Come se ne viene fuori ?
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Re: Come se ne viene fuori ?
Monti ha scelto di galleggiare a “mezzo servizio” e quindi il nostro destino è segnato.
Camillobenso.
...................................
Caro camillobenso.sai che ho dei dubbi!
Se Monti avesse (qualche scheletro nell'armadio)Mi domando come ha potuto acettare tutti quei compromessi.
Essendo stato chiamato dal presidende Napolitano.Uno normale avrebbe detto o si fa cosi oppure non ci Stò.
Invece ha sceldo quello sopra.
Ciao
Paolo11
Camillobenso.
...................................
Caro camillobenso.sai che ho dei dubbi!
Se Monti avesse (qualche scheletro nell'armadio)Mi domando come ha potuto acettare tutti quei compromessi.
Essendo stato chiamato dal presidende Napolitano.Uno normale avrebbe detto o si fa cosi oppure non ci Stò.
Invece ha sceldo quello sopra.
Ciao
Paolo11
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Re: Come se ne viene fuori ?
Leggendo le osservazioni di mario, la prima cosa che mi viene in mente è l’assenza di risposta ad una domanda che mi pongo da almeno tre lustri.
Chi sono gli intellettuali di riferimento, a questo punto, oramai, dell’ex centrosinistra?
Forse la mia è una visione troppo schematica in quanto ai tempi era normale per il Pci avere un folto gruppo di intellettuali in vari settori come riferimento.
La maggior parte dell’intellighenzia italiana della seconda metà del novecento era di sinistra, tanto che a mario diventa spontaneo osservare:
Le condizioni sarebbero quindi favorevoli per riprendersi un'egemonia culturale prima ancora che politica.
Ma poi a partire dall’Ulivo in avanti non si è mai capito quali fossero gli intellettuali di riferimento,..meno che meno dopo la nascita del Pd.
Certo non poteva esserlo di certo Nanni Moretti, che già nel 2002 aveva capito tutto: “CON QUESTI DIRIGENTI NON VINCEREMO MAI”.
Cercando in rete ho scoperto che anche altri si erano posti il problema, soprattutto i nostri avversari.
*****
Il dibattito. Dove sono finiti gli intellettuali di sinistra?
di G. Gallo
maggio 5, 2009 di Redazione
Il giornale della politica italiana si è arricchito, negli ultimi giorni, di nuovi contributi di grande prestigio. Oggi è la volta di quello di Giuseppe Gallo, giornalista e sociologo della comunicazione, a lungo firma de «l’Unità». Gallo interviene nel dibattito sulla sparizione (o, meglio, sul mancato “afflusso”) degli intellettuali dalle liste del Partito Democratico, lanciato dal vicedirettore del «Giornale» Michele Brambilla sul quotidiano di domenica. Una volta, scrive Gallo, nelle liste per le Europee del Pci gli intellettuali non mancavano mai. Quali sono i motivi di questo divorzio? L’ex direttore di «Mediante» e «Yanez» prova a rispondere. Sentiamo.
di GIUSEPPE GALLO
Se lo chiede con un punta di sorniona ironia Michele Brambilla sul «Giornale» di domenica 3 maggio. Nelle liste per le europee del PCI gli intellettuali non mancavano mai. In quelle di quest’anno del PD non ce n’è neppure uno. «Coloro che in qualche modo hanno il diritto di fregiarsi del titolo di uomini di cultura» commenta il vicedirettore del quotidiano della famiglia Berlusconi «hanno scelto l’Aventino, oppure sono finiti con Di Pietro. Nell’Italia dei Valori sono ufficialmente candidati Gianni Vattimo, Nicola Tranfaglia, Giorgio Pressburger.» Perché? Quali motivi sono all’origine di questo divorzio?
Brambilla è schierato sul fronte opposto. Ma è un giornalista serio e onesto. D’altra parte, quando un articolo coglie un aspetto della realtà (sia pure secondario: la politica può fare tranquillamente a meno degli intellettuali), non importa sulle pagine di quale testata è uscito. Proviamo dunque ad abbozzare una risposta.
1) Gli intellettuali classici, di formazione umanistica (quelli a cui fa riferimento Brambilla), anche quando non erano comunisti, si erano avvicinati al PCI perché vi vedevano un esempio di organizzazione efficiente e vitale. Era un’occasione per uscire dal proprio isolamento pensoso e sentirsi utili nel perseguimento di scopi collettivi. Il PD, nella sua caoticità conflittuale, non è in grado di offrire un esempio analogo.
Prima postilla. Questa dinamica è ben documentata anche romanzescamente. Ma non è una prerogativa dell’intellighenzia di sinistra. Tutt’altro. In precedenza, molte delle migliori menti della cultura europea avevano aderito al partito fascista o a quello nazista spinti da un’analoga motivazione: fra gli altri, Giovanni Gentile e Luigi Pirandello in Italia, e Martin Heidegger in Germania.
