI DISINTEGRAZIONE
Berlusconi truffa gli italiani spacciando “Forza Italia” per un partito “moderato”.
Ma alla direzione del suo giornale mantiene un camerata incallito e inossidabile come Alessandro Sallusti, che vede comunisti dappertutto.
E i merli boccaloni italiani abboccano che è un piacere.
Ai comunisti non piacciono gli abbracci
Alessandro Sallusti - Lun, 24/07/2017 - 15:07
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Come politico ha fatto due legislature da deputato di Rifondazione comunista; come sindaco ha spalancato le porte di Milano ai centri sociali, agli immigrati e ai matrimoni gay; da avvocato ha difeso due icone della sinistra: la famiglia di Carlo Giuliani (il giovane galantuomo morto mentre cercava di spaccare la testa di un carabiniere con un estintore al G8 di Genova) e Carlo De Benedetti (l'editore di la Repubblica e non solo) nella causa contro Berlusconi.
Ma tutto questo a Giuliano Pisapia non è bastato per mantenersi in purezza. È scivolato sulla più classica delle bucce di banana, come capita a noi non più giovani: un sorriso troppo smaccato e un abbraccio giudicato eccessivamente affettuoso nei confronti di una bella e giovane signora, che di nome fa Maria Elena Boschi.
Apriti cielo. I compagni fuoriusciti dal Pd che lo stavano incoronando leader della sinistra antirenziana (per intenderci i comunisti) hanno tirato il freno a mano. Fermi tutti: uno che abbraccia la Boschi (è successo sul palco della Festa dell'Unità, non in una alcova clandestina) non può essere il nostro capo. E su questo è in corso un «ampio e approfondito dibattito» in stile soviet con tanto di richieste al povero fedifrago di chiarimenti e scuse ufficiali.
Detto che, fuori di metafora e senza voler irritare la Boldrini con tesi maschiliste, la Boschi la vorrebbero abbracciare due terzi degli italiani di sinistra, centro e destra, e detto che per una volta nella vita il grigio Pisapia ha fatto qualcosa di umano e simpatico per cui invidiarlo, questa surreale polemica dimostra con che gente ha avuto a che fare il - in questo caso - povero Renzi. Vietato sorridere al nemico, anche se è una signora. L'odio al posto della galanteria, il disprezzo che deve farsi fisicità, la politica che deve diventare fatto personale. Questi sono pazzi pericolosi (lo sono sempre stati) oltre che di una stupidità che li copre di ridicolo.
Già che ci siamo, confesso a Paolo Berlusconi, mio editore, che anche io ho peccato, purtroppo non con la Boschi. L'altra sera sono stato appositamente a un dibattito per ascoltare Marco Carrai, che di Renzi è forse il più importante stratega, oltre che genio dell'informatica. Ne è valsa la pena, persona molto interessante e preparata. Alla fine gli ho stretto la mano. Non essendo né io né Paolo Berlusconi comunisti, sono certo che la cosa non avrà conseguenze. Perché noi, per fortuna, siamo fatti così.
Ultima modifica di UncleTom il 24/07/2017, 18:32, modificato 1 volta in totale.
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Re: Renzi
REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO
Quando le nazioni crollano, come sta succedendo da noi, c’è sempre chi cerca di approfittarsene per tornaconto personale sparando megabufale a go gò.
Chi ha visto la puntata della settimana scorsa di Bersaglio Mobile di Mentana, sosteneva sabato scorso, che pur avendo visto gli ultimi cinque minuti, il Profeta di Hardcore gli aveva dato l’impressione di ricoverato in neuro psichiatria che ha ricevuto il premio della libera uscita.
Io non l’ho visto e non saprei dire se dava questa impressione.
So solo che in fatto di bufale a go gò, non scherza affatto.
Ma viene sempre superato da Pinocchio Mussoloni.
L’altro Matteo, quello in camicia verde, pur di evitare di andare a lavorare come fanno i suoi coetanei, gareggia anche lui a chi le spara più grosse.
Il quarto attore, Beppe Grillo, da dopo la batosta delle amministrative non si sente più.
Spesso mi sento dire:”Ci vorrebbe un De Gasperi”.
Già, ma pur essendo in stato avanzato la medicina e la tecnologia, non ho sentore che siano arrivate a resuscitare i morti.
Eppoi io sono convinto che anche De Gasperi avrebbe delle difficoltà non da poco con una società come questa, orientata decisamente a toccare il fondo, mentre Lui ha potuto operare in una società che voleva risalire dal fondo toccato con la Seconda Guerra Mondiale e la caduta del fascismo.
Renzi starà un mese e mezzo in silenzio? Per ora pare di sì
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Deficit, Renzi non si arrende: Critiche Ue? Film già visto
© AgiNews Matteo Renzi, segretario Partito Democratico
Lo ha anticipato venerdì il Corriere della Sera e ad oggi giorni non si sono registrate smentite: l’ex primo ministro Matteo Renzi avrebbe deciso di “scomparire” per un mese, forse di più. Non parteciperà ai dibattiti, alle trasmissioni televisive, o alle feste dell’Unità.
“Il leader del Partito democratico ha spiegato così ai collaboratori la ragione di questa sua assenza programmata: «Si è deciso di non andare alle elezioni anticipate, come pure io volevo per l’Italia, non per me, come sosteneva qualcuno, e quindi è inutile partecipare ai teatrini di palazzo»” ha scritto sul quotidiano di via Solferino Maria Teresa Meli. La giornalista, nota per essere sempre ben informata sulle scelte e le decisioni del segretario del Pd, scrive che non tornerà prima della metà di settembre, per un tour in treno che attraverserà l’Italia.
Forse un cambio di strategia di comunicazione. Lo scorso 10 luglio è stato ufficializzato la nomina di Matteo Richetti come capo della comunicazione del Partito Democratico. Lo ha annunciato lo stesso Renzi che aveva così risposto alla lettera dei Giovani democratici che chiedevano al segregario un cambio netto “a seguito dell'ennesimo scivolone sugli account ufficiali della pagina nazionale in cui chiediamo una netta inversione di tendenza rispetto all'attuale strategia comunicativa”.
A stretto giro Renzi aveva risposto dal suo Democratica, un organo di informazione del Pd diffuso online, in Pdf: "Condivido alcune cose, altre un po' meno. Ma bello che i GD milanesi si facciano sentire, siamo una comunità viva. Accogliamo il loro suggerimento. La persona della segreteria che da oggi segue la comunicazione è Matteo Richetti. Buon lavoro a tutti noi".
Forse il nuovo corso comincerà proprio da questo stop. Un mese, un mese e mezzo, prima di ripartire per la campagna elettorale delle prossime politiche. Una via per prendersi una pausa e allontanarsi dalla polemica politica ‘romana’. E cercare di riprendere quota nei sondaggi dopo il calo di questo ultimo periodo.
http://www.msn.com/it-it/notizie/politi ... spartandhp
Quando le nazioni crollano, come sta succedendo da noi, c’è sempre chi cerca di approfittarsene per tornaconto personale sparando megabufale a go gò.
Chi ha visto la puntata della settimana scorsa di Bersaglio Mobile di Mentana, sosteneva sabato scorso, che pur avendo visto gli ultimi cinque minuti, il Profeta di Hardcore gli aveva dato l’impressione di ricoverato in neuro psichiatria che ha ricevuto il premio della libera uscita.
Io non l’ho visto e non saprei dire se dava questa impressione.
So solo che in fatto di bufale a go gò, non scherza affatto.
Ma viene sempre superato da Pinocchio Mussoloni.
