Diario della caduta di un regime.

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UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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UN LEADER, SPOMPO, SPOMPO, SPOMPO SE SI ATTACCA AD ARGOMENTI CHE METTEVA IN PISTA 35 ANNI FA'. NON HA PIU' ARGOMENTI RELATIVI AL GIORNO D'OGGI




Berlusconi aggredito dai comunisti. Ospite di Rivoluzione cristiana: “Era il ’48. A casa in sangue e schiaffo di mia madre”
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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E'UN LEADER SPOMPO, SPOMPO, SPOMPO, NON HA PIU' ARGOMENTI SE SI ATTACCA A QUANTO RACCONTAVA 33 ANNI FA'.



IlFattoQuotidiano.it / Politica













Berlusconi aggredito dai comunisti. Ospite di Rivoluzione cristiana: “Era il ’48. A casa in sangue e schiaffo di mia madre”











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di F. Q. | 11 novembre 2017

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Più informazioni su: Comunisti, Democrazia Cristiana, Gianfranco Rotondi, Silvio Berlusconi


Malmenato da un gruppo di simpatizzanti comunisti mentre attaccava manifesti della Democrazia cristiana e poi schiaffeggiato dalla madre quando è tornato a casa in sangue: è il racconto che Silvio Berlusconi ha fatto in una telefonata ieri sera intervenendo al convegno di Rivoluzione cristiana di Gianfranco Rotondi che si sta svolgendo a Saint-Vincent. “Quando avevo 12 anni, nel 1948, andavo con tre compagni di liceo – ha raccontato Berlusconi – ad attaccare i manifesti per la Democrazia cristiana. C’era un manifesto di un’efficacia straordinaria che diceva così: ‘Nella cabina elettorale Dio ti vede‘. Una volta mentre ero sulla scala sono arrivati cinque ragazzotti che attaccavano invece i manifesti del Partito comunista italiano. I miei amici se la sono data a gambe. Questi mi dicono: ‘Vieni giù che dobbiamo dirti qualcosa’. Poi mi malmenano, mi fanno uscire il sangue dalla faccia. Io sgomito, riesco a svincolarmi e corro, sono sempre stato un grande velocista”. “Quando sono tornato a casa – prosegue – mia madre venne ad aprirmi la porta, mi vide con la faccia tutta insanguinata e mi diede l’unico schiaffo in vita sua perché credeva che fossi andato a scuola in bicicletta e non voleva che lo facessi. Di questo schiaffo mi ha chiesto scusa tutta la vita”. “Ricordo ancora come se fosse ieri questo avvenimento, con quel manifesto, quindi se c’è qualcuno che è felice di rivedere il manifesto della Democrazia cristiana e lo scudo crociato questo qualcuno si chiama Silvio Berlusconi”, ha concluso









di F. Q. | 11 novembre 2017
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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CronoSilvio
Silvio Berlusconi l'immortale
Renzi, Salvini (e Di Maio) hanno scommesso per anni sulla sua fine politica. Ma l’ex cavaliere è sempre in campo. E si tiene stretta l’eredità
di Marco Damilano
13 novembre 2017
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Il primo a provarci , ora sembra incredibile perfino ricordarlo, fu Angelino Alfano. Due mesi dopo la condanna definitiva in Cassazione, era il 1° ottobre 2013, ormai un secolo fa, mollò Silvio Berlusconi di cui era stato per anni assistente, ministro, segretario (del Pdl) e delfino designato, fondò il Nuovo centrodestra per restare al governo, con una scommessa mai dichiarata, ma evidente: Berlusconi non sarebbe politicamente sopravvissuto alla sentenza che gli rendeva impossibile la candidatura e il nuovo partitino ne avrebbe ereditato i voti.

Il secondo fu Matteo Renzi: appena eletto segretario del Pd fece un giro di valzer con l’ex Cavaliere ai servizi sociali a Cesano Boscone, lo chiamarono il patto del Nazareno ma era un accordo tra impari, perché uno era il giovane leone emergente della politica italiana e l’altro una stella al tramonto. Infatti, poco dopo Renzi andò a Palazzo Chigi e poi mollò il suo comprimario in occasione dell’elezione al Quirinale di Sergio Mattarella.

Il terzo scommettitore si chiamava Matteo Salvini, sperava in un centrodestra libero dall’egemonia dell’uomo di Arcore e si era prodigato per il risultato, non temendo di apparire maleducato per i toni e per i metodi.

