Diario della caduta di un regime.
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA LUNGA AGONIA DELLA SECONDA REPUBBLICA
Come nella Prima Repubblica le correnti democristiane che hanno gettato la maschera, sisfidano tra di loro per la conquista della poltrona.
Sempre dal quotidiano della mummia cinese: Il pallottoliere
Renzi: "Pronto a sfidare Berlusconi in un collegio, se sarà candidabile"
Nel salotto di Porta a Porta Renzi dice che "per smentire chi dice che c'è l'accordo segreto tra lui e il Cavaliere è pronto a sfidarlo in un collegio elettorale, se lui sarà candidabile"
Raffaello Binelli - Mar, 21/11/2017 - 19:59
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È un Matteo Renzi che parla a tutto campo quello che si presenta nello studio di Porta a Porta in onda questa sera.
Il segretario del Pd parla del futuro del centrosinistra, e mostra di voler tenere la porta aperta agli alleati: "Sono il primo ad essere pronto a fare accordi, ma non è che si fanno riscrivendo le pagine del passato, gli accordi si fanno sul futuro". Insomma, un invito a guardare avanti anziché indietro, alle liti che hanno portato le forze di sinistra a dividersi. E Renzi si rende conto che la galassia progressista è assai complessa: "Alla sinistra del Pd ci sono 29 sigle. Penso e spero che con alcune di loro si possa fare un ragionamento serio".
"Ho dato l'incarico a una personalità autorevole come Piero Fassino di provare a rimettere insieme i cocci. Ma le nozze si fanno in due, poi tocca a loro". E ancora: "Ma siamo sicuri che gli altri desiderino questo accordo? Di qui al 3 dicembre la porta è aperta, ma senza bugie, di fronte ai cittadini bisogna parlare il linguaggio della verità". E snocciola alcuni nomi dei vip che correranno per il Pd, battendosi nei collegi elettorali: "In questa grande coalizione ci sarò io, ma in un collegio ci sarà Gentiloni, in uno Minniti, in uno Franceschini, Delrio, Orlando. Saranno tutti in campo, oltre ai candidati dei partiti della coalizione".
Il leader del Pd lancia il guanto di sfida al Cavaliere. "Sarei contento che Berlusconi potesse candidarsi perché vorrei proporgli di candidarsi contro di me, visto che leggo che c'è l'accordo segreto o chissà cosa. Vorrei che i cittadini vedessero candidarsi me contro Berlusconi". Poi si sofferma sulla legge elettorale: "Numeri alla mano il Pd sarà il baricentro della prossima legislatura. Perché la sommatoria dei collegi e del proporzionale ci darà un ruolo fondamentale".
Non può mancare un accenno al Movimento 5 Stelle, soprattutto dopo che Luigi Di Maio gli ha fatto lo sgarro, rifiutando il confronto in tv: "È Di Maio che aveva chiesto l'incontro televisivo con. Ha fatto un po' il ganassa. Se Di Maio scappa, i cittadini lo giudicheranno. Dove si candiderà, a Pomigliano D'Arco dove ha preso 59 preferenze l'altra volta? Ovunque Di Maio, che è il capo del M5s, deciderà di candidarsi metteremo un giovane o una giovane ricercatrice, una scienziata o uno scienziato. Una persona del Sud, con laurea e master, per spiegare che siamo dalla parte della scienza e non dalla parte delle bufale, i no vax, il passato degli apprendisti stregoni".
In questa sua chiacchierata a tutto campo Renzi parla a ruota libera, come sempre. E quando Bruno Vespa gli chiede se sarebbe disposto a rinunciare al ruolo di candidato premier, risponde in questo modo: "Lo abbiamo già fatto, nella sostanza. Una cosa è quello che vale per il partito, dove è una decisione che prendono gli elettori delle primarie. Il candidato premier del Pd lo scelgono gli elettori delle primarie, il candidato premier della coalizione lo sceglie il Presidente della Repubblica".
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 65839.html
Come nella Prima Repubblica le correnti democristiane che hanno gettato la maschera, sisfidano tra di loro per la conquista della poltrona.
Sempre dal quotidiano della mummia cinese: Il pallottoliere
Renzi: "Pronto a sfidare Berlusconi in un collegio, se sarà candidabile"
Nel salotto di Porta a Porta Renzi dice che "per smentire chi dice che c'è l'accordo segreto tra lui e il Cavaliere è pronto a sfidarlo in un collegio elettorale, se lui sarà candidabile"
Raffaello Binelli - Mar, 21/11/2017 - 19:59
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È un Matteo Renzi che parla a tutto campo quello che si presenta nello studio di Porta a Porta in onda questa sera.
Il segretario del Pd parla del futuro del centrosinistra, e mostra di voler tenere la porta aperta agli alleati: "Sono il primo ad essere pronto a fare accordi, ma non è che si fanno riscrivendo le pagine del passato, gli accordi si fanno sul futuro". Insomma, un invito a guardare avanti anziché indietro, alle liti che hanno portato le forze di sinistra a dividersi. E Renzi si rende conto che la galassia progressista è assai complessa: "Alla sinistra del Pd ci sono 29 sigle. Penso e spero che con alcune di loro si possa fare un ragionamento serio".
"Ho dato l'incarico a una personalità autorevole come Piero Fassino di provare a rimettere insieme i cocci. Ma le nozze si fanno in due, poi tocca a loro". E ancora: "Ma siamo sicuri che gli altri desiderino questo accordo? Di qui al 3 dicembre la porta è aperta, ma senza bugie, di fronte ai cittadini bisogna parlare il linguaggio della verità". E snocciola alcuni nomi dei vip che correranno per il Pd, battendosi nei collegi elettorali: "In questa grande coalizione ci sarò io, ma in un collegio ci sarà Gentiloni, in uno Minniti, in uno Franceschini, Delrio, Orlando. Saranno tutti in campo, oltre ai candidati dei partiti della coalizione".
Il leader del Pd lancia il guanto di sfida al Cavaliere. "Sarei contento che Berlusconi potesse candidarsi perché vorrei proporgli di candidarsi contro di me, visto che leggo che c'è l'accordo segreto o chissà cosa. Vorrei che i cittadini vedessero candidarsi me contro Berlusconi". Poi si sofferma sulla legge elettorale: "Numeri alla mano il Pd sarà il baricentro della prossima legislatura. Perché la sommatoria dei collegi e del proporzionale ci darà un ruolo fondamentale".
Non può mancare un accenno al Movimento 5 Stelle, soprattutto dopo che Luigi Di Maio gli ha fatto lo sgarro, rifiutando il confronto in tv: "È Di Maio che aveva chiesto l'incontro televisivo con. Ha fatto un po' il ganassa. Se Di Maio scappa, i cittadini lo giudicheranno. Dove si candiderà, a Pomigliano D'Arco dove ha preso 59 preferenze l'altra volta? Ovunque Di Maio, che è il capo del M5s, deciderà di candidarsi metteremo un giovane o una giovane ricercatrice, una scienziata o uno scienziato. Una persona del Sud, con laurea e master, per spiegare che siamo dalla parte della scienza e non dalla parte delle bufale, i no vax, il passato degli apprendisti stregoni".
In questa sua chiacchierata a tutto campo Renzi parla a ruota libera, come sempre. E quando Bruno Vespa gli chiede se sarebbe disposto a rinunciare al ruolo di candidato premier, risponde in questo modo: "Lo abbiamo già fatto, nella sostanza. Una cosa è quello che vale per il partito, dove è una decisione che prendono gli elettori delle primarie. Il candidato premier del Pd lo scelgono gli elettori delle primarie, il candidato premier della coalizione lo sceglie il Presidente della Repubblica".
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 65839.html
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Re: Diario della caduta di un regime.
UncleTom ha scritto:LA LUNGA AGONIA DELLA SECONDA REPUBBLICA
Come nella Prima Repubblica le correnti democristiane che hanno gettato la maschera, si sfidano tra di loro per la conquista della poltrona.
Sempre dal quotidiano della mummia cinese: Il pallottoliere
Renzi: "Pronto a sfidare Berlusconi in un collegio, se sarà candidabile"
Nel salotto di Porta a Porta Renzi dice che "per smentire chi dice che c'è l'accordo segreto tra lui e il Cavaliere è pronto a sfidarlo in un collegio elettorale, se lui sarà candidabile"
Raffaello Binelli - Mar, 21/11/2017 - 19:59
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È un Matteo Renzi che parla a tutto campo quello che si presenta nello studio di Porta a Porta in onda questa sera.
Il segretario del Pd parla del futuro del centrosinistra, e mostra di voler tenere la porta aperta agli alleati: "Sono il primo ad essere pronto a fare accordi, ma non è che si fanno riscrivendo le pagine del passato, gli accordi si fanno sul futuro". Insomma, un invito a guardare avanti anziché indietro, alle liti che hanno portato le forze di sinistra a dividersi. E Renzi si rende conto che la galassia progressista è assai complessa: "Alla sinistra del Pd ci sono 29 sigle. Penso e spero che con alcune di loro si possa fare un ragionamento serio".
"Ho dato l'incarico a una personalità autorevole come Piero Fassino di provare a rimettere insieme i cocci. Ma le nozze si fanno in due, poi tocca a loro". E ancora: "Ma siamo sicuri che gli altri desiderino questo accordo? Di qui al 3 dicembre la porta è aperta, ma senza bugie, di fronte ai cittadini bisogna parlare il linguaggio della verità". E snocciola alcuni nomi dei vip che correranno per il Pd, battendosi nei collegi elettorali: "In questa grande coalizione ci sarò io, ma in un collegio ci sarà Gentiloni, in uno Minniti, in uno Franceschini, Delrio, Orlando. Saranno tutti in campo, oltre ai candidati dei partiti della coalizione".
Il leader del Pd lancia il guanto di sfida al Cavaliere. "Sarei contento che Berlusconi potesse candidarsi perché vorrei proporgli di candidarsi contro di me, visto che leggo che c'è l'accordo segreto o chissà cosa. Vorrei che i cittadini vedessero candidarsi me contro Berlusconi". Poi si sofferma sulla legge elettorale: "Numeri alla mano il Pd sarà il baricentro della prossima legislatura. Perché la sommatoria dei collegi e del proporzionale ci darà un ruolo fondamentale".
Non può mancare un accenno al Movimento 5 Stelle, soprattutto dopo che Luigi Di Maio gli ha fatto lo sgarro, rifiutando il confronto in tv: "È Di Maio che aveva chiesto l'incontro televisivo con. Ha fatto un po' il ganassa. Se Di Maio scappa, i cittadini lo giudicheranno. Dove si candiderà, a Pomigliano D'Arco dove ha preso 59 preferenze l'altra volta? Ovunque Di Maio, che è il capo del M5s, deciderà di candidarsi metteremo un giovane o una giovane ricercatrice, una scienziata o uno scienziato. Una persona del Sud, con laurea e master, per spiegare che siamo dalla parte della scienza e non dalla parte delle bufale, i no vax, il passato degli apprendisti stregoni".
In questa sua chiacchierata a tutto campo Renzi parla a ruota libera, come sempre. E quando Bruno Vespa gli chiede se sarebbe disposto a rinunciare al ruolo di candidato premier, risponde in questo modo: "Lo abbiamo già fatto, nella sostanza. Una cosa è quello che vale per il partito, dove è una decisione che prendono gli elettori delle primarie. Il candidato premier del Pd lo scelgono gli elettori delle primarie, il candidato premier della coalizione lo sceglie il Presidente della Repubblica".
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 65839.html
Nel salotto di Porta a Porta Renzi dice che "per smentire chi dice che c'è l'accordo segreto tra lui e il Cavaliere è pronto a sfidarlo in un collegio elettorale, se lui sarà candidabile"
I due cacciaballe insuperabili, della storia repubblicana, soffrono della stessa malattia.
Credono alle balle che raccontano.
Come aveva anticipato Indro Montanelli a suo tempo per la mummia cinese, o banana, come lo chiama Dagospia.
Ma Montanelli non aveva ancora visto Pinocchio Mussoloni.
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA LUNGA AGONIA DELLA SECONDA REPUBBLICA
NEL LIBRO, "LA FABBRICA DELLA VERITA'", NEL CAPITOLO,
Dalla tv dei partiti al partito della tv, Fabio Martini, scrive a pagina 120:
L'OTTIMISMO MILANESE
Silvio Berlusconi sa giocare con la paura, ma sin dalla sua famosa <<discesa in campo>> nel 1994 aveva dimostrato di saper <<suonare>> anche altri spartiti propagandistici che per decenni erano rimasti quasi inutilizzati: la rivendicazione dell'ottimismo come scossa per tutta la collettività; la capacità di creare una mitologia attorno alla personalità del leader.....................
Ovviamente, alla testa del suo quotidiano della propaganda ci ha messo la persona che soddisfa i suoi requisiti:
In ginocchio dai comunisti Renzi ha già perso
Alessandro Sallusti - Lun, 20/11/2017 - 18:28
commenta
Le cronache politiche di questi giorni ci consegnano un primo verdetto. Matteo Renzi ha perso la sua scommessa di riformare la sinistra, ha perso anche se dovesse riuscire a mettere insieme una coalizione, e financo se con quella coalizione riuscisse - cosa improbabile, ma non teoricamente impossibile - a vincere le prossime elezioni.
Si era messo in testa che il suo Pd sarebbe stato libero dai lacci e lacciuoli della vecchia guardia e dei satelliti post comunisti, e per questo ha fatto fuori in questi anni, senza usare scrupoli, la classe dirigente che lo aveva preceduto. Ora, a pochi mesi dalle elezioni, si ritrova a ripercorrere quello stesso percorso all'inverso con il cappello in mano, elemosinando la benevolenza dei rottamati. E il motivo è semplice: da solo, il renzismo non andrà mai da nessuna parte, perché la politica è fatta di ideali e visioni ma soprattutto di numeri, senza i quali il tuo progetto è destinato a rimanere al palo.
Sul motivo per cui Renzi ha fallito l'obiettivo dell'autonomia abbiamo scritto tanto. Ma mai avremmo immaginato di vedere l'ex premier fare il filo manco fosse una bella donna all'ex sindaco di Milano Pisapia, certamente un galantuomo, ma anche il più comunista della compagnia e con un consenso personale scommetto vicino allo zero virgola. Per averlo in squadra, Renzi è disposto a dargli in cambio l'approvazione in extremis dello «ius soli», così come è disposto a rimangiarsi in tutto o in parte il «jobs act» (l'unica mezza riforma del suo governo che abbia avuto un qualche senso e utilità) per fare tornare a casa, almeno momentaneamente, Bersani e Camusso. E chi l'avrebbe detto che nel progetto renziano avrebbero avuto voce in capitolo un resuscitato Romano Prodi e il mega trombato ex sindaco di Torino Piero Fassino? Manca solo di vedere al tavolo delle trattative Occhetto e Bertinotti e poi è fatta, come nel Gioco dell'oca la sinistra torna alla casella di partenza.
Tutto questo non è un bene, e non solo per Renzi. Che se per miracolo dovesse andare al governo sarebbe ostaggio permanente di questa compagnia di ex e post comunisti. Se per formare la coalizione è disposto a barattare Pisapia con lo «ius soli», immaginiamo quali baratti potrebbe subire il Paese per permettere all'uomo di insediarsi e rimanere a Palazzo Chigi. Renzi non è più il nuovo e, comunque vada, mai più potrà esserlo. Hanno vinto i rottamati, da sempre perdenti ma di successo (D'Alema insegna).
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 64972.html
NEL LIBRO, "LA FABBRICA DELLA VERITA'", NEL CAPITOLO,
Dalla tv dei partiti al partito della tv, Fabio Martini, scrive a pagina 120:
L'OTTIMISMO MILANESE
Silvio Berlusconi sa giocare con la paura, ma sin dalla sua famosa <<discesa in campo>> nel 1994 aveva dimostrato di saper <<suonare>> anche altri spartiti propagandistici che per decenni erano rimasti quasi inutilizzati: la rivendicazione dell'ottimismo come scossa per tutta la collettività; la capacità di creare una mitologia attorno alla personalità del leader.....................
Ovviamente, alla testa del suo quotidiano della propaganda ci ha messo la persona che soddisfa i suoi requisiti:
In ginocchio dai comunisti Renzi ha già perso
Alessandro Sallusti - Lun, 20/11/2017 - 18:28
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Le cronache politiche di questi giorni ci consegnano un primo verdetto. Matteo Renzi ha perso la sua scommessa di riformare la sinistra, ha perso anche se dovesse riuscire a mettere insieme una coalizione, e financo se con quella coalizione riuscisse - cosa improbabile, ma non teoricamente impossibile - a vincere le prossime elezioni.
