Diario della caduta di un regime.

E' il luogo della libera circolazione delle idee "a ruota libera"
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UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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UncleTom ha scritto:Come puoi notare, caro erding, adesso la notizia da te pubblicata è sulla stampa nazionale.

COME LA DC, IL PD FINISCE QUI.



Il Pd si fa finanziare dai manager che nomina
Dal Friuli alla Puglia: la tassa dem è obbligatoria




I regolamenti locali impongono un obolo non solo agli eletti, ma anche ai dirigenti indicati nei cda
Nel bilancio 2016 le “contribuzioni da persone fisiche” ammontano a 7,6 milioni, su 20 di entrate






Il Pd era nato da pochi anni quando Antonio Misiani, che ne fu tesoriere dal 2009 a fine 2013, chiese ai colleghi dem delle regioni di cancellare dai regolamenti i riferimenti al versamento obbligatorio per i membri di cda, partecipate e quant’altro (che infatti in quello nazionale non c’è). Evidentemente gli interessati si sono dimenticati, tanto è vero che l’erogazione liberale obbligatoria si ritrova un po’ dappertutto nei documenti del Pd lungo lo Stivale
di F. Q.



I manager nominati dal Pd obbligati a finanziare il partito


I regolamenti locali impongono un obolo ai dirigenti indicati in partecipate ed enti

I manager nominati dal Pd obbligati a finanziare il partito


di Marco Palombi e Carlo Tecce | 1 settembre 2017


| 12
L’erogazione fiscalmente è liberale, quindi detraibile al 26% come un atto di generosità e partecipazione alla vita politica del Paese. Sostanzialmente, invece, l’erogazione c’è, ma non è mica tanto liberale: diciamo che sfiora l’obbligatorio. Ci si riferisce all’annosa questione, riesumata mercoledì da Franco Bechis su Libero, dell’obolo che – secondo molti regolamenti finanziari locali del Pd – non solo deputati e eletti a livello regionale e locale, ma pure tutti quelli che i democratici piazzano ai vertici di municipalizzate, enti, fondazioni e via dicendo devono versare al partito. È una percentuale fissa dello stipendio o del gettone di presenza che varia da territorio a territorio e spesso è indicata nei “Regolamenti finanziari” locali.

È una pratica, questa, che affonda le radici nei decenni e arriva al cuore del sistema di finanziamento del Pci: all’epoca, però, il primato della politica nella gestione della cosa pubblica era un fatto orgogliosamente rivendicato, mentre oggi non passa giorno che democratici di ogni ordine e grado parlino di merito, curriculum, scandiscano frasi come “fuori la politica dai cda”. Per di più, formalizzare in questo modo l’impegno a girare un pezzo dello stipendio da presidente della società pubblica X al partito non sembra proprio una garanzia di imparzialità nel processo che ha portato alla scelta di quel manager: è stato preferito a un altro candidato perché era disposto a pagare?

Come detto, si tratta di una pratica antica. Il Pd era nato da pochi anni quando Antonio Misiani, che ne fu tesoriere dal 2009 a fine 2013, prima a voce e poi per iscritto chiese ai colleghi dem delle regioni di cancellare dai regolamenti i riferimenti al versamento obbligatorio per i membri di cda, partecipate e quant’altro indicati dal partito (che infatti in quello nazionale non c’è).

Evidentemente gli interessati si sono dimenticati, tanto è vero che l’erogazione liberale obbligatoria si ritrova un po’ dappertutto nei documenti del Pd lungo lo Stivale. Il più spudorato è il Regolamento finanziario del partito in Friuli Venezia Giulia: “I designati e nominati in qualità di presidenti, amministratori, consiglieri di indirizzo, revisori dei conti ecc., in enti, società, consorzi, aziende, autorità, fondazioni ecc., sono tenuti a versare al Partito democratico del rispettivo livello di nomina una percentuale dell’indennità lorda percepita pari al 10%” (e colpisce la citazione persino dei revisori dei conti, soggetti terzi per definizione).

Altri sono più oscuri, tipo il Regolamento del Pd di Modena: “Ai percettori di indennità derivanti da incarichi elettivi decorsi e ai componenti di organi amministrativi di Enti è richiesto di contribuire al finanziamento dell’attività del Partito, secondo modalità che andranno concordate con le Unioni comunali di riferimento”. Formule analoghe si ritrovano nei Regolamenti finanziari di varie regioni (Puglia, Marche, Basilicata, etc) e comuni anche importanti: la Cremona citata da Bechis, ma pure la vicina Lecco, la Bergamo di Giorgio Gori (dove “i nominati negli Enti” devono “il 10% al netto del percepito mensilmente”), Torino, Livorno.