2) Gli intellettuali (classici e di formazione umanistica) si erano avvicinati al PCI anche perché vi vedevano un tramite per entrare in contatto con i ceti popolari in cui scoprivano risorse morali e pratiche socialmente all’avanguardia. Impossibile comprendere questo “matrimonio” ignorando il carattere castale che ci aveva lasciato in retaggio la nostra tradizione letteraria: un moderno intellettuale, aveva detto Gramsci solo pochi anni prima, si sente più vicino ad Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che non a un contadino o a un operaio della sua epoca. Il PCI sembrava dare una spallata a questa plurisecolare tradizione, avvicinando per la prima volta gli intellettuali alla nazione.
Il PD non solo non può fare altrettanto, ha addirittura perso il consenso dei ceti popolari. Secondo un sondaggio realizzato da Ipsos e dal «Sole 24 ore», il 43,4% degli operai vota per il Popolo della Libertà e solo il 26,2% (la metà!) per il Partito Democratico. Del resto, sapevamo anche prima che la maggioranza del suo consenso elettorale il PD lo trova anzitutto nei ceti medi. Si capisce che non scatti la fascinazione: sono ceti che gli intellettuali già ben conoscono, dal momento che essi stessi vi appartengono. Nella politica, ancor più che nella vita di tutti i giorni, ci si innamora solo di chi è in grado di colmare una nostra mancanza, cioè di chi ci spalanca davanti agli occhi un mondo nuovo e sconosciuto.
Seconda postilla. Il PCI aveva tanti difetti. Ma aveva anche una robusta visione interclassista della politica, che gli consentiva di dialogare con fasce eterogenee della popolazione e di assolvere quindi una funzione eminentemente nazionale (cioè unificante).
3) Il PCI era una Chiesa, sorretta da un credo che correva di continuo il rischio di sconfinare nel totalitarismo. Può darsi che anche questo abbia agevolato il rapporto con gli intellettuali, su un piano più torbido, sollecitandone le tentazioni più ambigue e lesive (da sempre gli intellettuali sono ben propensi a vestire i panni del chierico). Ma è pur vero che, per altri versi, l’ideologia marxista si collocava a pieno titolo nella tradizione del miglior umanesimo di cui intendeva proseguire l’opera demistificante ponendosi come scopo la liberazione dell’uomo dalle molteplici forme di alienazione: sociale, psichica, culturale, filosofica… è su questo piano che molti intellettuali di differente provenienza (liberale, positivistica, fenomenologica, esistenzialistica, freudiana, francofortese, ecc.) si avvicinarono al partito comunista. Al PD questa ambizione umanistica manca.
Terza postilla. Chi scrive queste note non è mai stato marxista. Ma ugualmente un tempo ha apprezzato i tre meriti del PCI qui elencati. E non se la sente ora di sconfessarli. Anzi è convinto che il PD farebbe bene ad appropriarsene reinterpretandoli in un’ottica aggiornata all’interno di un sistema di riferimento più esplicitamente liberale.
Infine. Perché un buon numero di intellettuali («dal milieu di MicroMega a quello di Annozero», come dice sarcasticamente Brambilla) preferisce l’Italia dei Valori al PD? Eppure il partito di Di Pietro neanche lontanamente potrebbe presentarsi come erede di quello di Togliatti e Berlinguer. Anzi! Per molti aspetti, il sanguigno Tonino si dimostra un uomo schiettamente di destra più che di sinistra. Tuttavia, bisogna pur riconoscere che è l’unico a dar voce a un movimentismo di opposizione radicale che intercetta fasce di elettorato (di sinistra) altrimenti non rappresentate. Certo, lo fa in genere con insolente rusticità. Ma questo non è mai stato un limite invalicabile per gli intellettuali, che anzi hanno sempre dimostrato di apprezzare un vitalismo anche strapaesano purché energizzante.
Come Brambilla, vogliamo però concludere anche noi con una punta di maligno sarcasmo: nel Settecento, gli intellettuali ritenevano fiduciosamente di poter consigliare principi e sovrani ispirarandone l’operato, meraviglia così tanto che, altrettanto fiduciosamente, pensino oggi di poter suggerire l’agenda politica a un potente molto meno coriaceo come l’ex magistrato di Montenero di Bisaccia? Il pedagogismo è un vizio che difficilmente gli intellettuali riescono a estirpare da sé.
GIUSEPPE GALLO
Chi sono gli intellettuali di riferimento, a questo punto, oramai, dell’ex centrosinistra?
Forse la mia è una visione troppo schematica in quanto ai tempi era normale per il Pci avere un folto gruppo di intellettuali in vari settori come riferimento.
La maggior parte dell’intellighenzia italiana della seconda metà del novecento era di sinistra, tanto che a mario diventa spontaneo osservare:
Le condizioni sarebbero quindi favorevoli per riprendersi un'egemonia culturale prima ancora che politica.
Ma poi a partire dall’Ulivo in avanti non si è mai capito quali fossero gli intellettuali di riferimento,..meno che meno dopo la nascita del Pd.
Certo non poteva esserlo di certo Nanni Moretti, che già nel 2002 aveva capito tutto: “CON QUESTI DIRIGENTI NON VINCEREMO MAI”.
Cercando in rete ho scoperto che anche altri si erano posti il problema, soprattutto i nostri avversari.