Il quarto, senza mai dirlo, era stato il più giovane dei candidati premier: Luigi Di Maio, capo politico del Movimento 5 Stelle, classe 1986, quando Berlusconi scese in campo e fondò Forza Italia doveva ancora compiere otto anni. Lui dell’ex Cavaliere non ha mai parlato o quasi in quattro anni di notorietà. Il suo nemico sono sempre stati Renzi e il Pd.


Un’intera legislatura, la fase politica cominciata nel 2013 e arrivata al termine con le elezioni siciliane del 5 novembre, ha ruotato su una sola ipotesi: la morte (politica) di Silvio Berlusconi. Che avrebbe lasciato a disposizione la sua eredità: il suo elettorato, il suo immaginario. Con i giovani, i quarantenni, i trentenni, pronti a contendersela all’insegna della continuità.

In comune Renzi, Salvini e Di Maio - lasciamo perdere Alfano che è sparito dai radar perfino nella sua Sicilia - hanno una sola cosa. Sono tutti e tre, per età, cultura politica, una generazione Post. Post-berlusconiani, nell’idea più rassicurante e comoda del termine. Quella che ti permette di oltrepassare il passato non perché lo hai scelto, ma semplicemente perché sei venuto dopo. Quella che ti serve per non fare i conti con quanto è successo prima, di sbarazzarti della pesantezza delle vecchie identità. Il post può ereditare, senza agitarsi neppure un po’, il patrimonio (elettorale) del leader antico, di cui in fondo è figlio, più sul piano culturale che politico.

Matteo (Renzi) debuttò nel 1994, a 19 anni. Non in una sezione di partito, ma su Canale 5, alla “Ruota della fortuna”. Vinse quarantotto milioni di lire in gettoni d’oro e in più un bene inestimabile che stava per diventare l’unico valore in campo: la visibilità, la notorietà. Negli stessi mesi gareggiava sulle reti Mediaset l’altro Matteo (Salvini). A “Doppio Slalom” quando era solo un adolescente, a “Il pranzo è servito” nel 1993, mentre la Lega di Umberto Bossi sventolava il cappio nell’aula di Montecitorio contro i politici corrotti. Matteo e Matteo, Renzi e Salvini, erano ragazzi di venti anni con precoce passione politica che andavano nelle tv del Biscione a giocare davanti alle telecamere mentre il proprietario di Mediaset Berlusconi scendeva in campo con Forza Italia.

A rivederli oggi, più che futuri leader Renzi e Salvini, nella tv berlusconiana, appaiono come due giovani entusiasti di esserci, conformisti. Nativi nella nuova era, con i dischi che sono cd, i film che sono videocassette e poi dvd, i libri si sfogliano ma non si leggono e poi ci sarà internet su cui trovare tutto. La cultura è un singolo brano, una singola scena da rivedere mille volte, un frame, una citazione da acchiappare e rilanciare, nel grande mare della Rete. Luigi Di Maio non è mai entrato da concorrente in una rete Mediaset, nel 1993-94 andava alle elementari. Ma di quella cultura, la cultura berlusconiana dell’ultimo quarto di secolo, è il prodotto esemplare. Con le sue incerte nozioni di storia e geografia, il Venezuela di Pinochet, con la sua immagine pettinata, sembra un agente di Publitalia. E non ti sorprenderesti di ritrovarlo in un meeting di Forza Italia.

Una cultura post, non anti. Attrezzata dunque a raccogliere l’elettorato berlusconiano lasciato orfano dal suo demiurgo. Per Renzi, in questi anni, ha significato rompere la concertazione con i sindacati, incrociare la polemica con i giudici e con i cosiddetti poteri forti, dichiarare la fine dei cosiddetti corpi intermedi, proporre un modello istituzionale verticalizzato sul capo del governo, predicare e praticare il modello del partito personale, teorizzato anni fa da Mauro Calise, anche se non (ancora) patrimoniale e senza minoranze interne, come è sempre stato Forza Italia. Per Salvini lo spazio libero lasciato da Berlusconi è stato quello della destra diffusa al Nord, dove la Lega è il vero partito di governo e di rappresentanza degli interessi economici delle regioni forti, e del Sud, dove è venuto a mancare un forte riferimento politico dopo la dissoluzione di quello che fu il Movimento sociale e poi Alleanza nazionale. Per il Movimento 5 Stelle, le praterie rimaste libere dalla (provvisoria) scomparsa di Berlusconi sono state quelle dell’anti-politica: l’Italia che fu moderata e che ora invece è rabbiosa contro i politici di professione, il Palazzo romano, ma anche i professori, i giornalisti, una carica anti-istituzionale che trova il suo strumento di sfogo sulla rete.