Nella roccaforte oggi un po’ malandata di Siena, per dire, l’indicazione è questa: “Il capitolo ‘contributi’ comprende le sottoscrizioni a cui sono tenuti gli iscritti, eletti e designati presso enti, aziende e società pubbliche o private”. L’esborso non è piccolo: i nominati Pd “sono tenuti a versare un contributo, non inferiore al 30% al lordo del percepito, sull’eccedenza dell’indennità, rispetto alla retribuzione minima di un 1° livello quadri CCNL del Commercio”. Quando si dice la precisione.

Qualche traccia dell’applicazione della “tassa democratica” la si può ritrovare nei tabulati depositati alla Camera dai partiti nonostante la complessiva opacità della legge sulle donazioni private alla politica: i nomi di chi versa, infatti, sono pubblicabili solo con apposita liberatoria dell’interessato. Nel 2015, per dire, proprio il Pd di Siena registra un contributo di 7.640 euro dell’ex parlamentare Ds Fabrizio Vigni, presidente della municipalizzata Siena Ambiente fino all’inizio del 2016. E ancora, sempre al partito della città di Mps, nel 2015 arrivano 5mila euro da Roberto Paolini (Siena Parcheggi) e 8mila da Massimo Roncucci (manager dei trasporti), che bissa nel 2016 con altri 7.600 euro.

Più corposi i versamenti, e ci spostiamo a Modena, di Maurizio Maletti (10mila euro registrati nel 2015 11.500 nel 2016), amministratore unico dell’Agenzia per la Mobilità e il Tpl di Modena Spa. Il Pd di Lecco, invece, mette a verbale a inizio 2015 6.522 euro versati da Mauro Colombo, già presidente di Silea Spa, la municipalizzata dei rifiuti.

Finanziare il partito esiste persino come pre-requisito per la nomina ed è una interessante novità introdotta dal Regolamento finanziario del Pd in Abruzzo: essere in regola coi versamenti “è una delle condizioni necessarie per poter aspirare ad essere candidato in una delle prossime competizioni elettorali o designato in altri enti pubblici o privati”.

Pratica antica, si diceva, quella della “donazione obbligatoria” e oggi assai difficile da abbandonare visto che il finanziamento pubblico dei partiti non c’è più e un bel pezzo dei bilanci si fa appunto con le donazioni (a partire da quelle degli eletti, ovviamente): per restare al Pd, su un bilancio 2016 con entrate per 20 milioni di euro le “contribuzioni da persone fisiche” ammontano a 7,6 milioni, mentre le “quote associative annuali” non arrivano a 14mila euro.
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GIA' NEL POMERIGGIO IL FATTO PUBBLICAVA QUESTA NOTIZIA


Politica | Di Giuseppe Pipitone


Fava: “Il Pd è ostaggio degli Alfaniani
In Sicilia Renzi sa di perdere e quindi
ha ceduto la regia a Leoluca Orlando”



A QUESTO PUNTO PINOCCHIO MUSSOLONI PUO' TORNARE A RIGNANO.

ILGIRO D'ITALIA IN TRENO E' COMPLETAMENTE INUTILE
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GIA QUESTA MATTINA RIPORTANDO CACCIARI SU LA REPUBBLICA, IL PD ERA DATO PER FINITO.


ADESSO VIA LIBERA AL BANANA E AI SUOI FASCI PRODOTTI DA LICIO GELLI.





1 set 2017 11:44
“SUBIAMO PASSIVAMENTE LE PALLE DELLA DESTRA”

- MASSIMO CACCIARI BACCHETTA LA SINISTRA SUL TEMA IMMIGRAZIONE

- “HO APPREZZATO SAVIANO CHE LE HA SMONTATE. MA COSI’ RISCHIAMO DI PERDERE LE ELEZIONI”

- LUI NON E' NEL FAN CLUB MINNITI: “UNA DERIVA ESTREMAMENTE PERICOLOSA” - VIDEO

http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 155249.htm





Alessandra Longo per la Repubblica


Che cosa fa la sinistra di fronte all' esplosione di violenza verbale, a certe pulsioni xenofobe, razziste della destra? Chiederlo a Massimo Cacciari significa avere risposte tranchant (incluso un attacco a Minniti) tipo questa: «Registro una deriva estremamente pericolosa. La sinistra, chiamiamola così, non reagisce più alle menzogne degli avversari. Anzi, semmai cerca comportamenti che possano soddisfare costoro. E così non li fermerà, così perderemo le elezioni».

Cacciari, la questione immigrazione avanza come un incendio che divora ogni ragionamento.