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Il dibattito. Dove sono finiti gli intellettuali di sinistra?
di G. Gallo
maggio 5, 2009 di Redazione
Il giornale della politica italiana si è arricchito, negli ultimi giorni, di nuovi contributi di grande prestigio. Oggi è la volta di quello di Giuseppe Gallo, giornalista e sociologo della comunicazione, a lungo firma de «l’Unità». Gallo interviene nel dibattito sulla sparizione (o, meglio, sul mancato “afflusso”) degli intellettuali dalle liste del Partito Democratico, lanciato dal vicedirettore del «Giornale» Michele Brambilla sul quotidiano di domenica. Una volta, scrive Gallo, nelle liste per le Europee del Pci gli intellettuali non mancavano mai. Quali sono i motivi di questo divorzio? L’ex direttore di «Mediante» e «Yanez» prova a rispondere. Sentiamo.
di GIUSEPPE GALLO
Se lo chiede con un punta di sorniona ironia Michele Brambilla sul «Giornale» di domenica 3 maggio. Nelle liste per le europee del PCI gli intellettuali non mancavano mai. In quelle di quest’anno del PD non ce n’è neppure uno. «Coloro che in qualche modo hanno il diritto di fregiarsi del titolo di uomini di cultura» commenta il vicedirettore del quotidiano della famiglia Berlusconi «hanno scelto l’Aventino, oppure sono finiti con Di Pietro. Nell’Italia dei Valori sono ufficialmente candidati Gianni Vattimo, Nicola Tranfaglia, Giorgio Pressburger.» Perché? Quali motivi sono all’origine di questo divorzio?
Brambilla è schierato sul fronte opposto. Ma è un giornalista serio e onesto. D’altra parte, quando un articolo coglie un aspetto della realtà (sia pure secondario: la politica può fare tranquillamente a meno degli intellettuali), non importa sulle pagine di quale testata è uscito. Proviamo dunque ad abbozzare una risposta.
1) Gli intellettuali classici, di formazione umanistica (quelli a cui fa riferimento Brambilla), anche quando non erano comunisti, si erano avvicinati al PCI perché vi vedevano un esempio di organizzazione efficiente e vitale. Era un’occasione per uscire dal proprio isolamento pensoso e sentirsi utili nel perseguimento di scopi collettivi. Il PD, nella sua caoticità conflittuale, non è in grado di offrire un esempio analogo.
Prima postilla. Questa dinamica è ben documentata anche romanzescamente. Ma non è una prerogativa dell’intellighenzia di sinistra. Tutt’altro. In precedenza, molte delle migliori menti della cultura europea avevano aderito al partito fascista o a quello nazista spinti da un’analoga motivazione: fra gli altri, Giovanni Gentile e Luigi Pirandello in Italia, e Martin Heidegger in Germania.
2) Gli intellettuali (classici e di formazione umanistica) si erano avvicinati al PCI anche perché vi vedevano un tramite per entrare in contatto con i ceti popolari in cui scoprivano risorse morali e pratiche socialmente all’avanguardia. Impossibile comprendere questo “matrimonio” ignorando il carattere castale che ci aveva lasciato in retaggio la nostra tradizione letteraria: un moderno intellettuale, aveva detto Gramsci solo pochi anni prima, si sente più vicino ad Annibal Caro o a Ippolito Pindemonte che non a un contadino o a un operaio della sua epoca. Il PCI sembrava dare una spallata a questa plurisecolare tradizione, avvicinando per la prima volta gli intellettuali alla nazione.
Il PD non solo non può fare altrettanto, ha addirittura perso il consenso dei ceti popolari. Secondo un sondaggio realizzato da Ipsos e dal «Sole 24 ore», il 43,4% degli operai vota per il Popolo della Libertà e solo il 26,2% (la metà!) per il Partito Democratico. Del resto, sapevamo anche prima che la maggioranza del suo consenso elettorale il PD lo trova anzitutto nei ceti medi. Si capisce che non scatti la fascinazione: sono ceti che gli intellettuali già ben conoscono, dal momento che essi stessi vi appartengono. Nella politica, ancor più che nella vita di tutti i giorni, ci si innamora solo di chi è in grado di colmare una nostra mancanza, cioè di chi ci spalanca davanti agli occhi un mondo nuovo e sconosciuto.
Seconda postilla. Il PCI aveva tanti difetti. Ma aveva anche una robusta visione interclassista della politica, che gli consentiva di dialogare con fasce eterogenee della popolazione e di assolvere quindi una funzione eminentemente nazionale (cioè unificante).
3) Il PCI era una Chiesa, sorretta da un credo che correva di continuo il rischio di sconfinare nel totalitarismo. Può darsi che anche questo abbia agevolato il rapporto con gli intellettuali, su un piano più torbido, sollecitandone le tentazioni più ambigue e lesive (da sempre gli intellettuali sono ben propensi a vestire i panni del chierico). Ma è pur vero che, per altri versi, l’ideologia marxista si collocava a pieno titolo nella tradizione del miglior umanesimo di cui intendeva proseguire l’opera demistificante ponendosi come scopo la liberazione dell’uomo dalle molteplici forme di alienazione: sociale, psichica, culturale, filosofica… è su questo piano che molti intellettuali di differente provenienza (liberale, positivistica, fenomenologica, esistenzialistica, freudiana, francofortese, ecc.) si avvicinarono al partito comunista. Al PD questa ambizione umanistica manca.