Si era messo in testa che il suo Pd sarebbe stato libero dai lacci e lacciuoli della vecchia guardia e dei satelliti post comunisti, e per questo ha fatto fuori in questi anni, senza usare scrupoli, la classe dirigente che lo aveva preceduto. Ora, a pochi mesi dalle elezioni, si ritrova a ripercorrere quello stesso percorso all'inverso con il cappello in mano, elemosinando la benevolenza dei rottamati. E il motivo è semplice: da solo, il renzismo non andrà mai da nessuna parte, perché la politica è fatta di ideali e visioni ma soprattutto di numeri, senza i quali il tuo progetto è destinato a rimanere al palo.
Sul motivo per cui Renzi ha fallito l'obiettivo dell'autonomia abbiamo scritto tanto. Ma mai avremmo immaginato di vedere l'ex premier fare il filo manco fosse una bella donna all'ex sindaco di Milano Pisapia, certamente un galantuomo, ma anche il più comunista della compagnia e con un consenso personale scommetto vicino allo zero virgola. Per averlo in squadra, Renzi è disposto a dargli in cambio l'approvazione in extremis dello «ius soli», così come è disposto a rimangiarsi in tutto o in parte il «jobs act» (l'unica mezza riforma del suo governo che abbia avuto un qualche senso e utilità) per fare tornare a casa, almeno momentaneamente, Bersani e Camusso. E chi l'avrebbe detto che nel progetto renziano avrebbero avuto voce in capitolo un resuscitato Romano Prodi e il mega trombato ex sindaco di Torino Piero Fassino? Manca solo di vedere al tavolo delle trattative Occhetto e Bertinotti e poi è fatta, come nel Gioco dell'oca la sinistra torna alla casella di partenza.
Tutto questo non è un bene, e non solo per Renzi. Che se per miracolo dovesse andare al governo sarebbe ostaggio permanente di questa compagnia di ex e post comunisti. Se per formare la coalizione è disposto a barattare Pisapia con lo «ius soli», immaginiamo quali baratti potrebbe subire il Paese per permettere all'uomo di insediarsi e rimanere a Palazzo Chigi. Renzi non è più il nuovo e, comunque vada, mai più potrà esserlo. Hanno vinto i rottamati, da sempre perdenti ma di successo (D'Alema insegna).
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/ ... 64972.html
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Re: Diario della caduta di un regime.
LA LUNGA AGONIA DELLA SECONDA REPUBBLICA
TUTTO NORMALE
Dalla prima pagina del Fatto Quotidiano:
STRASBURGO Oggi l'udienza alla Cedu sulla Severino
B. a caccia di impunità,
pure Renzi lo legittima
Lotta per ottenere la can-
didabilità. Presiede la giudi-
ce tedesca Nussberger. Ma
per la decisione servono 9-
12 mesi. Intanto il segretario
Pd dice: "Sarei contento
che corresse alle elezioni
per sfidarlo in un collegio"
MASCALI
A PAG.5
L'ASSOLUZIONE DELLA MUMMIA CINESE DIPENDE DAL GRADO DI CORRUZZIONE CHE I COLLABORATORI DI BERLUSCONI SONO RIUSCITI AD ESERCITARE SULLA CORTE DELLA CEDU.
NON MERVIGLIAMOCI DELLE PAROLE DI PINOCCHIO MUSSOLONI.
APPARTENGONO ALLA STESSA FAMIGLIA DEMOCRISTIANA DI DESTRA, FINTO CENTRO.
SECONDO IL NUOVO DIRETTORE DELL'ESPRESSO, MARCO DAMILANO, PINOCCHIO MUSSOLONI CHE SA NON DIVENTARE PREMIER NELLA PROSSIMA TORNATA ELETTORALE, HA ASCOGITATO UN PIANO B.
DIVENTARE MINISTRO DEGLI ESTERI.
OGGI FUNZIONA COSI'. PEGGIO TI COMPORTI E PIU' PROBABILITA' HAI DI DIVENTARE MINISTRO DEGLI ESTERI.
===============================================================================================================================================================
LA LUNGA AGONIA DELLA SECONDA REPUBBLICA
FORZA MERLI BABBEI E UBRIACHI
Dalla prima pagina di Libero
Italia paralizzata da incompetenti allo sbaraglio
Il dominio degli incapaci
Sala pensa ai migranti
e se ne infischia se Milano
ci smena due miliardi
Gentiloni e Padoan
strapazzati da burocrati
perfino peggio di loro
De Magistris si vanta
di avere salvato Napoli,
ma tutto è come prima
Ventura ci ha portato
fuori dal Mondiale però
riscuote 700 euro
TUTTO NORMALE
Dalla prima pagina del Fatto Quotidiano:
STRASBURGO Oggi l'udienza alla Cedu sulla Severino
B. a caccia di impunità,
pure Renzi lo legittima
Lotta per ottenere la can-
didabilità. Presiede la giudi-
ce tedesca Nussberger. Ma
per la decisione servono 9-
12 mesi. Intanto il segretario
Pd dice: "Sarei contento
che corresse alle elezioni
per sfidarlo in un collegio"
MASCALI
A PAG.5
L'ASSOLUZIONE DELLA MUMMIA CINESE DIPENDE DAL GRADO DI CORRUZZIONE CHE I COLLABORATORI DI BERLUSCONI SONO RIUSCITI AD ESERCITARE SULLA CORTE DELLA CEDU.
NON MERVIGLIAMOCI DELLE PAROLE DI PINOCCHIO MUSSOLONI.
APPARTENGONO ALLA STESSA FAMIGLIA DEMOCRISTIANA DI DESTRA, FINTO CENTRO.
SECONDO IL NUOVO DIRETTORE DELL'ESPRESSO, MARCO DAMILANO, PINOCCHIO MUSSOLONI CHE SA NON DIVENTARE PREMIER NELLA PROSSIMA TORNATA ELETTORALE, HA ASCOGITATO UN PIANO B.
DIVENTARE MINISTRO DEGLI ESTERI.
OGGI FUNZIONA COSI'. PEGGIO TI COMPORTI E PIU' PROBABILITA' HAI DI DIVENTARE MINISTRO DEGLI ESTERI.
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LA LUNGA AGONIA DELLA SECONDA REPUBBLICA
FORZA MERLI BABBEI E UBRIACHI
Dalla prima pagina di Libero
Italia paralizzata da incompetenti allo sbaraglio
Il dominio degli incapaci
Sala pensa ai migranti
e se ne infischia se Milano
ci smena due miliardi
Gentiloni e Padoan
strapazzati da burocrati
perfino peggio di loro
De Magistris si vanta
di avere salvato Napoli,
ma tutto è come prima
Ventura ci ha portato
fuori dal Mondiale però
riscuote 700 euro
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Re: Diario della caduta di un regime.
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Giannuli: serve un partito, la Mossa del Cavallo rischia l’1%
Scritto il 21/11/17 • nella Categoria: idee
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«Le prossime elezioni politiche si svolgeranno in un contesto che non ha precedenti rispetto agli ultimi 70 anni. La deriva del paese è tale da poter affermare che l’Italia è ormai allo sfascio. Ecco perché occorre una “Mossa del Cavallo”». All’appello di Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa per una “Lista del Popolo” da mettere in campo alle prossime elezioni, per fermare il collasso del paese di fronte alla “caduta libera” dei tre blocchi in apparenza contrapposti – centrodestra, centrosinistra e 5 Stelle – il politologo Aldo Giannuli frena: bene l’idea di mobilitare forze democratiche, ma è meglio evitare di candidarsi nel 2018. «Non saremo mai un partito», assicurano Ingroia e Chiesa? Male, replica Giannuli: è proprio di un partito che ci sarebbe bisogno, organizzato in modo trasparente e democratico, evitando il rischio dell’ennesima Armata Brancaleone pronta a sciogliersi e frantumarsi già all’indomani del voto, magari dopo aver racimolato un bottino elettorale irrisorio. Giannuli, saggista e storico dell’ateneo milanese, apprezza l’impegno di partenza: tenere aggregati i movimenti che lavorarono per il “no” al referendum del 4 dicembre scorso sulla Costituzione. «Mi sembra condivisibile l’idea di una fondazione dal basso del movimento mobilitando la base che fu determinante per la vittoria del “no”», scrive, sul suo blog. Ma aggiunge: «Questa scelta di lista “last minute” mi sembra per più versi discutibile».
Secondo Giannuli, i rischi di un clamoroso insuccesso sono elevatissimi: in una manciata di settimane (e la cosa cambia molto poco, se si vota a maggio) bisognerebbe completare le liste e raccogliere le firme, stavolta collegio per collegio: e se non si raggiunge il minimo richiesto, in quei collegi la lista “salta” anche per il proporzionale. «Siccome è inevitabile che un certo numero di collegi saltino, questo significa che la clausola di sbarramento reale non è più del 3% ma del 3,5%-4% in proporzione ai collegi saltati». Per di più, aggiunge Giannuli, «bisognerebbe far conoscere un simbolo e una sigla nuovi in poco tempo, senza una struttura organizzata, senza soldi e sotto il fuoco della lista di sinistra che accuserebbe il nuovo venuto di essere una lista di disturbo per sabotare il suo 3%. Insomma – conclude l’analista – il rischio è di prendere meno dell’1%. E, se questo fosse il risultato, si squaglierebbe anche il progetto di movimento organizzato di base che è il motivo di maggiore interesse del tentativo».
Inoltre, continua Giannuli, «temo che i rischi di verticismo rimproverati agli altri si verificherebbe anche in questo caso: stabilito che puoi scegliere i candidati solo se sai quali sono i collegi e le circoscrizioni e che questo non avverrà prima del 15-20 dicembre, questo significa andare al 7 gennaio per indire una qualche consultazione di base (non importa se su supporto cartaceo o web) che dovrebbe avvenire in pochissimo tempo, perché poi occorre raccogliere le firme». Quindi, di fatto, sarebbe «una scelta senza nessun reale confronto: tanto vale, scegliamo i candidati con il sorteggio». Insiste Giannuli: «Le liste saranno fatte da un improbabile gruppo dirigente nazionale più o meno lottizzato e, diciamocelo, se i soggetti della lottizzazione si chiamano “Possibile” o “Si” o, invece, Associazione Pinco Pallo o gruppo pacifista di Vattelapesca, che differenza fa?». Infine, si domanda il politologo, «siamo sicuri che sostituire la “forma partito” con la “forma lista elettorale” sia una cosa democraticamente preferibile? Al solito, che garanzia abbiamo che l’ennesima armata Brancaleone (ricordate Nuova Sinistra Unita, la Sinistra Arcobaleno, la Lista Tsipras, eccetera), anche avendo successo, non si sciolgano già il giorno dopo il voto, con ciascuno per proprio conto?».
Ha le idee chiare, Giannuli, su questo punto: «Noi non abbiamo bisogno di improbabili cartelli elettorali o federazioni di gruppi e gruppetti, pronte a sciogliersi in un battito di ciglia, ma di un soggetto politico solido, permanente, dotato di un minimo di coerenza politica. Un partito? Sì, perché la rappresentanza si fonda sui partiti». E quindi, «piantiamola con i le solite paturnie spontaneiste che ritengono la forma partito una cosa superata, burocratica e improponibile nel terzo millennio». Certo, i partiti che abbiamo conosciuto «sono abbondantemente degenerati sia dal punto di vista burocratico che da quello morale e già dai tempi della Prima Repubblica e i referendum del 1993, insieme a Mani Pulite, furono la rivolta contro questo stato di cose». Ma una rivolta che, «pur giustissima nelle motivazioni», di fatto «era molto mal indirizzata nei fini: colpire la legge proporzionale per colpire i partiti, non solo non apportava vantaggi sul piano della democrazia, ma peggiorava sensibilmente la situazione, come il quarto di secolo successivo ha abbondantemente dimostrato». Mancarono le riforme necessarie: «I partiti andavano regolamentati per legge e sottoposti alla giurisdizione ordinaria, mentre l’abbaglio del sistema maggioritario (che creava l’illusione che l’elettore scegliesse direttamente chi governa) ebbe una serie di conseguenze catastrofiche che sono sotto gli occhi di tutti».
La cosiddetta Seconda Repubblica «ha delegittimato il Parlamento, facendone solo la cassa di risonanza e il ratificatore delle decisioni del governo che diventava il vero centro dei sistema politico». Il nuovo sistema «ha prodotto una poco auspicabile tendenza alla personalizzazione della lotta politica, nella quale i contenuti di linea passavano in secondo piano, sino a scomparire del tutto». Inoltre, ha reso molto più costosa l’attività politica, «dovendosi per forza far leva sui mass media e a pagamento, per sopperire alla sempre più ridotta rete di terminali organizzativi dei partiti sul territorio». Di conseguenza, tutto questo «ha spianato la strada ai grandi poteri finanziari (Berlusconi prima, ma dopo anche i gruppi di sostegno al Pd) nella conquista dei “partiti” maggiori». Il nuovo assetto «ha ridotto drasticamente la democrazia interna ai soggetti politici, che assumevano la forma di ristretti gruppi dirigenti autoreferenziali», gruppi sostanzialmente «sorretti da una rete di meri comitati elettorali che non avevano nessuna reale incidenza nella scelta dei gruppi dirigenti e della linea politica». Né la discutibile scelta delle “primarie all’italiana” è valsa a modificare questo stato di cose.
Il nuovo sistema elettorale «ha reso ancora meno democratica la scelta dei parlamentari attraverso l’abolizione del voto di preferenza, che ha premiato i più servili nei confronti del “capo” del partito ai danni dei più competenti». Di conseguenza, «ha notevolmente peggiorato la qualità del ceto politico, tanto nel Parlamento quanto negli enti locali, dove il tasso di competenza è disastrosamente calato». Ancora: «Non ha affatto contrastato la tendenza alla corruzione politica, anzi ne ha aumentato la propensione». Eppure, nonostante l’evidenza di questi processi degenerativi, continua Giannuli, «la cultura politica anti-partito e maggioritaria resiste con l’appoggio dei mass media e per l’ossessiva ripetizione dei consueti luoghi comuni da parte della classe politica (in particolare del Pd, principale promotore delle riforme-truffa di questi anni)». Queste tendenze «ulteriormente peggiorative della situazione», avverte Giannuli, «non sono state affatto contrastate dall’immaginario di una “società civile” in grado di produrre linea politica e classe dirigente senza la mediazione partitica». La politica, piaccia o no, è uno specialità a sé, «che non si impara sui banchi di scuola». Un consiglio? «Bisogna contrastare la tendenza a costituirsi in “Casta degli esperti”».
Quanto poi all’idea che la politica “nobile” dei partiti si possa sostituire con la “forma lista elettorale”, magari composta da una confederazione di associazioni, movimenti, gruppi e gruppetti, Giannuli osserva che «nulla ci garantisce che gli stessi vizi dei partiti (verticismo, corruzione, tesseramenti truccati, falsi bilanci) non possano caratterizzare anche il mitico associazionismo dei cittadini». Nessuna garanzia neppure sul fatto che «la formazione del gruppo dirigente e dei gruppi parlamentari sia più democratica di quello che accade nei partiti». Con tutta la buona volontà, insiste Giannuli, «le confederazioni più o meno precarie e momentanee di gruppi non producono nessuna classe dirigente», e quindi «non sono in grado di produrre una linea politica organica». Riguardo alla “Mossa del Cavallo”, «l’importante è che si tratti di un soggetto organizzato permanente, con cariche tutte realmente elettive (e non solo per finta), che decida la linea politica dopo un approfondito esame dei temi (studiare, torniamo a studiare!) e una conseguente discussione di base, che non si limiti ad esistere solo in occasione delle elezioni, e nell’intervallo fra una tornata e l’altra». Obiettivo: formare una vera classe dirigente collegiale. Quanto alle elezioni 2018 «io salterei questo turno», chiosa Guiannuli, perché «la presenza elettorale non si può inventare ma deve far leva su un lavoro precedente».
Secondo Giannuli, i rischi di un clamoroso insuccesso sono elevatissimi: in una manciata di settimane (e la cosa cambia molto poco, se si vota a maggio) bisognerebbe completare le liste e raccogliere le firme, stavolta collegio per collegio: e se non si raggiunge il minimo richiesto, in quei collegi la lista “salta” anche per il proporzionale. «Siccome è inevitabile che un certo numero di collegi saltino, questo significa che la clausola di sbarramento reale non è più del 3% ma del 3,5%-4% in proporzione ai collegi saltati». Per di più, aggiunge Giannuli, «bisognerebbe far conoscere un simbolo e una sigla nuovi in poco tempo, senza una struttura organizzata, senza soldi e sotto il fuoco della lista di sinistra che accuserebbe il nuovo venuto di essere una lista di disturbo per sabotare il suo 3%. Insomma – conclude l’analista – il rischio è di prendere meno dell’1%. E, se questo fosse il risultato, si squaglierebbe anche il progetto di movimento organizzato di base che è il motivo di maggiore interesse del tentativo».