«E' vero. Siamo passati da una fase di comprensibile timore di fronte all' evidente aggravarsi del problema, con un' Europa impotente e il nuovo protagonismo della destra xenofoba ad una fase - quella di adesso - in cui subiamo passivamente le palle che sparano dall' altra parte. Non c' è reazione, tentativo di controbattere e razionalizzare. Al contrario si cerca di tradurre in "moderatese" quello che certa destra urla in modo forsennato».

Clima brutto.
«Prevalgono parole di odio e violenza. Ed è tipico delle grandi crisi di regime. Le orecchie si chiudono, l' ascolto diventa impossibile. Subentra la logica dell' amico/nemico. La crisi non è più in mano di chi governa. Non sottovaluto la situazione. Siamo in un' epoca di trasformazioni radicali che generano paure e disagi. Dico però che la cosiddetta sinistra non fa nulla per contrastare questo clima».

Cosa dovrebbe fare?
«Deve cambiare la comunicazione, bisogna rappresentare la questione immigrati in modo razionale, evidenziare i punti deboli nella gestione, i suoi tempi lunghi, fornire dati economici, spiegare che non c' è un' invasione che toglie il pane alla gente. C' è un fenomeno epocale che va governato, con una grande progettualità, con i piani di aiuto ai Paesi di provenienza, con l' Europa che si prende le sue responsabilità. Mi è piaciuto il video di Saviano su Repubblica. Non amo sempre l' uomo ma in questo caso ha smontato efficacemente le menzogne della destra, i luoghi comuni. Non è una tragedia se Sesto San Giovanni dovrà accogliere 100 immigrati. La tragedia vera è di quei poveretti che vanno in mare e vengono ricacciati nei lager della Libia. Si è rovesciata totalmente la scala dei valori ».


Il ministro Minniti dice di aver temuto per la tenuta del sistema democratico nel momento di massima crisi migratoria.
«Ma scherziamo. Se così fosse vorrebbe dire che l' attuale sistema democratico è marcio e allora merita di finire! Non bisogna temere di perdere voti e creare un clima parossistico. Così vince la destra. Bisogna rappresentare bene la questione. La politica deve essere razionale non è fatta per dire alla gente: "hai ragione", non deve ascoltare le domande e ripeterle. Deve dare risposte e indicare prospettive».

Però bisogna anche rispettare il senso di inquietudine della collettività.
«Certo, per questo serve una buona comunicazione della politica. Bisogna smontare le menzogne che seminano il panico. La percezione di insicurezza non è creata solo dal problema immigrazione. Siamo un Paese con il 35 per cento di giovani disoccupati, con milioni di individui in miseria, con il Meridione in mano alla criminalità organizzata. Se il Pil fosse schizzato al 15 per cento, le reazioni della gente ai migranti sarebbero molto diverse. Ma la realtà un' altra. E allora vince chi grida di più».
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Una smentita che conferma

Non solo, ma il cartaceo è una continua propaganda del ventennio.

Oggi, hanno pubblicato un’articolo di quando nel 1931 i bambini delle colonie cantavano “Giovinezza”.

Fanno continua pubblicità a libri sul ventennio fascista.

Come Berlusconi e Feltri, anche Sallusti è convinto che tutti gli italiani siano degli emeriti scemi.




All'armi son fascisti
Repubblica e Stampa fanno a gara a nascondere i fatti di nera che vedono protagonisti gli immigrati. Vogliono imporre il pensiero unico manipolando i fatti e occultando la realtà
Alessandro Sallusti - Sab, 02/09/2017 - 15:48

