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Re: Top News
Materia per Bondi e le sue forbici
Seicento scienziati contro il piezonucleare, l’atomo “pulito” targato Pdl
Parte delle risorse del prestigioso centro Inrim di Torino dirottati sulla tecnica simile alla "fusione fredda".
Che per gli esperti è una bufala, ma gode del sostegno di Berlusconi, Scajola e molti ex An. Lo strano profilo scientifico di Fabio Cardone, responsabile del progetto, tra invocazioni della Divina provvidenza e contatti con l'ufologo Duper
di Elena Ciccarello | 3 giugno 2012
Viaggia su internet un appello di seicento scienziati italiani indirizzato al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. Oggetto della petizione online è la fantomatica ricerca sul piezonucleare: sogno del nucleare pulito o clamorosa bufala? I sottoscrittori sposano la seconda ipotesi. Parlano di errore o, peggio, del rischio di una frode. Chiedono al Miur che non si getti “discredito sull’intero sistema della ricerca” finanziando progetti privi “di alcun fondamento scientifico”.
Pietra dello scandalo è il recente dirottamento sul progetto piezonucleare di parte delle risorse dell’Inrim di Torino, quarto ente pubblico di ricerca in Italia per dimensioni e prestigio. Modifica voluta dal suo nuovo presidente, Alberto Carpinteri, nominato lo scorso settembre dal ministro Gelmini, e convinto “piezonuclearista”.
È da almeno cinque anni che il gruppo di scienziati e imprenditori di cui Carpinteri fa parte sostiene di avere tra le mani una scoperta sorprendente: la possibilità di produrre energia pulita senza scorie né radiazioni. Come? Attraverso le reazioni piezonucleari, ossia attraverso la frattura di elementi naturali detti leggeri, come ferro, calcio e silicio, che sottoposti a compressione emetterebbero neutroni, verificando una sorta di fusione fredda. Una possibilità che cambierebbe il panorama energetico mondiale. Ma che da quando è stata presentata ha più che altro collezionato critiche e smentite da parte del mondo scientifico nazionale e internazionale. Ultima in ordine cronologico, l’analisi pubblicata il 31 maggio 2012 dagli stessi ricercatori dell’Inrim, in cui si sostiene che i dati forniti da Carpinteri e soci sulle reazioni piezonucleari sono manipolati.
Di fronte alle forti perplessità del mondo scientifico, allora le domande diventano altre: come è possibile che il progetto sia arrivato fino all’Inrim? E come mai nella loro storia i “piezonuclearisti” hanno sempre preferito appoggiarsi ad una anomala rete di sponsor politici anziché attingere ai più tradizionali canali di finanziamento della ricerca?
A Torino, il 4 maggio, l’appello agli investitori è stato lanciato da Francesco Mazzuca in persona. Durante un convegno intitolato “Atom unexplored”, l’ex presidente di Ansaldo nucleare, oggi commissario della Sogin spa (società preposta allo smantellamento del parco nucleare italiano), ha infatti auspicato la nascita di nuove alleanze per il finanziamento della ricerca sul piezonucleare. Mazzuca, nominato a capo della Sogin spa da Silvio Berlusconi nel 2009, e salutato dall’allora ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola come “il primo tassello per il ritorno dell’Italia all’energia nucleare”, è infatti un convinto sostenitore di questa forma di “nucleare pulito”. Al punto da spendersi personalmente per organizzare il convegno di Torino, attraverso l’associazione di ispirazione cattolica Solidarietà e Sviluppo di cui è presidente (e di cui parte dei relatori al convegno sono membri).
In questa vicenda i riferimenti all’appartenenza religiosa e politica sembrano avere un ruolo più ingombrante del dovuto. Prova ne è il profilo del secondo titolare del progetto “piezonucleare”, Fabio Cardone (nella foto), un collaboratore tecnico del Cnr che secondo fonti giornalistiche amerebbe invece definirsi “professore”. Sul curriculum di Cardone, alla prima riga sulle note personali, si legge “cattolico romano e membro del partito Alleanza Nazionale”. Cardone e Carpinteri infatti, cofirmatari degli studi sul piezonucleare, militano anche nello stesso partito, Pdl ex An: una coincidenza che all’Inrim non è passata inosservata.
Cardone non ha mai nascosto la sua vocazione. Presentando i risultati della sua ricerca a Chieti, durante il forum Energia e Ambiente del 2008 ha precisato: “Ci tengo a dire che tutti i risultati che vi presenterò sono il prodotto della Divina provvidenza e noi ci siamo sempre gloriati di essere stati un laboratorio cristiano a maggioranza cattolica, perché veramente abbiamo corso dei rischi inauditi”. A chi chiede come hanno fatto a restare vivi dopo aver liberato energia nucleare dal ferro, lui risponde “per volontà divina e per grazia ricevuta siamo stati bravi, li abbiamo tenuti sotto controllo”. Personaggio anomalo Cardone, che per per difendersi dagli attacchi scrive una lettera aperta anche all’esperto di Ufo e cerchi nel grano, Nicola Duper.
Il gruppo, di cui fa parte anche il colonnello dell’esercito Antonio Aracu, che nel 2005 avrebbe guidato la costruzione del primo reattore piezonucleare – di cui però non si ha più notizia –, gode dell’appoggio politico del fratello di quest’ultimo, Sabatino Aracu, deputato Pdl, noto alle cronache perché imputato (con l’ex ministro Pd, Ottaviano del Turco) nel processo sul presunto giro di tangenti nella sanità abruzzese. Nel 2009 Aracu è riuscito ad ottenere dal governo Berlusconi l’impegno a finanziare lo studio sul piezonucleare, facendo approvare un emendamento al disegno di legge sul piano energetico nazionale.
Anche l’altro sostenitore politico del piezonucleare è diventato noto ai più per via delle inchieste in cui è stato coinvolto. È Aldo Patriciello, ex Udc oggi Pdl, finito nel 2008 nella black list dei parlamentari condannati in via definitiva per una pena a quattro mesi per finanziamento illecito. Nel marzo del 2011 ha presentato una risoluzione al parlamento europeo di Bruxelles per istituire fondi per “soggetti pubblici e privati che intendano partecipare allo studio ed alla realizzazione di sistemi di produzione di reazioni piezo-nucleari”.
Ma non finisce qui. Al gruppo di Cardone il consiglio regionale abruzzese ha deciso l’affidamento del deposito di Monte San Cosimo, un sito militare contenente scorie radioattive in provincia dell’Aquila, perché lo trasformi in un laboratorio di ricerca sul piezonucleare “alla luce del piano di ricerca applicato stilato dalla Sogin”. La risoluzione Pdl (sostenuta anche dai consiglieri Pd Franco Caramanico e Marinella Sclocco), approvata dal consiglio regionale abruzzese del maggio 2010, impegna la Regione ad adottare idonee misure di sostegno finanziario per lo studio e l’applicazione delle reazioni piezonucleari.
A fronte di quest’intensa attività di alleanze il piezonucleare non sembra però aver concretizzano finanziamenti importanti. Ma qualcosa sta cambiando. Al convegno di Torino del 4 maggio Carpinteri ha infatti parlato di “fenomeni nucleari finora considerati ‘clandestini’ su cui si sta aprendo una nuova fase di ricerca”. Dove? All’Inrim, l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica di Torino. Perciò i ricercatori dell’istituto sono in rivolta. Non sono d’accordo con l’inserimento del piezonucleare nel Piano Triennale d’attività perché temono così di sprecare risorse pubbliche su un discutibile progetto di ricerca che metterebbe a repentaglio anche il prestigio dell’Istituto.
Un rischio che pare sempre più concreto. Fabio Cardone compare infatti nella coppia di nomi che il nuovo responsabile del Miur, il ministro Francesco Profumo, avrebbe indicato al presidente dell’Inrim Carpinteri come possibile coordinatore del consiglio scientifico dell’Istituto. Con il suo arrivo la “scalata” dei piezonuclearisti all’Istituto diventerebbe ancora più evidente. Un rischio contro cui gli scienziati italiani hanno lanciato un accorato appello.
IFQ
Seicento scienziati contro il piezonucleare, l’atomo “pulito” targato Pdl
Parte delle risorse del prestigioso centro Inrim di Torino dirottati sulla tecnica simile alla "fusione fredda".
Che per gli esperti è una bufala, ma gode del sostegno di Berlusconi, Scajola e molti ex An. Lo strano profilo scientifico di Fabio Cardone, responsabile del progetto, tra invocazioni della Divina provvidenza e contatti con l'ufologo Duper
di Elena Ciccarello | 3 giugno 2012
Viaggia su internet un appello di seicento scienziati italiani indirizzato al Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca. Oggetto della petizione online è la fantomatica ricerca sul piezonucleare: sogno del nucleare pulito o clamorosa bufala? I sottoscrittori sposano la seconda ipotesi. Parlano di errore o, peggio, del rischio di una frode. Chiedono al Miur che non si getti “discredito sull’intero sistema della ricerca” finanziando progetti privi “di alcun fondamento scientifico”.
Pietra dello scandalo è il recente dirottamento sul progetto piezonucleare di parte delle risorse dell’Inrim di Torino, quarto ente pubblico di ricerca in Italia per dimensioni e prestigio. Modifica voluta dal suo nuovo presidente, Alberto Carpinteri, nominato lo scorso settembre dal ministro Gelmini, e convinto “piezonuclearista”.