Inoltre, continua Giannuli, «temo che i rischi di verticismo rimproverati agli altri si verificherebbe anche in questo caso: stabilito che puoi scegliere i candidati solo se sai quali sono i collegi e le circoscrizioni e che questo non avverrà prima del 15-20 dicembre, questo significa andare al 7 gennaio per indire una qualche consultazione di base (non importa se su supporto cartaceo o web) che dovrebbe avvenire in pochissimo tempo, perché poi occorre raccogliere le firme». Quindi, di fatto, sarebbe «una scelta senza nessun reale confronto: tanto vale, scegliamo i candidati con il sorteggio». Insiste Giannuli: «Le liste saranno fatte da un improbabile gruppo dirigente nazionale più o meno lottizzato e, diciamocelo, se i soggetti della lottizzazione si chiamano “Possibile” o “Si” o, invece, Associazione Pinco Pallo o gruppo pacifista di Vattelapesca, che differenza fa?». Infine, si domanda il politologo, «siamo sicuri che sostituire la “forma partito” con la “forma lista elettorale” sia una cosa democraticamente preferibile? Al solito, che garanzia abbiamo che l’ennesima armata Brancaleone (ricordate Nuova Sinistra Unita, la Sinistra Arcobaleno, la Lista Tsipras, eccetera), anche avendo successo, non si sciolgano già il giorno dopo il voto, con ciascuno per proprio conto?».
Ha le idee chiare, Giannuli, su questo punto: «Noi non abbiamo bisogno di improbabili cartelli elettorali o federazioni di gruppi e gruppetti, pronte a sciogliersi in un battito di ciglia, ma di un soggetto politico solido, permanente, dotato di un minimo di coerenza politica. Un partito? Sì, perché la rappresentanza si fonda sui partiti». E quindi, «piantiamola con i le solite paturnie spontaneiste che ritengono la forma partito una cosa superata, burocratica e improponibile nel terzo millennio». Certo, i partiti che abbiamo conosciuto «sono abbondantemente degenerati sia dal punto di vista burocratico che da quello morale e già dai tempi della Prima Repubblica e i referendum del 1993, insieme a Mani Pulite, furono la rivolta contro questo stato di cose». Ma una rivolta che, «pur giustissima nelle motivazioni», di fatto «era molto mal indirizzata nei fini: colpire la legge proporzionale per colpire i partiti, non solo non apportava vantaggi sul piano della democrazia, ma peggiorava sensibilmente la situazione, come il quarto di secolo successivo ha abbondantemente dimostrato». Mancarono le riforme necessarie: «I partiti andavano regolamentati per legge e sottoposti alla giurisdizione ordinaria, mentre l’abbaglio del sistema maggioritario (che creava l’illusione che l’elettore scegliesse direttamente chi governa) ebbe una serie di conseguenze catastrofiche che sono sotto gli occhi di tutti».
La cosiddetta Seconda Repubblica «ha delegittimato il Parlamento, facendone solo la cassa di risonanza e il ratificatore delle decisioni del governo che diventava il vero centro dei sistema politico». Il nuovo sistema «ha prodotto una poco auspicabile tendenza alla personalizzazione della lotta politica, nella quale i contenuti di linea passavano in secondo piano, sino a scomparire del tutto». Inoltre, ha reso molto più costosa l’attività politica, «dovendosi per forza far leva sui mass media e a pagamento, per sopperire alla sempre più ridotta rete di terminali organizzativi dei partiti sul territorio». Di conseguenza, tutto questo «ha spianato la strada ai grandi poteri finanziari (Berlusconi prima, ma dopo anche i gruppi di sostegno al Pd) nella conquista dei “partiti” maggiori». Il nuovo assetto «ha ridotto drasticamente la democrazia interna ai soggetti politici, che assumevano la forma di ristretti gruppi dirigenti autoreferenziali», gruppi sostanzialmente «sorretti da una rete di meri comitati elettorali che non avevano nessuna reale incidenza nella scelta dei gruppi dirigenti e della linea politica». Né la discutibile scelta delle “primarie all’italiana” è valsa a modificare questo stato di cose.
Il nuovo sistema elettorale «ha reso ancora meno democratica la scelta dei parlamentari attraverso l’abolizione del voto di preferenza, che ha premiato i più servili nei confronti del “capo” del partito ai danni dei più competenti». Di conseguenza, «ha notevolmente peggiorato la qualità del ceto politico, tanto nel Parlamento quanto negli enti locali, dove il tasso di competenza è disastrosamente calato». Ancora: «Non ha affatto contrastato la tendenza alla corruzione politica, anzi ne ha aumentato la propensione». Eppure, nonostante l’evidenza di questi processi degenerativi, continua Giannuli, «la cultura politica anti-partito e maggioritaria resiste con l’appoggio dei mass media e per l’ossessiva ripetizione dei consueti luoghi comuni da parte della classe politica (in particolare del Pd, principale promotore delle riforme-truffa di questi anni)». Queste tendenze «ulteriormente peggiorative della situazione», avverte Giannuli, «non sono state affatto contrastate dall’immaginario di una “società civile” in grado di produrre linea politica e classe dirigente senza la mediazione partitica». La politica, piaccia o no, è uno specialità a sé, «che non si impara sui banchi di scuola». Un consiglio? «Bisogna contrastare la tendenza a costituirsi in “Casta degli esperti”».
Quanto poi all’idea che la politica “nobile” dei partiti si possa sostituire con la “forma lista elettorale”, magari composta da una confederazione di associazioni, movimenti, gruppi e gruppetti, Giannuli osserva che «nulla ci garantisce che gli stessi vizi dei partiti (verticismo, corruzione, tesseramenti truccati, falsi bilanci) non possano caratterizzare anche il mitico associazionismo dei cittadini». Nessuna garanzia neppure sul fatto che «la formazione del gruppo dirigente e dei gruppi parlamentari sia più democratica di quello che accade nei partiti». Con tutta la buona volontà, insiste Giannuli, «le confederazioni più o meno precarie e momentanee di gruppi non producono nessuna classe dirigente», e quindi «non sono in grado di produrre una linea politica organica». Riguardo alla “Mossa del Cavallo”, «l’importante è che si tratti di un soggetto organizzato permanente, con cariche tutte realmente elettive (e non solo per finta), che decida la linea politica dopo un approfondito esame dei temi (studiare, torniamo a studiare!) e una conseguente discussione di base, che non si limiti ad esistere solo in occasione delle elezioni, e nell’intervallo fra una tornata e l’altra». Obiettivo: formare una vera classe dirigente collegiale. Quanto alle elezioni 2018 «io salterei questo turno», chiosa Giannuli, perché «la presenza elettorale non si può inventare ma deve far leva su un lavoro precedente».
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Giannuli: serve un partito, la Mossa del Cavallo rischia l’1%
Scritto il 21/11/17 • nella Categoria: idee
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«Le prossime elezioni politiche si svolgeranno in un contesto che non ha precedenti rispetto agli ultimi 70 anni. La deriva del paese è tale da poter affermare che l’Italia è ormai allo sfascio. Ecco perché occorre una “Mossa del Cavallo”». All’appello di Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa per una “Lista del Popolo” da mettere in campo alle prossime elezioni, per fermare il collasso del paese di fronte alla “caduta libera” dei tre blocchi in apparenza contrapposti – centrodestra, centrosinistra e 5 Stelle – il politologo Aldo Giannuli frena: bene l’idea di mobilitare forze democratiche, ma è meglio evitare di candidarsi nel 2018. «Non saremo mai un partito», assicurano Ingroia e Chiesa? Male, replica Giannuli: è proprio di un partito che ci sarebbe bisogno, organizzato in modo trasparente e democratico, evitando il rischio dell’ennesima Armata Brancaleone pronta a sciogliersi e frantumarsi già all’indomani del voto, magari dopo aver racimolato un bottino elettorale irrisorio. Giannuli, saggista e storico dell’ateneo milanese, apprezza l’impegno di partenza: tenere aggregati i movimenti che lavorarono per il “no” al referendum del 4 dicembre scorso sulla Costituzione. «Mi sembra condivisibile l’idea di una fondazione dal basso del movimento mobilitando la base che fu determinante per la vittoria del “no”», scrive, sul suo blog. Ma aggiunge: «Questa scelta di lista “last minute” mi sembra per più versi discutibile».
Secondo Giannuli, i rischi di un clamoroso insuccesso sono elevatissimi: in una manciata di settimane (e la cosa cambia molto poco, se si vota a maggio) bisognerebbe completare le liste e raccogliere le firme, stavolta collegio per collegio: e se non si raggiunge il minimo richiesto, in quei collegi la lista “salta” anche per il proporzionale. «Siccome è inevitabile che un certo numero di collegi saltino, questo significa che la clausola di sbarramento reale non è più del 3% ma del 3,5%-4% in proporzione ai collegi saltati». Per di più, aggiunge Giannuli, «bisognerebbe far conoscere un simbolo e una sigla nuovi in poco tempo, senza una struttura organizzata, senza soldi e sotto il fuoco della lista di sinistra che accuserebbe il nuovo venuto di essere una lista di disturbo per sabotare il suo 3%. Insomma – conclude l’analista – il rischio è di prendere meno dell’1%. E, se questo fosse il risultato, si squaglierebbe anche il progetto di movimento organizzato di base che è il motivo di maggiore interesse del tentativo».
Inoltre, continua Giannuli, «temo che i rischi di verticismo rimproverati agli altri si verificherebbe anche in questo caso: stabilito che puoi scegliere i candidati solo se sai quali sono i collegi e le circoscrizioni e che questo non avverrà prima del 15-20 dicembre, questo significa andare al 7 gennaio per indire una qualche consultazione di base (non importa se su supporto cartaceo o web) che dovrebbe avvenire in pochissimo tempo, perché poi occorre raccogliere le firme». Quindi, di fatto, sarebbe «una scelta senza nessun reale confronto: tanto vale, scegliamo i candidati con il sorteggio». Insiste Giannuli: «Le liste saranno fatte da un improbabile gruppo dirigente nazionale più o meno lottizzato e, diciamocelo, se i soggetti della lottizzazione si chiamano “Possibile” o “Si” o, invece, Associazione Pinco Pallo o gruppo pacifista di Vattelapesca, che differenza fa?». Infine, si domanda il politologo, «siamo sicuri che sostituire la “forma partito” con la “forma lista elettorale” sia una cosa democraticamente preferibile? Al solito, che garanzia abbiamo che l’ennesima armata Brancaleone (ricordate Nuova Sinistra Unita, la Sinistra Arcobaleno, la Lista Tsipras, eccetera), anche avendo successo, non si sciolgano già il giorno dopo il voto, con ciascuno per proprio conto?».
Ha le idee chiare, Giannuli, su questo punto: «Noi non abbiamo bisogno di improbabili cartelli elettorali o federazioni di gruppi e gruppetti, pronte a sciogliersi in un battito di ciglia, ma di un soggetto politico solido, permanente, dotato di un minimo di coerenza politica. Un partito? Sì, perché la rappresentanza si fonda sui partiti». E quindi, «piantiamola con i le solite paturnie spontaneiste che ritengono la forma partito una cosa superata, burocratica e improponibile nel terzo millennio». Certo, i partiti che abbiamo conosciuto «sono abbondantemente degenerati sia dal punto di vista burocratico che da quello morale e già dai tempi della Prima Repubblica e i referendum del 1993, insieme a Mani Pulite, furono la rivolta contro questo stato di cose». Ma una rivolta che, «pur giustissima nelle motivazioni», di fatto «era molto mal indirizzata nei fini: colpire la legge proporzionale per colpire i partiti, non solo non apportava vantaggi sul piano della democrazia, ma peggiorava sensibilmente la situazione, come il quarto di secolo successivo ha abbondantemente dimostrato». Mancarono le riforme necessarie: «I partiti andavano regolamentati per legge e sottoposti alla giurisdizione ordinaria, mentre l’abbaglio del sistema maggioritario (che creava l’illusione che l’elettore scegliesse direttamente chi governa) ebbe una serie di conseguenze catastrofiche che sono sotto gli occhi di tutti».
La cosiddetta Seconda Repubblica «ha delegittimato il Parlamento, facendone solo la cassa di risonanza e il ratificatore delle decisioni del governo che diventava il vero centro dei sistema politico». Il nuovo sistema «ha prodotto una poco auspicabile tendenza alla personalizzazione della lotta politica, nella quale i contenuti di linea passavano in secondo piano, sino a scomparire del tutto». Inoltre, ha reso molto più costosa l’attività politica, «dovendosi per forza far leva sui mass media e a pagamento, per sopperire alla sempre più ridotta rete di terminali organizzativi dei partiti sul territorio». Di conseguenza, tutto questo «ha spianato la strada ai grandi poteri finanziari (Berlusconi prima, ma dopo anche i gruppi di sostegno al Pd) nella conquista dei “partiti” maggiori». Il nuovo assetto «ha ridotto drasticamente la democrazia interna ai soggetti politici, che assumevano la forma di ristretti gruppi dirigenti autoreferenziali», gruppi sostanzialmente «sorretti da una rete di meri comitati elettorali che non avevano nessuna reale incidenza nella scelta dei gruppi dirigenti e della linea politica». Né la discutibile scelta delle “primarie all’italiana” è valsa a modificare questo stato di cose.
Il nuovo sistema elettorale «ha reso ancora meno democratica la scelta dei parlamentari attraverso l’abolizione del voto di preferenza, che ha premiato i più servili nei confronti del “capo” del partito ai danni dei più competenti». Di conseguenza, «ha notevolmente peggiorato la qualità del ceto politico, tanto nel Parlamento quanto negli enti locali, dove il tasso di competenza è disastrosamente calato». Ancora: «Non ha affatto contrastato la tendenza alla corruzione politica, anzi ne ha aumentato la propensione». Eppure, nonostante l’evidenza di questi processi degenerativi, continua Giannuli, «la cultura politica anti-partito e maggioritaria resiste con l’appoggio dei mass media e per l’ossessiva ripetizione dei consueti luoghi comuni da parte della classe politica (in particolare del Pd, principale promotore delle riforme-truffa di questi anni)». Queste tendenze «ulteriormente peggiorative della situazione», avverte Giannuli, «non sono state affatto contrastate dall’immaginario di una “società civile” in grado di produrre linea politica e classe dirigente senza la mediazione partitica». La politica, piaccia o no, è uno specialità a sé, «che non si impara sui banchi di scuola». Un consiglio? «Bisogna contrastare la tendenza a costituirsi in “Casta degli esperti”».
Quanto poi all’idea che la politica “nobile” dei partiti si possa sostituire con la “forma lista elettorale”, magari composta da una confederazione di associazioni, movimenti, gruppi e gruppetti, Giannuli osserva che «nulla ci garantisce che gli stessi vizi dei partiti (verticismo, corruzione, tesseramenti truccati, falsi bilanci) non possano caratterizzare anche il mitico associazionismo dei cittadini». Nessuna garanzia neppure sul fatto che «la formazione del gruppo dirigente e dei gruppi parlamentari sia più democratica di quello che accade nei partiti». Con tutta la buona volontà, insiste Giannuli, «le confederazioni più o meno precarie e momentanee di gruppi non producono nessuna classe dirigente», e quindi «non sono in grado di produrre una linea politica organica». Riguardo alla “Mossa del Cavallo”, «l’importante è che si tratti di un soggetto organizzato permanente, con cariche tutte realmente elettive (e non solo per finta), che decida la linea politica dopo un approfondito esame dei temi (studiare, torniamo a studiare!) e una conseguente discussione di base, che non si limiti ad esistere solo in occasione delle elezioni, e nell’intervallo fra una tornata e l’altra». Obiettivo: formare una vera classe dirigente collegiale. Quanto alle elezioni 2018 «io salterei questo turno», chiosa Guiannuli, perché «la presenza elettorale non si può inventare ma deve far leva su un lavoro precedente».