In questi giorni mi sono sentito dare più volte del fascista per via dello spazio che stiamo dedicando sul giornale agli episodi di cronaca - occupazioni, stupri, rivolte - che vedono coinvolti gli immigrati. In effetti i giornali che rappresentano il mondo politico e culturale da cui partono queste critiche - il nuovo polo editoriale unico della sinistra salottiera tra La Repubblica e La Stampa - fanno a gara a nascondere i fatti di nera che vedono protagonisti gli immigrati. Ieri sulle loro prime pagine non c'era traccia dei nuovi casi di stupro a Rimini, Milano e Desio, solo scarni e incompleti resoconti all'interno (nell'articolo della Stampa non è citata neppure la nazionalità marocchina degli aggressori). Grande spazio i due quotidiani dedicano invece ad appelli di politici e prelati a non alimentare odio e razzismi, un'ossessione che i loro lettori, non conoscendo i fatti censurati dal giornale che stanno leggendo, potrebbero addirittura trovare eccessiva e incomprensibile.
Facciamo subito chiarezza. Primo, noi non odiamo gli immigrati, semplicemente troviamo odioso - e lo scriviamo a caratteri cubitali - che un uomo, di qualsiasi colore sia la sua pelle, stupri una donna. Riteniamo però molto pericoloso che una politica dell'accoglienza fuori controllo abbia prodotto l'effetto che, a differenza degli stupratori italiani, quelli immigrati il più delle volte non sappiamo chi siano e dove andarli a prendere per assicurarli alla giustizia, perché oltre che delinquenti sono fantasmi, spesso protetti dalla loro stessa comunità che a differenza delle nostre non considera la violenza sulle donne un reato grave e odioso.
Secondo. Non siamo razzisti, banalmente pensiamo che senza legalità non ci possa essere uguaglianza, solidarietà, democrazia e libertà. La legalità, come ha scritto di recente persino la Gabanelli, non è di destra né di sinistra, né bianca né nera. O è o non è. E se non è - come nel caso dei flussi immigratori che abbiamo subito e non governato - sono guai per tutti e dirlo è un dovere. Per intenderci, siamo fieri degli atleti di colore che vestono le maglie delle nostre nazionali e guardiamo con ammirazione e rispetto le tante ragazze straniere che studiano nelle nostre scuole e università anche se consideriamo ridicolo che una bellissima ragazza di colore vinca Miss Italia, come successo anni fa, perché sarebbe come dire che l'ottimo kebab rappresenta il meglio della cucina italiana nel mondo.
Terzo. Non siamo fascisti, e la prova sta proprio nell'accusa che ci viene mossa. Una delle architravi del fascismo fu di imporre ai giornali il divieto assoluto di pubblicare notizie di cronaca che potessero contraddire la narrazione ufficiale del regime. Cito da La stampa nel ventennio di Mauro Forno (edizioni Rubbettino): «Fin dal 1925, l'allora ministro dell'interno Luigi Federzoni, aveva ordinato attraverso apposite circolari ai prefetti di sequestrare tutti i giornali che indugiavano su delitti di sangue adulteri e simili e Mussolini stesso aveva impartito l'ordine di smobilitare la cronaca nera. Il fascismo temeva molto la cronaca nera perché poteva distrarre il lettore dalle pagine politiche e per l'intralcio che essa arrecava al processo di una tensione positiva, in grado di rafforzare la tensione sociale e il senso di appartenenza ad una grande nazione sempre in marcia verso alti ideali... Insomma per uno stato totalitario era intollerabile che la stampa si facesse portavoce di messaggi negativi diffondendo all'esterno immagini di disagio e di disgregazione sociale».
Mi sembra quindi chiaro che «fascista» è obbedire «all'ordine» del ministro della Giustizia Orlando di dire che non c'è alcuna emergenza e censurare dalle prime pagine dei giornali e dei telegiornali i fatti efferati che vedono protagonisti gli immigrati. Il pericolo di un neofascismo - cioè di un nuovo totalitarismo - non viene dai nostalgici di destra che salutano a mano tesa in ridicoli raduni ma da chi, come il gruppo La Repubblica-La Stampa, vorrebbe imporre un pensiero unico manipolando i fatti e occultando la realtà. Verrebbe da dire: all'armi, son fascisti.
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URGENTE La scoperta dei 3 dei vincitori del Premio Nobel per la chimica del 2009 è una svolta rivoluzionaria nella lotta contro le rughe

riceve il Premio Nobel per la scoperta che ha permesso una svolta nella lotta contro le rughe
Test clinici condotti dal prof. Mark Howard hanno dimostrato che c'è una formula che aiuta a combattere le rughe e la pelle secca e flaccida - nella pratica permette di ringiovanire l'aspetto di 15 anni.



Appena lo viene a sapere la Mummia cinese di Hardcore si precipiterà a razzo.

E' ritornato in Trentino per apparire giovane e presentarsi giovanile alle prossime elezioni, volete che non parta per gli Usa per sembrare un sessantenne?????
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LA REPUBBLICA DEI BROCCHI: ULTIMO ATTO – LA LUNGA AGONIA





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Mattarella, cercasi premier che rottami Renzi, Grillo e Silvio
Scritto il 03/9/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi Tweet

Un commissario a cui affidare il timone dell’Italia, data l’impossibilità di fidarsi di Renzi, Berlusconi e Grillo.

Non un proconsole Ue come Monti, però: un italiano “vero”, non agli ordini dei poteri forti europei.

E’ la scelta sulla quale, secondo “Il Sussidiario”, si starebbe orientando il felpato Mattarella, tra le segrete stanze del Quirinale. «Tacito e invisibile, Sergio Mattarella è l’opposto di Giorgio Napolitano», scrive Antonio Fanna. «Parla poco, non cerca la sovraesposizione, non mostra di pilotare alcunché nella vita politica e istituzionale del Belpaese, non intende mostrarsi come il garante degli interessi europei».