La stagione del Berlusconi egemone è finita e non tornerà. E non ha sbagliato chi aveva segnalato la fine politica dell’ex Cavaliere. L’errore è stato semmai di chi ha potuto contare su un allineamento favorevole di astri e pianeti senza precedenti e difficilmente ripetibile. Nel 2014 Renzi si è trovato di fronte a una destra priva del suo fondatore, il Movimento 5 Stelle che, pur avendo raccolto otto milioni di voti e il 25 per cento nel 2013, era uno stato d’animo, un vaffa collettivo radunato attorno a Beppe Grillo più che un soggetto politico. Il quarantenne premier e leader del Pd del 40 per cento ha avuto l’occasione storica di costruire un elettorato di riferimento, una classe dirigente, un partito in grado di conquistare il centro della società italiana e di durare un decennio.
Oggi quelle condizioni sembrano essersi chiuse. Berlusconi è di nuovo sulla scena, la destra è tornata elettoralmente forte anche se divisa (ma quanto lo sarà dopo un’eventuale vittoria elettorale?).

Il Movimento 5 Stelle, nonostante le pessime prove di governo, è un partito di opposizione di massa. Mentre il Pd di Renzi perde i pezzi alla sua sinistra. Oggi Renzi, Salvini (e Di Maio) si ritrovano a fare i conti con CronoSilvio: pronto a divorare i suoi presunti figli, berlusconisti più che berlusconiani, ad aprire un nuovo tempo, l’ultimo, della sua leadership. Il Matteo del Pd può aspirare a fare nel breve periodo lo junior partner di Berlusconi, come ha scritto Lucia Annunziata, ma lo stesso vale per Salvini in una coalizione di centrodestra.

E Di Maio in un nuovo, inedito bipolarismo sarebbe un baby oppositore. Né si può ricorrere al classico appello dell’ultima ora, il voto utile per fermare la destra. L’anti-berlusconismo non esiste più. A liquidare l’anti-berlusconismo politico è stato proprio Renzi, rompendo il tabù del patto con l’avversario. L’anti-berlusconismo giudiziario è finito con la condanna del 2013, al di là delle inchieste e dei processi ancora in corso. Sarebbe rimasto l’anti-berlusconismo di tipo culturale: la sfida nei confronti del centrodestra italiano e del suo singolare e originale impasto di populismo e conservatorismo, una tavola di valori alternativa, una proposta in positivo e non solo “anti”. Ma nel centrosinistra questa strada è stata percorsa solo venti anni fa, con l’Ulivo di Prodi, Veltroni (e Ciampi).

Mentre i leader dell’ultima stagione non hanno costruito un progetto alternativo al berlusconismo, si sono solo chiesti come ereditarlo senza pagare il prezzo. E non hanno valutato che il modello originale è ancora lì, per ora. A incarnare, come sempre, il sistema e l’anti-sistema, la moderazione e l’estremismo, a tenere insieme tutto. In vista di una strana campagna elettorale, dove i competitori saranno in gara non per sconfiggerlo ma per imitarlo.
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13 novembre 2017
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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CassaPound
CasaPound e Forza Nuova: la mappa delle società estere dei partiti neofascisti
FN ha la sua ricchezza a Londra, mentre la tartaruga frecciata ha puntato tutto sui francesi del Front National pagati da Putin. Ecco come si articola la galassia societaria nera
08 novembre 2017
LEGGI L'inchiesta sulle società e sui finanziamenti dei partiti della galassia nera
IL CASO Così i fascisti prendono soldi con il 5 per mille

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UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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UncleTom ha scritto:CassaPound
CasaPound e Forza Nuova: la mappa delle società estere dei partiti neofascisti
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UN ASSAGGIO DI COSA SUCCEDERA' SE VOTATE PER I FASCISTI
cielo 70
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Re: Diario della caduta di un regime.

