Nazione Marcia
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Nazione Marcia
Lo scandalo dell'Università dimostra che orma siamo alla frutta ... marcia
Non c'è posto, ente o categoria che non sia infettata dall'opportunismo e dall'illegalità ...
dal http://www.ilfattoquotidiano.it
Concorsi truccati all’università, il simbolo di una nazione infetta
di Alberto Vannucci | 27 settembre 2017
Professore di Scienza Politica
Il sistema universitario è l’incubatrice dove si forma la classe dirigente del paese, che in quella sede acquisisce conoscenze, competenze, valori, aspirazioni.
Un’università inquinata dalla corruzione vede rovesciata la propria funzione educatrice, da generatrice di sviluppo economico e arricchimento culturale rischia di trasformarsi in agente patogeno, capace di trasmettere (o acuire) l’infezione del malaffare nel mondo delle imprese e delle professioni, nella sfera dell’amministrazione e della politica.
Per queste ragioni, e al di là del rilievo penale che hanno, occorre prendere molto sul serio le condotte dei docenti coinvolti nell’inchiesta della Procura di Firenze che ha decapitato un intero settore disciplinare, quello del diritto tributario, ponendo ben 59 docenti sotto inchiesta per tentata concussione e corruzione. Secondo l’ipotesi accusatoria, due cordate di tributaristi avrebbero concordato un meccanismo spartitorio per governare gli esiti della tornata concorsuale per l’abilitazione all’insegnamento universitario del 2012. Lo dimostra bene un’intercettazione, “Funziona così: a ogni richiesta di un commissario corrispondono tre richieste provenienti dagli altri commissari. Io ti chiedo Luigi e allora tu mi dai Antonio, tu mi dai Nicola e tu mi dai Saverio”.
Il merito dei candidati non è contemplato tra i criteri di valutazione, a differenza della loro filiazione o appartenenza: “Qui non c’è nessun merito, ognuno ha i suoi”. Come sintetizza mirabilmente un altro dei protagonisti: “Non è che si dice è bravo o non è bravo. No, si fa: questo è mio, questo è tuo, questo è tuo, questo è coso, questo deve andare avanti”. Paradossalmente, le buone capacità di un aspirante professore diventano un fardello: non essendo generalizzabili a tutti i vincitori stabiliti, introducono un elemento di perturbazione nei criteri già definiti di lottizzazione. “Ogni professore aiuta l’altro perché è chiaro che se il professore di Procedura civile dice: “Scegliamo il miglior tributarista in assoluto’, rischia che poi il tributarista dica: ‘Scegliamo il miglior processualista in assoluto’. Allora tutti quanti hanno convenienza a dire ‘No certo, il tributarista dev’essere il tributarista tuo’, perché così il tributarista dirà: ‘No, certo, esimio collega, il processual-civilista sarà il tuo allievo’, e così si aiutano a vicenda”.
Affinché tutto fili liscio occorre tenere sotto controllo due possibili elementi di disturbo.
Il primo – la presenza nella cinquina dei commissari sorteggiati di un professione straniero – è facilmente disinnescato. Si tratta di un docente spagnolo, forse ammaestrato a pratiche equivalenti, tanto che per “comprarne” il consenso sono sufficienti una finta riunione accademica con annesso soggiorno veneziano, la promessa di una revisione in italiano di suoi articoli e di un incarico di visiting professor a Bologna. La seconda variabile impazzita si rivela invece un osso duro. E’ un candidato indipendente, bravissimo per titoli e impegno. Per quanto imperfetti e sotto molti profili discutibili, i criteri di selezione introdotti dalla legge Gelmini costringono infatti le commissioni a confrontarsi con alcuni indicatori numerici di produttività scientifica, sottraendo almeno in parte il giudizio alla quasi completa arbitrarietà del passato.
Se il battitore libero partecipasse, esporrebbe gli allievi protetti, già designati vincenti, a un impietoso paragone. Nei suoi confronti si procede dunque per vie spicce: “Tu non puoi non accettare. Che fai, ricorso? Però così ti giochi la carriera. Qui non siamo sul piano del merito Philip (Jezzi Laroma ndr). Smetti di fare l’inglese e fai l’italiano”. E’ una fortuna che il ricercatore anglo-italiano si sia comportato semplicemente da uomo, senza alcuna qualifica di nazionalità, e con coraggio abbia denunciato l’intimidazione alla magistratura.
Nell’affondare lo sguardo nello squarcio che l’inchiesta fiorentina ha aperto nella realtà sotterranea della corruzione accademica, occorre sgombrare il campo da un equivoco. E’ del tutto fisiologico promuovere la maturazione scientifica e accademica dei propri allievi. I criteri impiegati nelle comunità accademiche “virtuose” per selezionare e favorire l’ascesa dei propri componenti prevedono però una valutazione per quanto possibile rigorosa e “oggettiva” del contributo fornito al progresso della conoscenza: ricercatori e docenti entro quelle cerchie si riconoscono a vicenda come portatori di quegli stessi valori, componente irrinunciabile della loro stessa identità accademica. Se cercassero di sostenere, o peggio ancora di imporre, candidati non all’altezza, ne pagherebbero un prezzo altissimo in termini di reputazione, che è unità di misura del valore del loro stesso impegno professionale.
Anche nell’università italiana, in alcuni settori disciplinari, questo meccanismo di selezione positiva sembra operare efficacemente, e si sono formate comunità di ricercatori di grande valore, capaci di non sfigurare a livello internazionale.
L’inchiesta fiorentina sembra però confermare che in altre cerchie di docenti universitari i criteri di riconoscimento risultano radicalmente diversi, fondati su una logica di appartenenza e di asservimento. Quali fattori possono propiziare – ma comunque mai determinare – una deriva nepotistica, clientelare, corruttrice nel mondo universitario? Il primo è la debolezza (nel peggiore dei casi, l’assenza) dei parametri “oggettivi” utili a valutare la qualità del lavoro scientifico, un limite che caratterizza le discipline umanistiche (tra cui il diritto).
Un altro elemento di rischio si ricollega invece all’ampiezza del settore disciplinare: quanti più docenti sono coinvolti nelle intese spartitorie, tanto più complicato è negoziarle, contemperare le diverse esigenze, farle osservare. Rileva un docente: “Anche io mi son piegato a certi baratti per poter mandare avanti i miei allievi. Ero ingenuo all’inizio”, ma “la logica universitaria è questa… quindi purtroppo è un do ut des”. Le intercettazioni confermano che le intese stipulate fra troppi pretendenti possono risultare precarie e instabili, al punto che l’ex ministro Augusto Fantozzi – parrebbe scherzosamente – invoca a un certo punto l’esigenza di istituire una “nuova cupola”, ossia “di trovare persone di buona volontà”, che “ricostituiscano un gruppo di garanzia che riesca a gestire la materia dei futuri concorsi”.
Un ultimo elemento, sicuramente presente nel caso dei docenti di diritto tributario – e che accresce il rischio di simili dinamiche corruttive in altri settori dalle caratteristiche analoghe. Molti tra i docenti coinvolti nell’inchiesta sembrano identificarsi nel loro profilo professionale piuttosto che in quello accademico: sono tributaristi di grido, titolari di studi avviati da cui ricavano redditi incomparabilmente superiori a quello di docenti, i loro allievi da promuovere sono prima di tutto soci o collaboratori (o galoppini) in ambito professionale.