È da almeno cinque anni che il gruppo di scienziati e imprenditori di cui Carpinteri fa parte sostiene di avere tra le mani una scoperta sorprendente: la possibilità di produrre energia pulita senza scorie né radiazioni. Come? Attraverso le reazioni piezonucleari, ossia attraverso la frattura di elementi naturali detti leggeri, come ferro, calcio e silicio, che sottoposti a compressione emetterebbero neutroni, verificando una sorta di fusione fredda. Una possibilità che cambierebbe il panorama energetico mondiale. Ma che da quando è stata presentata ha più che altro collezionato critiche e smentite da parte del mondo scientifico nazionale e internazionale. Ultima in ordine cronologico, l’analisi pubblicata il 31 maggio 2012 dagli stessi ricercatori dell’Inrim, in cui si sostiene che i dati forniti da Carpinteri e soci sulle reazioni piezonucleari sono manipolati.
Di fronte alle forti perplessità del mondo scientifico, allora le domande diventano altre: come è possibile che il progetto sia arrivato fino all’Inrim? E come mai nella loro storia i “piezonuclearisti” hanno sempre preferito appoggiarsi ad una anomala rete di sponsor politici anziché attingere ai più tradizionali canali di finanziamento della ricerca?
A Torino, il 4 maggio, l’appello agli investitori è stato lanciato da Francesco Mazzuca in persona. Durante un convegno intitolato “Atom unexplored”, l’ex presidente di Ansaldo nucleare, oggi commissario della Sogin spa (società preposta allo smantellamento del parco nucleare italiano), ha infatti auspicato la nascita di nuove alleanze per il finanziamento della ricerca sul piezonucleare. Mazzuca, nominato a capo della Sogin spa da Silvio Berlusconi nel 2009, e salutato dall’allora ministro dello sviluppo economico Claudio Scajola come “il primo tassello per il ritorno dell’Italia all’energia nucleare”, è infatti un convinto sostenitore di questa forma di “nucleare pulito”. Al punto da spendersi personalmente per organizzare il convegno di Torino, attraverso l’associazione di ispirazione cattolica Solidarietà e Sviluppo di cui è presidente (e di cui parte dei relatori al convegno sono membri).
In questa vicenda i riferimenti all’appartenenza religiosa e politica sembrano avere un ruolo più ingombrante del dovuto. Prova ne è il profilo del secondo titolare del progetto “piezonucleare”, Fabio Cardone (nella foto), un collaboratore tecnico del Cnr che secondo fonti giornalistiche amerebbe invece definirsi “professore”. Sul curriculum di Cardone, alla prima riga sulle note personali, si legge “cattolico romano e membro del partito Alleanza Nazionale”. Cardone e Carpinteri infatti, cofirmatari degli studi sul piezonucleare, militano anche nello stesso partito, Pdl ex An: una coincidenza che all’Inrim non è passata inosservata.
Cardone non ha mai nascosto la sua vocazione. Presentando i risultati della sua ricerca a Chieti, durante il forum Energia e Ambiente del 2008 ha precisato: “Ci tengo a dire che tutti i risultati che vi presenterò sono il prodotto della Divina provvidenza e noi ci siamo sempre gloriati di essere stati un laboratorio cristiano a maggioranza cattolica, perché veramente abbiamo corso dei rischi inauditi”. A chi chiede come hanno fatto a restare vivi dopo aver liberato energia nucleare dal ferro, lui risponde “per volontà divina e per grazia ricevuta siamo stati bravi, li abbiamo tenuti sotto controllo”. Personaggio anomalo Cardone, che per per difendersi dagli attacchi scrive una lettera aperta anche all’esperto di Ufo e cerchi nel grano, Nicola Duper.
Il gruppo, di cui fa parte anche il colonnello dell’esercito Antonio Aracu, che nel 2005 avrebbe guidato la costruzione del primo reattore piezonucleare – di cui però non si ha più notizia –, gode dell’appoggio politico del fratello di quest’ultimo, Sabatino Aracu, deputato Pdl, noto alle cronache perché imputato (con l’ex ministro Pd, Ottaviano del Turco) nel processo sul presunto giro di tangenti nella sanità abruzzese. Nel 2009 Aracu è riuscito ad ottenere dal governo Berlusconi l’impegno a finanziare lo studio sul piezonucleare, facendo approvare un emendamento al disegno di legge sul piano energetico nazionale.
Anche l’altro sostenitore politico del piezonucleare è diventato noto ai più per via delle inchieste in cui è stato coinvolto. È Aldo Patriciello, ex Udc oggi Pdl, finito nel 2008 nella black list dei parlamentari condannati in via definitiva per una pena a quattro mesi per finanziamento illecito. Nel marzo del 2011 ha presentato una risoluzione al parlamento europeo di Bruxelles per istituire fondi per “soggetti pubblici e privati che intendano partecipare allo studio ed alla realizzazione di sistemi di produzione di reazioni piezo-nucleari”.
Ma non finisce qui. Al gruppo di Cardone il consiglio regionale abruzzese ha deciso l’affidamento del deposito di Monte San Cosimo, un sito militare contenente scorie radioattive in provincia dell’Aquila, perché lo trasformi in un laboratorio di ricerca sul piezonucleare “alla luce del piano di ricerca applicato stilato dalla Sogin”. La risoluzione Pdl (sostenuta anche dai consiglieri Pd Franco Caramanico e Marinella Sclocco), approvata dal consiglio regionale abruzzese del maggio 2010, impegna la Regione ad adottare idonee misure di sostegno finanziario per lo studio e l’applicazione delle reazioni piezonucleari.
A fronte di quest’intensa attività di alleanze il piezonucleare non sembra però aver concretizzano finanziamenti importanti. Ma qualcosa sta cambiando. Al convegno di Torino del 4 maggio Carpinteri ha infatti parlato di “fenomeni nucleari finora considerati ‘clandestini’ su cui si sta aprendo una nuova fase di ricerca”. Dove? All’Inrim, l’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica di Torino. Perciò i ricercatori dell’istituto sono in rivolta. Non sono d’accordo con l’inserimento del piezonucleare nel Piano Triennale d’attività perché temono così di sprecare risorse pubbliche su un discutibile progetto di ricerca che metterebbe a repentaglio anche il prestigio dell’Istituto.
Un rischio che pare sempre più concreto. Fabio Cardone compare infatti nella coppia di nomi che il nuovo responsabile del Miur, il ministro Francesco Profumo, avrebbe indicato al presidente dell’Inrim Carpinteri come possibile coordinatore del consiglio scientifico dell’Istituto. Con il suo arrivo la “scalata” dei piezonuclearisti all’Istituto diventerebbe ancora più evidente. Un rischio contro cui gli scienziati italiani hanno lanciato un accorato appello.
IFQ
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Re: Top News
Ogni tanto un pò di vecchia saggezza milanese val la pena di ricordare
Testo di : Porta Romana
Porta Rumana bella, porta Rumana,
ci stan le ragazzine che te la danno,
ci stan le ragazzine che te la danno:
prima la buonasera e poi la mano.
"E gettami giù la giacca ed il coltello
che voglio vendicare il mio fratello,
e voglio vendicare il mio fratello,
e gettami giù la giacca ed il coltello.
La via a San Vittore l'è tuta sasi,
l'ho fatta l'altra sera a pugni e schiaffi,
l'ho fatta l'altra sera a pugni e schiaffi.
la via a San Vittore l'è tuta sasi.
La via Filangeri l'è un gran serraglio,
la bestia più feroce l'è 'l commissario,
la bestia più feroce l'è 'l commissario,
la via Filangeri l'è un gran serraglio.
In via Filangeri ghé una campana:
'gni volta che la sona l'è 'na cundana,
'gni volta che la sona l'è 'na cundana,
in via Filangeri ghé una campana.
Prima faceva il ladro e poi la spia,
e adesso è delegato di Polizia,
e adesso è delegato di Polizia,
prima faceva il ladro e poi la spia.
O luna che rischiari le quattro mura
rischiara la mia cella ch'è tanto scura,
rischiara la mia cella ch'è tetra e nera:
la gioventù più bella morì in galera.
O luna, luna, luna che fai la spia
bacia la donna d'altri, ma non la mia.
Amore, amore, amore, amore un corno,
di giorno mangio e bevo, di notte dormo.
Ci sono tre parole in fondo al cuore:
la gioventù, la mamma ed il primo amore.
La gioventù la passa, la mamma muore
e restet cume un pirla col primo amore."
Porta Rumana bella, porta Rumana,
ci stan le ragazzine che te la danno,
ci stan le ragazzine che te la danno:
prima la buonasera e poi la mano...
-----------------------------------------------
Porta Romana bella (Testo tradotto)
Porta Romana bella, Porta Romana
ci stan le ragazzine che te la danno,
ci stan le ragazzine che te la danno,
prima la buonasera e poi la mano.
"E gettami giù la giacca ed il coltello
che voglio vendicare il mio fratello,
e voglio vendicare il mio fratello,
e gettami giù la giacca ed il coltello.