Terza postilla. Chi scrive queste note non è mai stato marxista. Ma ugualmente un tempo ha apprezzato i tre meriti del PCI qui elencati. E non se la sente ora di sconfessarli. Anzi è convinto che il PD farebbe bene ad appropriarsene reinterpretandoli in un’ottica aggiornata all’interno di un sistema di riferimento più esplicitamente liberale.
Infine. Perché un buon numero di intellettuali («dal milieu di MicroMega a quello di Annozero», come dice sarcasticamente Brambilla) preferisce l’Italia dei Valori al PD? Eppure il partito di Di Pietro neanche lontanamente potrebbe presentarsi come erede di quello di Togliatti e Berlinguer. Anzi! Per molti aspetti, il sanguigno Tonino si dimostra un uomo schiettamente di destra più che di sinistra. Tuttavia, bisogna pur riconoscere che è l’unico a dar voce a un movimentismo di opposizione radicale che intercetta fasce di elettorato (di sinistra) altrimenti non rappresentate. Certo, lo fa in genere con insolente rusticità. Ma questo non è mai stato un limite invalicabile per gli intellettuali, che anzi hanno sempre dimostrato di apprezzare un vitalismo anche strapaesano purché energizzante.
Come Brambilla, vogliamo però concludere anche noi con una punta di maligno sarcasmo: nel Settecento, gli intellettuali ritenevano fiduciosamente di poter consigliare principi e sovrani ispirarandone l’operato, meraviglia così tanto che, altrettanto fiduciosamente, pensino oggi di poter suggerire l’agenda politica a un potente molto meno coriaceo come l’ex magistrato di Montenero di Bisaccia? Il pedagogismo è un vizio che difficilmente gli intellettuali riescono a estirpare da sé.
GIUSEPPE GALLO
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Re: Come se ne viene fuori ?
I dubbi, caro paolino, non sono solo tuoi. Già da qualche mese con gli amici del "Convegno dei cinque" ogni tanto si ritorna sul tema e ognuno ha il suo punto di vista.paolo11 ha scritto:Monti ha scelto di galleggiare a “mezzo servizio” e quindi il nostro destino è segnato.
Camillobenso.
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Caro camillobenso.sai che ho dei dubbi!
Se Monti avesse (qualche scheletro nell'armadio)Mi domando come ha potuto acettare tutti quei compromessi.
Essendo stato chiamato dal presidende Napolitano.Uno normale avrebbe detto o si fa cosi oppure non ci Stò.
Invece ha sceldo quello sopra.
Ciao
Paolo11
Tanto che c'è chi sostiene che Monti avendo avuto molto nella sua carriera volesse passare alla storia come salvatore della patria.
Io però rimango con il dubbio di fondo, perché davanti a problemi profondi e giganteschi come quelli dell'attuale società italiana, avendo uno straccio di soluzione da proporre, anch'io avrei posto l'ultimatum al Capo dello Stato, o si fa in questo modo oppure non ci sto.
Non riesco a darmi una risposta sul perché Monti abbia accettato, soprattutto con l'influente presenza in campo del Burlesque di Hardcore, che appoggiava il governo.
Non bisogna essere dei geni per capire come sarebbe andata a finire!!!
Re: Come se ne viene fuori ?
(continuazione)
Chiudo sulla sinistra e sugli intellettuali.
Il problema non consiste nel fatto che gli "intellettuali di sinistra" non trovino ospitalità nel PD diversamente da quanto accadeva col PCI.
Per onestà devo dire che questa moda di individuare nel PD la madre di tutti i mali della sinistra appare sempre più logora e meno convincente.
Con tutto il rispetto, Gianni Vattimo, indipendentemente dalla lista che lo ospita, mi sembra che abbia poco o nulla da dire sulle modalità di uscita dall'attuale crisi sistemica che sta vivendo l'occidente.
Analoghe considerazioni possono essere fatte anche per gli altri.
Ciò è accaduto non da quando è nato il PD (e qui, mi dispiace, ma sono in disaccordo con il conte zio) ma almeno dagli anni '90, come conseguenza della svolta storica il cui simbolo fu la famosa caduta del muro.
Quanto all'Ulivo, non mi sembra che abbia offerto grandi elaborazioni (soprattutto in un'ottica di sinistra); è stata solo l'opportunità di avere al governo di questo paese una borghesia illuminata, degnamente rappresentata da Romano Prodi. Non era certamente poco, ma è rimasto il tentativo di un'elite minoritaria, inesorabilmente travolta dalla famelica ingordigia della classe politica e delle corporazioni che imperversano nel bel paese. (Sulla borghesia italiana e sui suoi tratti oscillanti tra "le furbizie da quartierino" e le pulsioni eversive, potremmo riempire un altro 3d).