Secondo Giannuli, i rischi di un clamoroso insuccesso sono elevatissimi: in una manciata di settimane (e la cosa cambia molto poco, se si vota a maggio) bisognerebbe completare le liste e raccogliere le firme, stavolta collegio per collegio: e se non si raggiunge il minimo richiesto, in quei collegi la lista “salta” anche per il proporzionale. «Siccome è inevitabile che un certo numero di collegi saltino, questo significa che la clausola di sbarramento reale non è più del 3% ma del 3,5%-4% in proporzione ai collegi saltati». Per di più, aggiunge Giannuli, «bisognerebbe far conoscere un simbolo e una sigla nuovi in poco tempo, senza una struttura organizzata, senza soldi e sotto il fuoco della lista di sinistra che accuserebbe il nuovo venuto di essere una lista di disturbo per sabotare il suo 3%. Insomma – conclude l’analista – il rischio è di prendere meno dell’1%. E, se questo fosse il risultato, si squaglierebbe anche il progetto di movimento organizzato di base che è il motivo di maggiore interesse del tentativo».
Inoltre, continua Giannuli, «temo che i rischi di verticismo rimproverati agli altri si verificherebbe anche in questo caso: stabilito che puoi scegliere i candidati solo se sai quali sono i collegi e le circoscrizioni e che questo non avverrà prima del 15-20 dicembre, questo significa andare al 7 gennaio per indire una qualche consultazione di base (non importa se su supporto cartaceo o web) che dovrebbe avvenire in pochissimo tempo, perché poi occorre raccogliere le firme». Quindi, di fatto, sarebbe «una scelta senza nessun reale confronto: tanto vale, scegliamo i candidati con il sorteggio». Insiste Giannuli: «Le liste saranno fatte da un improbabile gruppo dirigente nazionale più o meno lottizzato e, diciamocelo, se i soggetti della lottizzazione si chiamano “Possibile” o “Si” o, invece, Associazione Pinco Pallo o gruppo pacifista di Vattelapesca, che differenza fa?». Infine, si domanda il politologo, «siamo sicuri che sostituire la “forma partito” con la “forma lista elettorale” sia una cosa democraticamente preferibile? Al solito, che garanzia abbiamo che l’ennesima armata Brancaleone (ricordate Nuova Sinistra Unita, la Sinistra Arcobaleno, la Lista Tsipras, eccetera), anche avendo successo, non si sciolgano già il giorno dopo il voto, con ciascuno per proprio conto?».
Ha le idee chiare, Giannuli, su questo punto: «Noi non abbiamo bisogno di improbabili cartelli elettorali o federazioni di gruppi e gruppetti, pronte a sciogliersi in un battito di ciglia, ma di un soggetto politico solido, permanente, dotato di un minimo di coerenza politica. Un partito? Sì, perché la rappresentanza si fonda sui partiti». E quindi, «piantiamola con i le solite paturnie spontaneiste che ritengono la forma partito una cosa superata, burocratica e improponibile nel terzo millennio». Certo, i partiti che abbiamo conosciuto «sono abbondantemente degenerati sia dal punto di vista burocratico che da quello morale e già dai tempi della Prima Repubblica e i referendum del 1993, insieme a Mani Pulite, furono la rivolta contro questo stato di cose». Ma una rivolta che, «pur giustissima nelle motivazioni», di fatto «era molto mal indirizzata nei fini: colpire la legge proporzionale per colpire i partiti, non solo non apportava vantaggi sul piano della democrazia, ma peggiorava sensibilmente la situazione, come il quarto di secolo successivo ha abbondantemente dimostrato». Mancarono le riforme necessarie: «I partiti andavano regolamentati per legge e sottoposti alla giurisdizione ordinaria, mentre l’abbaglio del sistema maggioritario (che creava l’illusione che l’elettore scegliesse direttamente chi governa) ebbe una serie di conseguenze catastrofiche che sono sotto gli occhi di tutti».
La cosiddetta Seconda Repubblica «ha delegittimato il Parlamento, facendone solo la cassa di risonanza e il ratificatore delle decisioni del governo che diventava il vero centro dei sistema politico». Il nuovo sistema «ha prodotto una poco auspicabile tendenza alla personalizzazione della lotta politica, nella quale i contenuti di linea passavano in secondo piano, sino a scomparire del tutto». Inoltre, ha reso molto più costosa l’attività politica, «dovendosi per forza far leva sui mass media e a pagamento, per sopperire alla sempre più ridotta rete di terminali organizzativi dei partiti sul territorio». Di conseguenza, tutto questo «ha spianato la strada ai grandi poteri finanziari (Berlusconi prima, ma dopo anche i gruppi di sostegno al Pd) nella conquista dei “partiti” maggiori». Il nuovo assetto «ha ridotto drasticamente la democrazia interna ai soggetti politici, che assumevano la forma di ristretti gruppi dirigenti autoreferenziali», gruppi sostanzialmente «sorretti da una rete di meri comitati elettorali che non avevano nessuna reale incidenza nella scelta dei gruppi dirigenti e della linea politica». Né la discutibile scelta delle “primarie all’italiana” è valsa a modificare questo stato di cose.
Il nuovo sistema elettorale «ha reso ancora meno democratica la scelta dei parlamentari attraverso l’abolizione del voto di preferenza, che ha premiato i più servili nei confronti del “capo” del partito ai danni dei più competenti». Di conseguenza, «ha notevolmente peggiorato la qualità del ceto politico, tanto nel Parlamento quanto negli enti locali, dove il tasso di competenza è disastrosamente calato». Ancora: «Non ha affatto contrastato la tendenza alla corruzione politica, anzi ne ha aumentato la propensione». Eppure, nonostante l’evidenza di questi processi degenerativi, continua Giannuli, «la cultura politica anti-partito e maggioritaria resiste con l’appoggio dei mass media e per l’ossessiva ripetizione dei consueti luoghi comuni da parte della classe politica (in particolare del Pd, principale promotore delle riforme-truffa di questi anni)». Queste tendenze «ulteriormente peggiorative della situazione», avverte Giannuli, «non sono state affatto contrastate dall’immaginario di una “società civile” in grado di produrre linea politica e classe dirigente senza la mediazione partitica». La politica, piaccia o no, è uno specialità a sé, «che non si impara sui banchi di scuola». Un consiglio? «Bisogna contrastare la tendenza a costituirsi in “Casta degli esperti”».
Quanto poi all’idea che la politica “nobile” dei partiti si possa sostituire con la “forma lista elettorale”, magari composta da una confederazione di associazioni, movimenti, gruppi e gruppetti, Giannuli osserva che «nulla ci garantisce che gli stessi vizi dei partiti (verticismo, corruzione, tesseramenti truccati, falsi bilanci) non possano caratterizzare anche il mitico associazionismo dei cittadini». Nessuna garanzia neppure sul fatto che «la formazione del gruppo dirigente e dei gruppi parlamentari sia più democratica di quello che accade nei partiti». Con tutta la buona volontà, insiste Giannuli, «le confederazioni più o meno precarie e momentanee di gruppi non producono nessuna classe dirigente», e quindi «non sono in grado di produrre una linea politica organica». Riguardo alla “Mossa del Cavallo”, «l’importante è che si tratti di un soggetto organizzato permanente, con cariche tutte realmente elettive (e non solo per finta), che decida la linea politica dopo un approfondito esame dei temi (studiare, torniamo a studiare!) e una conseguente discussione di base, che non si limiti ad esistere solo in occasione delle elezioni, e nell’intervallo fra una tornata e l’altra». Obiettivo: formare una vera classe dirigente collegiale. Quanto alle elezioni 2018 «io salterei questo turno», chiosa Giannuli, perché «la presenza elettorale non si può inventare ma deve far leva su un lavoro precedente».
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Re: Diario della caduta di un regime.
10 ++++UncleTom ha scritto:LIBRE news
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Giannuli: serve un partito, la Mossa del Cavallo rischia l’1%
Scritto il 21/11/17 • nella Categoria: idee
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«Le prossime elezioni politiche si svolgeranno in un contesto che non ha precedenti rispetto agli ultimi 70 anni. La deriva del paese è tale da poter affermare che l’Italia è ormai allo sfascio. Ecco perché occorre una “Mossa del Cavallo”». All’appello di Antonio Ingroia e Giulietto Chiesa per una “Lista del Popolo” da mettere in campo alle prossime elezioni, per fermare il collasso del paese di fronte alla “caduta libera” dei tre blocchi in apparenza contrapposti – centrodestra, centrosinistra e 5 Stelle – il politologo Aldo Giannuli frena: bene l’idea di mobilitare forze democratiche, ma è meglio evitare di candidarsi nel 2018. «Non saremo mai un partito», assicurano Ingroia e Chiesa? Male, replica Giannuli: è proprio di un partito che ci sarebbe bisogno, organizzato in modo trasparente e democratico, evitando il rischio dell’ennesima Armata Brancaleone pronta a sciogliersi e frantumarsi già all’indomani del voto, magari dopo aver racimolato un bottino elettorale irrisorio. Giannuli, saggista e storico dell’ateneo milanese, apprezza l’impegno di partenza: tenere aggregati i movimenti che lavorarono per il “no” al referendum del 4 dicembre scorso sulla Costituzione. «Mi sembra condivisibile l’idea di una fondazione dal basso del movimento mobilitando la base che fu determinante per la vittoria del “no”», scrive, sul suo blog. Ma aggiunge: «Questa scelta di lista “last minute” mi sembra per più versi discutibile».
Secondo Giannuli, i rischi di un clamoroso insuccesso sono elevatissimi: in una manciata di settimane (e la cosa cambia molto poco, se si vota a maggio) bisognerebbe completare le liste e raccogliere le firme, stavolta collegio per collegio: e se non si raggiunge il minimo richiesto, in quei collegi la lista “salta” anche per il proporzionale. «Siccome è inevitabile che un certo numero di collegi saltino, questo significa che la clausola di sbarramento reale non è più del 3% ma del 3,5%-4% in proporzione ai collegi saltati». Per di più, aggiunge Giannuli, «bisognerebbe far conoscere un simbolo e una sigla nuovi in poco tempo, senza una struttura organizzata, senza soldi e sotto il fuoco della lista di sinistra che accuserebbe il nuovo venuto di essere una lista di disturbo per sabotare il suo 3%. Insomma – conclude l’analista – il rischio è di prendere meno dell’1%. E, se questo fosse il risultato, si squaglierebbe anche il progetto di movimento organizzato di base che è il motivo di maggiore interesse del tentativo».
Inoltre, continua Giannuli, «temo che i rischi di verticismo rimproverati agli altri si verificherebbe anche in questo caso: stabilito che puoi scegliere i candidati solo se sai quali sono i collegi e le circoscrizioni e che questo non avverrà prima del 15-20 dicembre, questo significa andare al 7 gennaio per indire una qualche consultazione di base (non importa se su supporto cartaceo o web) che dovrebbe avvenire in pochissimo tempo, perché poi occorre raccogliere le firme». Quindi, di fatto, sarebbe «una scelta senza nessun reale confronto: tanto vale, scegliamo i candidati con il sorteggio». Insiste Giannuli: «Le liste saranno fatte da un improbabile gruppo dirigente nazionale più o meno lottizzato e, diciamocelo, se i soggetti della lottizzazione si chiamano “Possibile” o “Si” o, invece, Associazione Pinco Pallo o gruppo pacifista di Vattelapesca, che differenza fa?». Infine, si domanda il politologo, «siamo sicuri che sostituire la “forma partito” con la “forma lista elettorale” sia una cosa democraticamente preferibile? Al solito, che garanzia abbiamo che l’ennesima armata Brancaleone (ricordate Nuova Sinistra Unita, la Sinistra Arcobaleno, la Lista Tsipras, eccetera), anche avendo successo, non si sciolgano già il giorno dopo il voto, con ciascuno per proprio conto?».
Ha le idee chiare, Giannuli, su questo punto: «Noi non abbiamo bisogno di improbabili cartelli elettorali o federazioni di gruppi e gruppetti, pronte a sciogliersi in un battito di ciglia, ma di un soggetto politico solido, permanente, dotato di un minimo di coerenza politica. Un partito? Sì, perché la rappresentanza si fonda sui partiti». E quindi, «piantiamola con i le solite paturnie spontaneiste che ritengono la forma partito una cosa superata, burocratica e improponibile nel terzo millennio». Certo, i partiti che abbiamo conosciuto «sono abbondantemente degenerati sia dal punto di vista burocratico che da quello morale e già dai tempi della Prima Repubblica e i referendum del 1993, insieme a Mani Pulite, furono la rivolta contro questo stato di cose». Ma una rivolta che, «pur giustissima nelle motivazioni», di fatto «era molto mal indirizzata nei fini: colpire la legge proporzionale per colpire i partiti, non solo non apportava vantaggi sul piano della democrazia, ma peggiorava sensibilmente la situazione, come il quarto di secolo successivo ha abbondantemente dimostrato». Mancarono le riforme necessarie: «I partiti andavano regolamentati per legge e sottoposti alla giurisdizione ordinaria, mentre l’abbaglio del sistema maggioritario (che creava l’illusione che l’elettore scegliesse direttamente chi governa) ebbe una serie di conseguenze catastrofiche che sono sotto gli occhi di tutti».
La cosiddetta Seconda Repubblica «ha delegittimato il Parlamento, facendone solo la cassa di risonanza e il ratificatore delle decisioni del governo che diventava il vero centro dei sistema politico». Il nuovo sistema «ha prodotto una poco auspicabile tendenza alla personalizzazione della lotta politica, nella quale i contenuti di linea passavano in secondo piano, sino a scomparire del tutto». Inoltre, ha reso molto più costosa l’attività politica, «dovendosi per forza far leva sui mass media e a pagamento, per sopperire alla sempre più ridotta rete di terminali organizzativi dei partiti sul territorio». Di conseguenza, tutto questo «ha spianato la strada ai grandi poteri finanziari (Berlusconi prima, ma dopo anche i gruppi di sostegno al Pd) nella conquista dei “partiti” maggiori». Il nuovo assetto «ha ridotto drasticamente la democrazia interna ai soggetti politici, che assumevano la forma di ristretti gruppi dirigenti autoreferenziali», gruppi sostanzialmente «sorretti da una rete di meri comitati elettorali che non avevano nessuna reale incidenza nella scelta dei gruppi dirigenti e della linea politica». Né la discutibile scelta delle “primarie all’italiana” è valsa a modificare questo stato di cose.
Il nuovo sistema elettorale «ha reso ancora meno democratica la scelta dei parlamentari attraverso l’abolizione del voto di preferenza, che ha premiato i più servili nei confronti del “capo” del partito ai danni dei più competenti». Di conseguenza, «ha notevolmente peggiorato la qualità del ceto politico, tanto nel Parlamento quanto negli enti locali, dove il tasso di competenza è disastrosamente calato». Ancora: «Non ha affatto contrastato la tendenza alla corruzione politica, anzi ne ha aumentato la propensione». Eppure, nonostante l’evidenza di questi processi degenerativi, continua Giannuli, «la cultura politica anti-partito e maggioritaria resiste con l’appoggio dei mass media e per l’ossessiva ripetizione dei consueti luoghi comuni da parte della classe politica (in particolare del Pd, principale promotore delle riforme-truffa di questi anni)». Queste tendenze «ulteriormente peggiorative della situazione», avverte Giannuli, «non sono state affatto contrastate dall’immaginario di una “società civile” in grado di produrre linea politica e classe dirigente senza la mediazione partitica». La politica, piaccia o no, è uno specialità a sé, «che non si impara sui banchi di scuola». Un consiglio? «Bisogna contrastare la tendenza a costituirsi in “Casta degli esperti”».
Quanto poi all’idea che la politica “nobile” dei partiti si possa sostituire con la “forma lista elettorale”, magari composta da una confederazione di associazioni, movimenti, gruppi e gruppetti, Giannuli osserva che «nulla ci garantisce che gli stessi vizi dei partiti (verticismo, corruzione, tesseramenti truccati, falsi bilanci) non possano caratterizzare anche il mitico associazionismo dei cittadini». Nessuna garanzia neppure sul fatto che «la formazione del gruppo dirigente e dei gruppi parlamentari sia più democratica di quello che accade nei partiti». Con tutta la buona volontà, insiste Giannuli, «le confederazioni più o meno precarie e momentanee di gruppi non producono nessuna classe dirigente», e quindi «non sono in grado di produrre una linea politica organica». Riguardo alla “Mossa del Cavallo”, «l’importante è che si tratti di un soggetto organizzato permanente, con cariche tutte realmente elettive (e non solo per finta), che decida la linea politica dopo un approfondito esame dei temi (studiare, torniamo a studiare!) e una conseguente discussione di base, che non si limiti ad esistere solo in occasione delle elezioni, e nell’intervallo fra una tornata e l’altra». Obiettivo: formare una vera classe dirigente collegiale. Quanto alle elezioni 2018 «io salterei questo turno», chiosa Guiannuli, perché «la presenza elettorale non si può inventare ma deve far leva su un lavoro precedente».