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UncleTom ha scritto:CronoSilvio
Silvio Berlusconi l'immortale
A forza di parlarne (e Damilano è uno dei giornalisti più decenti) e a fare i sondaggi poi le cose succedono. Nessuno punta mai sui politici seri da molto tempo a questa parte. Le elezioni sono pilotate.
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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(Andrea Pasini, “Non voglio più essere un italiano”, dal blog di Pasini sul “Giornale” del 1° novembre 2017. Giovane imprenditore, Pasini gestisce il blog “Senza paura” sul quotidiano diretto da Alessandro Sallusti).




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Caro Mattarella, io mi dimetto da italiano: siamo in sfacelo
Scritto il 14/11/17 • nella Categoria: idee Condividi Tweet


Egregio presidente della Repubblica, dottor Sergio Mattarella, è da molto tempo che desidero esternarle il mio sentimento di disagio che provo vivendo nella nostra amata Italia.

In questi tempi segnati da continui accadimenti, mi sento motivato e convinto di raccontarle il disagio che vive, quotidianamente, un imprenditorie italiano.

Centinaia sono le motivazioni che mi costringono, miste a rabbia, rammarico, tristezza e dispiacere ad annunciarle che in nessun modo intendo continuare a patrocinare lo sfacelo attorno a me.

Voglio restituire la mia carta d’identità.

Voglio diventare apolide, in un mondo capace solamente di infangare il tricolore.

Sì, signor presidente, mi dimetto.

Lo faccio anch’io per una volta, non mi sento e non voglio più essere italiano.

Cancellatemi dagli elenchi, cancellatemi dall’anagrafe, cancellatemi dalla memoria dello Stato.

Questa è la scelta più sofferta e dolorosa che io abbia mai dovuto compiere.

Sono nato e cresciuto qui, tra queste Alpi, tra questi fiumi, tra questi mari, dentro a questo sole e immerso nel sentire ed ardire che bagna il tricolore.

Amo il mio paese e mi sono sempre sentito orgoglioso di essere italiano.

Ma adesso il logorio ha vinto ed è proprio per questo che voglio portare avanti, fino in fondo, questa scelta.

Dopo un’oculata riflessione, durata circa vent’anni ed iniziata con l’età della ragione, guardandomi intorno e facendo una precisa disamina di quanto accaduto, in particolare negli ultimi anni, non posso che confermare quanto scrittole nel primo paragrafo.

Crisi economica, mancanza di aiuti agli italiani costretti in degenza economica, le continue pagliacciate da parte dei partiti istituzionali ed aziende sane capaci di fornire lavoro a migliaia di persone portate dallo Stato al fallimento.

Questo lo scenario targato Italia 2017.

Il governo mantiene e difende, esclusivamente, clandestini, extracomunitari ed immigrati.

Chiunque, l’importante che non sia italiano.

Il tutto mentre i giovani, figli di questa terra, sono costretti a scappare dal proprio paese.

Lo fanno perché non sono tutelati e non hanno nessuna garanzia di trovare un impiego solido, capace di donare speranza nell’avvenire.

Nel mentre gli anziani, dopo una vita spesa facendo sacrifici su sacrifici, vedono riconosciuta da questo Stato una pensione da miseria.

Inoltre vogliamo parlare degli italiani costretti a dormire in macchina?

Uomini e donne scaraventati fuori dal loro nido perché non possono più far fronte ad un mutuo, le banche li strangolano, oppure sfratti dagli alloggi popolari.

In questo scempio, le forze dell’ordine sono costrette a lavorare senza nessun tipo di garanzia, trattati peggio dei delinquenti e utilizzando mezzi completamente obsoleti.

Infine le famiglie costrette ancora nei container in attesa di un alloggio dopo i, vari, terremoti che hanno sconquassato lo stivale.

Chiedere in Irpinia come vivono, a distanza di 37 anni, da quando la terra tremò lasciando le certezze un lontano ricordo.

Senza dimenticare il livello vessatorio a cui sono arrivate le tasse nella nostra nazione.

Gli esattori, inesorabili vampiri, pronti ad avventarsi sul nostro estenuante ed umile lavoro.

Proprio per questi motivi decido di rifiutare la nazionalità italiana e di dimettermi dal ruolo di cittadino italiano.

Dalla data odierna mi considero apolide e pertanto richiederò accesso agli aiuti dedicati ai cittadini stranieri residenti sul nostro territorio, oppure in attesa del permesso di soggiorno.

Non voglio essere più italiano, quindi rinuncio a tale incombenza.

Ci era rimasta un’unica arma a disposizione: il voto.

Ormai, ritengo, inutile anche questa espressione democratica da parte dei cittadini.