L'altro possibile sbocco è classicamente rappresentato dalla destra populista. Le tentazioni peroniste sono un pericolo sempre incombente. Se non sono giunte a compimento e presentano oggi relativamente scarse probabilità di riaffermazione, lo dobbiamo a due coincidenze fortunate: la nostra presenza nell'unione europea e nell'area euro (grazie, ancora una volta, Romano Prodi!), i cui "poteri forti" male hanno visto l'affermazione del duce di arcore fino a costringerlo, di fronte al precipitare della situazione economica, a farsi da parte; il fatto che l'infimo profilo della coppia B & B ha reso alla lunga priva di qualunque credibilità l'avventura verso la quale ci stavano conducendo, non solo agli occhi dell'Europa ma anche a quelli della gran parte dei merli nostrani.
Resta comunque un'opzione sempre in agguato. Molto dipenderà dagli esiti della profonda crisi che attualmente attanaglia l'Ue.
In tale quadro (scomparsa della sinistra per profonde motivazioni storiche, inconsistenza della borghesia italiana, priva di una coscienza nazionale e dedita più al saccheggio ed al piccolo cabotaggio che alla direzione del paese, aborto per cause esterne e per il profilo clownesco dei suoi interpreti di una svolta peronista), nasce il "fenomeno Monti".
Non inquadrarlo in tale contesto è, a mio avviso, un grande errore di analisi.
(continua, forse) meglio sottoporsi a piccole dosi di tali elucubrazioni...
Chiudo sulla sinistra e sugli intellettuali.
Il problema non consiste nel fatto che gli "intellettuali di sinistra" non trovino ospitalità nel PD diversamente da quanto accadeva col PCI.
Per onestà devo dire che questa moda di individuare nel PD la madre di tutti i mali della sinistra appare sempre più logora e meno convincente.
Con tutto il rispetto, Gianni Vattimo, indipendentemente dalla lista che lo ospita, mi sembra che abbia poco o nulla da dire sulle modalità di uscita dall'attuale crisi sistemica che sta vivendo l'occidente.
Analoghe considerazioni possono essere fatte anche per gli altri.
Ciò è accaduto non da quando è nato il PD (e qui, mi dispiace, ma sono in disaccordo con il conte zio) ma almeno dagli anni '90, come conseguenza della svolta storica il cui simbolo fu la famosa caduta del muro.
Quanto all'Ulivo, non mi sembra che abbia offerto grandi elaborazioni (soprattutto in un'ottica di sinistra); è stata solo l'opportunità di avere al governo di questo paese una borghesia illuminata, degnamente rappresentata da Romano Prodi. Non era certamente poco, ma è rimasto il tentativo di un'elite minoritaria, inesorabilmente travolta dalla famelica ingordigia della classe politica e delle corporazioni che imperversano nel bel paese. (Sulla borghesia italiana e sui suoi tratti oscillanti tra "le furbizie da quartierino" e le pulsioni eversive, potremmo riempire un altro 3d).
L'altro possibile sbocco è classicamente rappresentato dalla destra populista. Le tentazioni peroniste sono un pericolo sempre incombente. Se non sono giunte a compimento e presentano oggi relativamente scarse probabilità di riaffermazione, lo dobbiamo a due coincidenze fortunate: la nostra presenza nell'unione europea e nell'area euro (grazie, ancora una volta, Romano Prodi!), i cui "poteri forti" male hanno visto l'affermazione del duce di arcore fino a costringerlo, di fronte al precipitare della situazione economica, a farsi da parte; il fatto che l'infimo profilo della coppia B & B ha reso alla lunga priva di qualunque credibilità l'avventura verso la quale ci stavano conducendo, non solo agli occhi dell'Europa ma anche a quelli della gran parte dei merli nostrani.
Resta comunque un'opzione sempre in agguato. Molto dipenderà dagli esiti della profonda crisi che attualmente attanaglia l'Ue.
In tale quadro (scomparsa della sinistra per profonde motivazioni storiche, inconsistenza della borghesia italiana, priva di una coscienza nazionale e dedita più al saccheggio ed al piccolo cabotaggio che alla direzione del paese, aborto per cause esterne e per il profilo clownesco dei suoi interpreti di una svolta peronista), nasce il "fenomeno Monti".
Non inquadrarlo in tale contesto è, a mio avviso, un grande errore di analisi.
(continua, forse) meglio sottoporsi a piccole dosi di tali elucubrazioni...
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Re: Come se ne viene fuori ?
Er fijo der dio AmmonAmadeus ha scritto: Siete senza quore , non avete sensibbbilità .... quello negava la crisi per noi, si teneva tutto dentro, soffrendo come un cane, per proteggerci, ci raccontava di aerei pieni e ristoranti gremiti per darci la SPERANZA. ma diamoglielo sto 51% , ma dai ... su !
Nu’ piezz' 'e core………..
Nu’ babbà……..
L’uomm ‘a prevvidenzz
Re: Come se ne viene fuori ?
(continua)
Avevo lasciato su questa frase:
In tale quadro (scomparsa della sinistra per profonde motivazioni storiche, inconsistenza della borghesia italiana, priva di una coscienza nazionale e dedita più al saccheggio ed al piccolo cabotaggio che alla direzione del paese, aborto per cause esterne e per il profilo clownesco dei suoi interpreti di una svolta peronista), nasce il "fenomeno Monti".
Sulla questione Monti, non ho nulla da aggiungere a quanto è stato scritto nel nostro forum.