E’ prevedibile che in quelle cerchie i criteri di riconoscimento sociale positivo della qualità del lavoro scientifico si facciamo labili, rimpiazzati da criteri alternativi, associati piuttosto al successo nell’ascesa professionale. La carriera universitaria risulterà così strumentale a certificare la qualità delle prestazioni in veste di professionisti, accrescendone il valore di mercato (ossia l’ammontare delle parcelle), mentre lo stesso potere accademico verrà esercitato come contropartita di scambio per fare favori e maturare crediti – anche nei confronti dei propri “allievi” – da spendere e far valere soprattutto in ambito professionale. Anche per questa via, la corruzione nell’università e il malaffare nel settore privato si intrecciano in profondità, alimentandosi a vicenda.
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di Alberto Vannucci | 27 settembre 2017
Professore di Scienza Politica
Il sistema universitario è l’incubatrice dove si forma la classe dirigente del paese, che in quella sede acquisisce conoscenze, competenze, valori, aspirazioni.
Un’università inquinata dalla corruzione vede rovesciata la propria funzione educatrice, da generatrice di sviluppo economico e arricchimento culturale rischia di trasformarsi in agente patogeno, capace di trasmettere (o acuire) l’infezione del malaffare nel mondo delle imprese e delle professioni, nella sfera dell’amministrazione e della politica.
Per queste ragioni, e al di là del rilievo penale che hanno, occorre prendere molto sul serio le condotte dei docenti coinvolti nell’inchiesta della Procura di Firenze che ha decapitato un intero settore disciplinare, quello del diritto tributario, ponendo ben 59 docenti sotto inchiesta per tentata concussione e corruzione. Secondo l’ipotesi accusatoria, due cordate di tributaristi avrebbero concordato un meccanismo spartitorio per governare gli esiti della tornata concorsuale per l’abilitazione all’insegnamento universitario del 2012. Lo dimostra bene un’intercettazione, “Funziona così: a ogni richiesta di un commissario corrispondono tre richieste provenienti dagli altri commissari. Io ti chiedo Luigi e allora tu mi dai Antonio, tu mi dai Nicola e tu mi dai Saverio”.
Il merito dei candidati non è contemplato tra i criteri di valutazione, a differenza della loro filiazione o appartenenza: “Qui non c’è nessun merito, ognuno ha i suoi”. Come sintetizza mirabilmente un altro dei protagonisti: “Non è che si dice è bravo o non è bravo. No, si fa: questo è mio, questo è tuo, questo è tuo, questo è coso, questo deve andare avanti”. Paradossalmente, le buone capacità di un aspirante professore diventano un fardello: non essendo generalizzabili a tutti i vincitori stabiliti, introducono un elemento di perturbazione nei criteri già definiti di lottizzazione. “Ogni professore aiuta l’altro perché è chiaro che se il professore di Procedura civile dice: “Scegliamo il miglior tributarista in assoluto’, rischia che poi il tributarista dica: ‘Scegliamo il miglior processualista in assoluto’. Allora tutti quanti hanno convenienza a dire ‘No certo, il tributarista dev’essere il tributarista tuo’, perché così il tributarista dirà: ‘No, certo, esimio collega, il processual-civilista sarà il tuo allievo’, e così si aiutano a vicenda”.
Affinché tutto fili liscio occorre tenere sotto controllo due possibili elementi di disturbo.
Il primo – la presenza nella cinquina dei commissari sorteggiati di un professione straniero – è facilmente disinnescato. Si tratta di un docente spagnolo, forse ammaestrato a pratiche equivalenti, tanto che per “comprarne” il consenso sono sufficienti una finta riunione accademica con annesso soggiorno veneziano, la promessa di una revisione in italiano di suoi articoli e di un incarico di visiting professor a Bologna. La seconda variabile impazzita si rivela invece un osso duro. E’ un candidato indipendente, bravissimo per titoli e impegno. Per quanto imperfetti e sotto molti profili discutibili, i criteri di selezione introdotti dalla legge Gelmini costringono infatti le commissioni a confrontarsi con alcuni indicatori numerici di produttività scientifica, sottraendo almeno in parte il giudizio alla quasi completa arbitrarietà del passato.
Se il battitore libero partecipasse, esporrebbe gli allievi protetti, già designati vincenti, a un impietoso paragone. Nei suoi confronti si procede dunque per vie spicce: “Tu non puoi non accettare. Che fai, ricorso? Però così ti giochi la carriera. Qui non siamo sul piano del merito Philip (Jezzi Laroma ndr). Smetti di fare l’inglese e fai l’italiano”. E’ una fortuna che il ricercatore anglo-italiano si sia comportato semplicemente da uomo, senza alcuna qualifica di nazionalità, e con coraggio abbia denunciato l’intimidazione alla magistratura.
Nell’affondare lo sguardo nello squarcio che l’inchiesta fiorentina ha aperto nella realtà sotterranea della corruzione accademica, occorre sgombrare il campo da un equivoco. E’ del tutto fisiologico promuovere la maturazione scientifica e accademica dei propri allievi. I criteri impiegati nelle comunità accademiche “virtuose” per selezionare e favorire l’ascesa dei propri componenti prevedono però una valutazione per quanto possibile rigorosa e “oggettiva” del contributo fornito al progresso della conoscenza: ricercatori e docenti entro quelle cerchie si riconoscono a vicenda come portatori di quegli stessi valori, componente irrinunciabile della loro stessa identità accademica. Se cercassero di sostenere, o peggio ancora di imporre, candidati non all’altezza, ne pagherebbero un prezzo altissimo in termini di reputazione, che è unità di misura del valore del loro stesso impegno professionale.
Anche nell’università italiana, in alcuni settori disciplinari, questo meccanismo di selezione positiva sembra operare efficacemente, e si sono formate comunità di ricercatori di grande valore, capaci di non sfigurare a livello internazionale.
L’inchiesta fiorentina sembra però confermare che in altre cerchie di docenti universitari i criteri di riconoscimento risultano radicalmente diversi, fondati su una logica di appartenenza e di asservimento. Quali fattori possono propiziare – ma comunque mai determinare – una deriva nepotistica, clientelare, corruttrice nel mondo universitario? Il primo è la debolezza (nel peggiore dei casi, l’assenza) dei parametri “oggettivi” utili a valutare la qualità del lavoro scientifico, un limite che caratterizza le discipline umanistiche (tra cui il diritto).
Un altro elemento di rischio si ricollega invece all’ampiezza del settore disciplinare: quanti più docenti sono coinvolti nelle intese spartitorie, tanto più complicato è negoziarle, contemperare le diverse esigenze, farle osservare. Rileva un docente: “Anche io mi son piegato a certi baratti per poter mandare avanti i miei allievi. Ero ingenuo all’inizio”, ma “la logica universitaria è questa… quindi purtroppo è un do ut des”. Le intercettazioni confermano che le intese stipulate fra troppi pretendenti possono risultare precarie e instabili, al punto che l’ex ministro Augusto Fantozzi – parrebbe scherzosamente – invoca a un certo punto l’esigenza di istituire una “nuova cupola”, ossia “di trovare persone di buona volontà”, che “ricostituiscano un gruppo di garanzia che riesca a gestire la materia dei futuri concorsi”.
Un ultimo elemento, sicuramente presente nel caso dei docenti di diritto tributario – e che accresce il rischio di simili dinamiche corruttive in altri settori dalle caratteristiche analoghe. Molti tra i docenti coinvolti nell’inchiesta sembrano identificarsi nel loro profilo professionale piuttosto che in quello accademico: sono tributaristi di grido, titolari di studi avviati da cui ricavano redditi incomparabilmente superiori a quello di docenti, i loro allievi da promuovere sono prima di tutto soci o collaboratori (o galoppini) in ambito professionale.