La via a San Vittore è tutta sassi,
l'ho fatta l'altra sera a pugni e schiaffi,
l'ho fatta l'altra sera a pugni e schiaffi.
la via a San Vittore è tutta sassi.
La via Filangeri è un gran serraglio,
la bestia più feroce è il commissario,
la bestia più feroce è il commissario,
la via Filangeri è un gran serraglio.
In via Filangeri c'è una campana:
ogni volta suona è una condanna,
ogni volta suona è una condanna,
in via Filangeri c'è una campana.
Prima faceva il ladro e poi la spia,
e adesso è delegato di Polizia,
e adesso è delegato di Polizia,
prima faceva il ladro e poi la spia.
O luna che rischiari le quattro mura
rischiara la mia cella ch'è tanto scura,
rischiara la mia cella ch'è tetra e nera:
la gioventù più bella morì in galera.
O luna, luna, luna che fai la spia
bacia la donna d'altri, ma non la mia.
Amore, amore, amore, amore un corno,
di giorno mangio e bevo, di notte dormo.
Ci sono tre parole in fondo al cuore:
la gioventù, la mamma ed il primo amore.
La gioventù la passa, la mamma muore
e resti come un deficente col primo amore."
Porta Romana bella, porta Romana,
ci stan le ragazzine che te la danno,
ci stan le ragazzine che te la danno:
prima la buonasera e poi la mano...
-------------------------------------------
Porta Rumana bèla, porta Rumana,
ci stan le ragazzine che te la danno,
ci stan le ragazzine che te la danno:
prima la buonasera e poi la mano.
"E gettami giù la giacca ed il coltello
che voglio vendicare il mio fratello,
La via a San Vittore l'è tüta sasi,
l'ho fatta l'altra sera a pugni e schiaffi,
In via Filangeri ghé 'na campana:
'gni volta che la sona l'è 'na cundana,
La via Filangeri l'è un gran serraglio,
la bestia più feroce l'è 'l commissario,
Prima faceva il ladro e poi la spia,
e adesso è delegato di Polizia.
E sette e sette e sette fanno ventuno
arriva la volante e non c'è nessuno.
Ha fatto più battaglie la tua sottana
che tutta la Marina Americana.
Ha perso più battaglie il tuo reggipetto
che il General Cadorna a Caporetto.
Han fatto più battaglie le tue mutandine
che tutti i Giapponesi alle Filippine.
O luna che rischiari le quattro mura
rischiara la mia cella ch'è tanto scura,
rischiara la mia cella ch'è tetra e nera:
la gioventù più bella morì in galera.
O luna, luna, luna che fai la spia
bacia la donna d'altri, ma non la mia.
Amore, amore, amore, amore un corno,
di giorno mangio e bevo, di notte dormo.
Olimpia Olimpia Olimpia te me tradiset,
te diset che te vegnet e pö te piset.
Ci sono tre parole in fondo al cuore:
la gioventù, la mamma e il primo amore.
La gioventù la passa, la mamma muore
e restet cume un pirla col primo amore."
Porta Rumana bella, porta Rumana,
ci stan le ragazzine che te la danno,
ci stan le ragazzine che te la danno:
prima la buonasera e poi la mano...
Testo di : Porta Romana
Porta Rumana bella, porta Rumana,
ci stan le ragazzine che te la danno,
ci stan le ragazzine che te la danno:
prima la buonasera e poi la mano.
"E gettami giù la giacca ed il coltello
che voglio vendicare il mio fratello,
e voglio vendicare il mio fratello,
e gettami giù la giacca ed il coltello.
La via a San Vittore l'è tuta sasi,
l'ho fatta l'altra sera a pugni e schiaffi,
l'ho fatta l'altra sera a pugni e schiaffi.
la via a San Vittore l'è tuta sasi.
La via Filangeri l'è un gran serraglio,
la bestia più feroce l'è 'l commissario,
la bestia più feroce l'è 'l commissario,
la via Filangeri l'è un gran serraglio.
In via Filangeri ghé una campana:
'gni volta che la sona l'è 'na cundana,
'gni volta che la sona l'è 'na cundana,
in via Filangeri ghé una campana.
Prima faceva il ladro e poi la spia,
e adesso è delegato di Polizia,
e adesso è delegato di Polizia,
prima faceva il ladro e poi la spia.
O luna che rischiari le quattro mura
rischiara la mia cella ch'è tanto scura,
rischiara la mia cella ch'è tetra e nera:
la gioventù più bella morì in galera.
O luna, luna, luna che fai la spia
bacia la donna d'altri, ma non la mia.
Amore, amore, amore, amore un corno,
di giorno mangio e bevo, di notte dormo.
Ci sono tre parole in fondo al cuore:
la gioventù, la mamma ed il primo amore.
La gioventù la passa, la mamma muore
e restet cume un pirla col primo amore."
Porta Rumana bella, porta Rumana,
ci stan le ragazzine che te la danno,
ci stan le ragazzine che te la danno:
prima la buonasera e poi la mano...
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Porta Romana bella (Testo tradotto)
Porta Romana bella, Porta Romana
ci stan le ragazzine che te la danno,
ci stan le ragazzine che te la danno,
prima la buonasera e poi la mano.
"E gettami giù la giacca ed il coltello
che voglio vendicare il mio fratello,
e voglio vendicare il mio fratello,
e gettami giù la giacca ed il coltello.
La via a San Vittore è tutta sassi,
l'ho fatta l'altra sera a pugni e schiaffi,
l'ho fatta l'altra sera a pugni e schiaffi.
la via a San Vittore è tutta sassi.
La via Filangeri è un gran serraglio,
la bestia più feroce è il commissario,
la bestia più feroce è il commissario,
la via Filangeri è un gran serraglio.
In via Filangeri c'è una campana:
ogni volta suona è una condanna,
ogni volta suona è una condanna,
in via Filangeri c'è una campana.
Prima faceva il ladro e poi la spia,
e adesso è delegato di Polizia,
e adesso è delegato di Polizia,
prima faceva il ladro e poi la spia.
O luna che rischiari le quattro mura
rischiara la mia cella ch'è tanto scura,
rischiara la mia cella ch'è tetra e nera:
la gioventù più bella morì in galera.
O luna, luna, luna che fai la spia
bacia la donna d'altri, ma non la mia.
Amore, amore, amore, amore un corno,
di giorno mangio e bevo, di notte dormo.
Ci sono tre parole in fondo al cuore:
la gioventù, la mamma ed il primo amore.
La gioventù la passa, la mamma muore
e resti come un deficente col primo amore."
Porta Romana bella, porta Romana,
ci stan le ragazzine che te la danno,
ci stan le ragazzine che te la danno:
prima la buonasera e poi la mano...
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Porta Rumana bèla, porta Rumana,
ci stan le ragazzine che te la danno,
ci stan le ragazzine che te la danno:
prima la buonasera e poi la mano.
"E gettami giù la giacca ed il coltello
che voglio vendicare il mio fratello,
La via a San Vittore l'è tüta sasi,
l'ho fatta l'altra sera a pugni e schiaffi,
In via Filangeri ghé 'na campana:
'gni volta che la sona l'è 'na cundana,
La via Filangeri l'è un gran serraglio,
la bestia più feroce l'è 'l commissario,
Prima faceva il ladro e poi la spia,
e adesso è delegato di Polizia.
E sette e sette e sette fanno ventuno
arriva la volante e non c'è nessuno.
Ha fatto più battaglie la tua sottana
che tutta la Marina Americana.
Ha perso più battaglie il tuo reggipetto
che il General Cadorna a Caporetto.
Han fatto più battaglie le tue mutandine
che tutti i Giapponesi alle Filippine.
O luna che rischiari le quattro mura
rischiara la mia cella ch'è tanto scura,
rischiara la mia cella ch'è tetra e nera:
la gioventù più bella morì in galera.
O luna, luna, luna che fai la spia
bacia la donna d'altri, ma non la mia.
Amore, amore, amore, amore un corno,
di giorno mangio e bevo, di notte dormo.
Olimpia Olimpia Olimpia te me tradiset,
te diset che te vegnet e pö te piset.
Ci sono tre parole in fondo al cuore:
la gioventù, la mamma e il primo amore.
La gioventù la passa, la mamma muore
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ci stan le ragazzine che te la danno,
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Re: Top News
Sì, il testo è suoAmadeus ha scritto:ma è quella di Gaber ?
Re: Top News
ora sono ancora più confusa .... io mi ricordo bene la strofa
Prima faceva il ladro e poi la spia,
e adesso è delegato di Polizia,
ma se non è quella di Gaber ....chi la cantava?
Jannacci?
Prima faceva il ladro e poi la spia,
e adesso è delegato di Polizia,
ma se non è quella di Gaber ....chi la cantava?
Jannacci?