Del resto, «essendo il capo dello Stato, di fatto è già l’uomo che fornisce le dovute assicurazioni (e rassicurazioni) ai partner di Bruxelles senza aver bisogno di sbandierarlo ai quattro venti».

Ma come “l’emerito”, anche il presidente in carica «agisce molto dietro le quinte». Napolitano «doveva sbarazzarsi del governo di Silvio Berlusconi, inviso alle capitali che contano», in un contesto economico in rapido peggioramento.

Risultato: il governo-horror di Mario Monti e la sua eredità elettorale, cioè «un Parlamento impazzito, privo di una maggioranza chiara, terremotato dai cambi di casacca e incapace di cambiare verso alla crisi perdurante».

Scontiamo il peso di tre governi – Letta, Renzi, Gentiloni – l’ultimo dei quali «non sembra in grado di tracciare e seguire una road-map verso una nuova legge elettorale», annota Fanna sul “Sussidiario”.

«Se questa è stata una legislatura terremotata – aggiunge – nella prossima si preannuncia uno scenario da post-tsunami, con le Camere elette da un sistema proporzionale, dove sparisce il bipolarismo destra-sinistra e forse anche il tripartitismo con i grillini».

La parola d’ordine più probabile sarà “ingovernabilità”, «per la presenza di tante formazioni minori, ognuna con un suo diritto di veto».

Nella fase attuale, continua Fanna, i leader non mostrano di avere capacità di visione.

«Renzi pensa al tridente Gentiloni-Minniti-Delrio, Berlusconi è stretto nella morsa di Salvini e Meloni e si aggrappa nientemeno che a Musumeci.

I grillini sono lo specchio della politica come Roma lo è dell’Italia, ingovernata e ingovernabile».

In più, «la legge elettorale è sparita dai radar».

E riaffiora «un ritornello lanciato prima della pausa estiva da Ettore Rosato: con la legge di bilancio (e quindi anche senza riforma elettorale) il governo Gentiloni ha chiuso il suo mandato».

Secondo Fanna, «il povero Mattarella cerca il bandolo di questa matassa».

E l’ipotesi che si fa strada «non è di un Gentiloni bis, una mezza figura adatta per le mezze stagioni, ma nemmeno quella di un tecnico alla Monti, manovrato dalle cancellerie europee».

Ormai l’hanno capito tutti: «Con Napolitano e Monti erano altri a decidere al posto degli italiani».

Con Mattarella, secondo Fanna, si cambierebbe registro: la scelta sarebbe “interna”.

«Il lavoro dei prossimi mesi sarà quello di individuare il profilo più adatto e di applicare al meglio la mitica “moral suasion” del Quirinale, cioè la capacità di convincimento».

Non un tecnico, dunque, ma un commissario: «Una figura sopra le parti, che sia in grado di avere un certo ascendente».

Il governo sarà ridotto a una sorta di “authority”, dove la maggioranza (comunque risicata) non troverà legittimazione nelle alleanze, quanto piuttosto «nella capacità attrattiva, magnetica, del personaggio che verrà indicato per installarsi a Palazzo Chigi».

Questa è «un’Italia nel caos», che per Fanna (e Mattarella?) ha bisogno di «un commissario tecnico», cioè «un allenatore, un trainer con pieni poteri».

In altre parole: «Un saggio alla Bearzot con Mattarella al posto di Pertini.

Sempre che il presidente siciliano sappia giocare a scopone come il suo predecessore ligure».
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Re: Diario della caduta di un regime.

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LA REPUBBLICA DEI BROCCHI: ULTIMO ATTO – LA LUNGA AGONIA






Un ennesimo caso che distingue il giornalismo dai fogli di sola ed esclusiva propaganda unidirezionale.



Dal sito del Corriere della Sera


gli stupri di rimini
Milano, 3 settembre 2017 - 22:57

Stupri a Rimini, la poliziotta che ha dato la caccia ai violenti: «Carichi d’odio»
Francesca Capaldo, capo della sezione dello Sco dedicata alla violenza di genere, ha lavorato notte e giorno per catturare il branco responsabile delle violenze a Rimini
di Fiorenza Sarzanini



La sua mano tira la maglietta di Guerlin Butungu, il congolese ritenuto il capo degli stupratori, e lo trascina in Questura poco dopo l’arresto. La foto che ha fatto il giro di tv e siti internet fissa il momento liberatorio dopo una settimana di massima tensione. Perché Francesca Capaldo, capo della sezione dello Sco (il Servizio centrale operativo) che si occupa della violenza di genere, è la poliziotta che da lunedì 28 agosto si è trasferita a Rimini e ha lavorato giorno e notte per catturare il “branco”.