L’altro Matteo, quello in camicia verde, pur di evitare di andare a lavorare come fanno i suoi coetanei, gareggia anche lui a chi le spara più grosse.
Il quarto attore, Beppe Grillo, da dopo la batosta delle amministrative non si sente più.
Spesso mi sento dire:”Ci vorrebbe un De Gasperi”.
Già, ma pur essendo in stato avanzato la medicina e la tecnologia, non ho sentore che siano arrivate a resuscitare i morti.
Eppoi io sono convinto che anche De Gasperi avrebbe delle difficoltà non da poco con una società come questa, orientata decisamente a toccare il fondo, mentre Lui ha potuto operare in una società che voleva risalire dal fondo toccato con la Seconda Guerra Mondiale e la caduta del fascismo.
Renzi starà un mese e mezzo in silenzio? Per ora pare di sì
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Deficit, Renzi non si arrende: Critiche Ue? Film già visto
© AgiNews Matteo Renzi, segretario Partito Democratico
Lo ha anticipato venerdì il Corriere della Sera e ad oggi giorni non si sono registrate smentite: l’ex primo ministro Matteo Renzi avrebbe deciso di “scomparire” per un mese, forse di più. Non parteciperà ai dibattiti, alle trasmissioni televisive, o alle feste dell’Unità.
“Il leader del Partito democratico ha spiegato così ai collaboratori la ragione di questa sua assenza programmata: «Si è deciso di non andare alle elezioni anticipate, come pure io volevo per l’Italia, non per me, come sosteneva qualcuno, e quindi è inutile partecipare ai teatrini di palazzo»” ha scritto sul quotidiano di via Solferino Maria Teresa Meli. La giornalista, nota per essere sempre ben informata sulle scelte e le decisioni del segretario del Pd, scrive che non tornerà prima della metà di settembre, per un tour in treno che attraverserà l’Italia.
Forse un cambio di strategia di comunicazione. Lo scorso 10 luglio è stato ufficializzato la nomina di Matteo Richetti come capo della comunicazione del Partito Democratico. Lo ha annunciato lo stesso Renzi che aveva così risposto alla lettera dei Giovani democratici che chiedevano al segregario un cambio netto “a seguito dell'ennesimo scivolone sugli account ufficiali della pagina nazionale in cui chiediamo una netta inversione di tendenza rispetto all'attuale strategia comunicativa”.
A stretto giro Renzi aveva risposto dal suo Democratica, un organo di informazione del Pd diffuso online, in Pdf: "Condivido alcune cose, altre un po' meno. Ma bello che i GD milanesi si facciano sentire, siamo una comunità viva. Accogliamo il loro suggerimento. La persona della segreteria che da oggi segue la comunicazione è Matteo Richetti. Buon lavoro a tutti noi".
Forse il nuovo corso comincerà proprio da questo stop. Un mese, un mese e mezzo, prima di ripartire per la campagna elettorale delle prossime politiche. Una via per prendersi una pausa e allontanarsi dalla polemica politica ‘romana’. E cercare di riprendere quota nei sondaggi dopo il calo di questo ultimo periodo.
http://www.msn.com/it-it/notizie/politi ... spartandhp
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Re: Renzi
REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO
» Politica
lunedì 24/07/2017
Referendum riforme, il Pd deve ancora pagare ai fornitori 7.767.000 euro
I dipendenti del Nazareno preoccupati che a settembre parta la cassa integrazione. E che Renzi voglia azzerare il partito
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
di Wanda Marra | 24 luglio 2017
| 27
Le pene del referendum del 4 dicembre per Matteo Renzi e per il Pd non finiscono mai. Né politicamente, ma neanche economicamente. Il partito deve ancora pagare i fornitori della campagna referendaria: non pochi spiccioli, ma quasi 8 milioni di euro (per essere precisi 7 milioni e 767mila). La campagna per il Sì è costata ben 14 milioni di euro, se si mettono insieme i quasi 12 milioni a bilancio nel 2016 e i circa 2 milioni spesi dai gruppi di Camera e Senato (come scritto dal Fatto quotidiano). Un salasso fallimentare che ha messo il partito in una situazione di non ritorno, con 9 milioni e mezzo di rosso. E una serie di debiti ancora da saldare.
Tra l’altro, le cose rischiano di essere ancora più complicate di quanto il tesoriere Francesco Bonifazi si aspetta, ovvero di avere un po’ di tempo davanti per saldare i conti. A fine 2016 – secondo il rendiconto chiuso alla fine dell’anno – il Pd aveva 4,607 milioni di debiti con i fornitori da pagare entro fine 2017 (l’anno prima erano solo 837mila). A questi, vanno aggiunti altri 3,160 milioni: il Pd sostiene che li pagherà nel 2018 “se” sarà raggiunto l’accordo con i fornitori. Che potrebbero chiedere anche di pagare subito, non un anno dopo.
Non c’è da stupirsi che al Nazareno si parli sempre più insistentemente di cassa integrazione e licenziamento per i dipendenti: sono 184, tra i quali 24 giornalisti, 56 in aspettativa, 13 in distacco e costano (sempre un dato riferito al 2016) 7,8 milioni di euro.
A rischio, a questo punto, ci sono già gli stipendi, visto che il Pd ha un problema di liquidi. Nel 2017 è finito il finanziamento pubblico ai partiti. Certo, ci sono i soldi del 2 per mille (nel 2016 circa 6,5 milioni): ma quelli non arrivano prima dell’autunno. Altra entrata fissa sono i contributi dei parlamentari: nel 2016, sono stati 6,6 milioni. Che vanno a diminuire, dopo la scissione dem. Neanche le donazioni sono risolutive (nel 2016 sono state 1 milione e mezzo). Il problema liquidità si pone da subito: i soldi del 2 per 1000 arriveranno solo in autunno e quelli che vengono versati da deputati e senatori non bastano a pagare gli stipendi. Il tesseramento è stato anticipato all’estate con la speranza di tirare un po’ su le casse del partito.
Nell’ultimo mese al Nazareno girava un piano messo nero su bianco (e in parte anticipato dal Corriere della sera) secondo il quale dopo l’estate metà dei dipendenti dovrebbe andare in cassa integrazione con lo spettro, dopo, dei licenziamenti collettivi. Per adesso, però, anche il piano è fermo. Un incontro con i sindacati non ha risolto l’empasse. Uno nuovo è previsto per oggi, sempre che non venga fatto saltare all’ultimo momento, come già successo.
In questo clima, non stupisce il fatto che in molti credano che Renzi stia pensando di liquidare il Pd così com’è e di dar vita a qualcosa di diverso: uno scenario sempre smentito ufficialmente dal segretario e dai suoi fedelissimi, ma che potrebbe essere l’ultima ratio in una situazione ormai irrecuperabile. Il tema economico e quello politico vanno insieme: comunque vada, ci saranno le elezioni nei primi mesi del 2018. Come farà un partito ridotto in questo modo ad affrontare le spese e le tensioni politiche di una campagna elettorale? Per molti, le gaffe degli ultimi mesi, come quella che ha portato alla card Facebook criticatissima e poi rimossa sull’immigrazione (che sintetizzava brutalmente un concetto parecchio delicato, “Aiutiamoli a casa loro”) dipendevano proprio dal fatto che non c’è più una struttura. Per questo, molto spazio (ma anche molto lavoro) ha avuto Alessio De Giorgi, il gestore di Matteo Renzi News, colpevole di parecchi scivoloni (tipo quello che equiparava l’ex premier a Totti). Renzi è corso ai ripari e ha rifatto la struttura comunicativa del Pd, affidandola al suo portavoce ai tempi della scalata a Palazzo Chigi, Marco Agnoletti, al deputato delle prime Leopolde, Matteo Richetti e all’agenzia di comunicazione di Bari, Proforma: basteranno a salvare quel che resta della patria?