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Re: Top News
Così riporta Wikipedia
Il successo [modifica]
Dopo i primi 45 giri, Gaber raggiunge il successo nel 1960 con il lento Non arrossire; nello stesso anno incide la sua canzone più conosciuta tra quelle del primo periodo, La ballata del Cerutti, con il testo dello scrittore Umberto Simonetta. L'anno prima ha conosciuto Sandro Luporini, pittore viareggino, che diventerà il coautore di tutta la sua produzione musicale e teatrale più significativa. Tra le prime canzoni scritte insieme, Così felice e Barbera e champagne. Durante gli anni '60 la maggior parte delle canzoni di maggior successo sono scritte da Simonetta: Trani a gogò (1962), Goganga, Porta Romana (1963), che fruttano a Gaber molte apparizioni televisive.
http://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Gaber
*****
La cantava la Vanoni?......Sì
La cantava Jannacci?.......Sì
Divenne un cavallo di battaglia de I Gufi, sempre dello stesso giro
Il successo [modifica]
Dopo i primi 45 giri, Gaber raggiunge il successo nel 1960 con il lento Non arrossire; nello stesso anno incide la sua canzone più conosciuta tra quelle del primo periodo, La ballata del Cerutti, con il testo dello scrittore Umberto Simonetta. L'anno prima ha conosciuto Sandro Luporini, pittore viareggino, che diventerà il coautore di tutta la sua produzione musicale e teatrale più significativa. Tra le prime canzoni scritte insieme, Così felice e Barbera e champagne. Durante gli anni '60 la maggior parte delle canzoni di maggior successo sono scritte da Simonetta: Trani a gogò (1962), Goganga, Porta Romana (1963), che fruttano a Gaber molte apparizioni televisive.
http://it.wikipedia.org/wiki/Giorgio_Gaber
*****
La cantava la Vanoni?......Sì
La cantava Jannacci?.......Sì
Divenne un cavallo di battaglia de I Gufi, sempre dello stesso giro
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Re: Top News
Porta Rumana bella, porta Rumana,
ci stan le ragazzine che te la danno,
ci stan le ragazzine che te la danno:
La modernità è che questa parte del testo è stato scritto per Berlusconi, mentre questo:
Prima faceva il ladro e poi la spia
adesso è delegato di polizia
calza a pennello per Tremonti che per anni ha diretto uno studio Tributarista, dove si è impegnato a fondo per non fare pagare le tasse ai suoi clienti, infatti è stato il tributarista di Silvietto, e poi è diventato ministro delle Finanze e dell'Economia.
Non poteva fa pagare più del 5% ai suoi clienti scudati.
ci stan le ragazzine che te la danno,
ci stan le ragazzine che te la danno:
La modernità è che questa parte del testo è stato scritto per Berlusconi, mentre questo:
Prima faceva il ladro e poi la spia
adesso è delegato di polizia
calza a pennello per Tremonti che per anni ha diretto uno studio Tributarista, dove si è impegnato a fondo per non fare pagare le tasse ai suoi clienti, infatti è stato il tributarista di Silvietto, e poi è diventato ministro delle Finanze e dell'Economia.
Non poteva fa pagare più del 5% ai suoi clienti scudati.
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Re: Top News
Dopo circa 20 giorni il silenzio è calato sulle indagini per la morte di Melissa.
Se non fosse per questo il silenzio continuerebbe.
Ostuni, bomba senza innesco in una scuola. Paura dopo i fatti di Brindisi
Una batteria d'auto con all'interno del liquido verde e dei fili collocato nel cortile dell'istituto tecnico commerciale Pantanelli. Per gli inquirenti si tratta di una bravata di qualche balordo, ma l'accaduto fa risalire il clima di tensione dopo quanto accaduto il 19 maggio alla Morvillo-Falcone del capoluogo adriatico
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 4 giugno 2012
Una bomba nel cortile di una scuola. Ordigno innocuo perché senza innesco. A prescindere dalla potenza di fuoco, però, resta il gesto inquietante, specie in considerazione del luogo scelto. E’ successo ieri, a Ostuni, a pochi chilometri di distanza da Brindisi, dove il 19 maggio davanti all’istituto Morvillo Falcone è stato l’inferno. E’ morta Melissa Bassi, altre studentesse sono rimaste ferite, gli inquirenti tutt’ora indagano per risalire a chi ha potuto compiere un attentato così sanguinoso.
Le piste sono sempre le stesse: criminalità organizzata, terrorismo anarchico o il gesto isolato di uno squilibrato. Gli stessi inquirenti, tuttavia, non collegano la bomba di Brindisi a quanto successo nel fine settimana a Ostuni. Per chi indaga, infatti, la prima ipotesi è quella di una bravata. Un bravata terribile, ma comunque una bravata. Su questo le forze dell’ordine hanno pochi dubbi. Lo hanno compreso ieri all’ora di pranzo, ovvero quando i vigili del fuoco, gli artificieri e i carabinieri, dopo aver ricevuto una segnalazione, sono arrivati nel cortile dell’istituto tecnico industriale Pantanelli, ubicato nella periferia della cosiddetta Città Bianca, sulla strada per Cisternino, in una zona nevralgica per il turismo pugliese.
A poca distanza dal gabbiotto che ospita l’impianto del gas in dotazione alla scuola c’era un batteria d’auto: al suo interno un liquido verde e dei fili. Come una bomba, quindi, ma senza un innesco che, se ci fosse stato, avrebbe potuto provocare un’esplosione molto violenta. Dopo i primi accertamenti, comunque, è stato appurato che all’interno della batteria non c’era alcuna sostanza pericolosa: forse acqua o, ipotesi più probabile, fertilizzante. Il liquido sarà comunque analizzato. L’idea di fondo è che si tratti dell’opera di qualche balordo, ma, considerato il momento contingente e la tensione per l’attentato del 19 maggio a Brindisi, non viene scartata alcuna ipotesi. In tal senso, è emblematico il massimo riserbo tenuto dagli inquirenti sull’episodio.
La presenza dell’oggetto nel cortile dell’istituto scolastico, inoltre, ha creato momenti di panico nella zona, dove gli abitanti hanno rivissuto l’incubo del Morvillo Falcone. In tal senso, la Dda di Lecce è in attesa degli accertamenti tecnici sui resti dell’ordigno che ha causato la morte di Melissa Bassi: particolari che potrebbero essere fondamentali per il prosieguo di un’indagine che continua a essere molto difficile. Oggi, inoltre, a Brindisi è presente il ministro per la cooperazione Sociale e l’Integrazione, Andrea Riccardi, che parteciperà all’assemblea nell’Istituto Tecnico industriale “Giorgi” con i rappresentanti degli studenti di tutte le scuole scuole superiori della città. In apertura d’assemblea, il sindaco di Brindisi Mimmo Consales ha confermato l’intenzione che il 19 maggio di ogni anno, data della strage all’istituto ‘Morvillo Falcone’, diventi giornata della memoria per Brindisi ed il ministro ha confermato l’impegno a questa istituzione “sia o non sia in carica questo governo”.
“Sono venuto qui per dire che una volta che si sono spente le luci noi non dimentichiamo – ha detto Andrea Riccardi – Non ho lezioni da dare, sono qui per incontrare e l’incontro è un atto dovuto e doveroso di rispetto e di vicinanza da parte mia personale e del governo”. Il ministro per la Cooperazione internazionale e per la gioventù, inoltre, ha incontrato nell’ospedale Perrino alcune delle ragazze ferite nell’attentato del 19 maggio scorso e i loro genitori. Dopo la visita nell’ospedale, il ministro si è spostato a Mesagne per incontrare in forma privata i genitori di Melissa Bassi, la studentessa uccisa nell’attentato.
Se non fosse per questo il silenzio continuerebbe.
Ostuni, bomba senza innesco in una scuola. Paura dopo i fatti di Brindisi
Una batteria d'auto con all'interno del liquido verde e dei fili collocato nel cortile dell'istituto tecnico commerciale Pantanelli. Per gli inquirenti si tratta di una bravata di qualche balordo, ma l'accaduto fa risalire il clima di tensione dopo quanto accaduto il 19 maggio alla Morvillo-Falcone del capoluogo adriatico
di Redazione Il Fatto Quotidiano | 4 giugno 2012
Una bomba nel cortile di una scuola. Ordigno innocuo perché senza innesco. A prescindere dalla potenza di fuoco, però, resta il gesto inquietante, specie in considerazione del luogo scelto. E’ successo ieri, a Ostuni, a pochi chilometri di distanza da Brindisi, dove il 19 maggio davanti all’istituto Morvillo Falcone è stato l’inferno. E’ morta Melissa Bassi, altre studentesse sono rimaste ferite, gli inquirenti tutt’ora indagano per risalire a chi ha potuto compiere un attentato così sanguinoso.
Le piste sono sempre le stesse: criminalità organizzata, terrorismo anarchico o il gesto isolato di uno squilibrato. Gli stessi inquirenti, tuttavia, non collegano la bomba di Brindisi a quanto successo nel fine settimana a Ostuni. Per chi indaga, infatti, la prima ipotesi è quella di una bravata. Un bravata terribile, ma comunque una bravata. Su questo le forze dell’ordine hanno pochi dubbi. Lo hanno compreso ieri all’ora di pranzo, ovvero quando i vigili del fuoco, gli artificieri e i carabinieri, dopo aver ricevuto una segnalazione, sono arrivati nel cortile dell’istituto tecnico industriale Pantanelli, ubicato nella periferia della cosiddetta Città Bianca, sulla strada per Cisternino, in una zona nevralgica per il turismo pugliese.