E’ prevedibile che in quelle cerchie i criteri di riconoscimento sociale positivo della qualità del lavoro scientifico si facciamo labili, rimpiazzati da criteri alternativi, associati piuttosto al successo nell’ascesa professionale. La carriera universitaria risulterà così strumentale a certificare la qualità delle prestazioni in veste di professionisti, accrescendone il valore di mercato (ossia l’ammontare delle parcelle), mentre lo stesso potere accademico verrà esercitato come contropartita di scambio per fare favori e maturare crediti – anche nei confronti dei propri “allievi” – da spendere e far valere soprattutto in ambito professionale. Anche per questa via, la corruzione nell’università e il malaffare nel settore privato si intrecciano in profondità, alimentandosi a vicenda.
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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Re: Nazione Marcia
Università ...
Magistratura ...
da www.lastampa.it
Il concorso truccato per magistrati. Un avvocato svela la truffa del 1992
Il Csm ammette: il suo scritto non è mai stato esaminato
Pubblicato il 28/09/2017
Ultima modifica il 28/09/2017 alle ore 13:06
SELMA CHIOSSO
ASTI
Era vestita di bianco, Francesca Morvillo. è il 23 maggio 1992 e all’hotel Ergife di Roma è il giorno dell’abbinamento delle buste del concorso in magistratura per uditore giudiziario: mercoledì 20, diritto penale; giovedì 21, diritto amministrativo; venerdì 22, diritto privato con riferimento al diritto romano. Lei alle 16 saluta, deve prendere l’aereo per Palermo. Rimarrà uccisa insieme a suo marito, Giovanni Falcone. È il primo colpo di scena del concorso durante le stragi di mafia. Concorso tanto particolare da finire ora in un libro scritto dal professore Cosimo Lorè e pubblicato da Giuffrè.
Il dietro le quinte lo si deve 25 anni dopo alla caparbietà di Pierpaolo Berardi, avvocato astigiano. L’allora giovane legale è uno dei candidati. Quando legge il titolo del tema di penale si frega le mani soddisfatto: quel caso da sviluppare sulla responsabilità penale nel trattamento medico lo ha appena affrontato in tribunale; la prova di amministrativo fila liscia; quella di diritto privato e romano è stata oggetto di un seminario seguito poco prima. Un anno dopo, quando escono i risultati degli scritti, non riesce a credere ai suoi occhi: bocciato.
Ed è lì che inizia la sua battaglia; da un lato Tar e Consiglio di Stato che gli danno ragione, dall’altra il ministero e il Csm che oppongono resistenza. L’avvocato chiede di potere vedere i suoi scritti e il verbale. «Mi dissero al telefono che il verbale non c’era» racconta oggi. Quando, dopo un ennesimo vittorioso ricorso al Tar, ha prove e verbali ecco cosa scopre: «I mie temi e quelli di altri non vennero assolutamente corretti. Ho calcolato i tempi: tre prove giuridiche complesse per ogni candidato e grafie diverse possono essere corrette ed esaminate riportando voti e verbale per ciascuno in 3 minuti? Evidentemente no».
Va avanti e la legge gli consente di chiedere anche le prove degli altri candidati promossi.
E lì scopre altre perle: temi riconoscibili perché scritti su una sola facciata, altri in stampatello; alcuni pieni di errori giuridici, altri idonei ma senza voto. Un candidato svolge il tema con una traccia diversa da quella indicata; uno scrive con una calligrafia doppia; un altro (si potevano solo consultare i codici) è degno di Pico della Mirandola: pagine e pagine copiate da manuali di Diritto. Tra i temi casuali che Berardi chiede di visionare c’è anche quello di Francesco Filocamo, attuale magistrato al tribunale di Civitavecchia ed estratto a sorte come presidente del tribunale dei ministri. Il ministero con estremo imbarazzo risponde a Berardi: le sue prove non sono in archivio. Un giallo.
Partono i ricorsi. A Perugia Berardi viene sentito da un pm con presente come uditrice una magistrata che aveva vinto quel concorso. Quando Tar e Csm ordinano di ricorreggere i suoi temi anziché nominare una nuova commissione è la stessa che lo aveva bocciato a farlo.
Nel 2008 il Csm dopo aver sempre affermato che era tutto regolare riconosce all’unanimità che gli elaborati dell’avvocato Berardi non furono mai esaminati dalla Commissione.
Conseguenze? Nessuna.
Magistratura ...
da www.lastampa.it
Il concorso truccato per magistrati. Un avvocato svela la truffa del 1992
Il Csm ammette: il suo scritto non è mai stato esaminato
Pubblicato il 28/09/2017
Ultima modifica il 28/09/2017 alle ore 13:06
SELMA CHIOSSO
ASTI
Era vestita di bianco, Francesca Morvillo. è il 23 maggio 1992 e all’hotel Ergife di Roma è il giorno dell’abbinamento delle buste del concorso in magistratura per uditore giudiziario: mercoledì 20, diritto penale; giovedì 21, diritto amministrativo; venerdì 22, diritto privato con riferimento al diritto romano. Lei alle 16 saluta, deve prendere l’aereo per Palermo. Rimarrà uccisa insieme a suo marito, Giovanni Falcone. È il primo colpo di scena del concorso durante le stragi di mafia. Concorso tanto particolare da finire ora in un libro scritto dal professore Cosimo Lorè e pubblicato da Giuffrè.
Il dietro le quinte lo si deve 25 anni dopo alla caparbietà di Pierpaolo Berardi, avvocato astigiano. L’allora giovane legale è uno dei candidati. Quando legge il titolo del tema di penale si frega le mani soddisfatto: quel caso da sviluppare sulla responsabilità penale nel trattamento medico lo ha appena affrontato in tribunale; la prova di amministrativo fila liscia; quella di diritto privato e romano è stata oggetto di un seminario seguito poco prima. Un anno dopo, quando escono i risultati degli scritti, non riesce a credere ai suoi occhi: bocciato.
Ed è lì che inizia la sua battaglia; da un lato Tar e Consiglio di Stato che gli danno ragione, dall’altra il ministero e il Csm che oppongono resistenza. L’avvocato chiede di potere vedere i suoi scritti e il verbale. «Mi dissero al telefono che il verbale non c’era» racconta oggi. Quando, dopo un ennesimo vittorioso ricorso al Tar, ha prove e verbali ecco cosa scopre: «I mie temi e quelli di altri non vennero assolutamente corretti. Ho calcolato i tempi: tre prove giuridiche complesse per ogni candidato e grafie diverse possono essere corrette ed esaminate riportando voti e verbale per ciascuno in 3 minuti? Evidentemente no».
Va avanti e la legge gli consente di chiedere anche le prove degli altri candidati promossi.
E lì scopre altre perle: temi riconoscibili perché scritti su una sola facciata, altri in stampatello; alcuni pieni di errori giuridici, altri idonei ma senza voto. Un candidato svolge il tema con una traccia diversa da quella indicata; uno scrive con una calligrafia doppia; un altro (si potevano solo consultare i codici) è degno di Pico della Mirandola: pagine e pagine copiate da manuali di Diritto. Tra i temi casuali che Berardi chiede di visionare c’è anche quello di Francesco Filocamo, attuale magistrato al tribunale di Civitavecchia ed estratto a sorte come presidente del tribunale dei ministri. Il ministero con estremo imbarazzo risponde a Berardi: le sue prove non sono in archivio. Un giallo.
Partono i ricorsi. A Perugia Berardi viene sentito da un pm con presente come uditrice una magistrata che aveva vinto quel concorso. Quando Tar e Csm ordinano di ricorreggere i suoi temi anziché nominare una nuova commissione è la stessa che lo aveva bocciato a farlo.