» Politica
lunedì 24/07/2017
Referendum riforme, il Pd deve ancora pagare ai fornitori 7.767.000 euro
I dipendenti del Nazareno preoccupati che a settembre parta la cassa integrazione. E che Renzi voglia azzerare il partito
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
di Wanda Marra | 24 luglio 2017
| 27
Le pene del referendum del 4 dicembre per Matteo Renzi e per il Pd non finiscono mai. Né politicamente, ma neanche economicamente. Il partito deve ancora pagare i fornitori della campagna referendaria: non pochi spiccioli, ma quasi 8 milioni di euro (per essere precisi 7 milioni e 767mila). La campagna per il Sì è costata ben 14 milioni di euro, se si mettono insieme i quasi 12 milioni a bilancio nel 2016 e i circa 2 milioni spesi dai gruppi di Camera e Senato (come scritto dal Fatto quotidiano). Un salasso fallimentare che ha messo il partito in una situazione di non ritorno, con 9 milioni e mezzo di rosso. E una serie di debiti ancora da saldare.
Tra l’altro, le cose rischiano di essere ancora più complicate di quanto il tesoriere Francesco Bonifazi si aspetta, ovvero di avere un po’ di tempo davanti per saldare i conti. A fine 2016 – secondo il rendiconto chiuso alla fine dell’anno – il Pd aveva 4,607 milioni di debiti con i fornitori da pagare entro fine 2017 (l’anno prima erano solo 837mila). A questi, vanno aggiunti altri 3,160 milioni: il Pd sostiene che li pagherà nel 2018 “se” sarà raggiunto l’accordo con i fornitori. Che potrebbero chiedere anche di pagare subito, non un anno dopo.
Non c’è da stupirsi che al Nazareno si parli sempre più insistentemente di cassa integrazione e licenziamento per i dipendenti: sono 184, tra i quali 24 giornalisti, 56 in aspettativa, 13 in distacco e costano (sempre un dato riferito al 2016) 7,8 milioni di euro.
A rischio, a questo punto, ci sono già gli stipendi, visto che il Pd ha un problema di liquidi. Nel 2017 è finito il finanziamento pubblico ai partiti. Certo, ci sono i soldi del 2 per mille (nel 2016 circa 6,5 milioni): ma quelli non arrivano prima dell’autunno. Altra entrata fissa sono i contributi dei parlamentari: nel 2016, sono stati 6,6 milioni. Che vanno a diminuire, dopo la scissione dem. Neanche le donazioni sono risolutive (nel 2016 sono state 1 milione e mezzo). Il problema liquidità si pone da subito: i soldi del 2 per 1000 arriveranno solo in autunno e quelli che vengono versati da deputati e senatori non bastano a pagare gli stipendi. Il tesseramento è stato anticipato all’estate con la speranza di tirare un po’ su le casse del partito.
Nell’ultimo mese al Nazareno girava un piano messo nero su bianco (e in parte anticipato dal Corriere della sera) secondo il quale dopo l’estate metà dei dipendenti dovrebbe andare in cassa integrazione con lo spettro, dopo, dei licenziamenti collettivi. Per adesso, però, anche il piano è fermo. Un incontro con i sindacati non ha risolto l’empasse. Uno nuovo è previsto per oggi, sempre che non venga fatto saltare all’ultimo momento, come già successo.
In questo clima, non stupisce il fatto che in molti credano che Renzi stia pensando di liquidare il Pd così com’è e di dar vita a qualcosa di diverso: uno scenario sempre smentito ufficialmente dal segretario e dai suoi fedelissimi, ma che potrebbe essere l’ultima ratio in una situazione ormai irrecuperabile. Il tema economico e quello politico vanno insieme: comunque vada, ci saranno le elezioni nei primi mesi del 2018. Come farà un partito ridotto in questo modo ad affrontare le spese e le tensioni politiche di una campagna elettorale? Per molti, le gaffe degli ultimi mesi, come quella che ha portato alla card Facebook criticatissima e poi rimossa sull’immigrazione (che sintetizzava brutalmente un concetto parecchio delicato, “Aiutiamoli a casa loro”) dipendevano proprio dal fatto che non c’è più una struttura. Per questo, molto spazio (ma anche molto lavoro) ha avuto Alessio De Giorgi, il gestore di Matteo Renzi News, colpevole di parecchi scivoloni (tipo quello che equiparava l’ex premier a Totti). Renzi è corso ai ripari e ha rifatto la struttura comunicativa del Pd, affidandola al suo portavoce ai tempi della scalata a Palazzo Chigi, Marco Agnoletti, al deputato delle prime Leopolde, Matteo Richetti e all’agenzia di comunicazione di Bari, Proforma: basteranno a salvare quel che resta della patria?
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Re: Renzi
REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO
24 lug 2017 16:29
SE TUTTO VA BENE SIAMO ROVINATI
– PANICO NEL PD. SE SI VOTASSE OGGI, I DEM AVREBBERO 100 DEPUTATI IN MENO
– LOTTA ALL’ULTIMO COLTELLO PER LE CANDIDATURE SICURE. UNICI GARANTITI I CENTO CAPILISTA. RENZI FA IL BEL GESTO: MI CANDIDO AL SENATO
Tommaso Labate per il Corriere della Sera
«Se tutto va bene siamo rovinati», è la cantilena più gettonata nella sala macchine del Pd, citazione della commedia con Gigi e Andrea fatta propria da chi proietta in futuri seggi i sondaggi recapitati al Nazareno. Solo che, a differenza del noto film degli anni Ottanta, in questo caso non c' è nulla da ridere.
Se il Pd riuscisse a raggiungere la quota 28%, e quindi a stare più alto dello «score» che gli viene attribuito oggi, porterebbe alla Camera al massimo 180 deputati. Più di cento in meno rispetto agli effettivi del mastodontico esercito dei 297 eletti democrat che entrarono a Montecitorio nel 2013, grazie a un premio di maggioranza che fece di quel gruppo parlamentare - allora guidato da Roberto Speranza - il secondo più robusto della storia della Repubblica. Secondo, tanto per capirci, solo a quello della Democrazia cristiana del 1948.
La morìa delle seggiole parlamentari assegnate al Pd, tolta la scomparsa post-Tangentopoli dalla cartina geografica del Palazzo della Dc, sarà un record. Da giocare all' ultimo seggio con la carestia di poltrone che colpì Forza Italia nel raffronto tra gli eletti del 2008 e quelli del 2013. La causa sarà la stessa: la perdita del premio di maggioranza che assegnava, col Porcellum, 340 parlamentari alla coalizione vincente.
Al Nazareno c' è chi vive il brivido lungo la schiena che accompagnerà i capi-corrente ai tavoli delle liste. Con cento e passa parlamentari in meno (se si scende al 25% gli eletti sarebbero circa 140, col 23% più o meno centoventi), difficile moltiplicare pani e pesci. Le deroghe per i veterani saranno ridotte all' osso, i testimonial della società civile candidati col contagocce e, per ogni faccia nuova, ce ne saranno un paio di vecchie (si fa per dire, trattandosi anche di gente con una sola legislatura) che dovranno farsi da parte.
«Io mi candiderò al Senato», è la promessa fatta ai suoi da Matteo Renzi, pronto a rinunciare ai listini bloccati della Camera e alla pluricandidatura. Ed è lo stesso invito che Beppe Fioroni vorrebbe rivolto a tutti i big. «Al Senato si gioca la partita sulle preferenze singole. Giusto che chi ha i voti si candidi lì per aiutare il partito». Sfida senza paracadute, chi vince vince, chi perde resta fuori. «A un certo punto della storia, arriva un momento in cui vale il Codice dei Samurai. Si vive e si muore, basta che sia con onore».