Secondo Giannuli, i rischi di un clamoroso insuccesso sono elevatissimi: in una manciata di settimane (e la cosa cambia molto poco, se si vota a maggio) bisognerebbe completare le liste e raccogliere le firme, stavolta collegio per collegio: e se non si raggiunge il minimo richiesto, in quei collegi la lista “salta” anche per il proporzionale. «Siccome è inevitabile che un certo numero di collegi saltino, questo significa che la clausola di sbarramento reale non è più del 3% ma del 3,5%-4% in proporzione ai collegi saltati». Per di più, aggiunge Giannuli, «bisognerebbe far conoscere un simbolo e una sigla nuovi in poco tempo, senza una struttura organizzata, senza soldi e sotto il fuoco della lista di sinistra che accuserebbe il nuovo venuto di essere una lista di disturbo per sabotare il suo 3%. Insomma – conclude l’analista – il rischio è di prendere meno dell’1%. E, se questo fosse il risultato, si squaglierebbe anche il progetto di movimento organizzato di base che è il motivo di maggiore interesse del tentativo».
Inoltre, continua Giannuli, «temo che i rischi di verticismo rimproverati agli altri si verificherebbe anche in questo caso: stabilito che puoi scegliere i candidati solo se sai quali sono i collegi e le circoscrizioni e che questo non avverrà prima del 15-20 dicembre, questo significa andare al 7 gennaio per indire una qualche consultazione di base (non importa se su supporto cartaceo o web) che dovrebbe avvenire in pochissimo tempo, perché poi occorre raccogliere le firme». Quindi, di fatto, sarebbe «una scelta senza nessun reale confronto: tanto vale, scegliamo i candidati con il sorteggio». Insiste Giannuli: «Le liste saranno fatte da un improbabile gruppo dirigente nazionale più o meno lottizzato e, diciamocelo, se i soggetti della lottizzazione si chiamano “Possibile” o “Si” o, invece, Associazione Pinco Pallo o gruppo pacifista di Vattelapesca, che differenza fa?». Infine, si domanda il politologo, «siamo sicuri che sostituire la “forma partito” con la “forma lista elettorale” sia una cosa democraticamente preferibile? Al solito, che garanzia abbiamo che l’ennesima armata Brancaleone (ricordate Nuova Sinistra Unita, la Sinistra Arcobaleno, la Lista Tsipras, eccetera), anche avendo successo, non si sciolgano già il giorno dopo il voto, con ciascuno per proprio conto?».
Ha le idee chiare, Giannuli, su questo punto: «Noi non abbiamo bisogno di improbabili cartelli elettorali o federazioni di gruppi e gruppetti, pronte a sciogliersi in un battito di ciglia, ma di un soggetto politico solido, permanente, dotato di un minimo di coerenza politica. Un partito? Sì, perché la rappresentanza si fonda sui partiti». E quindi, «piantiamola con i le solite paturnie spontaneiste che ritengono la forma partito una cosa superata, burocratica e improponibile nel terzo millennio». Certo, i partiti che abbiamo conosciuto «sono abbondantemente degenerati sia dal punto di vista burocratico che da quello morale e già dai tempi della Prima Repubblica e i referendum del 1993, insieme a Mani Pulite, furono la rivolta contro questo stato di cose». Ma una rivolta che, «pur giustissima nelle motivazioni», di fatto «era molto mal indirizzata nei fini: colpire la legge proporzionale per colpire i partiti, non solo non apportava vantaggi sul piano della democrazia, ma peggiorava sensibilmente la situazione, come il quarto di secolo successivo ha abbondantemente dimostrato». Mancarono le riforme necessarie: «I partiti andavano regolamentati per legge e sottoposti alla giurisdizione ordinaria, mentre l’abbaglio del sistema maggioritario (che creava l’illusione che l’elettore scegliesse direttamente chi governa) ebbe una serie di conseguenze catastrofiche che sono sotto gli occhi di tutti».
La cosiddetta Seconda Repubblica «ha delegittimato il Parlamento, facendone solo la cassa di risonanza e il ratificatore delle decisioni del governo che diventava il vero centro dei sistema politico». Il nuovo sistema «ha prodotto una poco auspicabile tendenza alla personalizzazione della lotta politica, nella quale i contenuti di linea passavano in secondo piano, sino a scomparire del tutto». Inoltre, ha reso molto più costosa l’attività politica, «dovendosi per forza far leva sui mass media e a pagamento, per sopperire alla sempre più ridotta rete di terminali organizzativi dei partiti sul territorio». Di conseguenza, tutto questo «ha spianato la strada ai grandi poteri finanziari (Berlusconi prima, ma dopo anche i gruppi di sostegno al Pd) nella conquista dei “partiti” maggiori». Il nuovo assetto «ha ridotto drasticamente la democrazia interna ai soggetti politici, che assumevano la forma di ristretti gruppi dirigenti autoreferenziali», gruppi sostanzialmente «sorretti da una rete di meri comitati elettorali che non avevano nessuna reale incidenza nella scelta dei gruppi dirigenti e della linea politica». Né la discutibile scelta delle “primarie all’italiana” è valsa a modificare questo stato di cose.
Il nuovo sistema elettorale «ha reso ancora meno democratica la scelta dei parlamentari attraverso l’abolizione del voto di preferenza, che ha premiato i più servili nei confronti del “capo” del partito ai danni dei più competenti». Di conseguenza, «ha notevolmente peggiorato la qualità del ceto politico, tanto nel Parlamento quanto negli enti locali, dove il tasso di competenza è disastrosamente calato». Ancora: «Non ha affatto contrastato la tendenza alla corruzione politica, anzi ne ha aumentato la propensione». Eppure, nonostante l’evidenza di questi processi degenerativi, continua Giannuli, «la cultura politica anti-partito e maggioritaria resiste con l’appoggio dei mass media e per l’ossessiva ripetizione dei consueti luoghi comuni da parte della classe politica (in particolare del Pd, principale promotore delle riforme-truffa di questi anni)». Queste tendenze «ulteriormente peggiorative della situazione», avverte Giannuli, «non sono state affatto contrastate dall’immaginario di una “società civile” in grado di produrre linea politica e classe dirigente senza la mediazione partitica». La politica, piaccia o no, è uno specialità a sé, «che non si impara sui banchi di scuola». Un consiglio? «Bisogna contrastare la tendenza a costituirsi in “Casta degli esperti”».
Quanto poi all’idea che la politica “nobile” dei partiti si possa sostituire con la “forma lista elettorale”, magari composta da una confederazione di associazioni, movimenti, gruppi e gruppetti, Giannuli osserva che «nulla ci garantisce che gli stessi vizi dei partiti (verticismo, corruzione, tesseramenti truccati, falsi bilanci) non possano caratterizzare anche il mitico associazionismo dei cittadini». Nessuna garanzia neppure sul fatto che «la formazione del gruppo dirigente e dei gruppi parlamentari sia più democratica di quello che accade nei partiti». Con tutta la buona volontà, insiste Giannuli, «le confederazioni più o meno precarie e momentanee di gruppi non producono nessuna classe dirigente», e quindi «non sono in grado di produrre una linea politica organica». Riguardo alla “Mossa del Cavallo”, «l’importante è che si tratti di un soggetto organizzato permanente, con cariche tutte realmente elettive (e non solo per finta), che decida la linea politica dopo un approfondito esame dei temi (studiare, torniamo a studiare!) e una conseguente discussione di base, che non si limiti ad esistere solo in occasione delle elezioni, e nell’intervallo fra una tornata e l’altra». Obiettivo: formare una vera classe dirigente collegiale. Quanto alle elezioni 2018 «io salterei questo turno», chiosa Giannuli, perché «la presenza elettorale non si può inventare ma deve far leva su un lavoro precedente».
un salutone
Cercando l'impossibile, l'uomo ha sempre realizzato e conosciuto il possibile, e coloro che si sono saggiamente limitati a ciò che sembrava possibile non sono mai avanzati di un sol passo.(M.A.Bakunin)
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Re: Diario della caduta di un regime.
SPETTATORI DELLA DECOMPOSIZIONE DELLA REPUBBLICA-LA LUNGA AGONIA
La lotta politica per l’accaparramento delle poltrone del potere del quarto livello procede senza sosta.
Vecchio detto milanese: Chi vusa püsé la vaca l’è sua!
Chi vusa püsé la vaca l’è sua!
(la mucca è di chi urla di più.
Oppure: ha ragione chi urla di più)
In alcune zone agricole del profondo nord durante
le fiere zootecniche per la compravendita del
bestiame da stalla, i sensali (gli specialisti di questo
tipo di commercio), per assicurarsi la compravendita
delle mucche usano metodi di contrattazione non
precisamente ‘signorili’.
Gli attuali attori della politica italiana, per sopravvivere, si comportano come i sensali delle fiere zootecniche, dove al posto delle vacche ci stanno gli italiani.
Dal quotidiano della propaganda STRUMPTRUPPEN:
3 ore fa
0
"I grillini? Invidiosi e incapaci"
Anna Maria Greco
^^^^^^^^^^^
Berlusconi sui grillini: "Invidiosi e incapaci, odiano il ceto medio"
La ricetta del leader azzurro: «Niente tasse a chi assume i giovani. E l'Italia cresca del 2%»
Anna Maria Greco - Sab, 25/11/2017 - 08:36
commenta
Non solo «pericolosi», i 5 Stelle, ma anche «profondamente invidiosi» verso il ceto medio e nutriti dall'«odio per gli imprenditori».
Questi «eroi», a sua immagine e somiglianza, Silvio Berlusconi vuole portarli al governo e in Parlamento, perché il nuovo corso s'ispiri all'«etica del lavoro», alla «cultura del fare».
In un intervento telefonico alla Confederazione della piccola media impresa privata e poi in un'intervista al Tg5, il leader di Forza Italia attacca il M5s, «il grande pericolo, peggiore dei comunisti nel '94 ». Dice che, con il suo «programma delirante manderebbe in rovina il nostro Paese» e «distruggerebbe il ceto medio».
Alla Confapi si fa subito riconoscere, s'identifica con gli interlocutori («Io sono un imprenditore come voi. Noi crediamo nelle stesse cose»), come qualche giorno fa alla Federanziani, rivolgendosi ai suoi «coetanei» e archiviando il tabù dell'età. E al Tg5 il Cavaliere torna sull'istituzione di un ministero per la terza età, «per una delle vere emergenze del Paese, la condizione degli anziani, con 3 milioni che rinunciano alla cure». Ripete che bisogna portare a mille euro al mese le pensioni minime, per 13 mensilità. Parla anche delle «nostre mamme», le casalinghe che dovrebbero avere gratis assistenza sanitaria, cinema e altri servizi. Dei giovani, che «pagano gli effetti di una politica economica miope» e per i quali bisogna creare crescita e lavoro. «L'Italia - dice il Cav- deve tornare a crescere almeno del 2% l'anno. Ci riusciremo con introduzione della flat tax, lasciando più risorse a famiglie e imprese, tagliando tutte le tasse per chi assumerà giovani sotto i 30 anni, per 3 anni e ancora 3».
Gli imprenditori riuniti per i 70 anni della Confapi, il leader azzurro li incoraggia: «Voi svolgete una funzione fondamentale nel nostro Paese, non solo dal punto di vista economico ma anche da quello sociale e civile. L'impresa è il motore dell'economia, alla quale non bisogna creare ostacoli. Ma oggi in Italia fare l'imprenditore è diventato molto difficile e addirittura rischioso. Per questo sono ancora in campo, per inserire nella cosa pubblica la vostra cultura del fare, il credo nei risultati concreti e nell'etica del lavoro». Tutto quello, spiega poi il Cav, che i 5 Stelle non sono. «Li conosco bene, sono un genere senza ne arte né parte. L'87% non ha mai fatto una dichiarazione dei redditi, non ha né case né risparmi, nulla. Vivono solo dell'emolumento parlamentare». Quanto al loro programma, propone «tasse sulle case le più alte al mondo e un'imposta di successione al 45 per cento». Berlusconi vuole «evitare ad ogni costo che il Paese cada nelle loro mani» e chiede l'aiuto degli imprenditori, faccia opposta e operosa della società. «Vogliamo portare alla guida del Paese persone come voi, non lasciatemi da solo in questo sforzo». L'ex premier spiega che è necessario «un cambiamento radicale per realizzare uno Stato, una burocrazia e una giustizia all'altezza di nostre aspirazioni». La svolta sarà importante per la piccola e media impresa, «quella che incontra le maggiori difficoltà, i maggiori oneri e svantaggi competitivi: tasse soffocanti, burocrazia asfissiante, tempi risposta lunghissimi e una giustizia che non funziona e molto spesso è di parte».
A chi non vota, «per delusione, rabbia, rassegnazione», il Cav dice che «è necessario per interesse loro e dei loro figli». La proposta è quella di fare insieme «una vera e propria rivoluzione liberale, pacifica, ma non per questo meno radicale e profonda». Solo così, fermando il M5s, si avrà «sviluppo e benessere diffuso».
http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 67222.html
La lotta politica per l’accaparramento delle poltrone del potere del quarto livello procede senza sosta.
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(la mucca è di chi urla di più.
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In alcune zone agricole del profondo nord durante
le fiere zootecniche per la compravendita del
bestiame da stalla, i sensali (gli specialisti di questo
tipo di commercio), per assicurarsi la compravendita
delle mucche usano metodi di contrattazione non
precisamente ‘signorili’.
Gli attuali attori della politica italiana, per sopravvivere, si comportano come i sensali delle fiere zootecniche, dove al posto delle vacche ci stanno gli italiani.
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Berlusconi sui grillini: "Invidiosi e incapaci, odiano il ceto medio"
La ricetta del leader azzurro: «Niente tasse a chi assume i giovani. E l'Italia cresca del 2%»
Anna Maria Greco - Sab, 25/11/2017 - 08:36
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Non solo «pericolosi», i 5 Stelle, ma anche «profondamente invidiosi» verso il ceto medio e nutriti dall'«odio per gli imprenditori».
Questi «eroi», a sua immagine e somiglianza, Silvio Berlusconi vuole portarli al governo e in Parlamento, perché il nuovo corso s'ispiri all'«etica del lavoro», alla «cultura del fare».
In un intervento telefonico alla Confederazione della piccola media impresa privata e poi in un'intervista al Tg5, il leader di Forza Italia attacca il M5s, «il grande pericolo, peggiore dei comunisti nel '94 ». Dice che, con il suo «programma delirante manderebbe in rovina il nostro Paese» e «distruggerebbe il ceto medio».
Alla Confapi si fa subito riconoscere, s'identifica con gli interlocutori («Io sono un imprenditore come voi. Noi crediamo nelle stesse cose»), come qualche giorno fa alla Federanziani, rivolgendosi ai suoi «coetanei» e archiviando il tabù dell'età. E al Tg5 il Cavaliere torna sull'istituzione di un ministero per la terza età, «per una delle vere emergenze del Paese, la condizione degli anziani, con 3 milioni che rinunciano alla cure». Ripete che bisogna portare a mille euro al mese le pensioni minime, per 13 mensilità. Parla anche delle «nostre mamme», le casalinghe che dovrebbero avere gratis assistenza sanitaria, cinema e altri servizi. Dei giovani, che «pagano gli effetti di una politica economica miope» e per i quali bisogna creare crescita e lavoro. «L'Italia - dice il Cav- deve tornare a crescere almeno del 2% l'anno. Ci riusciremo con introduzione della flat tax, lasciando più risorse a famiglie e imprese, tagliando tutte le tasse per chi assumerà giovani sotto i 30 anni, per 3 anni e ancora 3».
Gli imprenditori riuniti per i 70 anni della Confapi, il leader azzurro li incoraggia: «Voi svolgete una funzione fondamentale nel nostro Paese, non solo dal punto di vista economico ma anche da quello sociale e civile. L'impresa è il motore dell'economia, alla quale non bisogna creare ostacoli. Ma oggi in Italia fare l'imprenditore è diventato molto difficile e addirittura rischioso. Per questo sono ancora in campo, per inserire nella cosa pubblica la vostra cultura del fare, il credo nei risultati concreti e nell'etica del lavoro». Tutto quello, spiega poi il Cav, che i 5 Stelle non sono. «Li conosco bene, sono un genere senza ne arte né parte. L'87% non ha mai fatto una dichiarazione dei redditi, non ha né case né risparmi, nulla. Vivono solo dell'emolumento parlamentare». Quanto al loro programma, propone «tasse sulle case le più alte al mondo e un'imposta di successione al 45 per cento». Berlusconi vuole «evitare ad ogni costo che il Paese cada nelle loro mani» e chiede l'aiuto degli imprenditori, faccia opposta e operosa della società. «Vogliamo portare alla guida del Paese persone come voi, non lasciatemi da solo in questo sforzo». L'ex premier spiega che è necessario «un cambiamento radicale per realizzare uno Stato, una burocrazia e una giustizia all'altezza di nostre aspirazioni». La svolta sarà importante per la piccola e media impresa, «quella che incontra le maggiori difficoltà, i maggiori oneri e svantaggi competitivi: tasse soffocanti, burocrazia asfissiante, tempi risposta lunghissimi e una giustizia che non funziona e molto spesso è di parte».