Nel 2008 il Csm dopo aver sempre affermato che era tutto regolare riconosce all’unanimità che gli elaborati dell’avvocato Berardi non furono mai esaminati dalla Commissione.
Conseguenze? Nessuna.
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Re: Nazione Marcia
Poi se sei una "morta di fame" vai in galera per aver preso un rifiuto ...
Prende un gioco tra i rifiuti, licenziata per furto
L’azienda raccoglie la spazzatura: i dipendenti non possono appropriarsi di ciò che sta nei cassonetti
La Cidiu di Collegno si occupa della raccolta e della gestione dei rifiuti della cintura Ovest di Torino. La donna licenziata ha lavorato per la Cidiu negli ultimi undici anni
Pubblicato il 27/09/2017
MASSIMO MASSENZIO
COLLEGNO (TO)
«Ho perso il lavoro perché volevo portare un regalo a mio figlio, ma io non ho mai rubato nulla nella mia vita». È disperata Aicha Elisabethe Ounnadi, 40 anni, ex dipendente del Cidiu, l’azienda che si occupa della raccolta e della gestione dei rifiuti nella cintura Ovest di Torino. Da due mesi vive con l’indennità di disoccupazione perché il 30 giugno le è stata consegnata una lettera di licenziamento per «l’appropriazione indebita di un bene non di sua proprietà»: un monopattino, probabilmente recuperato da un cassonetto, che qualcuno aveva portato nello stabilimento di Savonera, a Collegno.
ASSUNTA DA 11 ANNI
«Mi ricordo tutto come se fosse ieri – racconta Aicha Elizabeth, per tutti Lisa -. Erano le 6 del mattino e una collega mi ha passato quel giocattolo: «Portalo a tuo figlio». Non so chi l’avesse preso, né chi l’avesse portato lì, ma a quell’ora non sono stata a fare domande. L’ho messo vicino al mio armadietto e poi l’ho chiuso in auto. Non avrei immaginato che da quel momento sarebbe iniziato un incubo».
Elisabethe è stata assunta dal Cidiu nel 2006 e ha già avuto qualche vertenza con la società in passato, ma ha sempre lavorato sodo: «Facevo la spazzina, ho i calli nelle mani, ma non mi sono mai lamentata e non credo che qualcuno possa dire qualcosa sul mio operato. Improvvisamente adesso sono diventata una ladra, ma non è così. Forse ho agito con leggerezza, ma non meritavo un trattamento del genere. Essere licenziata per un monopattino vecchio e rotto di cui nessuno conosce la provenienza è assurdo. E la cosa più assurda è che magari non veniva nemmeno da un cassonetto, ma adesso è stato fatto sparire».
L’AVVERTIMENTO
Tutto incomincia il 18 maggio, quando uno dei responsabili della sede di cascina Gaj trova nell’autorimessa uno sgangherato monopattino. Supponendo che provenisse dalla raccolta rifiuti aveva appeso il giocattolo vicino alla bacheca aziendale con un messaggio per i dipendenti: «Non si fa. La prossima volta potresti essere beccato. Fai tesoro di questo messaggio». Il giorno successivo il monopattino sparisce e viene ritrovato nell’auto di Lisa, nel parcheggio aziendale: «Non era mica nascosto, non credevo ci fosse qualcosa di male - precisa l’operatrice ecologica -. Una collega me l’ha dato per il mio bimbo di 8 anni. Sono separata, ho altri due figli e vivo in una casa popolare. Capitava che gli amici mi facessero qualche regalo. La collega ha confermato tutto, ma non è servito».
LICENZIATA
Nel provvedimento disciplinare dell’azienda si legge: «A tutti i dipendenti è stato più volte ribadito che non è ammesso appropriarsi dei beni provenienti dalla raccolta dei rifiuti». Le giustificazioni di Lisa sono state giudicate «inidonee a legittimare i gravissimi comportamenti tenuti». Di qui il venir meno del rapporto fiduciario e il licenziamento per giusta causa senza preavviso.
IL RICORSO
«Mi è crollato il mondo addosso. Non riuscivo a crederci. Mi hanno buttato in mezzo a una strada per un monopattino. Umiliata dopo anni di lavoro sotto pioggia e neve. Ho detto subito la verità. Non era la prima volta che qualcuno mi regalava vestiti o giochi per i miei figli, visto che anche il loro padre ha perso il lavoro e siamo in una situazione difficilissima». Aicha Elisabethe ha deciso di impugnare il licenziamento: «Spero che il giudice mi stia a sentire. Sono certa che tanti colleghi testimonieranno a mio favore. Chiedo solo di tornare a lavorare. Magari sono un’ingenua, ma di certo non sono una ladra».
Prende un gioco tra i rifiuti, licenziata per furto
L’azienda raccoglie la spazzatura: i dipendenti non possono appropriarsi di ciò che sta nei cassonetti
La Cidiu di Collegno si occupa della raccolta e della gestione dei rifiuti della cintura Ovest di Torino. La donna licenziata ha lavorato per la Cidiu negli ultimi undici anni
Pubblicato il 27/09/2017
MASSIMO MASSENZIO
COLLEGNO (TO)
«Ho perso il lavoro perché volevo portare un regalo a mio figlio, ma io non ho mai rubato nulla nella mia vita». È disperata Aicha Elisabethe Ounnadi, 40 anni, ex dipendente del Cidiu, l’azienda che si occupa della raccolta e della gestione dei rifiuti nella cintura Ovest di Torino. Da due mesi vive con l’indennità di disoccupazione perché il 30 giugno le è stata consegnata una lettera di licenziamento per «l’appropriazione indebita di un bene non di sua proprietà»: un monopattino, probabilmente recuperato da un cassonetto, che qualcuno aveva portato nello stabilimento di Savonera, a Collegno.
ASSUNTA DA 11 ANNI
«Mi ricordo tutto come se fosse ieri – racconta Aicha Elizabeth, per tutti Lisa -. Erano le 6 del mattino e una collega mi ha passato quel giocattolo: «Portalo a tuo figlio». Non so chi l’avesse preso, né chi l’avesse portato lì, ma a quell’ora non sono stata a fare domande. L’ho messo vicino al mio armadietto e poi l’ho chiuso in auto. Non avrei immaginato che da quel momento sarebbe iniziato un incubo».
Elisabethe è stata assunta dal Cidiu nel 2006 e ha già avuto qualche vertenza con la società in passato, ma ha sempre lavorato sodo: «Facevo la spazzina, ho i calli nelle mani, ma non mi sono mai lamentata e non credo che qualcuno possa dire qualcosa sul mio operato. Improvvisamente adesso sono diventata una ladra, ma non è così. Forse ho agito con leggerezza, ma non meritavo un trattamento del genere. Essere licenziata per un monopattino vecchio e rotto di cui nessuno conosce la provenienza è assurdo. E la cosa più assurda è che magari non veniva nemmeno da un cassonetto, ma adesso è stato fatto sparire».
L’AVVERTIMENTO
Tutto incomincia il 18 maggio, quando uno dei responsabili della sede di cascina Gaj trova nell’autorimessa uno sgangherato monopattino. Supponendo che provenisse dalla raccolta rifiuti aveva appeso il giocattolo vicino alla bacheca aziendale con un messaggio per i dipendenti: «Non si fa. La prossima volta potresti essere beccato. Fai tesoro di questo messaggio». Il giorno successivo il monopattino sparisce e viene ritrovato nell’auto di Lisa, nel parcheggio aziendale: «Non era mica nascosto, non credevo ci fosse qualcosa di male - precisa l’operatrice ecologica -. Una collega me l’ha dato per il mio bimbo di 8 anni. Sono separata, ho altri due figli e vivo in una casa popolare. Capitava che gli amici mi facessero qualche regalo. La collega ha confermato tutto, ma non è servito».