Nel Pd, i sicuri di un posto alla Camera saranno i 100 capilista. Il primo eletto con le preferenze scatterà in più di metà dei collegi, un altro solo nelle regioni rosse. In caso di pluricandidatura, se la legge non cambia, l' eletto in più collegi non potrà scegliere a chi regalare il posto. Ci sarà, sentenza della Consulta alla mano, un sorteggio. La dea bendata, insomma, si siede al tavolo delle candidature, là dove il destino, una sua parte in commedia, la recitava anche in passato.
Nel 2013, segretario Bersani, Paolo Gentiloni era a un passo dall' esclusione dalle liste. Lo recuperò nella sua quota, insieme a Michele Anzaldi ed Ermete Realacci, l' allora leader della minoranza, Matteo Renzi. E oggi ne ha preso il posto a Palazzo Chigi. Non erano stati così fortunati, cinque anni prima, né Ciriaco De Mita né Sergio Mattarella, che non ottennero la deroga dal Pd. Poco male. Il primo combatte ancora con tenacia, e fa il sindaco a Nusco. Il secondo, com' è noto, è presidente della Repubblica .
24 lug 2017 16:29
SE TUTTO VA BENE SIAMO ROVINATI
– PANICO NEL PD. SE SI VOTASSE OGGI, I DEM AVREBBERO 100 DEPUTATI IN MENO
– LOTTA ALL’ULTIMO COLTELLO PER LE CANDIDATURE SICURE. UNICI GARANTITI I CENTO CAPILISTA. RENZI FA IL BEL GESTO: MI CANDIDO AL SENATO
Tommaso Labate per il Corriere della Sera
«Se tutto va bene siamo rovinati», è la cantilena più gettonata nella sala macchine del Pd, citazione della commedia con Gigi e Andrea fatta propria da chi proietta in futuri seggi i sondaggi recapitati al Nazareno. Solo che, a differenza del noto film degli anni Ottanta, in questo caso non c' è nulla da ridere.
Se il Pd riuscisse a raggiungere la quota 28%, e quindi a stare più alto dello «score» che gli viene attribuito oggi, porterebbe alla Camera al massimo 180 deputati. Più di cento in meno rispetto agli effettivi del mastodontico esercito dei 297 eletti democrat che entrarono a Montecitorio nel 2013, grazie a un premio di maggioranza che fece di quel gruppo parlamentare - allora guidato da Roberto Speranza - il secondo più robusto della storia della Repubblica. Secondo, tanto per capirci, solo a quello della Democrazia cristiana del 1948.
La morìa delle seggiole parlamentari assegnate al Pd, tolta la scomparsa post-Tangentopoli dalla cartina geografica del Palazzo della Dc, sarà un record. Da giocare all' ultimo seggio con la carestia di poltrone che colpì Forza Italia nel raffronto tra gli eletti del 2008 e quelli del 2013. La causa sarà la stessa: la perdita del premio di maggioranza che assegnava, col Porcellum, 340 parlamentari alla coalizione vincente.
Al Nazareno c' è chi vive il brivido lungo la schiena che accompagnerà i capi-corrente ai tavoli delle liste. Con cento e passa parlamentari in meno (se si scende al 25% gli eletti sarebbero circa 140, col 23% più o meno centoventi), difficile moltiplicare pani e pesci. Le deroghe per i veterani saranno ridotte all' osso, i testimonial della società civile candidati col contagocce e, per ogni faccia nuova, ce ne saranno un paio di vecchie (si fa per dire, trattandosi anche di gente con una sola legislatura) che dovranno farsi da parte.
«Io mi candiderò al Senato», è la promessa fatta ai suoi da Matteo Renzi, pronto a rinunciare ai listini bloccati della Camera e alla pluricandidatura. Ed è lo stesso invito che Beppe Fioroni vorrebbe rivolto a tutti i big. «Al Senato si gioca la partita sulle preferenze singole. Giusto che chi ha i voti si candidi lì per aiutare il partito». Sfida senza paracadute, chi vince vince, chi perde resta fuori. «A un certo punto della storia, arriva un momento in cui vale il Codice dei Samurai. Si vive e si muore, basta che sia con onore».
Nel Pd, i sicuri di un posto alla Camera saranno i 100 capilista. Il primo eletto con le preferenze scatterà in più di metà dei collegi, un altro solo nelle regioni rosse. In caso di pluricandidatura, se la legge non cambia, l' eletto in più collegi non potrà scegliere a chi regalare il posto. Ci sarà, sentenza della Consulta alla mano, un sorteggio. La dea bendata, insomma, si siede al tavolo delle candidature, là dove il destino, una sua parte in commedia, la recitava anche in passato.
Nel 2013, segretario Bersani, Paolo Gentiloni era a un passo dall' esclusione dalle liste. Lo recuperò nella sua quota, insieme a Michele Anzaldi ed Ermete Realacci, l' allora leader della minoranza, Matteo Renzi. E oggi ne ha preso il posto a Palazzo Chigi. Non erano stati così fortunati, cinque anni prima, né Ciriaco De Mita né Sergio Mattarella, che non ottennero la deroga dal Pd. Poco male. Il primo combatte ancora con tenacia, e fa il sindaco a Nusco. Il secondo, com' è noto, è presidente della Repubblica .
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Re: Renzi
REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO
.......Oltre che far perdere tempo – con quel suo mix di ballismo e vanagloriosa incompetenza – a un Paese ormai ridotto alla canna del gas......
Anche, e non solo per questo, siamo all'ULTIMO ATTO DELLA REPUBBLICA ITALIANA
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Pierfranco Pellizzetti
Media & Regime
Filippo Sensi, il guru defenestrato da Renzi: benservito o riconquista della libertà?
di Pierfranco Pellizzetti | 27 luglio 2017
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115
ù informazioni su: Filippo Sensi, Matteo Renzi
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Cordoglio per Filippo Sensi.
Il Fatto Quotidiano, ripreso da Dagospia, il sito che funge da certificatore ufficioso delle increspature nel cielo del potere romano, ha diffuso la notizia del benservito dato da Matteo Renzi al suo cardinal Mazzarino della comunicazione. Il Filippo Sensi multitasking, che da anni governava con piglio ecumenico e perfidie curiali lo spazio mediatico afferente al presunto golden boy di Rignano. Unica presenza extra toscana (oltre all’ascetico – e per questo sommamente infido – Graziano Del Rio) nell’entourage gigliato, che si era installato ai piani alti del Palazzo al seguito del LoRenzi il Magnifico.
Ora Filippo potrà misurare sulla propria pelle quanto sia precario e caduco il potere di chi ne sia stato delegato dalla benevolenza del potente; riflettendo su quanto questo favore sia volatile e capriccioso. Il segreto svelato da Pierre Corneille per cui «un servigio al disopra d’ogni ricompensa/ costringendo a troppa gratitudine diventa quasi un’offesa» (Suréna). Di cui ci si libera, magari richiamando al servizio sostitutivo il proprio portaborse nel comune di Firenze, tal Marco Agnoletti.
Così la notizia da cui sembrerebbe che il destino del Nostro sia dipeso da un capriccio dell’Altro.