Avete mai pensato di non farcela?
«Mai, nemmeno per un minuto. È stato un lavoro di squadra formidabile e in una settimana siamo riusciti a braccarli tutti».
Lei ha lavorato in tandem con la collega della Mobile Roberta Rizzo. Quanto ha contato la vostra presenza per far sentire le vittime al sicuro?
«Certamente questo ha aiutato, soprattutto nella volontà di collaborazione della transessuale peruviana che ci ha fornito elementi precisi e ci ha messo sulla pista giusta. Ha capito che poteva fidarsi e ha parlato con noi senza imbarazzi. Grazie alle sue parole siamo riuscite a ricostruire ogni dettaglio, è stato come vedere con i suoi occhi che cosa era accaduto quella notte. Ed è stato davvero impressionante».

L’identikit sembra quasi una fotografia?
«La collega della polizia Scientifica ha colto perfettamente ogni dettaglio delle testimonianze e il risultato è davvero impressionante. Non a caso ho parlato di lavoro di squadra e certamente non mi riferisco soltanto alle donne».

C’è qualcosa che l’ha particolarmente colpita in questa vicenda?
«Mi occupo da tempo di questo tipo di reati, seguo numerose indagini su episodi di violenza. Ma sono rimasta impressionata dalla ferocia di questi ragazzi. Sono molto giovani, eppure hanno tirato fuori una carica d’odio enorme».

Che cosa li ha scatenati?
«Forse il fatto di muoversi in branco. Quando li abbiamo interrogati si sono mostrati mansueti. E invece il racconto delle due donne, le lesioni che hanno inferto loro, dimostrano che sono riusciti a tirare fuori una forza brutale. Erano accaniti in maniera bestiale, non mi era mai capitato di vedere una cosa del genere tra estranei. Può accadere nelle violenze in famiglia, quando c’è un rancore pregresso. Così è assurdo, non dimenticherò facilmente il terrore che ho letto sul volto della ragazza polacca».

I cittadini vi hanno aiutato?
«Abbiamo ricevuto moltissimi messaggi di solidarietà da tutta Italia, le donne di Rimini ci hanno spronato ad andare avanti. Anche oggi, quando siamo arrivati in Questura, ci hanno gridato parole di incitamento».

Butungu nega lo stupro.
«Noi stiamo lavorando affinché queste due vittime possano avere giustizia. Andiamo avanti fino a che tutti i tasselli del quadro non andranno a posto. E posso dire che molti sono già a posto».
3 settembre 2017 (modifica il 3 settembre 2017 | 23:32)
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Dal sito degli STRUMPTRUPPEN:


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Ecco la doppia vita di Butungu:
dal lavoro nella coop agli stupri

Claudio Cartaldo


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Stupri, la verità agghiacciante:
"Quel 15enne era indemoniato"

Stefano Zurlo


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La "bella vita" dello stupratore
Giovanni Giacalone



Editoriali

Le belve cresciute qui
Il branco dello ius soli e il pericolo della cittadinanza facile
Alessandro Sallusti - Dom, 03/09/2017 - 22:46
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Pensateci bene, perché abbiamo un problema. Pensateci, mi rivolgo ai politici, a varare una legge che fa diventare cittadino italiano chiunque sia nato in Italia, di fatto a prescindere da qualsiasi altra garanzia.


Non che a noi manchino giovani sciagurati e adulti da cui guardarsi. Ma, appunto per questo, perché aumentare il rischio di allargare la platea dei fuorilegge a cui garantire diritti che stridono con i doveri non rispettati?
I tre ragazzi arrestati ieri per lo stupro di Rimini sono immigrati di seconda generazione, nati in Italia da genitori marocchini e nigeriani. Per pochi mesi - due fratelli hanno 15 e 16 anni e a 18 saranno automaticamente cittadini - non sono italiani a tutti gli effetti e potrebbero quindi essere rispediti nel Paese d'origine dei genitori.
Vedremo che sviluppo avrà la vicenda giudiziaria - tra il fatto che sono minorenni e che si sono consegnati, sia pure dopo giorni e solo perché individuati grazie ai fotogrammi delle telecamere, penso e temo che in poco tempo i tre saranno liberi -, ma il problema non è solo quello legale. Il fatto è che la «generazione ius soli», cioè l'enorme platea di giovani immigrati candidati ad avere la nostra nazionalità, è una galassia a noi sostanzialmente sconosciuta. Dentro questo universo c'è anche quel simpatico compagno di banco dei nostri figli e nipoti, c'è il figlio di quel vicino a cui affidiamo le chiavi di casa quando ci assentiamo. Ma non nascondiamoci dietro un dito. Ci sono, e temo in maggioranza, anche i tre ragazzi di Rimini. E ci sono ancora troppi adulti, mi riferisco agli immigrati di prima generazione, che non hanno alcuna intenzione di crescere i loro figli nel rispetto delle libertà e dei principi della nostra Costituzione.
Non tutto quel mondo è il caso Rimini, ma il caso Rimini è un pezzo di quel mondo sufficientemente significativo da consigliare cautela. Facciamoli crescere questi ragazzi e, come è oggi, quando arrivano ai diciotto anni vediamo: chi si è esercitato a delinquere torni a casa, che come detto ci bastano i nostri. Chi è stato alle regole resti, sarà - e già oggi lo è - il benvenuto. Saranno i pionieri di una sana «generazione ius soli», non a loro volta vittime delle malefatte dei loro sciagurati colleghi che li usano come paravento per ottenere ciò che non meritano.