LICENZIATA
Nel provvedimento disciplinare dell’azienda si legge: «A tutti i dipendenti è stato più volte ribadito che non è ammesso appropriarsi dei beni provenienti dalla raccolta dei rifiuti». Le giustificazioni di Lisa sono state giudicate «inidonee a legittimare i gravissimi comportamenti tenuti». Di qui il venir meno del rapporto fiduciario e il licenziamento per giusta causa senza preavviso.
IL RICORSO
«Mi è crollato il mondo addosso. Non riuscivo a crederci. Mi hanno buttato in mezzo a una strada per un monopattino. Umiliata dopo anni di lavoro sotto pioggia e neve. Ho detto subito la verità. Non era la prima volta che qualcuno mi regalava vestiti o giochi per i miei figli, visto che anche il loro padre ha perso il lavoro e siamo in una situazione difficilissima». Aicha Elisabethe ha deciso di impugnare il licenziamento: «Spero che il giudice mi stia a sentire. Sono certa che tanti colleghi testimonieranno a mio favore. Chiedo solo di tornare a lavorare. Magari sono un’ingenua, ma di certo non sono una ladra».
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«Non si discute per aver ragione, ma per capire» (Peanuts)
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Re: Nazione Marcia
Partiti alla canna del gas
Da inizio legislatura entrate in calo del 61%. Donazioni e 2x1000 non decollano. Rimborsi elettorali in esaurimento
di Orlando Sacchelli
10 ore fa
2
Da inizio legislatura entrate in calo del 61%. Donazioni e 2x1000 non decollano. Rimborsi elettorali in esaurimento
di Orlando Sacchelli
10 ore fa
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Re: Nazione Marcia
Enel-Cementir, i pericoli delle ceneri mai smaltite
Pm: ‘Con quei veleni il cemento perde resistenza’
Nella richiesta di sigilli agli impianti, il magistrato ha messo nero su bianco le possibili conseguenze
della presenza di ammoniaca nel calcestruzzo: “Decalcificazione” e “perdita di resistenza meccanica”
Ambiente & Veleni
C’è un passaggio nella richiesta di sequestro degli impianti di Brindisi e Taranto che apre uno squarcio sui potenziali pericoli conseguenti all’ipotesi che la multinazionale elettrica abbia potuto vendere ceneri da destinare allo smaltimento perché contenevano ammoniaca, nichel, vanadio e mercurio e invece utilizzate per produrre cemento: “Lo ione ammonio può causare decalcificazione” e “perdita di resistenza meccanica”. Tradotto: materiale meno resistente
di Andrea Tundo
•rifiuti, sequestrate centrale Enel di Cerano, Cementir di Taranto e parte di Ilva: “Sostanze pericolose nel cemento”
•le intercettazioni: come volevano sviare le indagini e la paura dei titoli di giornale
Pm: ‘Con quei veleni il cemento perde resistenza’
Nella richiesta di sigilli agli impianti, il magistrato ha messo nero su bianco le possibili conseguenze
della presenza di ammoniaca nel calcestruzzo: “Decalcificazione” e “perdita di resistenza meccanica”
Ambiente & Veleni
C’è un passaggio nella richiesta di sequestro degli impianti di Brindisi e Taranto che apre uno squarcio sui potenziali pericoli conseguenti all’ipotesi che la multinazionale elettrica abbia potuto vendere ceneri da destinare allo smaltimento perché contenevano ammoniaca, nichel, vanadio e mercurio e invece utilizzate per produrre cemento: “Lo ione ammonio può causare decalcificazione” e “perdita di resistenza meccanica”. Tradotto: materiale meno resistente
di Andrea Tundo
•rifiuti, sequestrate centrale Enel di Cerano, Cementir di Taranto e parte di Ilva: “Sostanze pericolose nel cemento”
•le intercettazioni: come volevano sviare le indagini e la paura dei titoli di giornale
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Re: Nazione Marcia
3 ott 2017 17:34
LE ‘IENE’ SBRANANO IL SOTTOSEGRETARIO ROSSI: SI DIMETTE DOPO IL SERVIZIO CHE SVELA COME IL FIGLIO SIA ASSUNTO DALLA CAMERA MA NON SI PRESENTI MAI AL LAVORO, CHE VENIVA INVECE SVOLTO DA UNA STAGISTA NON PAGATA, COSTRETTA PURE A BECCARSI LE AVANCES DELL’ON. CARUSO (SCELTA CIVICA)
LE ‘IENE’ SONO TORNATE E PIZZICANO IL DEPUTATO CHE FA PROPOSTE INDECENTI ALLA STAGISTA (IN NERO). FILIPPO ROMA INCHIODA L’ON. CARUSO DI SCELTA CIVICA (GRAZIE, MONTI!)
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 157605.htm
(ANSA) - Il sottosegretario alla Difesa, Domenico Rossi, ha rimesso le proprie deleghe dopo una trasmissione televisiva delle Iene da cui emergerebbe che un parlamentare - il deputato Mario Caruso (democrazia solidale centro democratico) - avrebbe formalmente assunto il figlio del sottosegretario, che non si presenterebbe mai al lavoro, per fargli un favore, e che lo stipendio in realtà gli arriverebbe dal padre. "Sono accuse infondate e lesive della mia persona", afferma Rossi.
"Insinuazioni che infangano, ancora una volta, la mia reputazione. Mio figlio ha un regolare contratto di assistente parlamentare con un deputato della Camera. Il documento, consultabile, conferma l'assenza di un rapporto di dipendenza dal mio ufficio contrariamente a quanto riportato nel servizio. Un incarico di natura fiduciaria che non prevede vincoli di orario lavorativo e anche per questo con una minima retribuzione".
(ANSA) - "I collaboratori e le collaboratrici parlamentari sono prima di tutto lavoratori e come tali vanno trattati. Al netto della situazione oggetto della denuncia sulla quale mi aspetto una verifica da parte dei Questori della Camera per quanto di loro competenza, che io stesso ho sollecitato, si pone un problema più generale di trasparenza nella gestione del rapporto di lavoro. E' giusto che sia il parlamentare ad individuare il proprio collaboratore, ma sarebbe meglio che il rapporto di lavoro fosse formalizzato con la Camera stessa, come avviene in Europa e come sostenuto dalla Associazione Italiana dei collaboratori parlamentari".
A sostenerlo è il deputato Pd Davide Mattiello che interviene dopo l'inchiesta della trasmissione tv Le Iene sulla gestione illegale e lo sfruttamento di persone in uffici di collaborazione parlamentare a Montecitorio. "L'autodichiarazione parlamentare (ovvero la particolare prerogativa dei due rami del Parlamento di risolvere, attraverso un organismo giurisdizionale interno, le controversie insorte con i propri dipendenti ndr) non può spingersi fino a diventare tutela dell'arbitrio", conclude il deputato.
Le Iene e le proposte indecenti dell'onorevole
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 157605.htm
LE ‘IENE’ SBRANANO IL SOTTOSEGRETARIO ROSSI: SI DIMETTE DOPO IL SERVIZIO CHE SVELA COME IL FIGLIO SIA ASSUNTO DALLA CAMERA MA NON SI PRESENTI MAI AL LAVORO, CHE VENIVA INVECE SVOLTO DA UNA STAGISTA NON PAGATA, COSTRETTA PURE A BECCARSI LE AVANCES DELL’ON. CARUSO (SCELTA CIVICA)
LE ‘IENE’ SONO TORNATE E PIZZICANO IL DEPUTATO CHE FA PROPOSTE INDECENTI ALLA STAGISTA (IN NERO). FILIPPO ROMA INCHIODA L’ON. CARUSO DI SCELTA CIVICA (GRAZIE, MONTI!)