Invece, stando alle notizie che mi sussurrano comuni amici, i termini della vicenda non stanno proprio così: ci sarebbe stato uno scazzo tra il sovrintendente della comunicazione renziana e il suo assistito, avente per oggetto l’operazione saggistica di quest’ultimo. In altre parole, la più che maldestra e autolesionistica autobiografia intitolata Avanti, in cui l’autore ha fatto esattamente l’opposto di quanto un consigliere non fraudolento (o servile) suggerirebbe: dimostrarsi capace di proporre visioni strategiche, esibire l’abito morale generoso che si confà a un leader, praticare la virtù della tolleranza aggregando tutte le risorse disponibili. Per cui perfino il Financial Times si prende la briga di rubricare l’iniziativa a “volgare regolamento di conti”, culminato nel “vile attacco” al suo predecessore Enrico Letta.
Insomma, l’ennesima bullaggine scriteriata che il narciso dedito ai pavoneggiamenti non intende sentirsi rinfacciare, soprattutto da chi conosce la materia come il Sensi; che va defenestrato per lesa maestà.
Ma anche il segnale palese che la caduta libera renziana non è destinata ad arrestarsi, ponendo fine a un’avventura che ha prodotto confusione e delusioni. Oltre che far perdere tempo – con quel suo mix di ballismo e vanagloriosa incompetenza – a un Paese ormai ridotto alla canna del gas.
Spiace, in ricordo di un’antica amicizia, sapere che il poliedrico e poligrafo Filippo attraversi una fase di eclisse. Ma forse – e questo è anche il mio personale auspicio – non tutto il male (occupazionale) viene per nuocere. Visto che sfuggendo all’abbraccio mortale dell’autocrate pasticcione si può recuperare la propria libertà di parola (nell’assunto che quella di pensiero non sia stata lesionata dalla frequentazione di carrieristi senza scrupoli, generone capitolino e varia fauna da regime).
L’auspicio è quello di ritrovare il Filippo Sensi della sua giovinezza, quando coltivava persino sulle pagine di MicroMega il pensiero anticonformista di Giuseppe Dossetti e ne tutelava il messaggio dagli attacchi dell’ambiguo Ernesto Galli della Loggia, già allora pericolosamente integrato nel mainstream revisionista proto-berlusconiano. Magari leggeremo una sua nuova difesa della Costituzione contro “il cambiamento per il cambiamento”. Quella vecchia risale al lontano novembre 1995 e si direbbe una straordinaria e accorata premonizione dei danni che in futuro la maldestraggine delle Marie Elene Boschi avrebbe provato ad arrecare ai fondamenti democratici del nostro Paese.
La lunghezza d’onda su cui avevano trovato modo di sintonizzare un cattolico atipico come Filippo e un liberale irregolare quale il sottoscritto.
.......Oltre che far perdere tempo – con quel suo mix di ballismo e vanagloriosa incompetenza – a un Paese ormai ridotto alla canna del gas......
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Filippo Sensi, il guru defenestrato da Renzi: benservito o riconquista della libertà?
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Ora Filippo potrà misurare sulla propria pelle quanto sia precario e caduco il potere di chi ne sia stato delegato dalla benevolenza del potente; riflettendo su quanto questo favore sia volatile e capriccioso. Il segreto svelato da Pierre Corneille per cui «un servigio al disopra d’ogni ricompensa/ costringendo a troppa gratitudine diventa quasi un’offesa» (Suréna). Di cui ci si libera, magari richiamando al servizio sostitutivo il proprio portaborse nel comune di Firenze, tal Marco Agnoletti.
Così la notizia da cui sembrerebbe che il destino del Nostro sia dipeso da un capriccio dell’Altro.
Invece, stando alle notizie che mi sussurrano comuni amici, i termini della vicenda non stanno proprio così: ci sarebbe stato uno scazzo tra il sovrintendente della comunicazione renziana e il suo assistito, avente per oggetto l’operazione saggistica di quest’ultimo. In altre parole, la più che maldestra e autolesionistica autobiografia intitolata Avanti, in cui l’autore ha fatto esattamente l’opposto di quanto un consigliere non fraudolento (o servile) suggerirebbe: dimostrarsi capace di proporre visioni strategiche, esibire l’abito morale generoso che si confà a un leader, praticare la virtù della tolleranza aggregando tutte le risorse disponibili. Per cui perfino il Financial Times si prende la briga di rubricare l’iniziativa a “volgare regolamento di conti”, culminato nel “vile attacco” al suo predecessore Enrico Letta.
Insomma, l’ennesima bullaggine scriteriata che il narciso dedito ai pavoneggiamenti non intende sentirsi rinfacciare, soprattutto da chi conosce la materia come il Sensi; che va defenestrato per lesa maestà.
Ma anche il segnale palese che la caduta libera renziana non è destinata ad arrestarsi, ponendo fine a un’avventura che ha prodotto confusione e delusioni. Oltre che far perdere tempo – con quel suo mix di ballismo e vanagloriosa incompetenza – a un Paese ormai ridotto alla canna del gas.
Spiace, in ricordo di un’antica amicizia, sapere che il poliedrico e poligrafo Filippo attraversi una fase di eclisse. Ma forse – e questo è anche il mio personale auspicio – non tutto il male (occupazionale) viene per nuocere. Visto che sfuggendo all’abbraccio mortale dell’autocrate pasticcione si può recuperare la propria libertà di parola (nell’assunto che quella di pensiero non sia stata lesionata dalla frequentazione di carrieristi senza scrupoli, generone capitolino e varia fauna da regime).
L’auspicio è quello di ritrovare il Filippo Sensi della sua giovinezza, quando coltivava persino sulle pagine di MicroMega il pensiero anticonformista di Giuseppe Dossetti e ne tutelava il messaggio dagli attacchi dell’ambiguo Ernesto Galli della Loggia, già allora pericolosamente integrato nel mainstream revisionista proto-berlusconiano. Magari leggeremo una sua nuova difesa della Costituzione contro “il cambiamento per il cambiamento”. Quella vecchia risale al lontano novembre 1995 e si direbbe una straordinaria e accorata premonizione dei danni che in futuro la maldestraggine delle Marie Elene Boschi avrebbe provato ad arrecare ai fondamenti democratici del nostro Paese.
La lunghezza d’onda su cui avevano trovato modo di sintonizzare un cattolico atipico come Filippo e un liberale irregolare quale il sottoscritto.
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Re: Renzi
UncleTom ha scritto:REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO
» Politica
lunedì 24/07/2017
Referendum riforme, il Pd deve ancora pagare ai fornitori 7.767.000 euro
I dipendenti del Nazareno preoccupati che a settembre parta la cassa integrazione. E che Renzi voglia azzerare il partito
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
di Wanda Marra | 24 luglio 2017
| 27
Le pene del referendum del 4 dicembre per Matteo Renzi e per il Pd non finiscono mai. Né politicamente, ma neanche economicamente. Il partito deve ancora pagare i fornitori della campagna referendaria: non pochi spiccioli, ma quasi 8 milioni di euro (per essere precisi 7 milioni e 767mila). La campagna per il Sì è costata ben 14 milioni di euro, se si mettono insieme i quasi 12 milioni a bilancio nel 2016 e i circa 2 milioni spesi dai gruppi di Camera e Senato (come scritto dal Fatto quotidiano). Un salasso fallimentare che ha messo il partito in una situazione di non ritorno, con 9 milioni e mezzo di rosso. E una serie di debiti ancora da saldare.