A chi non vota, «per delusione, rabbia, rassegnazione», il Cav dice che «è necessario per interesse loro e dei loro figli». La proposta è quella di fare insieme «una vera e propria rivoluzione liberale, pacifica, ma non per questo meno radicale e profonda». Solo così, fermando il M5s, si avrà «sviluppo e benessere diffuso».
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Re: Diario della caduta di un regime.
SPETTATORI DELLA DECOMPOSIZIONE DELLA REPUBBLICA-LA LUNGA AGONIA
Chi vusa püsé la vaca l’è sua!
Dall’Espresso (in abbonamento), domani in edicola:
PRIMA PAGINA Verso le elezioni
Per la prima volta senza finanziamento
pubblico. Con i social determinanti.
Nel voto del 2018 il paesaggio finale verso
una politica privatizzata e senza regole
Che campagna sarà
di MARCO DAMILANO
Chi paga e chi manipola, sono le due domande che attraversano sotterraneamente la vigilia elettorale
Italiana, mentre in superficie si discute e si litiga di coalizioni, alleanze, candidati premier.
Spettacoli scontati per l’elettore che ne ha già viste tante e che sa già come andrà a finire: con la nascita di schieramenti che si fingeranno uniti e indivisibili fino al giorno del voto, per poi separarsi il giorno dopo il voto.
CONTINUA
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pubblico. Con i social determinanti.
Nel voto del 2018 il paesaggio finale verso
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Che campagna sarà
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Italiana, mentre in superficie si discute e si litiga di coalizioni, alleanze, candidati premier.
Spettacoli scontati per l’elettore che ne ha già viste tante e che sa già come andrà a finire: con la nascita di schieramenti che si fingeranno uniti e indivisibili fino al giorno del voto, per poi separarsi il giorno dopo il voto.
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Re: Diario della caduta di un regime.
SPETTATORI DELLA DECOMPOSIZIONE DELLA REPUBBLICA-LA LUNGA AGONIA
25 nov 2017 19:03
AVETE ROTTO IL caXXo CON L'EMERGENZA FAKE NEWS
- ORA ARRIVA IL 'NEW YORK TIMES': ''LE ELEZIONI ITALIANE SARANNO CONDIZIONATE DAI TROLL''. L'ULTIMO ESEMPIO? UN MEME DI BOLDRINI E BOSCHI A UN INESISTENTE FUNERALE DI RIINA. IN REALTÀ ERANO A QUELLO DI EMMANUEL NAMDI, IL NIGERIANO MORTO CHE USARONO PER LA LORO AGENDA POLITICA IN BARBA AI FATTI
- LA VERA FAKE NEWS FU LA CRISI DELLO SPREAD CHE NEL 2011 FECE CADERE BERLUSCONI, GONFIATA DA TUTTO IL SISTEMA MEDIATICO ITALIANO. MA SECONDO I GIORNALONI NOI DOVREMMO TEMERE ''IOSTOCONPUTIN.INFO''
Vedi foto>>> http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 161631.htm
1. SE LA FOTO DI BOSCHI E BOLDRINI A UN INESISTENTE FUNERALE DI RIINA È UNA FAKE NEWS, LA CRISI DELLO SPREAD NEL 2011 COS'ERA?
DAGONOTA - Che palle co' st'emergenza fake news. L'ultimo grido di scandalo nasce da una foto di Maria Elena Boschi e Laura Boldrini al funerale di Totò Riina. Naturalmente, non solo nessun rappresentante delle istituzioni era presente al funerale, ma non c'è stato manco il funerale. Secondo ''Repubblica'' la foto è diventata ''virale'', in realtà a parte qualche demente che può abboccare a una cosa del genere, molti l'hanno rilanciata per ridere della faccenda. E' stata la stessa Boschi a dargli furbescamente visibilità, rilanciandola sui suoi profili social.
Ora vi poniamo una domanda semplice: sono più preoccupanti il sito ''Iostoconputin.info'' o il profilo Facebook di uno che pubblica immagini ridicole con l'intenzione di orientare il voto di poche migliaia di persone (che già odiano i politici in questione, per cui sai che orientamento), oppure un intero sistema editoriale che spaccia bufale per cambiare le sorti di un governo democraticamente eletto? No, perché questo è esattamente quello che è successo nel 2011, quando l'attacco dello spread ha ''costretto'' l'Italia a silurare Berlusconi e invocare l'intervento del pio Monti.
Negli anni successivi si è poi scoperto che l'emergenza sui conti non c'era (il debito pubblico è molto peggio adesso di allora), e protagonisti autorevolissimi di quei mesi come l'ex ministro del tesoro americano Tim Geithner hanno rivelato come tutta la tarantella fosse orchestrata dai governi europei stufi di avere a che fare con lo scopatore Silvio, fiaccato nella credibilità da un anno di inchieste sul bunga-bunga. Lo ribadisce oggi anche il sociologo Luca Ricolfi, numeri alla mano (vedi sotto).
Per carità, niente di inedito: da sempre i governi nascono, campano e vengono abbattuti per ragioni che poco hanno a che fare con gli interessi della Nazione o dei cittadini. Cadono perché gli alleati stranieri non li appoggiano più, la finanza non si fida, gli speculatori vogliono arricchirsi, gli sfidanti hanno fatto accordi con poteri più o meno forti ecc. ecc.
Riempire i giornali con lo spauracchio di Putin che scatena i suoi troll fa davvero sorridere rispetto alle mosse usate dagli stessi giornali per condizionare il consenso popolare.
PS: che poi, se proprio vogliamo essere dei rompipalle (e lo siamo), sapete dove fu scattata quella foto di Boschi e Boldrini? Ai funerali di Emmanuel Chidi Namdi, nigeriano ucciso a Fermo durante una rissa con Amedeo Mancini, che aveva chiamato ''scimmia africana'' la moglie mentre la coppia passeggiava per strada. Una partecipazione che fece notizia: non si era mai visto un ministro e la Presidente della Camera ai funerali di una persona morta in una rissa.
Era infatti emerso che la colluttazione era partita da Namdi, che aveva divelto un palo stradale per picchiare Mancini, e che era poi finito in coma sbattendo la nuca dopo essere caduto in seguito a un pugno.
Mancini ha patteggiato 4 anni per omicidio preterintenzionale (il reato più lieve che la procura potesse ipotizzare), e si è impegnato a non agire contro la vedova per calunnia (aveva detto il falso durante la ricostruzione dei fatti). Namdi secondo un'informativa della polizia poteva essere vicino alla mafia nigeriana, visto che un gruppo di uomini indossò i colori tipici dei famigerati Black Axe proprio durante le esequie cui avevano partecipato la terza carica dello Stato e l'allora ministra Boschi.
Insomma, in quel caso furono proprio le due prefiche a diffondere fake news, o quantomeno una ''narrazione'' che faceva comodo alle loro agende politiche, visto che usarono la morte di Namdi come un esempio di ''dilagante razzismo verso i migranti''. Vero, Mancini è razzista. Solo che le due storyteller hanno scelto la vittima sbagliata: Namdi non era un martire, ma un violento che ha reagito in maniera spropositata a una provocazione verbale, e la moglie aveva mentito alle autorità per scagionare il marito e dare tutta la colpa al fermano.
Ogni sabato sera in Italia c'è qualche ragazzo che finisce in ospedale o perde la vita perché si è scazzottato con qualcuno che gli aveva detto ''la tua ragazza è una mignotta'' o aveva palpato una sua amica in discoteca. Ma non ci pare di vedere la Boldrini che va di funerale in funerale a difendere la dignità delle donne o il coraggio degli uomini che difendono il loro onore. La morte di Namdi era un fatto di cronaca, che due cariche dello Stato hanno trasformato in strumento politico. Perché la post-verità è solo quella degli altri
2. COME TI COSTRUISCO UNA BUFALA ANCHE IL NYT SUONA L' ALLARME ITALIA
Carlo Brunelli per ''la Repubblica''
L' Italia sotto la morsa delle fake news? Lo denuncia il Pd. Lo nega il M5S, che ribalta l' accusa sul leader Pd.
Lo sostiene il New York Times in un' inchiesta pubblicata ieri sul proprio sito: «Come già successo negli USA, in Francia, in Germania e per la Brexit, anche in italia la tornata elettorale potrebbe essere falsata dalla propaganda incentrata sulla disinformazione».
Il caso è riesploso dopo la diffusione incontrollata sul web di una foto fake che ritraeva Maria Elena Boschi, Laura Boldrini e altri dem tutti insieme «al funerale di Riina».
Funerale che, nella realtà, non si è mai tenuto. Tantomeno con i suddetti ospiti dem.
Pubblicata mercoledì scorso, nelle successive 24 ore la foto è diventata virale. La foto con Boschi era in realtà stata scattata ai funerali di Emmanuel Chidi Namdi, ucciso a Fermo in un episodio di razzismo. La sottosegretaria denuncia il falso dai suoi profili social. Il fantomatico Mario De Luise, che l' ha postata su Facebook per primo, sparisce dal social. Eppure mercoledì sera la foto fake viene rilanciata dalla pagina Facebook Virus5Stelle.
Virus5Stelle è una delle migliaia di pagine non ufficiali che fanno propaganda per il Movimento. La pagina è gestita da Claudio Piersanti e Adriano Valente, già noto nel mondo dei debunker perché accusato di una fake news sulla Leopolda diffusa nel novembre 2016. I gestori del sito, contattati dal debunker David Puente, si dissociano spiegando che non si sono mai occupati di politica e non intendono farlo.
Ma l' editor di BuzzFeed Alberto Nardelli twitta i legami di Valente con i vertici del M5s: oltre alle foto del profilo in cui abbraccia Beppe Grillo, anche il tag in un post del vice-Presidente della Camera Luigi Di Maio. I legami tra Valente e il Movimento sono palesi, basta visitare il suo profilo e trovare in primo piano foto con Carla Ruocco e Luigi Di Maio. Valente smentisce però di aver postato la bufala. E spiega: «La pagina Virus 5 stelle è gestita da 6 ragazzi compreso io. La foto l' ha postata un ragazzo che tra l' altro non conosco e non io». Ma chi è Mario de Luise? Un profilo vero o un fake usa-e-getta da utilizzare per postare contenuti diffamatori?
Proprio della galassia dei siti che propalano fake news si occupa l' inchiesta del NYT.
Raccontando che Andrea Stroppa, ricercatore di Ghost Data e consulente di Renzi sulle cybersecurity, ha compilato un dossier nel quale si dimostra che la pagina ufficiale del movimento Noi con Salvini condivide lo stesso identificativo Google con diversi siti di disinformazione come IoStoConPutin.info, MondoLibero.org, ma soprattutto con una delle tante pagine non ufficiali di propaganda del Movimento 5 Stelle.
Il codice unico di Google permette di collegare tutti i siti allo stesso account pubblicitario, permettendo ad una sola persona di gestire tutti gli introiti. Google non ha voluto rivelare il nome del proprietario dell' account e ha cercato di calmare le acque sostenendo che a volte siti non collegati utilizzano lo stesso ID Google. Da Noi con Salvini dicono di non sapere di cosa si stia parlando. Luca Morisi, il digital philosopher di Matteo Salvini, non ha voluto commentare. Dal M5s spiegano che, essendo pagine create dai fan, non possono essere collegate al Movimento.
Non smentibili sono i bersagli delle campagne fake. Nelle foto di questi siti Renzi è un clown, oppure ha il naso di Pinocchio, la Meloni è Gollum, Berlusconi è truccato da donna. Poi c' è il filone Cecile Kyenge. Lei che, cattolica, avrebbe voluto abolire mercatini di Natale e presepi nelle scuole. Lei che, da ministro, avrebbe augurato attentati all' Italia. Lei che avrebbe assunto al ministero la figlia, che nella foto è la cantante Rihanna, con uno stipendio da 15.000 euro al mese.
La Presidente della Camera Laura Boldrini è stata vittima dello stesso tipo di campagna diffamatoria violenta, che ha toccato il suo apice nella diffusione della notizia che avesse fatto andare in pensione a 35 anni sua sorella minore, scomparsa prematuramente anni fa.
Ma i leader del Movimento cosa pensano di queste pagine che ogni giorno vomitano odio?
«Renzi lancia un appello anti fake news? Cominci da se stesso», dice il capogruppo M5S in Senato Giovanni Enrizzi.
Sostiene Nicola Biondo, ex responsabile della comunicazione grillina alla Camera dei Deputati e autore insieme a Marco Canestrari di Supernova: Com' è stato ucciso il MoVimento 5 Stelle: «Bisogna chiedersi se chi ha responsabilità politiche pubbliche può ammettere che nella propaganda del suo partito, gestita da professionisti, ci siano certi toni e certi atteggiamenti. Da anni la propaganda sul web è andata oltre».
Secondo le indiscrezioni del New York Times, Facebook sarebbe pronto a schierare una task force tutta italiana per vigilare sulla diffusione delle bufale sulla sua piattaforma.
3. PAROLA DI STUDIOSO DI SINISTRA: UNA BUFALA LO SPREAD DI SILVIO
Anna Maria Greco per ''il Giornale''
L'INTRUSO DI CANNES DAL FATTO QUOTIDIANO
È stato il «ciclo maniaco depressivo» dei mercati, insieme all' allarmismo delle Agenzie di rating, a dare il colpo di grazia all' Italia nel 2010-2011 e a pesare sulla caduta del governo Berlusconi, per far posto a quello di Monti.
Si scatenò il panico, che portò a scommettere contro l' Italia, ma tutto poteva andare diversamente.
Il sociologo Luca Ricolfi spiega, alla convention azzurra di Milano «Idee per l' Italia», che allora nel nostro Paese c' era un miglioramento, dimostrato dall' indice VS (Vulnerabilità Strutturale) elaborato 3 anni fa dalla Fondazione David Hume.
Un nuovo strumento per misurare la vulnerabilità dei conti pubblici che, contrariamente agli altri, è «non politico, non arbitrario, non soggettivo», perché ricostruisce tra economia e psicologia, il funzionamento della «mente del mercato».
«Sono di sinistra e non ho alcun interesse a difendere il governo Berlusconi - spiega Ricolfi -, ho solo fatto una ricerca attendibile e i dati che sono venuti fuori dicono questo. Non c' è dubbio che a livello europeo in quegli anni ci sia stata una volontà politica di far fuori il governo di centrodestra e certo hanno contribuito i mercati, simili a pazienti ciclotimici, che dopo un allarme diventano iperagitati e le tre sorelle americane Standard&Poors, Moody' s e Fitch, che alzano o abbassano il rating di un Paese in modo arbitrario, senza trasparenza, senza spiegarne con un algoritmo le motivazioni».
A questo punto, la domanda è: aveva forse ragione Berlusconi quando parlava dei ristoranti pieni per frenare l' allarme per la crisi e lo spread? Ricolfi è cauto, torna alla metafora del paziente. «Se viene picchiato- dice-, devo cercare di difenderlo perché poi potrò curarlo meglio. Anche se per alcuni solo quando diventa grave si accorge dei pericoli che corre. E in Europa, forse nel mondo, molti volevano picchiare a dovere l' Italia, perché capisse la lezione e si avviasse alla guarigione».
Un complotto? Che l' intenzione fosse buona o no, che ci fosse quest' intenzione e si trattasse solo di errori di valutazione, è difficile ora stabilire, ma l' esperto è sicuro che se fosse stato utilizzato l' indice Vs (www.fondazionehume.it), l' Italia avrebbe potuto difendersi dagli attacchi stranieri e anche prendere autocoscienza dei suoi problemi, per risolverli.
L' intervento di Ricolfi riscalda la platea della tre giorni organizzata per ascoltare la società civile dalla coordinatrice lombarda di Forza Italia, Mariastella Gelmini, che con il capogruppo del Senato Paolo Romani apre l' incontro, dopo il saluto del sindaco di Milano Giuseppe Sala. Prima di lasciare la parola agli esperti nelle tavole rotonde su fisco, lavoro, giovani e formazione, professioni, la Gelmini parla di un Paese che ha le risorse per uscire dalla crisi.