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 157605.htm
(ANSA) - Il sottosegretario alla Difesa, Domenico Rossi, ha rimesso le proprie deleghe dopo una trasmissione televisiva delle Iene da cui emergerebbe che un parlamentare - il deputato Mario Caruso (democrazia solidale centro democratico) - avrebbe formalmente assunto il figlio del sottosegretario, che non si presenterebbe mai al lavoro, per fargli un favore, e che lo stipendio in realtà gli arriverebbe dal padre. "Sono accuse infondate e lesive della mia persona", afferma Rossi.
"Insinuazioni che infangano, ancora una volta, la mia reputazione. Mio figlio ha un regolare contratto di assistente parlamentare con un deputato della Camera. Il documento, consultabile, conferma l'assenza di un rapporto di dipendenza dal mio ufficio contrariamente a quanto riportato nel servizio. Un incarico di natura fiduciaria che non prevede vincoli di orario lavorativo e anche per questo con una minima retribuzione".
(ANSA) - "I collaboratori e le collaboratrici parlamentari sono prima di tutto lavoratori e come tali vanno trattati. Al netto della situazione oggetto della denuncia sulla quale mi aspetto una verifica da parte dei Questori della Camera per quanto di loro competenza, che io stesso ho sollecitato, si pone un problema più generale di trasparenza nella gestione del rapporto di lavoro. E' giusto che sia il parlamentare ad individuare il proprio collaboratore, ma sarebbe meglio che il rapporto di lavoro fosse formalizzato con la Camera stessa, come avviene in Europa e come sostenuto dalla Associazione Italiana dei collaboratori parlamentari".
A sostenerlo è il deputato Pd Davide Mattiello che interviene dopo l'inchiesta della trasmissione tv Le Iene sulla gestione illegale e lo sfruttamento di persone in uffici di collaborazione parlamentare a Montecitorio. "L'autodichiarazione parlamentare (ovvero la particolare prerogativa dei due rami del Parlamento di risolvere, attraverso un organismo giurisdizionale interno, le controversie insorte con i propri dipendenti ndr) non può spingersi fino a diventare tutela dell'arbitrio", conclude il deputato.
Le Iene e le proposte indecenti dell'onorevole
http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 157605.htm
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Re: Nazione Marcia
….VAI COL TANGO……….MAGNA TU CHE MAGNO ANCH’IO……
4 ott 2017 11:36
MOSE, STORIA DI UN GRANDE FALLIMENTO
- DOVEVA ENTRARE IN FUNZIONE NEL 2011 E NON SI VEDRA’ PRIMA DEL 2022
- I COSTI SONO LIEVITATI DA 1,6 A 5,5 MILIARDI - TUTTA L'OPERA È STATA SEGNATA DA EPISODI DI CORRUZIONE, CON UN GIRO DI MAZZETTE PER COPRIRE LAVORI E OPERE MAL PROGETTATI E PEGGIO REALIZZATI
Roberto Giovannini per “la Stampa”
II cassoni subacquei sono intaccati dalla corrosione, da muffe, e dall' azione (davvero non si poteva prevedere?) dei peoci , le umili cozze. Le paratoie già posate in mare non si alzano per problemi tecnici. Quelle ancora da montare, lasciate a terra, si stanno arrugginendo per la salsedine nonostante le vernici speciali; chissà che accadrà quando saranno posate sul fondale.
La storia del MOSE (la sigla sta per Modulo Sperimentale Elettromeccanico), il sistema di paratoie mobili concepite nel lontano 1981 per proteggere in modo sicuro Venezia e il suo inestimabile patrimonio artistico dalle alte maree che invadono la Laguna provenienti dall' Adriatico, è davvero un' antologia degli orrori. Invece di costare 1,6 miliardi di euro, ne è già costato 5,5; invece di entrare in funzione nel 2011, se tutto va bene partirà all' inizio del 2022.
Tutta l'opera è stata segnata da gravissimi episodi di corruzione, sanzionati in un processo che si è appena concluso e che ha rivelato un turbinoso giro di mazzette per coprire lavori e opere mal progettati e peggio realizzati. Ora poi si scopre ora che per completare l' opera e riparare le strutture già rovinate ci vorranno la bellezza di altri 700 milioni, più almeno altri 105 milioni di euro l' anno per garantirne il funzionamento e la manutenzione, soldi che non si sa chi dovrà sborsare.
Ma quel che è più paradossale, nonostante un esborso pazzesco, una volta in funzione il sistema di 78 paratie mobili chiuderà la porta alle maree eccezionalmente alte, da 110 centimetri a tre metri. Ma non potrà fare nulla per limitare i danni quando arrivano le «acque medio-alte», quelle tra gli 80 e i 100 centimetri, sempre più ricorrenti.
In realtà, dicono gli esperti, sin dall' inizio si sapeva che questo «gioiello di ingegneria nazionale» era stato pensato per fronteggiare situazioni estreme, come i 194 centimetri della tremenda alluvione del 4 novembre del 1966. Il sistema di paratoie mobili a scomparsa, poste alle cosiddette «bocche di porto» (i varchi che collegano la laguna con il mare aperto attraverso i quali si attua il flusso e riflusso della marea) di Lido, San Nicolò, Malamocco e Chioggia, potrà isolare temporaneamente la laguna di Venezia dal mare Adriatico, innalzandosi nel giro di cinque ore.
Ma nella zona di Piazza San Marco basta una pioggia un po' intensa - come l' 11 settembre - per allagare tutto. A suo tempo, il Consorzio Venezia Nuova, l' organismo - oggi commissariato - che gestisce la realizzazione del MOSE, aveva proposto una costosissima operazione di isolamento completo di Piazza San Marco e della Basilica, con la posa di un' enorme guaina. Ma a breve la piazza sarà messa al sicuro fino a 110 centimetri di acqua alta con un intervento che costa solo 2 milioni di euro.
Tra cui speciali «tappi» di gomma e metallo nella Basilica per bloccare l' entrata della marea dal sottosuolo, e l' innalzamento dei masselli della piazza.
Insomma, non sempre il gigantismo paga. E quel che è peggio è che secondo una perizia commissionata dal Provveditorato alle Opere Pubbliche di Venezia, braccio operativo del Ministero delle Infrastrutture, il MOSE rischia cedimenti strutturali per la corrosione elettrochimica dell' ambiente marino e per l' uso di acciaio diverso da quelli dei test. Le cerniere che collegano le paratoie mobili alla base in cemento - ce ne sono 156, ognuna pesa 36 tonnellate, un appalto da 250 milioni affidato senza gara al gruppo Mantovani - sono ad altissimo rischio (probabilità dal 66 al 99 per cento) di essere già inutilizzabili.
Un controllo ha mostrato che le cerniere del MOSE di Treporti, sott' acqua da tre anni e mezzo, presentano già uno stato avanzato di corrosione. Nelle prove di questi mesi si sono viste paratoie che non si alzano, altre che non rientrano nella sede per i detriti accumulati, Problemi alle tubazioni, un cassone esploso nel fondale di Chioggia.
Una nave speciale (costata 52 milioni) per trasportare le paratoie in manutenzione al rimessaggio in Arsenale ha ceduto al primo tentativo di sollevare una delle barriere. Infine, uno studio del Cnr, che ha aggiornato la mappa del fondale della Laguna, oltre a scoprire nei fondali copertoni, elettrodomestici, relitti di barche, persino containers, avverte che le strutture già posate del MOSE hanno generato una preoccupante erosione dei fondali. Le opere pubbliche, specie quelle mirate a difendere il nostro territorio (a maggior ragione dal rischio climatico) sono fondamentali. Ma il MOSE è il simbolo di quel che non si deve fare.