Tra l’altro, le cose rischiano di essere ancora più complicate di quanto il tesoriere Francesco Bonifazi si aspetta, ovvero di avere un po’ di tempo davanti per saldare i conti. A fine 2016 – secondo il rendiconto chiuso alla fine dell’anno – il Pd aveva 4,607 milioni di debiti con i fornitori da pagare entro fine 2017 (l’anno prima erano solo 837mila). A questi, vanno aggiunti altri 3,160 milioni: il Pd sostiene che li pagherà nel 2018 “se” sarà raggiunto l’accordo con i fornitori. Che potrebbero chiedere anche di pagare subito, non un anno dopo.
Non c’è da stupirsi che al Nazareno si parli sempre più insistentemente di cassa integrazione e licenziamento per i dipendenti: sono 184, tra i quali 24 giornalisti, 56 in aspettativa, 13 in distacco e costano (sempre un dato riferito al 2016) 7,8 milioni di euro.
A rischio, a questo punto, ci sono già gli stipendi, visto che il Pd ha un problema di liquidi. Nel 2017 è finito il finanziamento pubblico ai partiti. Certo, ci sono i soldi del 2 per mille (nel 2016 circa 6,5 milioni): ma quelli non arrivano prima dell’autunno. Altra entrata fissa sono i contributi dei parlamentari: nel 2016, sono stati 6,6 milioni. Che vanno a diminuire, dopo la scissione dem. Neanche le donazioni sono risolutive (nel 2016 sono state 1 milione e mezzo). Il problema liquidità si pone da subito: i soldi del 2 per 1000 arriveranno solo in autunno e quelli che vengono versati da deputati e senatori non bastano a pagare gli stipendi. Il tesseramento è stato anticipato all’estate con la speranza di tirare un po’ su le casse del partito.
Nell’ultimo mese al Nazareno girava un piano messo nero su bianco (e in parte anticipato dal Corriere della sera) secondo il quale dopo l’estate metà dei dipendenti dovrebbe andare in cassa integrazione con lo spettro, dopo, dei licenziamenti collettivi. Per adesso, però, anche il piano è fermo. Un incontro con i sindacati non ha risolto l’empasse. Uno nuovo è previsto per oggi, sempre che non venga fatto saltare all’ultimo momento, come già successo.
In questo clima, non stupisce il fatto che in molti credano che Renzi stia pensando di liquidare il Pd così com’è e di dar vita a qualcosa di diverso: uno scenario sempre smentito ufficialmente dal segretario e dai suoi fedelissimi, ma che potrebbe essere l’ultima ratio in una situazione ormai irrecuperabile. Il tema economico e quello politico vanno insieme: comunque vada, ci saranno le elezioni nei primi mesi del 2018. Come farà un partito ridotto in questo modo ad affrontare le spese e le tensioni politiche di una campagna elettorale? Per molti, le gaffe degli ultimi mesi, come quella che ha portato alla card Facebook criticatissima e poi rimossa sull’immigrazione (che sintetizzava brutalmente un concetto parecchio delicato, “Aiutiamoli a casa loro”) dipendevano proprio dal fatto che non c’è più una struttura. Per questo, molto spazio (ma anche molto lavoro) ha avuto Alessio De Giorgi, il gestore di Matteo Renzi News, colpevole di parecchi scivoloni (tipo quello che equiparava l’ex premier a Totti). Renzi è corso ai ripari e ha rifatto la struttura comunicativa del Pd, affidandola al suo portavoce ai tempi della scalata a Palazzo Chigi, Marco Agnoletti, al deputato delle prime Leopolde, Matteo Richetti e all’agenzia di comunicazione di Bari, Proforma: basteranno a salvare quel che resta della patria?
RIPASSANDO I POST DI QUESTO 3D, ALLA RICERCA DI UNA DICHIARAZIONE DI ALDO GIANNULI, MI SONO IMBATTUTO IN QUESTO POST, DOVE RISULTA EVIDENTE CHE MI SONO DIMENTICATO DI SPIEGARE IL PERCHE' DELL'OBBROBRIO DI 6 DI FILE DI DOPPIONI PRESENTI SOPRA NEL POST ORIGINALE:
Il bagno – Il referendum costituzionale è costato al Pd di Matteo Renzi e del Tesoriere Francesco Bonifazi oltre 12 milioni di euro, in parte da saldare – Ansa
NON L'HO FATTO SUBITO PERCHE' L'OVRA ERA IN AZIONE. POI MI SONO DIMENTICATO DI CHIARIRE.
ME NE SCUSO.
DI SOLITO PRIMA DI CLICCARE INVIO, RIORDINO TUTTO QUANTO FUORI POSTO, DOVUTO ALLE MIE DISATTENZIONI, E NEGLI ULTIMI TEMPI AGLI INTERVENTI DELL'OVRA.
QUESTA VOLTA NON HO CORRETTO L'INTERVENTO DISTURBATORE DELL'OVRA, AFFINCHE' VI RENDIATE CONTO COME OPERA.
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Re: Renzi
REPUBBLICA ITALIANA: ULTIMO ATTO
Mister Pinocchio Mussoloni è un particolare accumulatore di flop.
Malgrado questo si è rimesso, di buona lena, in corsa per ridiventare DUCE.
Tanto, pensa, Silvio con tutti i suoi acciacchi non potrà resistere ancora molto.
E allora avrò via libera per diventare DUCE.
28 lug 2017 16:40
QUOTE ROSA, QUOTE DI PESC
- CHE FINE HA FATTO LA MOSCERINI? RIESCE A FARSI NOTARE SOLO PER LA SUA ASSENZA: DALLA CRISI DEI MIGRANTI, DALLE CRISI IN LIBIA E SIRIA, DAI VERTICI INTERNAZIONALI (DA ULTIMO IL G20, CON FIGURA DI MERDA COLOSSALE)
- I GIORNALI STRANIERI LA BOCCIANO, I LEADER LA IGNORANO. UN ALTRO CAPOLAVORO DIPLOMATICO DI RENZI, CON CUI NON PARLA DA DUE ANNI
Mister Pinocchio Mussoloni è un particolare accumulatore di flop.
Malgrado questo si è rimesso, di buona lena, in corsa per ridiventare DUCE.
Tanto, pensa, Silvio con tutti i suoi acciacchi non potrà resistere ancora molto.
E allora avrò via libera per diventare DUCE.
28 lug 2017 16:40
QUOTE ROSA, QUOTE DI PESC
- CHE FINE HA FATTO LA MOSCERINI? RIESCE A FARSI NOTARE SOLO PER LA SUA ASSENZA: DALLA CRISI DEI MIGRANTI, DALLE CRISI IN LIBIA E SIRIA, DAI VERTICI INTERNAZIONALI (DA ULTIMO IL G20, CON FIGURA DI MERDA COLOSSALE)
- I GIORNALI STRANIERI LA BOCCIANO, I LEADER LA IGNORANO. UN ALTRO CAPOLAVORO DIPLOMATICO DI RENZI, CON CUI NON PARLA DA DUE ANNI
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Re: Renzi
REPUBBLICA ITALIANA : ULTIMO ATTO
DALLA GUERRA DI LIBERAZIONE ALLA GUERRA DI DISINTEGRAZIONE
Complotto nel Pd per far fuori Renzi
Possibile frana in autunno col pretesto della legge elettorale. Ecco il piano di chi lavora a "un altri Pd"
Yoda - Ven, 28/07/2017 - 08:57
commenta
Il sogno, l'ambizione o l'illusione dell'altro Pd, quello che non sopporta Matteo Renzi, lo racconta in uno dei saloni del Senato, Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria del Senato. «Mettiamo il caso che - predice con il tono dell'oracolo - alla fine di settembre o primi di ottobre, qualcuno avanzasse in Parlamento l'idea di un proporzionale con un premio di coalizione e, di fronte al rifiuto di Renzi, cominciassero a tirarsi fuori dal Pd i numi tutelari: prima Prodi, poi Letta e, magari, pure Napolitano, cioè gente che ha un certo seguito nell'immaginario della sinistra...