«Gli italiani - dice - vogliono rimboccarsi le mani, chiedono di essere aiutati a trovare un lavoro, non di farsi mantenere con un reddito di cittadinanza».
Lo confermano le analisi di Euromedia Research, presentate da Alessandra Ghisleri. Per il 28% degli intervistati il primo problema è la disoccupazione, ma il 61% vuole più opportunità per i giovani e solo il 28,5%, costituito da disoccupati, chiede il reddito di cittadinanza.
«Ripartiamo da Milano - dice Romani -, locomotiva d' Italia, per sentire la voce del Paese reale, delle categorie, con una formula nuova. La sconfitta sull' Ema non aiuta, ma dov' era il ministro Alfano quando si decideva? Ha delegato tutto al sottosegretario Gozi, ma questioni così importanti si devono rattare ai massimi livelli».
25 nov 2017 19:03
AVETE ROTTO IL caXXo CON L'EMERGENZA FAKE NEWS
- ORA ARRIVA IL 'NEW YORK TIMES': ''LE ELEZIONI ITALIANE SARANNO CONDIZIONATE DAI TROLL''. L'ULTIMO ESEMPIO? UN MEME DI BOLDRINI E BOSCHI A UN INESISTENTE FUNERALE DI RIINA. IN REALTÀ ERANO A QUELLO DI EMMANUEL NAMDI, IL NIGERIANO MORTO CHE USARONO PER LA LORO AGENDA POLITICA IN BARBA AI FATTI
- LA VERA FAKE NEWS FU LA CRISI DELLO SPREAD CHE NEL 2011 FECE CADERE BERLUSCONI, GONFIATA DA TUTTO IL SISTEMA MEDIATICO ITALIANO. MA SECONDO I GIORNALONI NOI DOVREMMO TEMERE ''IOSTOCONPUTIN.INFO''
Vedi foto>>> http://www.dagospia.com/rubrica-3/polit ... 161631.htm
1. SE LA FOTO DI BOSCHI E BOLDRINI A UN INESISTENTE FUNERALE DI RIINA È UNA FAKE NEWS, LA CRISI DELLO SPREAD NEL 2011 COS'ERA?
DAGONOTA - Che palle co' st'emergenza fake news. L'ultimo grido di scandalo nasce da una foto di Maria Elena Boschi e Laura Boldrini al funerale di Totò Riina. Naturalmente, non solo nessun rappresentante delle istituzioni era presente al funerale, ma non c'è stato manco il funerale. Secondo ''Repubblica'' la foto è diventata ''virale'', in realtà a parte qualche demente che può abboccare a una cosa del genere, molti l'hanno rilanciata per ridere della faccenda. E' stata la stessa Boschi a dargli furbescamente visibilità, rilanciandola sui suoi profili social.
Ora vi poniamo una domanda semplice: sono più preoccupanti il sito ''Iostoconputin.info'' o il profilo Facebook di uno che pubblica immagini ridicole con l'intenzione di orientare il voto di poche migliaia di persone (che già odiano i politici in questione, per cui sai che orientamento), oppure un intero sistema editoriale che spaccia bufale per cambiare le sorti di un governo democraticamente eletto? No, perché questo è esattamente quello che è successo nel 2011, quando l'attacco dello spread ha ''costretto'' l'Italia a silurare Berlusconi e invocare l'intervento del pio Monti.
Negli anni successivi si è poi scoperto che l'emergenza sui conti non c'era (il debito pubblico è molto peggio adesso di allora), e protagonisti autorevolissimi di quei mesi come l'ex ministro del tesoro americano Tim Geithner hanno rivelato come tutta la tarantella fosse orchestrata dai governi europei stufi di avere a che fare con lo scopatore Silvio, fiaccato nella credibilità da un anno di inchieste sul bunga-bunga. Lo ribadisce oggi anche il sociologo Luca Ricolfi, numeri alla mano (vedi sotto).
Per carità, niente di inedito: da sempre i governi nascono, campano e vengono abbattuti per ragioni che poco hanno a che fare con gli interessi della Nazione o dei cittadini. Cadono perché gli alleati stranieri non li appoggiano più, la finanza non si fida, gli speculatori vogliono arricchirsi, gli sfidanti hanno fatto accordi con poteri più o meno forti ecc. ecc.
Riempire i giornali con lo spauracchio di Putin che scatena i suoi troll fa davvero sorridere rispetto alle mosse usate dagli stessi giornali per condizionare il consenso popolare.
PS: che poi, se proprio vogliamo essere dei rompipalle (e lo siamo), sapete dove fu scattata quella foto di Boschi e Boldrini? Ai funerali di Emmanuel Chidi Namdi, nigeriano ucciso a Fermo durante una rissa con Amedeo Mancini, che aveva chiamato ''scimmia africana'' la moglie mentre la coppia passeggiava per strada. Una partecipazione che fece notizia: non si era mai visto un ministro e la Presidente della Camera ai funerali di una persona morta in una rissa.
Era infatti emerso che la colluttazione era partita da Namdi, che aveva divelto un palo stradale per picchiare Mancini, e che era poi finito in coma sbattendo la nuca dopo essere caduto in seguito a un pugno.
Mancini ha patteggiato 4 anni per omicidio preterintenzionale (il reato più lieve che la procura potesse ipotizzare), e si è impegnato a non agire contro la vedova per calunnia (aveva detto il falso durante la ricostruzione dei fatti). Namdi secondo un'informativa della polizia poteva essere vicino alla mafia nigeriana, visto che un gruppo di uomini indossò i colori tipici dei famigerati Black Axe proprio durante le esequie cui avevano partecipato la terza carica dello Stato e l'allora ministra Boschi.
Insomma, in quel caso furono proprio le due prefiche a diffondere fake news, o quantomeno una ''narrazione'' che faceva comodo alle loro agende politiche, visto che usarono la morte di Namdi come un esempio di ''dilagante razzismo verso i migranti''. Vero, Mancini è razzista. Solo che le due storyteller hanno scelto la vittima sbagliata: Namdi non era un martire, ma un violento che ha reagito in maniera spropositata a una provocazione verbale, e la moglie aveva mentito alle autorità per scagionare il marito e dare tutta la colpa al fermano.
Ogni sabato sera in Italia c'è qualche ragazzo che finisce in ospedale o perde la vita perché si è scazzottato con qualcuno che gli aveva detto ''la tua ragazza è una mignotta'' o aveva palpato una sua amica in discoteca. Ma non ci pare di vedere la Boldrini che va di funerale in funerale a difendere la dignità delle donne o il coraggio degli uomini che difendono il loro onore. La morte di Namdi era un fatto di cronaca, che due cariche dello Stato hanno trasformato in strumento politico. Perché la post-verità è solo quella degli altri
2. COME TI COSTRUISCO UNA BUFALA ANCHE IL NYT SUONA L' ALLARME ITALIA
Carlo Brunelli per ''la Repubblica''
L' Italia sotto la morsa delle fake news? Lo denuncia il Pd. Lo nega il M5S, che ribalta l' accusa sul leader Pd.
Lo sostiene il New York Times in un' inchiesta pubblicata ieri sul proprio sito: «Come già successo negli USA, in Francia, in Germania e per la Brexit, anche in italia la tornata elettorale potrebbe essere falsata dalla propaganda incentrata sulla disinformazione».
Il caso è riesploso dopo la diffusione incontrollata sul web di una foto fake che ritraeva Maria Elena Boschi, Laura Boldrini e altri dem tutti insieme «al funerale di Riina».
Funerale che, nella realtà, non si è mai tenuto. Tantomeno con i suddetti ospiti dem.
Pubblicata mercoledì scorso, nelle successive 24 ore la foto è diventata virale. La foto con Boschi era in realtà stata scattata ai funerali di Emmanuel Chidi Namdi, ucciso a Fermo in un episodio di razzismo. La sottosegretaria denuncia il falso dai suoi profili social. Il fantomatico Mario De Luise, che l' ha postata su Facebook per primo, sparisce dal social. Eppure mercoledì sera la foto fake viene rilanciata dalla pagina Facebook Virus5Stelle.
Virus5Stelle è una delle migliaia di pagine non ufficiali che fanno propaganda per il Movimento. La pagina è gestita da Claudio Piersanti e Adriano Valente, già noto nel mondo dei debunker perché accusato di una fake news sulla Leopolda diffusa nel novembre 2016. I gestori del sito, contattati dal debunker David Puente, si dissociano spiegando che non si sono mai occupati di politica e non intendono farlo.
Ma l' editor di BuzzFeed Alberto Nardelli twitta i legami di Valente con i vertici del M5s: oltre alle foto del profilo in cui abbraccia Beppe Grillo, anche il tag in un post del vice-Presidente della Camera Luigi Di Maio. I legami tra Valente e il Movimento sono palesi, basta visitare il suo profilo e trovare in primo piano foto con Carla Ruocco e Luigi Di Maio. Valente smentisce però di aver postato la bufala. E spiega: «La pagina Virus 5 stelle è gestita da 6 ragazzi compreso io. La foto l' ha postata un ragazzo che tra l' altro non conosco e non io». Ma chi è Mario de Luise? Un profilo vero o un fake usa-e-getta da utilizzare per postare contenuti diffamatori?
Proprio della galassia dei siti che propalano fake news si occupa l' inchiesta del NYT.
Raccontando che Andrea Stroppa, ricercatore di Ghost Data e consulente di Renzi sulle cybersecurity, ha compilato un dossier nel quale si dimostra che la pagina ufficiale del movimento Noi con Salvini condivide lo stesso identificativo Google con diversi siti di disinformazione come IoStoConPutin.info, MondoLibero.org, ma soprattutto con una delle tante pagine non ufficiali di propaganda del Movimento 5 Stelle.
Il codice unico di Google permette di collegare tutti i siti allo stesso account pubblicitario, permettendo ad una sola persona di gestire tutti gli introiti. Google non ha voluto rivelare il nome del proprietario dell' account e ha cercato di calmare le acque sostenendo che a volte siti non collegati utilizzano lo stesso ID Google. Da Noi con Salvini dicono di non sapere di cosa si stia parlando. Luca Morisi, il digital philosopher di Matteo Salvini, non ha voluto commentare. Dal M5s spiegano che, essendo pagine create dai fan, non possono essere collegate al Movimento.
Non smentibili sono i bersagli delle campagne fake. Nelle foto di questi siti Renzi è un clown, oppure ha il naso di Pinocchio, la Meloni è Gollum, Berlusconi è truccato da donna. Poi c' è il filone Cecile Kyenge. Lei che, cattolica, avrebbe voluto abolire mercatini di Natale e presepi nelle scuole. Lei che, da ministro, avrebbe augurato attentati all' Italia. Lei che avrebbe assunto al ministero la figlia, che nella foto è la cantante Rihanna, con uno stipendio da 15.000 euro al mese.
La Presidente della Camera Laura Boldrini è stata vittima dello stesso tipo di campagna diffamatoria violenta, che ha toccato il suo apice nella diffusione della notizia che avesse fatto andare in pensione a 35 anni sua sorella minore, scomparsa prematuramente anni fa.
Ma i leader del Movimento cosa pensano di queste pagine che ogni giorno vomitano odio?
«Renzi lancia un appello anti fake news? Cominci da se stesso», dice il capogruppo M5S in Senato Giovanni Enrizzi.
Sostiene Nicola Biondo, ex responsabile della comunicazione grillina alla Camera dei Deputati e autore insieme a Marco Canestrari di Supernova: Com' è stato ucciso il MoVimento 5 Stelle: «Bisogna chiedersi se chi ha responsabilità politiche pubbliche può ammettere che nella propaganda del suo partito, gestita da professionisti, ci siano certi toni e certi atteggiamenti. Da anni la propaganda sul web è andata oltre».
Secondo le indiscrezioni del New York Times, Facebook sarebbe pronto a schierare una task force tutta italiana per vigilare sulla diffusione delle bufale sulla sua piattaforma.
3. PAROLA DI STUDIOSO DI SINISTRA: UNA BUFALA LO SPREAD DI SILVIO
Anna Maria Greco per ''il Giornale''
L'INTRUSO DI CANNES DAL FATTO QUOTIDIANO
È stato il «ciclo maniaco depressivo» dei mercati, insieme all' allarmismo delle Agenzie di rating, a dare il colpo di grazia all' Italia nel 2010-2011 e a pesare sulla caduta del governo Berlusconi, per far posto a quello di Monti.
Si scatenò il panico, che portò a scommettere contro l' Italia, ma tutto poteva andare diversamente.
Il sociologo Luca Ricolfi spiega, alla convention azzurra di Milano «Idee per l' Italia», che allora nel nostro Paese c' era un miglioramento, dimostrato dall' indice VS (Vulnerabilità Strutturale) elaborato 3 anni fa dalla Fondazione David Hume.
Un nuovo strumento per misurare la vulnerabilità dei conti pubblici che, contrariamente agli altri, è «non politico, non arbitrario, non soggettivo», perché ricostruisce tra economia e psicologia, il funzionamento della «mente del mercato».
«Sono di sinistra e non ho alcun interesse a difendere il governo Berlusconi - spiega Ricolfi -, ho solo fatto una ricerca attendibile e i dati che sono venuti fuori dicono questo. Non c' è dubbio che a livello europeo in quegli anni ci sia stata una volontà politica di far fuori il governo di centrodestra e certo hanno contribuito i mercati, simili a pazienti ciclotimici, che dopo un allarme diventano iperagitati e le tre sorelle americane Standard&Poors, Moody' s e Fitch, che alzano o abbassano il rating di un Paese in modo arbitrario, senza trasparenza, senza spiegarne con un algoritmo le motivazioni».
A questo punto, la domanda è: aveva forse ragione Berlusconi quando parlava dei ristoranti pieni per frenare l' allarme per la crisi e lo spread? Ricolfi è cauto, torna alla metafora del paziente. «Se viene picchiato- dice-, devo cercare di difenderlo perché poi potrò curarlo meglio. Anche se per alcuni solo quando diventa grave si accorge dei pericoli che corre. E in Europa, forse nel mondo, molti volevano picchiare a dovere l' Italia, perché capisse la lezione e si avviasse alla guarigione».
Un complotto? Che l' intenzione fosse buona o no, che ci fosse quest' intenzione e si trattasse solo di errori di valutazione, è difficile ora stabilire, ma l' esperto è sicuro che se fosse stato utilizzato l' indice Vs (www.fondazionehume.it), l' Italia avrebbe potuto difendersi dagli attacchi stranieri e anche prendere autocoscienza dei suoi problemi, per risolverli.
L' intervento di Ricolfi riscalda la platea della tre giorni organizzata per ascoltare la società civile dalla coordinatrice lombarda di Forza Italia, Mariastella Gelmini, che con il capogruppo del Senato Paolo Romani apre l' incontro, dopo il saluto del sindaco di Milano Giuseppe Sala. Prima di lasciare la parola agli esperti nelle tavole rotonde su fisco, lavoro, giovani e formazione, professioni, la Gelmini parla di un Paese che ha le risorse per uscire dalla crisi.
«Gli italiani - dice - vogliono rimboccarsi le mani, chiedono di essere aiutati a trovare un lavoro, non di farsi mantenere con un reddito di cittadinanza».
Lo confermano le analisi di Euromedia Research, presentate da Alessandra Ghisleri. Per il 28% degli intervistati il primo problema è la disoccupazione, ma il 61% vuole più opportunità per i giovani e solo il 28,5%, costituito da disoccupati, chiede il reddito di cittadinanza.
«Ripartiamo da Milano - dice Romani -, locomotiva d' Italia, per sentire la voce del Paese reale, delle categorie, con una formula nuova. La sconfitta sull' Ema non aiuta, ma dov' era il ministro Alfano quando si decideva? Ha delegato tutto al sottosegretario Gozi, ma questioni così importanti si devono rattare ai massimi livelli».
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Re: Diario della caduta di un regime.
» EDITORIALE
sabato 25/11/2017
10 domande a Scalfari
di Marco Travaglio | 25 novembre 2017
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Gentile Eugenio Scalfari, mi permetto di rivolgerle le 10 domande che le avrei posto vis-à-vis martedì prossimo a DiMartedì se lei avesse accettato di confrontarsi con me, anziché rifiutare.