http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 36871.html
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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La così detta “Giustizia”, nella Repubblica dei Brocchi(Libro di Sergio Rizzo), dipende dai Santi in Paradiso. Se non li hai, sei nei guai.


GIUSTIZIA
Strage del Rapido 904: appello
da rifare perché il giudice va in pensione - La strage di Natale

La bomba del 23 dicembre 1984 fece 16 morti e 267 feriti
Riina seguiva processo in barella di Marco Gasperetti
I molti punti oscuri di Titti Beneduce Riina assolto Quella strage dimenticata di Silvia Morosi e Paolo Rastelli

http://www.corriere.it/index.shtml?refresh_ce
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Re: Diario della caduta di un regime.

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LA REPUBBLICA DEI BROCCHI: ULTIMO ATTO – LA LUNGA AGONIA




MENTRE 60 MILIONI DI ITALIANI, TUTTE LE SERE SI ADDORMENTANO LEGGENDO LE FIABE DI GENTILONI(PRIMA DI PINOCCHIO MUSSOLONI) E DI PADOAN, ILVO DIAMANTI URLA:



4 set 2017 12:52
"RAGAZZI: NON TORNATE!”

- ILVO DIAMANTI LANCIA LA SUA PROVOCAZIONE SULLA FUGA DI CERVELLI: “RAGAZZI: RESTATE FUORI DAL NOSTRO, VOSTRO PAESE. ALMENO FINO A QUANDO IL PAESE NON SI ACCORGERÀ DI VOI. E DECIDERÀ DI INVESTIRE SUI GIOVANI INVECE CHE SUGLI ANZIANI. SULLA SCUOLA. SUI NUOVI LAVORI. INVECE CHE SULLE RENDITE, SULLE PENSIONI, SUI PRIVILEGI"


Ilvo Diamanti per la Repubblica



I giovani, in Italia, sono un'emergenza grave. Che non accenna a diminuire. L'ha riconosciuto, con realismo e onestà, il premier, Paolo Gentiloni, al tradizionale Forum Ambrosetti di Cernobbio.

D' altronde, i dati più recenti dell' Istat rilevano che la disoccupazione giovanile è oltre il 33%. Secondo talune stime, anche più elevata. Insomma, oltre 1 giovane su 3 è senza lavoro. Secondo i dati Eurostat: il doppio rispetto alla zona Euro. Solo la Grecia e la Spagna starebbero peggio di noi.

Naturalmente, occorre aggiungere che i giovani, in Italia, sono ormai una specie rara, in via di estinzione. Ma questa constatazione a me suscita pena ulteriore. Che ha origini lontane e misure crescenti.

È, infatti, dagli anni 70 che siamo in declino demografico. Ma, negli ultimi anni, il declino è divenuto un crollo. Perché si associa all' invecchiamento della popolazione. Gli italiani, infatti, invecchiano e non fanno più figli. Perfino gli stranieri, quando si stabilizzano, smettono di "riprodursi".

Ma la popolazione italiana invecchia anche perché i giovani, appena possono, se ne vanno. Verso Nord. Come gli immigrati che, secondo la retorica della paura, ci "invadono". I nostri giovani, invece, "evadono". Per ragioni, ovviamente, diverse. Circa 2 italiani su 3, infatti, come abbiamo scritto altre volte (commentando le indagini di Demos- Coop), sostengono che "per i giovani che vogliano fare carriera, l' unica speranza è andarsene". Fuori dall' Italia.
Ed è ciò che fanno, ormai da anni. In generale, emigrano dall' Italia oltre 100 mila italiani, ogni anno. Per capirci, negli anni 90 il flusso annuale era intorno a 30 mila. A differenza del passato, però, oggi non se ne va la "forza lavoro". Se ne vanno i giovani. Soprattutto i più istruiti. I più qualificati. Circa 3 su 4, in possesso di un titolo di studio.