Beh per Renzi sarebbero grossi guai».
Altra scena. Mercoledì sera in un ristorante del quartiere romano di Prati, il Poetto. In una sala c'è un tavolo di senatori della sinistra, dal Pd a Sel, che si ritrovano ogni tanto. C'è Ugo Sposetti, l'uomo che ha ancora oggi in tasca le chiavi della casa del vecchio Pci, il sottosegretario Pizzetti, Stefano Uras e Dario Stefano dissidenti di Sel a cui piace Pisapia, e tanti altri. Una dozzina. C'è anche Massimo Caleo, senatore del pd spezzino, un orlandiano, dalla cui bocca escono ancora una volta le ambizioni o le illusioni dell'«altro Pd». «Bisogna aspettare - osserva - il combinato disposto tra il confronto su una legge elettorale che preveda il premio di coalizione e una sconfitta nelle amministrative siciliane. Potrebbe partire da lì l'ultima spinta per un'intesa tra Orlando e Franceschini. Magari con la benedizione di Prodi».
Già, Prodi; in un'altra sala del ristorante c'è, per puro caso, anche Arturo Parisi, il consigliere politico del Professore, che guarda con attenzione a questi movimenti, senza sbilanciarsi. «La verità - spiega - ed è un paradosso che lo dica io, è che tutto dipende da Berlusconi, se accetta di fare una legge maggioritaria con premio di coalizione, pure nella versione che vuole lui, le cose possono cambiare».
Questi sono i contorni dell'operazione che punta a disarcionare Renzi o a ridimensionarlo ulteriormente. Il «piano» c'è, ma sul risultato nessuno scommette. Di sicuro nelle ultime settimane Dario Franceschini ha fatto il giro delle sette chiese dei padri putativi del Pd: dal Quirinale a casa Prodi; qualche segnale il ministro dei Beni culturali lo ha mandato addirittura ad Enrico Letta, con cui non corre buon sangue, per vedere se è possibile far partire l'operazione delle idi d'ottobre. Ha ricevuto risposte contraddittorie: i più non se la sentono di mettere nei guai un Pd già inguaiato; al massimo, come Prodi, offrono dei silenzi interlocutori. Vogliono essere sicuri dell'esito prima di muoversi. Solo che il tempo non lavora sicuramente per l'«altro Pd», ma per il segretario. «Qui se non si danno una mossa - si lamenta il sottosegretario ai trasporti, Del Basso De Caro - non ci resta che prenotarci un posto nella fossa comune che Renzi ci sta scavando».
Appunto, il fattore «tempo» non è da trascurare. Più si avvicinano le elezioni, più la questione delle liste tiene banco e più aumenta la forza del segretario. «Il time limit per un'operazione contro di me - ha ammesso lo stesso Renzi con i suoi - è la fine di settembre. L'idea che hanno in mente è di far partire a settembre un nuovo Ulivo, che andrebbe da Bersani, che mollerebbe in questo caso D'Alema, fino a Pisapia, a Franceschini, per candidare alla fine quelli che non candidiamo noi. Forse potrei perdere qualche punto in percentuale, qualche parlamentare, sempre che superino i loro dissidi interni, ma per fare cosa? Se, per avere un ruolo, hanno intenzione di puntare ad una legge elettorale che preveda il premio di coalizione, sappiano che su questa ipotesi io mi chiudo a riccio. Io continuo ad essere per il tedesco, se Berlusconi ci sta, o, in alternativa, c'è solo l'attuale legge. Vedo che Mattarella oggi si dispiace che sia fallito il tentativo sul tedesco, ma se durante l'esame della legge alla Camera avesse fatto sentire di più la sua voce...».
Insomma, se qualcuno vuol far perdere il buonumore al segretario del Pd, deve parlare di «coalizione». Nella sua testa la coalizione ha un solo nome: Pd. Semmai punta a coprirsi, ad allargarsi sul fianco sinistro. Intanto sta corteggiando assiduamente il presidente della Camera, Laura Boldrini, per farla entrare nelle liste del Pd. Poi, ha lanciato un'operazione simpatia nei confronti di Giuliano Pisapia, quello che dovrebbe essere il leader del nuovo Ulivo. Anche la foto dell'abbraccio alla Festa dell'Unità tra Maria Elena Boschi e l'ex sindaco di Milano fa parte di questa strategia. «Maria Elena - è la confidenza che Renzi ha fatto a un amico, a leggere la rubrica di Keyser Söze su Panorama - non voleva andarci. Ma io ho insistito: Tu sei un'immagine del renzismo per cui devi incontrare Giuliano a Milano e abbracciarlo e, se lui si ritrae, devi essere comunque estremamente cordiale con lui». E avete visto come ci sono rimasti Bersani e compagni di fronte alla foto dell'abbraccio».
Già, Bersani, D'Alema e compagni: le polemiche roventi sulla foto, incomprensibili ai più, hanno un senso nella logica di un gruppo che ha fatto dell'«antirenzismo» la propria identità. Per loro ogni contaminazione con il «renzismo», si porta dietro una perdita di consenso. Per cui, può apparire un paradosso, sono i primi a preferire una legge elettorale sul modello tedesco ad una che preveda un premio di coalizione, e quindi una potenziale alleanza con Renzi; come pure, sono i primi ad essere scettici sulla congiura dell'«altro Pd» delle idi di ottobre. «Noi - conferma Maurizio Migliavacca, uomo ombra di Bersani - siamo per una legge sul modello tedesco, se Berlusconi ci sta: con il proporzionale si apre un processo politico di scomposizione e ricomposizione di poli che non hanno più senso. Se le manovre anti-Renzi nel Pd avranno successo? No, perché gli avversari interni non hanno le palle a differenza di Renzi. Lo dice uno che non sopporta Renzi. Al massimo arriverà da noi Cuperlo. Noi? Se Pisapia ci sta, faremo uno schieramento largo, altrimenti faremo la sinistra».
Così, a ben vedere, chi ha puntato ad allungare i tempi della legislatura per logorare Renzi, rischia di non avere risultati, ma solo problemi. «A settembre - annuncia lo scissionista del Pd, Paolo Corsini - sulla legge di stabilità ci stacchiamo dal governo. Per approvarla il Pd dovrà rivolgersi a Forza Italia». E, intanto, il governo Gentiloni, debole e non legittimato dal voto popolare, si è fatto sfilare da Macron il ruolo di mediatore nella crisi libica. «La verità è che io e Paolo - osserva il segretario del Pd senza acrimonia - abbiamo due filosofie diverse: io avrei fatto il diavolo a quattro per avere un posto al vertice di Parigi». Già, più o meno quello che avrebbe fatto il Cav. Invece, nel Pd di oggi, si mettono in piedi grandi manovre, per poi, l'epilogo è dietro l'angolo, accontentarsi di qualche posto in lista in più. Il déjà vu dei riti Dc di una volta.
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 25521.html
DALLA GUERRA DI LIBERAZIONE ALLA GUERRA DI DISINTEGRAZIONE
Complotto nel Pd per far fuori Renzi
Possibile frana in autunno col pretesto della legge elettorale. Ecco il piano di chi lavora a "un altri Pd"
Yoda - Ven, 28/07/2017 - 08:57
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Il sogno, l'ambizione o l'illusione dell'altro Pd, quello che non sopporta Matteo Renzi, lo racconta in uno dei saloni del Senato, Massimo Mucchetti, presidente della commissione Industria del Senato. «Mettiamo il caso che - predice con il tono dell'oracolo - alla fine di settembre o primi di ottobre, qualcuno avanzasse in Parlamento l'idea di un proporzionale con un premio di coalizione e, di fronte al rifiuto di Renzi, cominciassero a tirarsi fuori dal Pd i numi tutelari: prima Prodi, poi Letta e, magari, pure Napolitano, cioè gente che ha un certo seguito nell'immaginario della sinistra...