A poca distanza dal gabbiotto che ospita l’impianto del gas in dotazione alla scuola c’era un batteria d’auto: al suo interno un liquido verde e dei fili. Come una bomba, quindi, ma senza un innesco che, se ci fosse stato, avrebbe potuto provocare un’esplosione molto violenta. Dopo i primi accertamenti, comunque, è stato appurato che all’interno della batteria non c’era alcuna sostanza pericolosa: forse acqua o, ipotesi più probabile, fertilizzante. Il liquido sarà comunque analizzato. L’idea di fondo è che si tratti dell’opera di qualche balordo, ma, considerato il momento contingente e la tensione per l’attentato del 19 maggio a Brindisi, non viene scartata alcuna ipotesi. In tal senso, è emblematico il massimo riserbo tenuto dagli inquirenti sull’episodio.
La presenza dell’oggetto nel cortile dell’istituto scolastico, inoltre, ha creato momenti di panico nella zona, dove gli abitanti hanno rivissuto l’incubo del Morvillo Falcone. In tal senso, la Dda di Lecce è in attesa degli accertamenti tecnici sui resti dell’ordigno che ha causato la morte di Melissa Bassi: particolari che potrebbero essere fondamentali per il prosieguo di un’indagine che continua a essere molto difficile. Oggi, inoltre, a Brindisi è presente il ministro per la cooperazione Sociale e l’Integrazione, Andrea Riccardi, che parteciperà all’assemblea nell’Istituto Tecnico industriale “Giorgi” con i rappresentanti degli studenti di tutte le scuole scuole superiori della città. In apertura d’assemblea, il sindaco di Brindisi Mimmo Consales ha confermato l’intenzione che il 19 maggio di ogni anno, data della strage all’istituto ‘Morvillo Falcone’, diventi giornata della memoria per Brindisi ed il ministro ha confermato l’impegno a questa istituzione “sia o non sia in carica questo governo”.
“Sono venuto qui per dire che una volta che si sono spente le luci noi non dimentichiamo – ha detto Andrea Riccardi – Non ho lezioni da dare, sono qui per incontrare e l’incontro è un atto dovuto e doveroso di rispetto e di vicinanza da parte mia personale e del governo”. Il ministro per la Cooperazione internazionale e per la gioventù, inoltre, ha incontrato nell’ospedale Perrino alcune delle ragazze ferite nell’attentato del 19 maggio scorso e i loro genitori. Dopo la visita nell’ospedale, il ministro si è spostato a Mesagne per incontrare in forma privata i genitori di Melissa Bassi, la studentessa uccisa nell’attentato.
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Re: Top News
IERI, OGGI, POIDOMANI - L’EX AMMINISTRATORE DEL “FATTO” RACCONTA LA SUA USCITA DAL QUOTIDIANO DI TRAVAGLIO E PADELLARO: “VOLEVANO DARE TROPPI DIVIDENDI, MA SONO MOLTO LEGATO A LORO” - I GIORNALI: “HANNO VISSUTO E PROSPERATO CON RICAVI FASULLI”. “L’UNITÀ”: “CON SORU E CONCITA DE GREGORIO NON ANDIAMO D’ACCORDO” - SINDONA E MARCINKUS: “L’UNO FREDDO E DISUMANO, L’ALTRO SPIETATO” - MARCHIONNE: “HA DETTO CHE AVREBBE INVESTITO 20 MLD COL SÌ AL REFERENDUM. ORA A MIRAFIORI STANNO IN CASSA INTEGRAZIONE” - PROFUMO: "COMPRÒ CAPITALIA SENZA DUE DILIGENCE, POI GLI DIEDERO 40 MLN PER STARE ZITTO"…
Gabriella Colarusso per http://www.lettera43.it
Sostiene Giorgio Poidomani che mai come ora il giornalismo abbia dinanzi a sé un grande futuro: «Il desiderio di indagine e di comunicazione cresce enormemente. Le piattaforme digitali ampliano all'infinito le possibilità di azione. Ma i giornali non possono più pensare di vivere con i conti truccati», dice a Lettera43.it l' ex amministratore delegato de Il Fatto Quotidiano, oggi nelle mani di Cinzia Monteverdi. E c'è da credergli, guardando agli ultimi tre anni della sua avventura imprenditoriale.
DA ROVELLI A IL FATTO.
Quello che fu il braccio destro di Nino Rovelli alla Sir, poi manager dell'immobiliare vaticana Sogene, per due decenni dirigente nelle maggiori aziende del Paese, nel 2009 ha progettato la più straordinaria impresa editoriale degli ultimi anni, almeno a giudicare dai bilanci: un quotidiano su carta nell'era del web, che in meno di 36 mesi è riuscito a fare «12,53 milioni di euro di utili» e a distribuire lauti dividendi.
MEGLIO DI APPLE E BILL GATES.
«In quasi tre anni Il Fatto Quotidiano ha remunerato 21 volte il capitale iniziale di investimento, una performance superiore a quelle fatte registrare da Bill Gates e dalla Apple», spiega seduto sul divano della sua casa al centro di Roma, a pochi passi da via Condotti, arredamento scarno e pile di libri su un tavolone di marmo: fotografia, cinema, storia.
Capelli bianchi, alto, maglioncino blu, Poidomani, 78 anni, spiega che lui «ha fatto solo la cornice, il Picasso l'hanno disegnato i giornalisti». Poi si avventura con discrezione nel racconto della sua dipartita dal quotidiano: «Non ho litigato con nessuno e se anche avessi litigato non lo direi. Sono molto legato ai ragazzi de Il Fatto».
DOMANDA. Perché ha lasciato allora? Dicono che fosse imbestialito per la decisione degli azionisti di incassare i dividendi.
RISPOSTA. Sono io il primo sostenitore dei dividendi. Ma non dimentichiamoci che quello che hanno versato come capitale iniziale, gli azionisti de Il Fatto Quotidiano l'hanno recuperato nei primi cinque mesi di attività del giornale.
D. Però qualcosa non le è piaciuto nella loro scelta.
R. L'ammontare delle cifra che hanno deciso di attribuirsi. Il Fatto è in utile, è una società liquida, che non ha debiti. Ma le aspettative di crescita per il 2012 sono peggiori del 2011. Non trovavo giusto distribuire i dividendi a giugno senza tenere conto di come va l'anno.
D. Qual era il suo progetto?
R. Una società come questa deve guardare al futuro. All'online, per esempio, sul quale abbiamo investito e sul quale si dovrà investire tanto.
D. Il Fatto è nato qui, a casa sua.
R. Si, facevamo le riunioni in questo salotto. Eravamo io, Padellaro, Travaglio e Gomez.
D. Neanche una donna?
R. Guardi che sono un femminista io.
D. Però nessuna firma femminile tra i fondatori. Concita De Gregorio?
R. Molto brava, ma non andiamo d'accordo. Poi era a L'Unità.
D. Da cosa è nato Il Fatto?
R. Da un presupposto: volevamo un giornale totalmente libero e non condizionato. Non doveva avere una proprietà che incidesse sulle scelte editoriali. E così è stato.
D. Di invasioni di campo lei ne avrà viste molte in 12 anni di editoria.
R. Oliviero Beha mi raccontò di essere stato sgridato al Corriere della Sera per aver parlato male della Fiorentina, di proprietà di uno degli azionisti. John Elkann è andato personalmente in redazione a redarguire il giornalista (Massimo Mucchetti, ndr) che aveva criticato il piano Marchionne per la Fiat.
D. E a L'Unità di Renato Soru?
R. Quando Soru è arrivato a L'Unità non ha detto a nessuno di che cosa ci si dovesse occupare. Però casualmente i giornalisti, che fino al giorno prima non avevano mai parlato della Sardegna, cominciarono a scrivere articoli sulla pastorizia.
D. Lo trova strano?
R. Il giornalista è spinto da un padrone o si auto-condiziona. Questo non deve accadere.
D. Si può essere liberi anche avendo padroni.
R. Certo, un giornalista può fregarsene della proprietà, ma non campa bene. Per questo gli azionisti non devono avere il potere di mettere bocca sul suo lavoro.
D. È questo che rende forte Il Fatto?
R. Si, insieme con l'opposizione ai contributi statali, l'attenzione al conto economico e la qualità dei suoi giornalisti.
D. Cosa vi dicevate nel suo salotto, che serviva un giornale anti-berlusconiano?
R. Se avessimo parlato di questi temi non avremmo trovato un accordo. Crede che io abbia una visione politica simile a quella di Travaglio? Io non c'entravo niente con la linea editoriale, quella deve farla il direttore. Al massimo scherzavamo.
D. Su cosa?
R. Travaglio mi diceva: «Lo sai che io sono filo israeliano e tu filo palestinese». E io rispondevo: «Non fa niente, tanto non lo compro il tuo giornale». Non ho mai influenzato e nemmeno commentato le loro scelte.
D. Snocciola orgoglioso i numeri de Il Fatto, ma ci sono anche collaboratori pagati 20 euro ad articolo.
R. Non è affatto vero. Prima della fine del primo anno di attività abbiamo stabilizzato tutti i giornalisti e a ognuno sono stati dati dei bonus: 3.000 euro il primo anno, 8.000 il secondo e il terzo.
D. E per chi scrive in modo occasionale?
R. Ci sono i contratti co.co.co e i borderò. Le regole innanzitutto.
D. L'informazione di qualità costa?
R. Sì, ma costa anche quella di pessima qualità: il contratto giornalistico è assurdo, regolato non secondo criteri meritocratici, ma di anzianità, con protezioni assistenziali anacronistiche.