Le malefatte, trasversali, della nostra infausta classe politica – maggioranza, minoranza, sinistra, destra, centro e a stelle – mi rendono certo che nessuno, politicamente parlando, può invertire la rotta in cui l’Italia si è immessa.

In questo marasma cito le parole di uno dei padri della patria, Dante Alighieri: “Ahi serva Italia, di dolore ostello, nave sanza nocchiere in gran tempesta, non donna di province, ma bordello!”. Divina Commedia di una nazione alla deriva.

Per come la politica da seconda repubblica, in linea continua con la prima, agisce e rappresenta la nazione è opportuno e necessario voltargli le spalle.

Si votassero da soli.

Oppure si facciano votare da chi li ritiene adeguati e si riconosce nella loro cronica incapacità professionale e indegnità morale.

Vent’anni in cui ci hanno tolto tutto, anche i sogni, quelli nostri e delle generazioni che verranno.

Ci hanno rubato l’unico valore a cui tutti potevano accedere: la libertà.

Mi assale e sprofondo in un indomabile senso di vergogna.

Lottare? Sì, l’ho fatto con i mezzi che avevo a disposizione, ma purtroppo lottare in questo paese non porta a nulla concreto.

Perché questo sistema ed il Dna del nostro popolo, opportunista e disunito, non vuole cambiare o cambierà solo davanti ad un pallone da calcio.

La mia, sia chiaro, non è una resa, ma una presa di coscienza della situazione attuale.

La lascio alle sue incombenze, citando un altro grande siciliano, Franco Battiato: “Povera patria. Schiacciata dagli abusi del potere di gente infame, che non sa cos’è il pudore si credono potenti e gli va bene quello che fanno e tutto gli appartiene.

Tra i governanti, quanti perfetti e inutili buffoni.

Questo paese è devastato dal dolore.

Ma non vi danno un po’ di dispiacere quei corpi in terra senza più calore?”.
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

cielo 70 ha scritto:
UncleTom ha scritto:CronoSilvio
Silvio Berlusconi l'immortale
A forza di parlarne (e Damilano è uno dei giornalisti più decenti) e a fare i sondaggi poi le cose succedono. Nessuno punta mai sui politici seri da molto tempo a questa parte. Le elezioni sono pilotate.

Qual è la tua visione di politico SERIO ??????
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

......L'ITALIA NEL PALLONE............