1) Ieri, immagino per trattenere i lettori di Repubblica sconcertati dal suo endorsement per B., lei ha scritto che non ha affatto “cambiato posizione su Berlusconi”, che rispondeva a “una domanda paradossale” sul rischio di un’Italia “ingovernabile”. E che dire il contrario – come farebbero “i grillini rappresentati nel Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio” – significa “ricoprirla di insulti”, che però lei considera “una sorta di Legion d’onore”. Ora, capisco che lei non sia proprio abituato all’idea di un giornale libero e indipendente da ogni partito, non avendone mai conosciuto uno, ma posso assicurarle che non abbiamo atteso la nascita del Movimento 5 Stelle per scrivere e dire di B. ciò che abbiamo sempre pensato e che anche lei pensava, scriveva e diceva fino a lunedì. Quanto poi alla sua retromarcia su Arcore, non è frutto della fantasia di chi vuole “insultarla”: è scolpita nelle parole da lei pronunciate a DiMartedì. Domanda di Giovanni Floris: “Lei se dovesse scegliere tra Di Maio e Berlusconi, affidare il Paese a uno dei due, quale sceglierebbe?”. Risposta: “Sceglierei Berlusconi”. Perché ora finge di aver detto che auspica “un’intesa non di natura politica” (e di che natura, allora? Gastronomica? Circense? Aerospaziale?) tra Pd e Forza Italia? Perché nega di aver detto ciò che ha detto, e cioè che preferirebbe affidare l’Italia a B. piuttosto che a Di Maio? Ha per caso cambiato idea un’altra volta? E, se sì, dipende forse dal fatto che martedì era un giorno pari e ieri un giorno dispari?
2) Lei, nella sua lunga carriera di giornalista, editore, finanziere e parlamentare, è stato fascista e antifascista, monarchico e repubblicano, radicale e socialista, filocomunista e filocraxiano, anticraxiano e demitiano, occhettiano e veltroniano, dalemiano e prodiano, ciampiano e napolitaniano, montiano e bersaniano, lettiano e antirenziano, mentre ora è renziano e dunque molto indulgente con B. In che senso considera “insulti” le critiche di chi ritiene che lei cambi spesso idea, con una curiosa predilezione per i leader più dannosi per l’Italia?
3) Lei scrive di aver “sempre votato Pd dai tempi di Berlinguer”, anche se il partito di Berlinguer si chiamava Comunista e non Democratico (il Pd è nato nel 2007). Nel 1981, subito dopo lo scandalo P2, lei fece a Berlinguer una memorabile intervista sulla “questione morale”.
Le veniva da ridere, mentre il segretario del Pci osservava che “quando si chiedono sacrifici al Paese e si comincia con il chiederli – come al solito – ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili”; mentre spiegava che i partiti possono “essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale”; e mentre domandava, retoricamente, se non fosse “il momento di cambiare e di costruire una società che non sia un immondezzaio”? O la riabilitazione del piduista pregiudicato B. le pare più compatibile con l’etica che con l’immondezzaio? Non sarà che lei ha sempre strumentalizzato la questione morale, comprese le Dieci Domande di Repubblica, nella guerra di potere e affari fra gruppo Repubblica e gruppo B.?
4) “È una grande vergogna che provo per il mio Paese e per me stesso… Berlusconi ha alimentato i comportamenti e i sentimenti peggiori di quella parte del popolo italiano disponibile a farsi sedurre dalla demagogia o raccolto in clientele lobbistiche o addirittura para-mafiose. Il suo conflitto d’interessi sarebbe stato condannato in qualsiasi Paese democratico e invece perdura tuttora. I suoi comportamenti privati hanno leso l’obbligo costituzionale di onorare con la propria presenza adeguata le cariche pubbliche di cui si è titolari. Infine sono stati accertati o sono in corso di accertamento reati gravi, alcuni dei quali sono stati da lui resi leciti con apposite leggi ‘ad personam’, altri prescritti… Alcuni processi hanno già dato i primi risultati con pesanti condanne in primo grado ed anche in appello… Uno ha condotto ad una sentenza definitiva per frode fiscale ai danni dello Stato… materializzata in affidamento a servizi sociali… Potrà andare in televisione, alla radio o in qualunque altro luogo per occuparsi di politica con piena libertà di parola e di contatti con i suoi collaboratori… Ebbene, io provo vergogna per il mio Paese, per me che ne faccio parte ed anche per una magistratura che consente quanto sopra… Le persone perbene la pensano egualmente sui problemi dell’etica pubblica. Purtroppo non sono molte”. Queste parole non sono mie, ma sue, su Repubblica del 27.4.2014. La sua vergogna è per caso caduta in prescrizione negli ultimi 3 anni insieme all’etica pubblica?
5) Lei dice e scrive che, per l’“intesa” Pd-FI, B. deve scaricare Salvini. Quasi che, senza la Lega, B. diventasse buono e presentabile. Noi, come lei, pensiamo il peggio delle idee di Salvini. Ma non ci risulta che Salvini abbia mai corrotto finanzieri, giudici, politici, senatori, testimoni, né falsificato bilanci, né frodato il fisco, né che possegga tv o giornali coi relativi conflitti d’interessi. Lei lo sa che Gasparri, Brunetta, Letta, Tremonti, Cosentino, Schifani, Ghedini, Lunardi, Scajola, Moratti, Romani, Galan, Bonaiuti &C. non sono della Lega, ma di FI? Lei ora li rivorrebbe al governo?
6) Io non so come governerebbe Luigi Di Maio nel caso improbabile che riuscisse ad avere una maggioranza e a formare un esecutivo. Forse male, forse bene, forse così così. Non abbiamo mai provato un governo a 5Stelle, ma abbiamo provato tre governi B., che si sono rivelati il peggio del peggio, come lei ha sempre dimostrato per tabulas, per i danni che hanno causato all’Italia in politica economica, finanziaria, fiscale, edilizia, ambientale, sociale, giudiziaria, estera, migratoria, scolastica, sanitaria, televisiva, costituzionale, elettorale ecc. L’esperienza rende altamente improbabile che Di Maio, anche sforzandosi, riuscirebbe a fare peggio. O lei ha le prove del contrario?
7) B., oltre a essere un pregiudicato interdetto e ineleggibile, deve gran parte delle sue fortune alla complicità di Mangano, Bontate, Gelli, Craxi, Dell’Utri e Previti, tutti pregiudicati per gravissimi reati (infatti lei lo paragonava a Mackie Messer). Di Maio ha una denuncia per diffamazione: in che senso potrebbe mai essere peggio di B.?
8) Il 22.3.2009 lei scriveva che “Berlusconi è un uomo di gomma, laddove Mussolini si atteggiava a uomo di ferro”, ma il loro “fine è analogo”: “Un Capo carismatico, plebiscitato da un popolo che ha rinunciato ad essere popolo”; e, se Mussolini “distrusse la democrazia”, B. “galleggia e padroneggia la democrazia cercando di renderla invertebrata”. Se lei lo pensa ancora, come può dire che un Di Maio sarebbe più pericoloso?
9) Le corruzioni, giudiziarie e non, commesse dal gruppo B. negli anni 80 e 90 sono accertate (anche quella che portò allo scippo della Mondadori ai danni dell’editore di Scalfari, Carlo De Benedetti). Le indagini su B. e Dell’Utri presunti mandanti delle stragi del ’93 sono in corso, ma i rapporti fra i due e Cosa Nostra (quella di Bontate e quella di Riina) sono accertati in via definitiva dalla Cassazione nella sentenza Dell’Utri, che parla di un “patto” stipulato nel 1974 da B. e Dell’Utri da una parte e i capimafia Bontate, Teresi, Cinà e Di Carlo dall’altra, che portò ad annuali “versamenti” in denaro dalle tasche di B. alle casse della mafia fino ad almeno il 1992 (l’anno delle stragi di Capaci e via D’Amelio). Il che, a prescindere dall’etica e dalla decenza, rende B. ricattabile non solo dalle olgettine, ma pure da Cosa Nostra. Che altro si deve accertare sul suo conto perché sia peggio di Di Maio?
10) Alla luce della sua riconsiderazione della figura di B., siamo poi sicuri che Karima el Mahroug alias Ruby Rubacuori non fosse davvero la nipote di Mubarak?
sabato 25/11/2017
10 domande a Scalfari
di Marco Travaglio | 25 novembre 2017
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Gentile Eugenio Scalfari, mi permetto di rivolgerle le 10 domande che le avrei posto vis-à-vis martedì prossimo a DiMartedì se lei avesse accettato di confrontarsi con me, anziché rifiutare.
1) Ieri, immagino per trattenere i lettori di Repubblica sconcertati dal suo endorsement per B., lei ha scritto che non ha affatto “cambiato posizione su Berlusconi”, che rispondeva a “una domanda paradossale” sul rischio di un’Italia “ingovernabile”. E che dire il contrario – come farebbero “i grillini rappresentati nel Fatto Quotidiano diretto da Marco Travaglio” – significa “ricoprirla di insulti”, che però lei considera “una sorta di Legion d’onore”. Ora, capisco che lei non sia proprio abituato all’idea di un giornale libero e indipendente da ogni partito, non avendone mai conosciuto uno, ma posso assicurarle che non abbiamo atteso la nascita del Movimento 5 Stelle per scrivere e dire di B. ciò che abbiamo sempre pensato e che anche lei pensava, scriveva e diceva fino a lunedì. Quanto poi alla sua retromarcia su Arcore, non è frutto della fantasia di chi vuole “insultarla”: è scolpita nelle parole da lei pronunciate a DiMartedì. Domanda di Giovanni Floris: “Lei se dovesse scegliere tra Di Maio e Berlusconi, affidare il Paese a uno dei due, quale sceglierebbe?”. Risposta: “Sceglierei Berlusconi”. Perché ora finge di aver detto che auspica “un’intesa non di natura politica” (e di che natura, allora? Gastronomica? Circense? Aerospaziale?) tra Pd e Forza Italia? Perché nega di aver detto ciò che ha detto, e cioè che preferirebbe affidare l’Italia a B. piuttosto che a Di Maio? Ha per caso cambiato idea un’altra volta? E, se sì, dipende forse dal fatto che martedì era un giorno pari e ieri un giorno dispari?
2) Lei, nella sua lunga carriera di giornalista, editore, finanziere e parlamentare, è stato fascista e antifascista, monarchico e repubblicano, radicale e socialista, filocomunista e filocraxiano, anticraxiano e demitiano, occhettiano e veltroniano, dalemiano e prodiano, ciampiano e napolitaniano, montiano e bersaniano, lettiano e antirenziano, mentre ora è renziano e dunque molto indulgente con B. In che senso considera “insulti” le critiche di chi ritiene che lei cambi spesso idea, con una curiosa predilezione per i leader più dannosi per l’Italia?
3) Lei scrive di aver “sempre votato Pd dai tempi di Berlinguer”, anche se il partito di Berlinguer si chiamava Comunista e non Democratico (il Pd è nato nel 2007). Nel 1981, subito dopo lo scandalo P2, lei fece a Berlinguer una memorabile intervista sulla “questione morale”.
Le veniva da ridere, mentre il segretario del Pci osservava che “quando si chiedono sacrifici al Paese e si comincia con il chiederli – come al solito – ai lavoratori, mentre si ha alle spalle una questione come la P2, è assai difficile ricevere ascolto ed essere credibili”; mentre spiegava che i partiti possono “essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale”; e mentre domandava, retoricamente, se non fosse “il momento di cambiare e di costruire una società che non sia un immondezzaio”? O la riabilitazione del piduista pregiudicato B. le pare più compatibile con l’etica che con l’immondezzaio? Non sarà che lei ha sempre strumentalizzato la questione morale, comprese le Dieci Domande di Repubblica, nella guerra di potere e affari fra gruppo Repubblica e gruppo B.?
4) “È una grande vergogna che provo per il mio Paese e per me stesso… Berlusconi ha alimentato i comportamenti e i sentimenti peggiori di quella parte del popolo italiano disponibile a farsi sedurre dalla demagogia o raccolto in clientele lobbistiche o addirittura para-mafiose. Il suo conflitto d’interessi sarebbe stato condannato in qualsiasi Paese democratico e invece perdura tuttora. I suoi comportamenti privati hanno leso l’obbligo costituzionale di onorare con la propria presenza adeguata le cariche pubbliche di cui si è titolari. Infine sono stati accertati o sono in corso di accertamento reati gravi, alcuni dei quali sono stati da lui resi leciti con apposite leggi ‘ad personam’, altri prescritti… Alcuni processi hanno già dato i primi risultati con pesanti condanne in primo grado ed anche in appello… Uno ha condotto ad una sentenza definitiva per frode fiscale ai danni dello Stato… materializzata in affidamento a servizi sociali… Potrà andare in televisione, alla radio o in qualunque altro luogo per occuparsi di politica con piena libertà di parola e di contatti con i suoi collaboratori… Ebbene, io provo vergogna per il mio Paese, per me che ne faccio parte ed anche per una magistratura che consente quanto sopra… Le persone perbene la pensano egualmente sui problemi dell’etica pubblica. Purtroppo non sono molte”. Queste parole non sono mie, ma sue, su Repubblica del 27.4.2014. La sua vergogna è per caso caduta in prescrizione negli ultimi 3 anni insieme all’etica pubblica?
5) Lei dice e scrive che, per l’“intesa” Pd-FI, B. deve scaricare Salvini. Quasi che, senza la Lega, B. diventasse buono e presentabile. Noi, come lei, pensiamo il peggio delle idee di Salvini. Ma non ci risulta che Salvini abbia mai corrotto finanzieri, giudici, politici, senatori, testimoni, né falsificato bilanci, né frodato il fisco, né che possegga tv o giornali coi relativi conflitti d’interessi. Lei lo sa che Gasparri, Brunetta, Letta, Tremonti, Cosentino, Schifani, Ghedini, Lunardi, Scajola, Moratti, Romani, Galan, Bonaiuti &C. non sono della Lega, ma di FI? Lei ora li rivorrebbe al governo?
6) Io non so come governerebbe Luigi Di Maio nel caso improbabile che riuscisse ad avere una maggioranza e a formare un esecutivo. Forse male, forse bene, forse così così. Non abbiamo mai provato un governo a 5Stelle, ma abbiamo provato tre governi B., che si sono rivelati il peggio del peggio, come lei ha sempre dimostrato per tabulas, per i danni che hanno causato all’Italia in politica economica, finanziaria, fiscale, edilizia, ambientale, sociale, giudiziaria, estera, migratoria, scolastica, sanitaria, televisiva, costituzionale, elettorale ecc. L’esperienza rende altamente improbabile che Di Maio, anche sforzandosi, riuscirebbe a fare peggio. O lei ha le prove del contrario?
7) B., oltre a essere un pregiudicato interdetto e ineleggibile, deve gran parte delle sue fortune alla complicità di Mangano, Bontate, Gelli, Craxi, Dell’Utri e Previti, tutti pregiudicati per gravissimi reati (infatti lei lo paragonava a Mackie Messer). Di Maio ha una denuncia per diffamazione: in che senso potrebbe mai essere peggio di B.?
8) Il 22.3.2009 lei scriveva che “Berlusconi è un uomo di gomma, laddove Mussolini si atteggiava a uomo di ferro”, ma il loro “fine è analogo”: “Un Capo carismatico, plebiscitato da un popolo che ha rinunciato ad essere popolo”; e, se Mussolini “distrusse la democrazia”, B. “galleggia e padroneggia la democrazia cercando di renderla invertebrata”. Se lei lo pensa ancora, come può dire che un Di Maio sarebbe più pericoloso?
9) Le corruzioni, giudiziarie e non, commesse dal gruppo B. negli anni 80 e 90 sono accertate (anche quella che portò allo scippo della Mondadori ai danni dell’editore di Scalfari, Carlo De Benedetti). Le indagini su B. e Dell’Utri presunti mandanti delle stragi del ’93 sono in corso, ma i rapporti fra i due e Cosa Nostra (quella di Bontate e quella di Riina) sono accertati in via definitiva dalla Cassazione nella sentenza Dell’Utri, che parla di un “patto” stipulato nel 1974 da B. e Dell’Utri da una parte e i capimafia Bontate, Teresi, Cinà e Di Carlo dall’altra, che portò ad annuali “versamenti” in denaro dalle tasche di B. alle casse della mafia fino ad almeno il 1992 (l’anno delle stragi di Capaci e via D’Amelio). Il che, a prescindere dall’etica e dalla decenza, rende B. ricattabile non solo dalle olgettine, ma pure da Cosa Nostra. Che altro si deve accertare sul suo conto perché sia peggio di Di Maio?
10) Alla luce della sua riconsiderazione della figura di B., siamo poi sicuri che Karima el Mahroug alias Ruby Rubacuori non fosse davvero la nipote di Mubarak?
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