D. Ora non ce l'ha più nessuno quel contratto. I giornali vivono di precariato.
R. I giornali negli ultimi 30 anni sono riusciti a vivere e prosperare attraverso ricavi fasulli e a differenza di altri settori industriali non si sono mai adeguati alle evoluzioni del mercato. La pubblicità dava loro un minimo garantito che era superiore alle vendite in edicola e questo viziava il conto economico.
D. Per esempio?
R. Il quotidiano Europa: vende 3.000 copie con tiratura da 60-65 mila. Ogni resa erode il 30% del budget di una copia venduta. Bisogna stare molto attenti alla rese e ai costi della carta, della stampa, delle foto e delle agenzie.
D. Intanto però si taglia sul personale.
R. Perché è la voce di bilancio più facile da tagliare, e perché ci sono gli ammortizzatori sociali. Ma così non si fa molta strada.
D. Perché?
R. Il successo di un giornale dipende in buona misura dalla qualità dei giornalisti e da quanto sono motivati.
D. La critica più ricorrente al giornale di Padellaro è che sia una sorta di bollettino delle procure. Non crede, lei che si definisce uomo di sinistra, che un ventata di garantismo non guasterebbe?
R. Credo che sia il momento di accompagnare la parte destruens con quella costruens. Dobbiamo credere nella democrazia e aiutarla a crescere. Ecco, la parte costruttiva manca, ma leggendo Corriere della Sera e La Repubblica non mi sembra che le cose vadano poi così diversamente.
D. E come vanno le cose?
R. Leggo sempre i giornali francesi. Dire «non votiamo» per loro è fuori discussione.
GLI ANNI ALL'UNITÀ, TRA IL GENIO DI COLOMBO E LE LAMENTELE DI FASSINO
D. Come ricorda L'Unità?
R. Me ne sono andato con un legame affettivo minore di quello che mi lega a Il Fatto.
D. I Ds facevano pressione sulla linea editoriale?
R. Nel periodo in cui era segretario Fassino, spessissimo. Parliamo del 2001. C'era una doppia azione di lamentela, perché il segretario chiamava alle 7 prima il direttore Colombo e poi il codirettore Padellaro.
D. Lei riceveva chiamate?
R. Ogni tanto ricevevo le telefonate di Ugo Sposetti, il tesoriere del partito: «Ehi, ma cosa avete scritto». Però poi non si è mai tirato indietro quando si è trattato di sostenerci.
D. Che direttore era Colombo?
R. È uno dei cinque uomini più intelligenti che io abbia mai conosciuto. Non gliene fregava niente dei costi, avevamo visioni economiche diverse, ma aveva straordinarie capacità giornalistiche.
D. Ci spieghi.
R. Era uno che a metà riunione diceva: «Accidenti qui bisognerebbe capire cosa ne pensa l'America: sentiamo Kissinger». E lo chiamava. Conosceva tutti.
D. Non fu molto amato dalla dirigenza del partito però.
R. Colombo è figlio della Fiat, era un uomo degli Agnelli, però è sempre stato quello che gli americani chiamano un liberal, aperto, progressista. Nel 2001, L'Unità era rinata da poco, capì l'importanza del G8 di Genova.
D. Come lo affrontò?
R. Mandò cinque inviati sul campo, e ogni giorno dedicava tre o quattro pagine all'evento. Il giovedì morì Giuliani. Il venerdì sera si decise la grande manifestazione del sabato e Fassino dichiarò che il partito non avrebbe partecipato alla manifestazione.
D. Non approvaste?
R. Il quotidiano in quel momento divenne punto di riferimento di una sinistra progressista che non poteva accettare che il partito non ci fosse. Per diversi mesi L'Unità vendette tantissime copie.
D. E poi?
R. A novembre arrivò quella di dichiarazione di Gavino Angius: «L'Unità non è il nostro giornale, non abbiamo niente a che fare con loro, non capisco perché debbano avere i nostri contributi».
D. Nel 2002 esplose il Correntone.
R. Sì con Cofferati e dentro c'era anche Veltroni. Noi pubblicammo la loro rivista Aprile, la voce dell'opposizione interna, in allegato con L'Unità.
D. Cosa accadde?
R. Successe un casino. Il giornale era visto come non ossequiente.
D. Nel 2009 poi è arrivato Soru e lei se n'è andato. Dicono che non vi sopportavate.
R. L'Unità all'epoca perdeva una barca di soldi, nonostante i 6 milioni di euro di contributi pubblici. Soru, che era anche presidente della Regione Sardegna e azionista di maggioranza di Tiscali, fece fare una due diligence più rapida di quella degli Angelucci, e comprò.
D. Che progetti aveva?
R. Aveva in mente di cambiare il direttore, i maligni affermano su indicazione di Veltroni, ma non ho le prove per dirlo, e aveva una visione del futuro della società molto diversa dalla mia.
D. Però le chiese di restare.
R. Si, ma avrei voluto confrontarmi con lui sul progetto industriale e non fu possibile. Nel frattempo arrivò Concita De Gregorio, ci furono la campagna di Toscani e il restyling grafico. Decisi di andare via.
D. Dice di aver scoperto la politica in tarda età. Ricorda l'iniziazione?
R. Il Maggio parigino. Lavoravo in Francia come manager per un'azienda di prodotti chimici.
D. Come si avvicinò alla contestazione?
R. Una sera, appena uscito dal lavoro, andai nel quartiere latino, all'Odeon occupato dove era in corso un'assemblea. Ci andai in giacca e cravatta. Chiesi di iscrivermi tra gli interventi e mi qualificai: «Sono l'amministratore delegato di.. Fui letteralmente mandato a quel paese». «Vattene, servo dei padroni».
D. Cosa provò?
R. Mi sentii umiliato, volevo dir loro che il movimento aveva conquistato anche persone come me, ma capii la loro reazione.
D. E oggi cosa pensa dei ragazzi di Occupy Wall Street?
R. Hanno ragione. Non si può pensare che sia giusto un Paese dove tra le 9 e le 9.05 il rapporto dollaro-euro cambia di tre punti e c'è un signore che ha portato a casa 2 milioni di euro.
D. Come si cambia questo sistema?
R. Non esistono altri mezzi che la democrazia, il voto cosciente.
D. Napolitano però ha preferito consegnare l'Italia a un governo tecnico.
R. Con il default a due passi, un governo Berlusconi non più in grado di fare nulla e una opposizione non pronta, non c'erano alternative a qualcosa di molto forzato.
D. Il Pd era impreparato. Inevitabile?
R. No, imperdonabile.
D. Come lo spiega?
R. Sono stato alla tre giorni di Firenze che nel 2007 ha dato origine al Pd: chiunque avrebbe capito che non poteva esistere.
D. Perché?
R. Sui principi fondamentali non c'era il minimo accordo e continua a non esserci. I leader non si rendono conto della loro impopolarità.
D. Cosa significa per lei essere di sinistra?
R. Le stesse cose di 40 anni fa: una società in progresso che rende più giusti gli equilibri economici tra le persone, tasse progressive, uno stato sociale molto forte e l'accesso alle stesse possibilità sia per i poveri sia per i ricchi.
D. Curioso per un uomo che ha speso gran parte della sua vita al servizio del capitale.
R. Mi sono sempre interrogato su questa contraddizione, ma credo che si possano fare gli interessi di una società prestando attenzione al fattore umano, ai lavoratori, ai dipendenti, agli operai. E senza essere ladri.
R. Nell'80 fui chiamato da due banche a occuparmi della più grande società di costruzione che esisteva all'epoca in Italia, la Sogene, che apparteneva al Vaticano e possedeva degli asset incredibili tra cui l'hotel Watergate a Washington e la metropolitana di Città del Messico.
D. Chi erano i suoi interlocutori?
R. Marcinkus, Calvi e Sindona.
D. Perché dice che si rubava all'epoca?
R. Il primo giorno di lavoro ricevetti una telefonata dell'allora presidente della metropolitana di Milano. Mi disse appuntamento all'hotel Raphael, l'albergo romano di Craxi e mi disse: «La sua società ha chiesto 3 miliardi di danni alla metro. In realtà dovremmo noi chiedere un risarcimento perché avete lavorato male. Ma facciamo così: da 3 miliardi ne chiede 2 e uno lo gira a me».
D. Lei andava a negoziare le fidejussioni allo Ior, dentro il Vaticano. Ha conosciuto Sindona, che ricordo ne ha?
R. Aveva uno sguardo di una freddezza disumana, sembrava un alieno. Con me parlava il meno possibile, sapeva che mi avevano mandato lì le banche per scoprire tutti i casini che aveva combinato negli Stati Uniti. Mi sentiva come un nemico. Ma quello che mi ha sempre fatto impressione è stato Marcinkus..
D. Perché?
R. Il ritratto della spietatezza, un banchiere cattivo.
D. Cosa vuol dire coniugare gli interessi di una società con l'aspetto umano del lavoro?
R. Vuol dire che non ho mai fatto Marchionne.
D. Cioè?
R. Non faccio finta che si faccia il conto economico di un'azienda con un'ora di sosta in meno. La Igefar tedesca ha aumentato gli stipendi dei metalmeccanici del 3,1%. Il problema non è il personale.