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Italia sconfitta: non solo calcio, è il paese a non vincere più
Scritto il 14/11/17 • nella Categoria: idee
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«Personalmente vedo l’uscita dell’Italia dal girone finale dei mondiali di calcio come la Nemesi, la giusta punizione per un paese cantato da Dante quale regno dell’ignavia». Mai definizione fu più azzeccata, per Mitt Dolcino, che ricorda: nel 1996 la sconfitta con la Corea fermò l’invasione dei calciatori stranieri in Italia, concentrandosi sugli italiani e portando in dote il mondiale 15 anni dopo. Che farà l’Italia, ora che anche i giovani italiani scappano? Dettaglio: queste note profetiche, Dolcino le ha scritte (su “Scenari Economici”) prima di conoscere l’esito del catastrofico match di San Siro, conclusosi a reti inviolate tra le lacrime dell’eroe nazionale Buffon. Calcio a parte: un segnale sinistro, simbolico e inquietante, per un’Italia che non riesce più a vincere. Fuor di metafora: «C’è una regola abbastanza affidabile: vittorie ricorrenti nello sport arrivano quando un paese funziona, nel caso del calcio quando l’economia “tira” almeno in certi settori in cui il paese rappresentato eccelle». Questo vale certamente per l’Italia, assicura Dolcino: i 4 mondiali di calcio vinti dalla nazionale azzurra «sono arrivati a seguito di grandi miglioramenti differenziali a livello economico». Anche il mitico “mundial” spagnolo del 1982, quello di Bearzot (con Pertini al seguito) arrivò dopo l’aggancio della ripresa Usa spinta da Reagan.
Stesso discorso per i mondiali pre-bellici, continua Dolcino, in cui «la crescita innescata dalle conquiste fasciste – prima di fare la follia di seguire Hitler – aveva dato nuova linfa alla speranza italica». La stessa “ratio” vale anche per il mondiale del 2006, quando l’Italia «era il darling europeo degli anglosassoni, con la proficua guerra in Iraq, mentre Germania e Francia arrancavano nel Vecchio Continente, incazzate con gli italiani troppo filo-Usa». Tutto sommato «anche per Italia ’90 si poteva vincere», visto che «l’economia italiana pre-Tangentopoli tirava alla grande». Dolcino ricorda anche «i trionfi sportivi del venerato Moro di Venezia figlio di Montedison, azienda poi svenduta ai francesi per via di una tangente pagata alla magistratura milanese». Agli sfortunati mondiali Usa 2000 «si poteva vincere sulle ali dell’illusione speranzosa – mal riposta – della scellerata entrata nell’euro». Oggi, invece, «l’Italia è letteralmente annichilita dallo schema che la Germania ha imposto attraverso l’euro, un piano per affossare il più grande alleato Usa non-anglosassone in Europa».
Peggio: «L’Italia è prossima al fallimento economico». Nei piani franco-tedeschi «il prossimo anno arriverà la Troika per disporre degli asset nazionali più preziosi, in presenza di una classe politica nazionale non-eletta che, da 4 governi, fa gli interessi stranieri e non quelli italiani». Non poteva conoscere il risultato di Italia-Svezia, Dolcino, quando scriveva: «Pensate davvero che possa vincere i mondiali un paese al collasso, prossimo al fallimento, con l’Inps che deve attingere per oltre 100 miliardi di euro annui ai bilanci statali per non fallire?». Pensate davvero che possa farcela, un paese «con crescita del Pil nulla o quasi, con centinaia di migliaia di disperati che arrivano sulle coste», quelli che per la sinistra «saranno il futuro»? Questo è un paese «con le tasse più alte d’Europa per le imprese». In altre parole: così, non si va da nessuna parte (nemmeno ai mondiali di calcio, infatti). Il parallelo con il pallone è suggestivo e impietoso: «Il Milan del Cavaliere vinceva perchè l’economia tirava, perchè il Cavaliere fu un grande condottiero sportivo, perchè c’erano delle nicchie con enorme valore associato che permettevano al calcio italiano di eccellere».
Oggi c’è qualcosa o qualcuno che eccelle in Italia? Voi direte, la Ferrari o qualcosa del genere. Vero, ma allora dovreste tifare Olanda, visto che la sede è là». Colpa delle delocalizzazioni? Certo, «imposte da tasse altissime, come conseguenza del rigore euro-imposto». La fuga delle aziende ormai ha lasciato «il deserto economico (e sociale)», vale a dire «un paese con bassi stipendi, dormitorio di vecchi, a forte emigrazione di italiani capaci e formati, serbatoio di manodopera a basso costo, con masse consumanti ma non risparmianti in quanto il valore aggiunto deve rimanere per forza oltre Gottardo. E tutto questo per preciso volere euro-tedesco». Come non far giungere il nostro sentito grazie agli ultimi quattro premier, tutti rigorosamente non-eletti? Monti e Letta, Renzi e Gentiloni: grazie, «per non aver difeso il paese». Scriveva Dolcino, alla vigilia di Italia-Svezia: «Sappiate che non gioirò per l’eventuale mancata qualifica, spero anzi che l’Italia possa farcela. Ad ogni modo non tutto il male vien per nuocere: se la mancata qualifica potesse essere utile a farvi capire che l’Italia è davvero nella cacca fino al collo – al contrario di quello che i media cooptati al potere europeo vogliono farvi credere, per tenervi tranquilli – beh, questo sarebbe davvero un ottimo risultato. Meglio di una vittoria sportiva».