4 ott 2017 11:36
MOSE, STORIA DI UN GRANDE FALLIMENTO
- DOVEVA ENTRARE IN FUNZIONE NEL 2011 E NON SI VEDRA’ PRIMA DEL 2022
- I COSTI SONO LIEVITATI DA 1,6 A 5,5 MILIARDI - TUTTA L'OPERA È STATA SEGNATA DA EPISODI DI CORRUZIONE, CON UN GIRO DI MAZZETTE PER COPRIRE LAVORI E OPERE MAL PROGETTATI E PEGGIO REALIZZATI
Roberto Giovannini per “la Stampa”
II cassoni subacquei sono intaccati dalla corrosione, da muffe, e dall' azione (davvero non si poteva prevedere?) dei peoci , le umili cozze. Le paratoie già posate in mare non si alzano per problemi tecnici. Quelle ancora da montare, lasciate a terra, si stanno arrugginendo per la salsedine nonostante le vernici speciali; chissà che accadrà quando saranno posate sul fondale.
La storia del MOSE (la sigla sta per Modulo Sperimentale Elettromeccanico), il sistema di paratoie mobili concepite nel lontano 1981 per proteggere in modo sicuro Venezia e il suo inestimabile patrimonio artistico dalle alte maree che invadono la Laguna provenienti dall' Adriatico, è davvero un' antologia degli orrori. Invece di costare 1,6 miliardi di euro, ne è già costato 5,5; invece di entrare in funzione nel 2011, se tutto va bene partirà all' inizio del 2022.
Tutta l'opera è stata segnata da gravissimi episodi di corruzione, sanzionati in un processo che si è appena concluso e che ha rivelato un turbinoso giro di mazzette per coprire lavori e opere mal progettati e peggio realizzati. Ora poi si scopre ora che per completare l' opera e riparare le strutture già rovinate ci vorranno la bellezza di altri 700 milioni, più almeno altri 105 milioni di euro l' anno per garantirne il funzionamento e la manutenzione, soldi che non si sa chi dovrà sborsare.
Ma quel che è più paradossale, nonostante un esborso pazzesco, una volta in funzione il sistema di 78 paratie mobili chiuderà la porta alle maree eccezionalmente alte, da 110 centimetri a tre metri. Ma non potrà fare nulla per limitare i danni quando arrivano le «acque medio-alte», quelle tra gli 80 e i 100 centimetri, sempre più ricorrenti.
In realtà, dicono gli esperti, sin dall' inizio si sapeva che questo «gioiello di ingegneria nazionale» era stato pensato per fronteggiare situazioni estreme, come i 194 centimetri della tremenda alluvione del 4 novembre del 1966. Il sistema di paratoie mobili a scomparsa, poste alle cosiddette «bocche di porto» (i varchi che collegano la laguna con il mare aperto attraverso i quali si attua il flusso e riflusso della marea) di Lido, San Nicolò, Malamocco e Chioggia, potrà isolare temporaneamente la laguna di Venezia dal mare Adriatico, innalzandosi nel giro di cinque ore.
Ma nella zona di Piazza San Marco basta una pioggia un po' intensa - come l' 11 settembre - per allagare tutto. A suo tempo, il Consorzio Venezia Nuova, l' organismo - oggi commissariato - che gestisce la realizzazione del MOSE, aveva proposto una costosissima operazione di isolamento completo di Piazza San Marco e della Basilica, con la posa di un' enorme guaina. Ma a breve la piazza sarà messa al sicuro fino a 110 centimetri di acqua alta con un intervento che costa solo 2 milioni di euro.
Tra cui speciali «tappi» di gomma e metallo nella Basilica per bloccare l' entrata della marea dal sottosuolo, e l' innalzamento dei masselli della piazza.
Insomma, non sempre il gigantismo paga. E quel che è peggio è che secondo una perizia commissionata dal Provveditorato alle Opere Pubbliche di Venezia, braccio operativo del Ministero delle Infrastrutture, il MOSE rischia cedimenti strutturali per la corrosione elettrochimica dell' ambiente marino e per l' uso di acciaio diverso da quelli dei test. Le cerniere che collegano le paratoie mobili alla base in cemento - ce ne sono 156, ognuna pesa 36 tonnellate, un appalto da 250 milioni affidato senza gara al gruppo Mantovani - sono ad altissimo rischio (probabilità dal 66 al 99 per cento) di essere già inutilizzabili.
Un controllo ha mostrato che le cerniere del MOSE di Treporti, sott' acqua da tre anni e mezzo, presentano già uno stato avanzato di corrosione. Nelle prove di questi mesi si sono viste paratoie che non si alzano, altre che non rientrano nella sede per i detriti accumulati, Problemi alle tubazioni, un cassone esploso nel fondale di Chioggia.
Una nave speciale (costata 52 milioni) per trasportare le paratoie in manutenzione al rimessaggio in Arsenale ha ceduto al primo tentativo di sollevare una delle barriere. Infine, uno studio del Cnr, che ha aggiornato la mappa del fondale della Laguna, oltre a scoprire nei fondali copertoni, elettrodomestici, relitti di barche, persino containers, avverte che le strutture già posate del MOSE hanno generato una preoccupante erosione dei fondali. Le opere pubbliche, specie quelle mirate a difendere il nostro territorio (a maggior ragione dal rischio climatico) sono fondamentali. Ma il MOSE è il simbolo di quel che non si deve fare.
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Re: Nazione Marcia
Si nasce tutti per lo stesso motivo tecnico. Qualche volta voluto e cercato, qualche volta per sbaglio.
Ma comunque sia, il dato di fatto sostanziale è che ognuno dall'atto della nascita è un cittadino del mondo.
Questo dal punto di vista strettamente del diritto.
Ma poi col tempo ci si accorge che siamo capitati, non sul Pianeta Terra, come viene chiamato e ci hanno insegnato a suo tempo, per convenzione questo pianeta.
Ma corre l'obbligo di prendere a prestito come definiscono un'eventuale seconda vita, le religioni cristiana e mussulmana, per coloro che hanno tenuto un comportamento scorretto in questa vita.
L'inferno.
Ma questo modo di pensarare delle due religioni monoteiste, in numerosi passaggi della storia dell'umanità, viene superato dalla realtà.
La fase storica che stiamo vivendo, è la dimostrazione pratica di questo superamento.
L'inferno lo stiamo vivendo ora, e non solo da ora.
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Riccardo Orioles
Politica
Catania, cacciare i comunisti (che non ci sono più) e tenersi la mafia
Video da non perdere:
http://www.ilfattoquotidiano.it/blog/rorioles/
di Riccardo Orioles | 9 ottobre 2017
22
932
Giornalista
Post | Articoli
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Da San Cristoforo, adesso, “dobbiamo cacciare i comunisti”. Lo dice un signore politico catanese durante il suo comizio, e siccome di comunisti non se ne vedono più da un pezzo dobbiamo pensare che i “comunisti” in questo caso siamo noi: il Gapa, i Siciliani giovani, quelli che lottano insieme ai poveri e combattono i ricchi, a San Cristoforo come in tutti gli altri quartieri.
A San Cristoforo come in tutti gli altri quartieri siciliani ci sono i ricchi e ci sono i poveri. I ricchi, per puro caso, per lo più sono mafiosi. I poveri, sempre per caso, per lo più sono tutti gli altri. Le chiacchiere sono belle, ma una scelta si deve fare. Noi la facciamo ogni giorno, e non c’è altro da dire.