D. Marchionne ha centrato tutta la sua azione sulla produttività degli operai.
R. Prima del referendum, Marchionne disse che per Fabbrica Italia avrebbe messo sul piatto 20 miliardi di euro di investimenti e che uno di questi sarebbe andato a Mirafiori per fare il Suv.
D. Cosa non la convince?
R. Non ho mai visto uno che si presenta con un piano e dice cosa fa di un 20esimo delle risorse disponibili per quel piano.
D. Perché allora il referendum se non c'erano né soldi né piano?
R. Ha voluto spaccare la manodopera. E chi ha votato «sì» ora cosa si ritrova? Oggi Mirafiori è tutta in cassa integrazione, compresi gli ingegneri.
D. Si parla tanto di Casta politica, ma anche la qualità del nostro capitalismo non sembra eccellente.
R. Non solo degli imprenditori, anche della dirigenza. Quando vede persone ritenute per bene uscire con una buonuscita esorbitante deve chiedersi perché.
D. Perché?
R. Per stare zitti, perché hanno fatto gli intrallazzi più luridi, tutti. Voglio ricordare che il consiglio di amministrazione di Unicredit è stato riunito tre ore per decidere se fare o meno un'azione di responsabilità contro Profumo per aver pagato troppo Capitalia. L' ha comprata senza fare due diligence.
D. Dice che non meritava quella buonuscita milionaria?
R. In quel momento la banca aveva il famoso Tier a 7: significa che su 100 euro, sette erano della banca, il resto dei risparmiatori. Quindi i 40-50 milioni di Profumo per il 7% erano della banca, ma per il resto erano degli investitori.
Gabriella Colarusso per http://www.lettera43.it
Sostiene Giorgio Poidomani che mai come ora il giornalismo abbia dinanzi a sé un grande futuro: «Il desiderio di indagine e di comunicazione cresce enormemente. Le piattaforme digitali ampliano all'infinito le possibilità di azione. Ma i giornali non possono più pensare di vivere con i conti truccati», dice a Lettera43.it l' ex amministratore delegato de Il Fatto Quotidiano, oggi nelle mani di Cinzia Monteverdi. E c'è da credergli, guardando agli ultimi tre anni della sua avventura imprenditoriale.
DA ROVELLI A IL FATTO.
Quello che fu il braccio destro di Nino Rovelli alla Sir, poi manager dell'immobiliare vaticana Sogene, per due decenni dirigente nelle maggiori aziende del Paese, nel 2009 ha progettato la più straordinaria impresa editoriale degli ultimi anni, almeno a giudicare dai bilanci: un quotidiano su carta nell'era del web, che in meno di 36 mesi è riuscito a fare «12,53 milioni di euro di utili» e a distribuire lauti dividendi.
MEGLIO DI APPLE E BILL GATES.
«In quasi tre anni Il Fatto Quotidiano ha remunerato 21 volte il capitale iniziale di investimento, una performance superiore a quelle fatte registrare da Bill Gates e dalla Apple», spiega seduto sul divano della sua casa al centro di Roma, a pochi passi da via Condotti, arredamento scarno e pile di libri su un tavolone di marmo: fotografia, cinema, storia.
Capelli bianchi, alto, maglioncino blu, Poidomani, 78 anni, spiega che lui «ha fatto solo la cornice, il Picasso l'hanno disegnato i giornalisti». Poi si avventura con discrezione nel racconto della sua dipartita dal quotidiano: «Non ho litigato con nessuno e se anche avessi litigato non lo direi. Sono molto legato ai ragazzi de Il Fatto».
DOMANDA. Perché ha lasciato allora? Dicono che fosse imbestialito per la decisione degli azionisti di incassare i dividendi.
RISPOSTA. Sono io il primo sostenitore dei dividendi. Ma non dimentichiamoci che quello che hanno versato come capitale iniziale, gli azionisti de Il Fatto Quotidiano l'hanno recuperato nei primi cinque mesi di attività del giornale.
D. Però qualcosa non le è piaciuto nella loro scelta.
R. L'ammontare delle cifra che hanno deciso di attribuirsi. Il Fatto è in utile, è una società liquida, che non ha debiti. Ma le aspettative di crescita per il 2012 sono peggiori del 2011. Non trovavo giusto distribuire i dividendi a giugno senza tenere conto di come va l'anno.
D. Qual era il suo progetto?
R. Una società come questa deve guardare al futuro. All'online, per esempio, sul quale abbiamo investito e sul quale si dovrà investire tanto.
D. Il Fatto è nato qui, a casa sua.
R. Si, facevamo le riunioni in questo salotto. Eravamo io, Padellaro, Travaglio e Gomez.
D. Neanche una donna?
R. Guardi che sono un femminista io.
D. Però nessuna firma femminile tra i fondatori. Concita De Gregorio?
R. Molto brava, ma non andiamo d'accordo. Poi era a L'Unità.
D. Da cosa è nato Il Fatto?
R. Da un presupposto: volevamo un giornale totalmente libero e non condizionato. Non doveva avere una proprietà che incidesse sulle scelte editoriali. E così è stato.
D. Di invasioni di campo lei ne avrà viste molte in 12 anni di editoria.
R. Oliviero Beha mi raccontò di essere stato sgridato al Corriere della Sera per aver parlato male della Fiorentina, di proprietà di uno degli azionisti. John Elkann è andato personalmente in redazione a redarguire il giornalista (Massimo Mucchetti, ndr) che aveva criticato il piano Marchionne per la Fiat.
D. E a L'Unità di Renato Soru?
R. Quando Soru è arrivato a L'Unità non ha detto a nessuno di che cosa ci si dovesse occupare. Però casualmente i giornalisti, che fino al giorno prima non avevano mai parlato della Sardegna, cominciarono a scrivere articoli sulla pastorizia.
D. Lo trova strano?
R. Il giornalista è spinto da un padrone o si auto-condiziona. Questo non deve accadere.
D. Si può essere liberi anche avendo padroni.
R. Certo, un giornalista può fregarsene della proprietà, ma non campa bene. Per questo gli azionisti non devono avere il potere di mettere bocca sul suo lavoro.
D. È questo che rende forte Il Fatto?
R. Si, insieme con l'opposizione ai contributi statali, l'attenzione al conto economico e la qualità dei suoi giornalisti.
D. Cosa vi dicevate nel suo salotto, che serviva un giornale anti-berlusconiano?
R. Se avessimo parlato di questi temi non avremmo trovato un accordo. Crede che io abbia una visione politica simile a quella di Travaglio? Io non c'entravo niente con la linea editoriale, quella deve farla il direttore. Al massimo scherzavamo.
D. Su cosa?
R. Travaglio mi diceva: «Lo sai che io sono filo israeliano e tu filo palestinese». E io rispondevo: «Non fa niente, tanto non lo compro il tuo giornale». Non ho mai influenzato e nemmeno commentato le loro scelte.
D. Snocciola orgoglioso i numeri de Il Fatto, ma ci sono anche collaboratori pagati 20 euro ad articolo.
R. Non è affatto vero. Prima della fine del primo anno di attività abbiamo stabilizzato tutti i giornalisti e a ognuno sono stati dati dei bonus: 3.000 euro il primo anno, 8.000 il secondo e il terzo.
D. E per chi scrive in modo occasionale?
R. Ci sono i contratti co.co.co e i borderò. Le regole innanzitutto.
D. L'informazione di qualità costa?
R. Sì, ma costa anche quella di pessima qualità: il contratto giornalistico è assurdo, regolato non secondo criteri meritocratici, ma di anzianità, con protezioni assistenziali anacronistiche.
D. Ora non ce l'ha più nessuno quel contratto. I giornali vivono di precariato.
R. I giornali negli ultimi 30 anni sono riusciti a vivere e prosperare attraverso ricavi fasulli e a differenza di altri settori industriali non si sono mai adeguati alle evoluzioni del mercato. La pubblicità dava loro un minimo garantito che era superiore alle vendite in edicola e questo viziava il conto economico.
D. Per esempio?
R. Il quotidiano Europa: vende 3.000 copie con tiratura da 60-65 mila. Ogni resa erode il 30% del budget di una copia venduta. Bisogna stare molto attenti alla rese e ai costi della carta, della stampa, delle foto e delle agenzie.
D. Intanto però si taglia sul personale.
R. Perché è la voce di bilancio più facile da tagliare, e perché ci sono gli ammortizzatori sociali. Ma così non si fa molta strada.
D. Perché?
R. Il successo di un giornale dipende in buona misura dalla qualità dei giornalisti e da quanto sono motivati.
D. La critica più ricorrente al giornale di Padellaro è che sia una sorta di bollettino delle procure. Non crede, lei che si definisce uomo di sinistra, che un ventata di garantismo non guasterebbe?
R. Credo che sia il momento di accompagnare la parte destruens con quella costruens. Dobbiamo credere nella democrazia e aiutarla a crescere. Ecco, la parte costruttiva manca, ma leggendo Corriere della Sera e La Repubblica non mi sembra che le cose vadano poi così diversamente.