Campane a morto per l’Italia: «Personalmente vedo l’uscita dal girone finale dei mondiali di calcio come la Nemesi, la giusta punizione per un paese cantato da Dante quale regno dell’ignavia». Mai definizione fu più azzeccata, per Mitt Dolcino, che ricorda: nel 1996 la sconfitta con la Corea fermò l’invasione dei calciatori stranieri in Italia, concentrandosi sugli italiani e portando in dote il mondiale 15 anni dopo. Che farà l’Italia, ora che anche i giovani italiani scappano? Dettaglio: queste note profetiche, Dolcino le ha scritte (su “Scenari Economici”) prima di conoscere l’esito del catastrofico match di San Siro, conclusosi a reti inviolate tra le lacrime dell’eroe nazionale Buffon. Calcio a parte: un segnale sinistro, simbolico e inquietante, per un’Italia che non riesce più a vincere. Fuor di metafora: «C’è una regola abbastanza affidabile: vittorie ricorrenti nello sport arrivano quando un paese funziona, nel caso del calcio quando l’economia “tira” almeno in certi settori in cui il paese rappresentato eccelle». Questo vale certamente per l’Italia, assicura Dolcino: i 4 mondiali di calcio vinti dalla nazionale azzurra «sono arrivati a seguito di grandi miglioramenti differenziali a livello economico». Anche il mitico “mundial” spagnolo del 1982, quello di Bearzot (con Pertini al seguito) arrivò dopo l’aggancio della ripresa Usa spinta da Reagan.
Stesso discorso per i mondiali pre-bellici, continua Dolcino, in cui «la crescita innescata dalle conquiste fasciste – prima di fare la follia di seguire Hitler – aveva dato nuova linfa alla speranza italica». La stessa “ratio” vale anche per il mondiale del 2006, quando l’Italia «era il darling europeo degli anglosassoni, con la proficua guerra in Iraq, mentre Germania e Francia arrancavano nel Vecchio Continente, incazzate con gli italiani troppo filo-Usa». Tutto sommato «anche per Italia ’90 si poteva vincere», visto che «l’economia italiana pre-Tangentopoli tirava alla grande». Dolcino ricorda anche «i trionfi sportivi del venerato Moro di Venezia figlio di Montedison, azienda poi svenduta ai francesi per via di una tangente pagata alla magistratura milanese». Agli sfortunati mondiali Usa 2000 «si poteva vincere sulle ali dell’illusione speranzosa – mal riposta – della scellerata entrata nell’euro». Oggi, invece, «l’Italia è letteralmente annichilita dallo schema che la Germania ha imposto attraverso l’euro, un piano per affossare il più grande alleato Usa non-anglosassone in Europa».
Peggio: «L’Italia è prossima al fallimento economico». Nei piani franco-tedeschi «il prossimo anno arriverà la Troika per disporre degli asset nazionali più preziosi, in presenza di una classe politica nazionale non-eletta che, da 4 governi, fa gli interessi stranieri e non quelli italiani». Non poteva conoscere il risultato di Italia-Svezia, Dolcino, quando scriveva: «Pensate davvero che possa vincere i mondiali un paese al collasso, prossimo al fallimento, con l’Inps che deve attingere per oltre 100 miliardi di euro annui ai bilanci statali per non fallire?». Pensate davvero che possa farcela, un paese «con crescita del Pil nulla o quasi, con centinaia di migliaia di disperati che arrivano sulle coste», quelli che per la sinistra «saranno il futuro»? Questo è un paese «con le tasse più alte d’Europa per le imprese». In altre parole: così, non si va da nessuna parte (nemmeno ai mondiali di calcio, infatti). Il parallelo con il pallone è suggestivo e impietoso: «Il Milan del Cavaliere vinceva perchè l’economia tirava, perchè il Cavaliere fu un grande condottiero sportivo, perchè c’erano delle nicchie con enorme valore associato che permettevano al calcio italiano di eccellere».
Oggi c’è qualcosa o qualcuno che eccelle in Italia? Voi direte, la Ferrari o qualcosa del genere. Vero, ma allora dovreste tifare Olanda, visto che la sede è là». Colpa delle delocalizzazioni? Certo, «imposte da tasse altissime, come conseguenza del rigore euro-imposto». La fuga delle aziende ormai ha lasciato «il deserto economico (e sociale)», vale a dire «un paese con bassi stipendi, dormitorio di vecchi, a forte emigrazione di italiani capaci e formati, serbatoio di manodopera a basso costo, con masse consumanti ma non risparmianti in quanto il valore aggiunto deve rimanere per forza oltre Gottardo. E tutto questo per preciso volere euro-tedesco». Come non far giungere il nostro sentito grazie agli ultimi quattro premier, tutti rigorosamente non-eletti? Monti e Letta, Renzi e Gentiloni: grazie, «per non aver difeso il paese». Scriveva Dolcino, alla vigilia di Italia-Svezia: «Sappiate che non gioirò per l’eventuale mancata qualifica, spero anzi che l’Italia possa farcela. Ad ogni modo non tutto il male vien per nuocere: se la mancata qualifica potesse essere utile a farvi capire che l’Italia è davvero nella cacca fino al collo – al contrario di quello che i media cooptati al potere europeo vogliono farvi credere, per tenervi tranquilli – beh, questo sarebbe davvero un ottimo risultato. Meglio di una vittoria sportiva».
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

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