Vorrei solo ricordare alcuni aspetti che mi sembra sfuggano nella foga delle giuste reazioni ai misfatti di questo governo.
Innanzitutto la domanda di fondo. Qual'è il mandato che ha ricevuto da Napolitano quando è stato "chiamato" a prendere il comando del governo.
E' evidente che non lo sapremo mai con certezza. Però, alla luce di quanto accaduto finora un'idea possiamo farcela.
Ricordiamoci che il caimano fu costretto a lasciare sulla base del diktat dell'Ue, con annessa Bce e dell'asse Merkel-Sarkozy.
Nella tempesta dell'euro, l'Italia rappresentava la maggiore minaccia a causa delle dimensioni del suo debito. 2.000 miliardi di € per un paese delle nostre dimensioni sono un'enormità. Un default avrebbe mandato a gambe all'aria le maggiori banche europee e di conseguenza le relative economie.
E' per questo motivo che è stata sottoposta ad un'attenzione ed a una cura speciale, che si è concretizzata nell'obbligo di raggiungere il pareggio di bilancio nel giro di un paio d'anni.
Impresa ciclopica, che implicava minori spese + maggiori entrate per almeno 60 miliardi all'anno, oltre un'altra quarantina di miliardi dovuti all'impennata degli interessi sul debito, da attuare da subito. Tutto ciò in un periodo di crisi economica e di recessione.
La risposta del magliaro che guidava il nostro governo fu in perfetta linea con il suo stile. Nessuna resistenza, nessuna obiezione... solo la solita furbata: preannunciare misure il cui peso era tutto posposto al 2014, cioè al dopo elezioni.
Ma anche in Europa "nisciune è fesso" e dopo avergli intimato il raggiungimento dell'obbiettivo entro il 2013, di fronte agli ulteriori tentennamenti e prese di tempo, gli hanno fatto sapere, attraverso il presidente della repubblica, che o se ne andava o lo avrebbero preso a calci nel culo.
A questo punto il dilemma: chi era disposto a prendersi una tale gatta da pelare? Il centrosinistra? Quale? E con quale programma? Tagliare la spesa pubblica (o aumentare la pressione fiscale) per circa 100 miliardi all'anno, con effetto praticamente immediato, come lo si metteva in un programma elettorale? Come era pensabile centrare un tale obbiettivo senza mettere in atto provvedimenti da macelleria sociale?
Rinegoziare con la Bce, neanche a parlarne. La situazione non era precipitata fino ad allora solo grazie agli acquisti da parte della banca centrale dei nostri titoli. Bastava che i rappresentanti tedeschi decidessero di chiudere i rubinetti e la frittata era fatta.
Da ciò si evince il tipo di mandato affidato a Monti: assecondare l'Ue costasse quel che costasse. Tutto il resto, le riforme necessarie per il rilancio del sistema paese, l'allineamento ai maggiori paesi europei, la competitività delle imprese: tutte chiacchiere per indorare la pillola.
Perché Monti abbia accettato, se per semplice spirito mercenario o per il nobile intento di salvare il paese, mi sembra un dettaglio poco rilevante.
Ciò che conta è che il mandato era quello e che conciliarlo con l'equità e con la "crescita" era pura illusione o subdola presa per i fondelli.
E' vero che evasione, corruzione, illegalità valgono più di cento miliardi all'anno. Ma quali garanzie poteva dare un governo appena insediato che li avrebbe recuperati in pochi mesi? E chi gli avrebbe mai creduto? E anche se avesse potuto e voluto farlo, cosa fa pensare che le corporazioni nostrane avrebbero di colpo perso la loro capacità di interdizione praticata con successo da almeno 150 anni di storia unitaria?
E' per tali motivi che mi sembra francamente ingenuo chi si meraviglia di ciò che questo governo ha fatto e sta facendo, come se fossero cose impreviste o, dati i vincoli al contorno, evitabili.
(continua) per coloro che avranno la pazienza di leggere...
Avevo lasciato su questa frase:
In tale quadro (scomparsa della sinistra per profonde motivazioni storiche, inconsistenza della borghesia italiana, priva di una coscienza nazionale e dedita più al saccheggio ed al piccolo cabotaggio che alla direzione del paese, aborto per cause esterne e per il profilo clownesco dei suoi interpreti di una svolta peronista), nasce il "fenomeno Monti".
Sulla questione Monti, non ho nulla da aggiungere a quanto è stato scritto nel nostro forum.
Vorrei solo ricordare alcuni aspetti che mi sembra sfuggano nella foga delle giuste reazioni ai misfatti di questo governo.
Innanzitutto la domanda di fondo. Qual'è il mandato che ha ricevuto da Napolitano quando è stato "chiamato" a prendere il comando del governo.
E' evidente che non lo sapremo mai con certezza. Però, alla luce di quanto accaduto finora un'idea possiamo farcela.
Ricordiamoci che il caimano fu costretto a lasciare sulla base del diktat dell'Ue, con annessa Bce e dell'asse Merkel-Sarkozy.