Beh per Renzi sarebbero grossi guai».
Altra scena. Mercoledì sera in un ristorante del quartiere romano di Prati, il Poetto. In una sala c'è un tavolo di senatori della sinistra, dal Pd a Sel, che si ritrovano ogni tanto. C'è Ugo Sposetti, l'uomo che ha ancora oggi in tasca le chiavi della casa del vecchio Pci, il sottosegretario Pizzetti, Stefano Uras e Dario Stefano dissidenti di Sel a cui piace Pisapia, e tanti altri. Una dozzina. C'è anche Massimo Caleo, senatore del pd spezzino, un orlandiano, dalla cui bocca escono ancora una volta le ambizioni o le illusioni dell'«altro Pd». «Bisogna aspettare - osserva - il combinato disposto tra il confronto su una legge elettorale che preveda il premio di coalizione e una sconfitta nelle amministrative siciliane. Potrebbe partire da lì l'ultima spinta per un'intesa tra Orlando e Franceschini. Magari con la benedizione di Prodi».
Già, Prodi; in un'altra sala del ristorante c'è, per puro caso, anche Arturo Parisi, il consigliere politico del Professore, che guarda con attenzione a questi movimenti, senza sbilanciarsi. «La verità - spiega - ed è un paradosso che lo dica io, è che tutto dipende da Berlusconi, se accetta di fare una legge maggioritaria con premio di coalizione, pure nella versione che vuole lui, le cose possono cambiare».
Questi sono i contorni dell'operazione che punta a disarcionare Renzi o a ridimensionarlo ulteriormente. Il «piano» c'è, ma sul risultato nessuno scommette. Di sicuro nelle ultime settimane Dario Franceschini ha fatto il giro delle sette chiese dei padri putativi del Pd: dal Quirinale a casa Prodi; qualche segnale il ministro dei Beni culturali lo ha mandato addirittura ad Enrico Letta, con cui non corre buon sangue, per vedere se è possibile far partire l'operazione delle idi d'ottobre. Ha ricevuto risposte contraddittorie: i più non se la sentono di mettere nei guai un Pd già inguaiato; al massimo, come Prodi, offrono dei silenzi interlocutori. Vogliono essere sicuri dell'esito prima di muoversi. Solo che il tempo non lavora sicuramente per l'«altro Pd», ma per il segretario. «Qui se non si danno una mossa - si lamenta il sottosegretario ai trasporti, Del Basso De Caro - non ci resta che prenotarci un posto nella fossa comune che Renzi ci sta scavando».
Appunto, il fattore «tempo» non è da trascurare. Più si avvicinano le elezioni, più la questione delle liste tiene banco e più aumenta la forza del segretario. «Il time limit per un'operazione contro di me - ha ammesso lo stesso Renzi con i suoi - è la fine di settembre. L'idea che hanno in mente è di far partire a settembre un nuovo Ulivo, che andrebbe da Bersani, che mollerebbe in questo caso D'Alema, fino a Pisapia, a Franceschini, per candidare alla fine quelli che non candidiamo noi. Forse potrei perdere qualche punto in percentuale, qualche parlamentare, sempre che superino i loro dissidi interni, ma per fare cosa? Se, per avere un ruolo, hanno intenzione di puntare ad una legge elettorale che preveda il premio di coalizione, sappiano che su questa ipotesi io mi chiudo a riccio. Io continuo ad essere per il tedesco, se Berlusconi ci sta, o, in alternativa, c'è solo l'attuale legge. Vedo che Mattarella oggi si dispiace che sia fallito il tentativo sul tedesco, ma se durante l'esame della legge alla Camera avesse fatto sentire di più la sua voce...».
Insomma, se qualcuno vuol far perdere il buonumore al segretario del Pd, deve parlare di «coalizione». Nella sua testa la coalizione ha un solo nome: Pd. Semmai punta a coprirsi, ad allargarsi sul fianco sinistro. Intanto sta corteggiando assiduamente il presidente della Camera, Laura Boldrini, per farla entrare nelle liste del Pd. Poi, ha lanciato un'operazione simpatia nei confronti di Giuliano Pisapia, quello che dovrebbe essere il leader del nuovo Ulivo. Anche la foto dell'abbraccio alla Festa dell'Unità tra Maria Elena Boschi e l'ex sindaco di Milano fa parte di questa strategia. «Maria Elena - è la confidenza che Renzi ha fatto a un amico, a leggere la rubrica di Keyser Söze su Panorama - non voleva andarci. Ma io ho insistito: Tu sei un'immagine del renzismo per cui devi incontrare Giuliano a Milano e abbracciarlo e, se lui si ritrae, devi essere comunque estremamente cordiale con lui». E avete visto come ci sono rimasti Bersani e compagni di fronte alla foto dell'abbraccio».
Già, Bersani, D'Alema e compagni: le polemiche roventi sulla foto, incomprensibili ai più, hanno un senso nella logica di un gruppo che ha fatto dell'«antirenzismo» la propria identità. Per loro ogni contaminazione con il «renzismo», si porta dietro una perdita di consenso. Per cui, può apparire un paradosso, sono i primi a preferire una legge elettorale sul modello tedesco ad una che preveda un premio di coalizione, e quindi una potenziale alleanza con Renzi; come pure, sono i primi ad essere scettici sulla congiura dell'«altro Pd» delle idi di ottobre. «Noi - conferma Maurizio Migliavacca, uomo ombra di Bersani - siamo per una legge sul modello tedesco, se Berlusconi ci sta: con il proporzionale si apre un processo politico di scomposizione e ricomposizione di poli che non hanno più senso. Se le manovre anti-Renzi nel Pd avranno successo? No, perché gli avversari interni non hanno le palle a differenza di Renzi. Lo dice uno che non sopporta Renzi. Al massimo arriverà da noi Cuperlo. Noi? Se Pisapia ci sta, faremo uno schieramento largo, altrimenti faremo la sinistra».
Così, a ben vedere, chi ha puntato ad allungare i tempi della legislatura per logorare Renzi, rischia di non avere risultati, ma solo problemi. «A settembre - annuncia lo scissionista del Pd, Paolo Corsini - sulla legge di stabilità ci stacchiamo dal governo. Per approvarla il Pd dovrà rivolgersi a Forza Italia». E, intanto, il governo Gentiloni, debole e non legittimato dal voto popolare, si è fatto sfilare da Macron il ruolo di mediatore nella crisi libica. «La verità è che io e Paolo - osserva il segretario del Pd senza acrimonia - abbiamo due filosofie diverse: io avrei fatto il diavolo a quattro per avere un posto al vertice di Parigi». Già, più o meno quello che avrebbe fatto il Cav. Invece, nel Pd di oggi, si mettono in piedi grandi manovre, per poi, l'epilogo è dietro l'angolo, accontentarsi di qualche posto in lista in più. Il déjà vu dei riti Dc di una volta.
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Re: Renzi
credo che alcune persone intorno a renzi siano un pò paranoiche e la paranoia e una follia lucida e pericolosa.A renzi basterebbe ascoltare i suggerimenti delle minoranze ma attualizzando questi suggerimenti e spegnere sul nascere vecchie polemiche che fanno male al csx.Anche le polemiche intorno a d'alema sono paranoiche
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