Secondo il Censis, quasi 9 su 10 di essi sono laureati. Si dirigono prevalentemente in Europa. Soprattutto in Germania e nel Regno Unito. Ma anche in Francia, Austria, Svizzera. Insomma: altrove. Perché "altrove" trovano occasioni di impiego migliori rispetto a qui. Carolina Brandi, ricercatrice Irpps-Cnr, al proposito, parla di brain drain, drenaggio dei cervelli, causato da una evidente condizione di overeducation.

Così i nostri "dottori", dopo essersi "formati" in Italia, se ne vanno a fare ricerca altrove. Dove trovano opportunità e soluzioni. Migliori e più adeguate. In altri termini: sono richiesti da più soggetti scientifici, da più istituzioni, da più imprese.

D' altronde, in Italia (dati Eurostat) l' investimento e la produzione del sistema formativo restano limitati. Il nostro Paese, infatti, si colloca all' ultimo posto in Europa per il numero di persone che hanno concluso un percorso di istruzione terziaria (24,9%), mentre la media Ue è del 38,5%. Sotto la media Ue (17,6%) risulta anche il numero di laureati in ingegneria e discipline scientifiche (12,5%). Infatti, se, negli ultimi anni, la spesa pubblica in Italia ha continuato a crescere, gli investimenti in ricerca, università e scuola sono, invece, diminuiti.

Più in generale, come ha sostenuto ieri Ferdinando Giugliano su queste pagine, «il principale aumento delle disuguaglianze, in Italia, negli ultimi vent' anni, è stato quello fra giovani e anziani».

Non per caso. Metà degli iscritti ai sindacati confederali, infatti, sono pensionati. Mentre la maggioranza degli elettori dei partiti di governo (in particolare di centro- sinistra) è composta da persone anziane. Comunque, (molto) adulte. È difficile immaginare che le politiche sociali possano privilegiare i giovani piuttosto che gli anziani. Tutelare i nuovi lavori e lavoratori piuttosto che i pensionati. E i lavoratori già occupati. Che ambiscono (comprensibilmente) ad andare in pensione prima. Mentre, secondo oltre 8 italiani su 10 (Demos-Coop, aprile 2017), "i giovani d' oggi avranno pensioni con cui sarà difficile vivere".

Tuttavia, il sistema scolastico superiore e le Università, in Italia, dispongono di un credito molto elevato, fra i cittadini e gli studenti. Ma anche presso le istituzioni europee. I dati dell' Ocse, infatti, rilevano che la scuola italiana è ancora uno strumento di rimozione degli "ostacoli di ordine economico e sociale".

Per altro verso, i nostri laureati e i nostri ricercatori trovano spazio e vengono valorizzati, altrove. Mentre in Italia si devono rassegnare a condizioni di sotto- occupazione. Con prevedibili e inevitabili conseguenze di de-qualificazione. Così, per noi si tratta di una perdita "economica". Di un investimento in-utilizzato. Peggio: sfruttato da altri Paesi. Perché, come osserva la Fondazione Migrantes, "la mobilità è una risorsa, ma diventa dannosa se è a senso unico". Come avviene in Italia. Che forma ed "esporta" molti talenti.

Ma non è capace di attrarne altri, da altri Paesi. Peggio, non è neppure in grado di fare rientrare i propri. Se, un tempo, gli italiani che partivano pensavano - e sognavano - di tornare, oggi avviene raramente. Le figure più qualificate, i nostri "dottori": partono e non ritornano. Perché, per loro, avrebbe poco senso, tornare in Italia. Non troverebbero spazi e occupazione. Adeguati.

Certo, mantengono forti legami con l' Italia. In particolare, stretti e frequenti rapporti con le famiglie di origine. Le quali costituiscono, per loro, riferimenti certi. Essenziali, quando si affrontano percorsi e destini incerti. Per queste ragioni, i nostri giovani continuano a partire, sempre più numerosi. I nostri (miei) figli, i nostri (miei) studenti. E per queste ragioni è forte la tentazione, da parte mia, di rivolgere loro un invito neppure troppo provocatorio.
Ragazzi: non tornate. Restate altrove. Fuori dal nostro, vostro Paese. Almeno fino a quando il nostro, vostro, Paese non si accorgerà di voi. E deciderà di investire sui giovani invece che sugli anziani. Sulla scuola. Sui nuovi lavori. Invece che sulle rendite, sulle pensioni, sui privilegi. Ma finché questo Paese che invecchia continuerà ad aggrapparsi al presente - e al passato. Incapace di guardare al futuro. Al destino dei - propri - giovani. Almeno fino ad allora: ragazzi, non tornate!
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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Caso Regeni, Alfano: “Egitto partner ineludibile
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Rabbia delle opposizioni. Di Battista: “Ipocrita”. Marcon (Si): “Parole vacue, inaccettabile” – DIRETTA TV





Politica
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