Nella tempesta dell'euro, l'Italia rappresentava la maggiore minaccia a causa delle dimensioni del suo debito. 2.000 miliardi di € per un paese delle nostre dimensioni sono un'enormità. Un default avrebbe mandato a gambe all'aria le maggiori banche europee e di conseguenza le relative economie.
E' per questo motivo che è stata sottoposta ad un'attenzione ed a una cura speciale, che si è concretizzata nell'obbligo di raggiungere il pareggio di bilancio nel giro di un paio d'anni.
Impresa ciclopica, che implicava minori spese + maggiori entrate per almeno 60 miliardi all'anno, oltre un'altra quarantina di miliardi dovuti all'impennata degli interessi sul debito, da attuare da subito. Tutto ciò in un periodo di crisi economica e di recessione.
La risposta del magliaro che guidava il nostro governo fu in perfetta linea con il suo stile. Nessuna resistenza, nessuna obiezione... solo la solita furbata: preannunciare misure il cui peso era tutto posposto al 2014, cioè al dopo elezioni.
Ma anche in Europa "nisciune è fesso" e dopo avergli intimato il raggiungimento dell'obbiettivo entro il 2013, di fronte agli ulteriori tentennamenti e prese di tempo, gli hanno fatto sapere, attraverso il presidente della repubblica, che o se ne andava o lo avrebbero preso a calci nel culo.
A questo punto il dilemma: chi era disposto a prendersi una tale gatta da pelare? Il centrosinistra? Quale? E con quale programma? Tagliare la spesa pubblica (o aumentare la pressione fiscale) per circa 100 miliardi all'anno, con effetto praticamente immediato, come lo si metteva in un programma elettorale? Come era pensabile centrare un tale obbiettivo senza mettere in atto provvedimenti da macelleria sociale?
Rinegoziare con la Bce, neanche a parlarne. La situazione non era precipitata fino ad allora solo grazie agli acquisti da parte della banca centrale dei nostri titoli. Bastava che i rappresentanti tedeschi decidessero di chiudere i rubinetti e la frittata era fatta.
Da ciò si evince il tipo di mandato affidato a Monti: assecondare l'Ue costasse quel che costasse. Tutto il resto, le riforme necessarie per il rilancio del sistema paese, l'allineamento ai maggiori paesi europei, la competitività delle imprese: tutte chiacchiere per indorare la pillola.
Perché Monti abbia accettato, se per semplice spirito mercenario o per il nobile intento di salvare il paese, mi sembra un dettaglio poco rilevante.
Ciò che conta è che il mandato era quello e che conciliarlo con l'equità e con la "crescita" era pura illusione o subdola presa per i fondelli.
E' vero che evasione, corruzione, illegalità valgono più di cento miliardi all'anno. Ma quali garanzie poteva dare un governo appena insediato che li avrebbe recuperati in pochi mesi? E chi gli avrebbe mai creduto? E anche se avesse potuto e voluto farlo, cosa fa pensare che le corporazioni nostrane avrebbero di colpo perso la loro capacità di interdizione praticata con successo da almeno 150 anni di storia unitaria?
E' per tali motivi che mi sembra francamente ingenuo chi si meraviglia di ciò che questo governo ha fatto e sta facendo, come se fossero cose impreviste o, dati i vincoli al contorno, evitabili.
(continua) per coloro che avranno la pazienza di leggere...
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Re: Come se ne viene fuori ?
"...per coloro che avranno la pazienza di leggere..."
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se tu avrai la pazienza di scrivere,
qui troverai sempre chi avrà la pazienza di leggere.
hasta luego @Tion.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Proviamo a mettere da parte tutti i giudizi (che in gran parte condivido) sul Monti "riformista", sulla rapina delle pensioni, sulla flexsecurity della Fornero in salsa Ichino de' noantri. Mi rendo conto che è difficile, ma proviamoci.
Guardiamo il Monti che rappresenta l'Italia in Europa e sulla scena internazionale. Probabilmente è la parte che più delle altre corrisponde, come ho cercato di argomentare nel post precedente, al mandato ricevuto.
Sta dando la giusta impostazione alle "richieste" da avanzare ai partner europei?
Secondo gli orientamenti espressi (si fa per dire) al riguardo dai nostri politici, dovremmo dire di no. Le posizioni prevalenti (partendo dalla sinistra, da Fassina e da parte di ciò che resta del centrodestra) sono più orientate all'ottenimento di un allentamento del cosiddetto "rigore".
Anche Hollande, durante la sua campagna elettorale, aveva posto al centro della sua iniziativa la rinegoziazione del fiscal compact per allentarne il rigore. Per la verità lo stesso Monti aveva proposto l'esclusione di alcuni "investimenti virtuosi" dal computo del deficit.
Oggi pare invece che i suoi sforzi si concentrino su politiche di "gestione dei debiti sovrani", in altri termini su meccanismi di protezione dagli attacchi della speculazione attraverso gli "spread".
Al di là del "ricatto" messo in atto per ottenere il risultato ("no spread - no tobin tax") e delle probabilità del suo successo, a me sembra una mossa intelligente.
Ottenere la possibilità di sforare il pareggio di bilancio, sia pure per "nobili" fini rivolti ad investimenti la cui ricaduta sociale sarebbe tutta da verificare, potrebbe rappresentare una vittoria di Pirro, perché se ad essa si associasse un ulteriore aumento degli interessi sul debito, il potenziale beneficio verrebbe rapidamente bruciato.