Tutto questo discorso, sempre per caso, fa parte della cosiddetta “campagna elettorale”. Il politico cacciatore, di cui abbiamo già descritto abbastanza parenti e amici, è un tale Pellegrino Riccardo (consigliere comunale di Catania e fratello di Gaetano, imputato per mafia), e il suo rivale “politico”, nell’occasione, si chiama Claudio Fava. Che è anche un candidato di un’elezione, ma di questo non ce ne frega niente. Ci importa chi sta coi ricchi e chi sta coi poveri, e in base a ciò dividiamo nemici e amici. Senza impaurirci dei primi e senza nasconderci i limiti dei secondi.
Noi siamo qui, i bambini di San Cristoforo sono qui, e grazie a noi non cresceranno da disperati né da mafiosi.
Qui San Cristoforo è tutto, a voi la linea.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/10 ... a/3902550/
Ma comunque sia, il dato di fatto sostanziale è che ognuno dall'atto della nascita è un cittadino del mondo.
Questo dal punto di vista strettamente del diritto.
Ma poi col tempo ci si accorge che siamo capitati, non sul Pianeta Terra, come viene chiamato e ci hanno insegnato a suo tempo, per convenzione questo pianeta.
Ma corre l'obbligo di prendere a prestito come definiscono un'eventuale seconda vita, le religioni cristiana e mussulmana, per coloro che hanno tenuto un comportamento scorretto in questa vita.
L'inferno.
Ma questo modo di pensarare delle due religioni monoteiste, in numerosi passaggi della storia dell'umanità, viene superato dalla realtà.
La fase storica che stiamo vivendo, è la dimostrazione pratica di questo superamento.
L'inferno lo stiamo vivendo ora, e non solo da ora.
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Catania, cacciare i comunisti (che non ci sono più) e tenersi la mafia
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di Riccardo Orioles | 9 ottobre 2017
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Da San Cristoforo, adesso, “dobbiamo cacciare i comunisti”. Lo dice un signore politico catanese durante il suo comizio, e siccome di comunisti non se ne vedono più da un pezzo dobbiamo pensare che i “comunisti” in questo caso siamo noi: il Gapa, i Siciliani giovani, quelli che lottano insieme ai poveri e combattono i ricchi, a San Cristoforo come in tutti gli altri quartieri.
A San Cristoforo come in tutti gli altri quartieri siciliani ci sono i ricchi e ci sono i poveri. I ricchi, per puro caso, per lo più sono mafiosi. I poveri, sempre per caso, per lo più sono tutti gli altri. Le chiacchiere sono belle, ma una scelta si deve fare. Noi la facciamo ogni giorno, e non c’è altro da dire.
Tutto questo discorso, sempre per caso, fa parte della cosiddetta “campagna elettorale”. Il politico cacciatore, di cui abbiamo già descritto abbastanza parenti e amici, è un tale Pellegrino Riccardo (consigliere comunale di Catania e fratello di Gaetano, imputato per mafia), e il suo rivale “politico”, nell’occasione, si chiama Claudio Fava. Che è anche un candidato di un’elezione, ma di questo non ce ne frega niente. Ci importa chi sta coi ricchi e chi sta coi poveri, e in base a ciò dividiamo nemici e amici. Senza impaurirci dei primi e senza nasconderci i limiti dei secondi.
Noi siamo qui, i bambini di San Cristoforo sono qui, e grazie a noi non cresceranno da disperati né da mafiosi.
Qui San Cristoforo è tutto, a voi la linea.
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Re: Nazione Marcia
Dalla vox Populi dell'articolo del Fatto.
malaffare lo alimenta, è soltanto un paese di m......
ZeroDemocrazia
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8 ore fa
"Sventurata la terra che ha bisogno di eroi." cosi scriveva B. Brecht. Noi, l'italia, purtroppo siamo in questa misera condizione, e purtroppo abbiamo estremo bisogno di persone come Andrea Franzoso, per le quali non si può essere altro che riconoscenti per avere fatto un pò di pulizia. Questo Paese è marcio, profondamente marcio a tutti i livelli, e senza il coraggio di queste persone diventerebbe ancora peggio. Tuttavia come vediamo è difficile, molto difficile, e il mio pensiero va ad esempio a chi è costretto a pagare il pizzo, a chi vede ogni giorno passare sul tavolo fatture e bilanci falsi, a chi vede mazzette, chi riconosce truffe di ogni genere, e tante di queste persone magari vorrebbero parlare ma il futuro poi diventa un'incognita e il rischio in certi casi può essere fatale. Per questo è tanto importante una legge che tuteli queste persone.
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Re: Nazione Marcia
IlFattoQuotidiano.it / Giustizia & Impunità
Franzoso presenta ‘Il Disobbediente’: “Denunciare era l’unica scelta possibile. Lo rifarei, rende liberi. Ma ora serve una legge”
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04:01
04:01
di Alberto Sofia | 12 ottobre 2017
commenti (7)
90
Più informazioni su: Corruzione, Marco Lillo, Pietro Grasso, Raffaele Cantone, Senato, Whistleblowing
In Senato rischia di venire affossata la legge sul whistleblowing che serve a tutelare chi, come lui, denuncia il malaffare. Ma Andrea Franzoso, il disobbediente che svelò i furti di Ferrovie Nord Milano e le “spese pazze” dell’allora suo presidente Norberto Achille, rilancia la sua battaglia. E invita a seguire il suo esempio, nel giorno della presentazione del suo libro (“Il disobbediente”, edito da Paper First) proprio a Palazzo Madama, alla presenza del presidente Piero Grasso, del capo dell’Anac Raffaele Cantone e dei giornalisti Milena Gabanelli e Marco Lillo.
“È paradossale che chi vuole denunciare il malaffare debba sentirsi un disobbediente”, ha spiegato Franzoso. “Quando denunciai lo scandalo, inizialmente speravo che passasse la piena mediatica e che potessi tornare alla mia vita normale. Ma poi ho capito, tramite tanti messaggi e chi mi ha supportato, che la mia storia andava raccontata. Non era più mia, poteva essere utile ad altri”. Franzoso, dopo la denuncia, ha pagato però un prezzo salato. Non solo l’isolamento, anche la perdita del lavoro: “C’è da pagare un prezzo, ma la mia scelta è stata razionale. Quando ho dovuto decidere se salvare la mia coscienza o la mia carriera, dubbi non ne ho avuti. Mi ha permesso di restare libero”, ha rivendicato. E ancora: “L’Italia è malata di rassegnazione, si pensa che nulla cambi. Per questo c’è bisogno invece di scelte di campo nette. Tornando indietro, denunciare era l’unica scelta possibile”. “Sicuramente ho sofferto l’isolamento, mi è dispiaciuto l’opportunismo di molto. Comprendo la paura di taluni, molti mi sono stati vicini di nascosto. Forse il mio libro vuole dare coraggio anche a loro”.
Per Franzoso qualcosa sta però cambiando: “Sento che c’è un cambio di paradigma culturale. Sta cambiando la cultura, ci sono sempre più casi simili, come nel caso di Philip Laroma Jezzi, che ha denunciato lo scandalo dei concorsi universitari truccati”, ha aggiunto Franzoso. Serve però una legge per tutelare chi vuole denunciare il malaffare: “Non è vero che favorisce i delatori, le spie. Auspico che venga approvata al più presto. Il rischio che si voglia affossare tutto in Senato è concreto, ho paura di questo. Ma spero che martedì possa essere approvata a Palazzo Madama”, ha rivendicato Franzoso ai microfoni de Ilfattoquotidiano.it.
di Alberto Sofia | 12 ottobre 2017
Chi c’è in linea
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