D. E come vanno le cose?
R. Leggo sempre i giornali francesi. Dire «non votiamo» per loro è fuori discussione.
GLI ANNI ALL'UNITÀ, TRA IL GENIO DI COLOMBO E LE LAMENTELE DI FASSINO
D. Come ricorda L'Unità?
R. Me ne sono andato con un legame affettivo minore di quello che mi lega a Il Fatto.
D. I Ds facevano pressione sulla linea editoriale?
R. Nel periodo in cui era segretario Fassino, spessissimo. Parliamo del 2001. C'era una doppia azione di lamentela, perché il segretario chiamava alle 7 prima il direttore Colombo e poi il codirettore Padellaro.
D. Lei riceveva chiamate?
R. Ogni tanto ricevevo le telefonate di Ugo Sposetti, il tesoriere del partito: «Ehi, ma cosa avete scritto». Però poi non si è mai tirato indietro quando si è trattato di sostenerci.
D. Che direttore era Colombo?
R. È uno dei cinque uomini più intelligenti che io abbia mai conosciuto. Non gliene fregava niente dei costi, avevamo visioni economiche diverse, ma aveva straordinarie capacità giornalistiche.
D. Ci spieghi.
R. Era uno che a metà riunione diceva: «Accidenti qui bisognerebbe capire cosa ne pensa l'America: sentiamo Kissinger». E lo chiamava. Conosceva tutti.
D. Non fu molto amato dalla dirigenza del partito però.
R. Colombo è figlio della Fiat, era un uomo degli Agnelli, però è sempre stato quello che gli americani chiamano un liberal, aperto, progressista. Nel 2001, L'Unità era rinata da poco, capì l'importanza del G8 di Genova.
D. Come lo affrontò?
R. Mandò cinque inviati sul campo, e ogni giorno dedicava tre o quattro pagine all'evento. Il giovedì morì Giuliani. Il venerdì sera si decise la grande manifestazione del sabato e Fassino dichiarò che il partito non avrebbe partecipato alla manifestazione.
D. Non approvaste?
R. Il quotidiano in quel momento divenne punto di riferimento di una sinistra progressista che non poteva accettare che il partito non ci fosse. Per diversi mesi L'Unità vendette tantissime copie.
D. E poi?
R. A novembre arrivò quella di dichiarazione di Gavino Angius: «L'Unità non è il nostro giornale, non abbiamo niente a che fare con loro, non capisco perché debbano avere i nostri contributi».
D. Nel 2002 esplose il Correntone.
R. Sì con Cofferati e dentro c'era anche Veltroni. Noi pubblicammo la loro rivista Aprile, la voce dell'opposizione interna, in allegato con L'Unità.
D. Cosa accadde?
R. Successe un casino. Il giornale era visto come non ossequiente.
D. Nel 2009 poi è arrivato Soru e lei se n'è andato. Dicono che non vi sopportavate.
R. L'Unità all'epoca perdeva una barca di soldi, nonostante i 6 milioni di euro di contributi pubblici. Soru, che era anche presidente della Regione Sardegna e azionista di maggioranza di Tiscali, fece fare una due diligence più rapida di quella degli Angelucci, e comprò.
D. Che progetti aveva?
R. Aveva in mente di cambiare il direttore, i maligni affermano su indicazione di Veltroni, ma non ho le prove per dirlo, e aveva una visione del futuro della società molto diversa dalla mia.
D. Però le chiese di restare.
R. Si, ma avrei voluto confrontarmi con lui sul progetto industriale e non fu possibile. Nel frattempo arrivò Concita De Gregorio, ci furono la campagna di Toscani e il restyling grafico. Decisi di andare via.
D. Dice di aver scoperto la politica in tarda età. Ricorda l'iniziazione?
R. Il Maggio parigino. Lavoravo in Francia come manager per un'azienda di prodotti chimici.
D. Come si avvicinò alla contestazione?
R. Una sera, appena uscito dal lavoro, andai nel quartiere latino, all'Odeon occupato dove era in corso un'assemblea. Ci andai in giacca e cravatta. Chiesi di iscrivermi tra gli interventi e mi qualificai: «Sono l'amministratore delegato di.. Fui letteralmente mandato a quel paese». «Vattene, servo dei padroni».
D. Cosa provò?
R. Mi sentii umiliato, volevo dir loro che il movimento aveva conquistato anche persone come me, ma capii la loro reazione.
D. E oggi cosa pensa dei ragazzi di Occupy Wall Street?
R. Hanno ragione. Non si può pensare che sia giusto un Paese dove tra le 9 e le 9.05 il rapporto dollaro-euro cambia di tre punti e c'è un signore che ha portato a casa 2 milioni di euro.
D. Come si cambia questo sistema?
R. Non esistono altri mezzi che la democrazia, il voto cosciente.
D. Napolitano però ha preferito consegnare l'Italia a un governo tecnico.
R. Con il default a due passi, un governo Berlusconi non più in grado di fare nulla e una opposizione non pronta, non c'erano alternative a qualcosa di molto forzato.
D. Il Pd era impreparato. Inevitabile?
R. No, imperdonabile.
D. Come lo spiega?
R. Sono stato alla tre giorni di Firenze che nel 2007 ha dato origine al Pd: chiunque avrebbe capito che non poteva esistere.
D. Perché?
R. Sui principi fondamentali non c'era il minimo accordo e continua a non esserci. I leader non si rendono conto della loro impopolarità.
D. Cosa significa per lei essere di sinistra?
R. Le stesse cose di 40 anni fa: una società in progresso che rende più giusti gli equilibri economici tra le persone, tasse progressive, uno stato sociale molto forte e l'accesso alle stesse possibilità sia per i poveri sia per i ricchi.
D. Curioso per un uomo che ha speso gran parte della sua vita al servizio del capitale.
R. Mi sono sempre interrogato su questa contraddizione, ma credo che si possano fare gli interessi di una società prestando attenzione al fattore umano, ai lavoratori, ai dipendenti, agli operai. E senza essere ladri.
R. Nell'80 fui chiamato da due banche a occuparmi della più grande società di costruzione che esisteva all'epoca in Italia, la Sogene, che apparteneva al Vaticano e possedeva degli asset incredibili tra cui l'hotel Watergate a Washington e la metropolitana di Città del Messico.
D. Chi erano i suoi interlocutori?
R. Marcinkus, Calvi e Sindona.
D. Perché dice che si rubava all'epoca?
R. Il primo giorno di lavoro ricevetti una telefonata dell'allora presidente della metropolitana di Milano. Mi disse appuntamento all'hotel Raphael, l'albergo romano di Craxi e mi disse: «La sua società ha chiesto 3 miliardi di danni alla metro. In realtà dovremmo noi chiedere un risarcimento perché avete lavorato male. Ma facciamo così: da 3 miliardi ne chiede 2 e uno lo gira a me».
D. Lei andava a negoziare le fidejussioni allo Ior, dentro il Vaticano. Ha conosciuto Sindona, che ricordo ne ha?
R. Aveva uno sguardo di una freddezza disumana, sembrava un alieno. Con me parlava il meno possibile, sapeva che mi avevano mandato lì le banche per scoprire tutti i casini che aveva combinato negli Stati Uniti. Mi sentiva come un nemico. Ma quello che mi ha sempre fatto impressione è stato Marcinkus..
D. Perché?
R. Il ritratto della spietatezza, un banchiere cattivo.
D. Cosa vuol dire coniugare gli interessi di una società con l'aspetto umano del lavoro?
R. Vuol dire che non ho mai fatto Marchionne.
D. Cioè?
R. Non faccio finta che si faccia il conto economico di un'azienda con un'ora di sosta in meno. La Igefar tedesca ha aumentato gli stipendi dei metalmeccanici del 3,1%. Il problema non è il personale.
D. Marchionne ha centrato tutta la sua azione sulla produttività degli operai.
R. Prima del referendum, Marchionne disse che per Fabbrica Italia avrebbe messo sul piatto 20 miliardi di euro di investimenti e che uno di questi sarebbe andato a Mirafiori per fare il Suv.
D. Cosa non la convince?
R. Non ho mai visto uno che si presenta con un piano e dice cosa fa di un 20esimo delle risorse disponibili per quel piano.
D. Perché allora il referendum se non c'erano né soldi né piano?
R. Ha voluto spaccare la manodopera. E chi ha votato «sì» ora cosa si ritrova? Oggi Mirafiori è tutta in cassa integrazione, compresi gli ingegneri.
D. Si parla tanto di Casta politica, ma anche la qualità del nostro capitalismo non sembra eccellente.
R. Non solo degli imprenditori, anche della dirigenza. Quando vede persone ritenute per bene uscire con una buonuscita esorbitante deve chiedersi perché.
D. Perché?
R. Per stare zitti, perché hanno fatto gli intrallazzi più luridi, tutti. Voglio ricordare che il consiglio di amministrazione di Unicredit è stato riunito tre ore per decidere se fare o meno un'azione di responsabilità contro Profumo per aver pagato troppo Capitalia. L' ha comprata senza fare due diligence.
D. Dice che non meritava quella buonuscita milionaria?
R. In quel momento la banca aveva il famoso Tier a 7: significa che su 100 euro, sette erano della banca, il resto dei risparmiatori. Quindi i 40-50 milioni di Profumo per il 7% erano della banca, ma per il resto erano degli investitori.
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