l'articole che segue è un capolavoro.
ed andrebbe fatto imparare a memoria ad un bel Pierazzurro della mamma che conosco io...
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Ora il «modello Pomigliano»
non conviene neanche alla Fiat.
Di Rinaldo Gianola
22 giugno 2012
Gli Anni ‘50 in Italia sono finiti e anche alla Fiat è impossibile, almeno lo speriamo, che ritornino.
I lavoratori, tutti quanti, hanno diritto a scegliersi il sindacato che preferiscono e se il loro sindacato non firma gli accordi con l’azienda non possono, comunque, essere discriminati o privati della rappresentanza.
Se sui 2091 assunti nella Newco della Fiat non c’è nemmeno un iscritto alla Fiom evidentemente c’è un problema e come sorprendersi, dunque, che un tribunale della Repubblica riconosca la discriminazione e intervenga per ristabilire il diritto violato?
Sono passati due anni dal referendum con il quale i metalmeccanici dello stabilimento Gianbattista Vico decisero di accettare a maggioranza (il 63,4 % di sì, un successo, ma lontano dal plebiscito atteso...) le nuove formule organizzative, di lavoro, contrattuali imposte da Sergio Marchionne e accettate dai sindacati ad esclusione della Fiom come condizione pregiudiziale per portare in Campania la produzione della Nuova Panda.
Il «modello Pomigliano» non è stato un’eccezione, come molti giuravano anche a sinistra, ma è diventato il nuovo contratto dall’auto, al di fuori di Confindustria.
Ma lo strappo di Marchionne non ha finora garantito il pieno successo della Fiat in Italia e in Europa, la sicurezza produttiva degli impianti nazionali, il futuro di migliaia di lavoratori e di una delle industrie chiave della nostra economia.
A due anni dalla presentazione di “Fabbrica Italia” ormai scomparsa dagli interventi dell’amministratore delegato, dal voto di Pomigliano, la situazione della Fiat, i suoi investimenti, le sue strategie sono almeno incerti, per non dire di peggio, un po’ perché la crisi finanziaria ed economica degli ultimi anni ha cambiato lo scenario in cui deve operare la Fiat e un po’ perché l’azione di Marchionne è sempre apparsa ambigua, finalizzata più a privilegiare l’opzione americana che non a coltivare e a rafforzare le radici italiane.
La scelte di una grande multinazionale, ovviamente, si basano soprattutto sulla convenienza economica, sulla possibilità di realizzare profitti ampi e sicuri.
Nessuno, tanto meno il governo Monti, pare intenzionato in Italia a chiamare la Fiat alle responsabilità di una impresa nazionale.
Quello che, però, vale la pena rilevare e contestare è la natura, l’impatto sociale, le conseguenze politiche del «modello Pomigliano».
Questa strada non conviene neanche alla Fiat.
Non serve a nulla licenziare tre operai a Melfi, un impiegato a Mirafiori e cancellare stupidamente i lavoratori iscritti alla Fiom a Pomigliano, come a voler penalizzare, sanzionare i dissidenti in fabbrica.
È una strategia miope, insensata, che rende la Fiom un sindacato gigantesco, più rilevante del numero dei suoi iscritti e della capacità di creare consenso.
Dopo due anni di scontro con la Fiom, la Fiat ha ottenuto il risultato di fare figuracce meschine nelle aule di giustizia e di aver reso Maurizio Landini popolare come Lech Walesa.
Ora il Lingotto ricorrerà contro la sentenza di Pomigliano.
E poi?
Si può gestire di un’impresa contro un sindacato con un secolo di vita e che vivrà anche quando Marchionne se ne sarà andato a godersi le stock options, contro una parte dell’opinione pubblica, entrando e uscendo dai tribunali?
Oppure Marchionne quando parla di «ostacoli pretestuosi» intende usare le sentenze per convincersi, se mai ne avesse bisogno, della necessità di lasciare l’Italia?
Mirafiori è ferma,
Termini Imerese è disperata,
Irisbus chiusa,
la Grande Punto a Melfi è in discussione.
Fiat ha tagliato 500 milioni di investimenti.
Questa è la realtà.
Il ministro Elsa Fornero, che giura sulla fedeltà italiana del Lingotto, ha detto di «non voler commentare a caldo» la sentenza.
Bene, ci pensi con calma, sorseggiando un vermut e scrutando l’amato fiume che scorre a Torino, e poi, a freddo, ci faccia sapere.
http://www.unita.it/economia/il-modello ... t-1.423016