Fare muro contro la speculazione, mi sembra invece la maggiore priorità del momento. E bisogna dare atto a Monti di mostrare di averlo capito e di comportarsi di conseguenza.
Che il suo tentativo abbia un qualche successo ovviamente è tutto da verificare.
Tuttavia risulta abbastanza chiaro che il personaggio, mentre è tutt'altro che apprezzabile come politico e come statista, è attualmente insostituibile sulla scena internazionale.
Guardiamo il Monti che rappresenta l'Italia in Europa e sulla scena internazionale. Probabilmente è la parte che più delle altre corrisponde, come ho cercato di argomentare nel post precedente, al mandato ricevuto.
Sta dando la giusta impostazione alle "richieste" da avanzare ai partner europei?
Secondo gli orientamenti espressi (si fa per dire) al riguardo dai nostri politici, dovremmo dire di no. Le posizioni prevalenti (partendo dalla sinistra, da Fassina e da parte di ciò che resta del centrodestra) sono più orientate all'ottenimento di un allentamento del cosiddetto "rigore".
Anche Hollande, durante la sua campagna elettorale, aveva posto al centro della sua iniziativa la rinegoziazione del fiscal compact per allentarne il rigore. Per la verità lo stesso Monti aveva proposto l'esclusione di alcuni "investimenti virtuosi" dal computo del deficit.
Oggi pare invece che i suoi sforzi si concentrino su politiche di "gestione dei debiti sovrani", in altri termini su meccanismi di protezione dagli attacchi della speculazione attraverso gli "spread".
Al di là del "ricatto" messo in atto per ottenere il risultato ("no spread - no tobin tax") e delle probabilità del suo successo, a me sembra una mossa intelligente.
Ottenere la possibilità di sforare il pareggio di bilancio, sia pure per "nobili" fini rivolti ad investimenti la cui ricaduta sociale sarebbe tutta da verificare, potrebbe rappresentare una vittoria di Pirro, perché se ad essa si associasse un ulteriore aumento degli interessi sul debito, il potenziale beneficio verrebbe rapidamente bruciato.
Fare muro contro la speculazione, mi sembra invece la maggiore priorità del momento. E bisogna dare atto a Monti di mostrare di averlo capito e di comportarsi di conseguenza.
Che il suo tentativo abbia un qualche successo ovviamente è tutto da verificare.
Tuttavia risulta abbastanza chiaro che il personaggio, mentre è tutt'altro che apprezzabile come politico e come statista, è attualmente insostituibile sulla scena internazionale.
il corriere.it ha scritto:«IO NON SONO STATO ELETTO E NON CORRERÒ PER LE ELEZIONI»
Monti: niente Tobin tax se non si frena lo spread
La strategia a Bruxelles. E scherza sul premio dei contribuenti: dovrei fare un'excusatio
Dal nostro inviato MARCO GALLUZZO
BRUXELLES - È il primo pugno sul tavolo. O il primo colpo di avvertimento. Alla vigilia del Consiglio europeo Monti comincia a porre dei paletti: l'Italia si aspetta delle cose dal vertice e non dirà di sì ad altre, se non le otterrà. È l'inizio della fase finale del negoziato. La condizione è il meccanismo per «raffreddare» gli spread dei Paesi virtuosi: il premier punta a quello e senza non darà il via libera alla Tobin tax, la tassa sulle transazioni finanziarie sulla quale, pochi giorni fa, aveva detto di essere pronto a schierarsi con Francia, Germania e Spagna, lasciando fuori dallo schema la Gran Bretagna.
Monti con Merkel, Hollande e Rajoy in uno degli ultimi vertici Ue (Ansa)
Per le sue convinzioni era un cambiamento: la Tobin tax, a giudizio di Monti, sarebbe meglio vararla con il consenso di tutti. Nel vertice di villa Madama, la settimana scorsa, la correzione di rotta: va bene anche la cooperazione rafforzata, ovvero basteranno 9 Paesi; ieri l'ulteriore sterzata: nessun via libera se una cooperazione rafforzata «non ci sarà anche per altri aspetti, come la politica finanziaria di gestione del mercato dei titoli sovrani».
Monti lo dice durante il discorso di accettazione del premio dell'Associazione dei contribuenti europei (dove scherza: «Più che ricevere una laudatio avrei dovuto fare un'excusatio»), lo conferma parlando con i cronisti. Ricorda di essere stato studente dell'economista Tobin, che ha dato il nome all'idea della tassa, e spiega la nuova posizione in questo modo: «Il governo precedente aveva una posizione negativa sulla tassa sulle transazioni finanziarie, noi siamo più aperti e non escludiamo una cooperazione rafforzata. Ma vogliamo una visione più equilibrata e più ampia. Se ci si deve muovere in questo senso, allora la nostra aspettativa e la nostra condizione è che ci dovrebbe essere una cooperazione rafforzata nella politica finanziaria, per esempio per porre rimedio ai fallimenti del mercato sul debito sovrano».
«L'Italia - prosegue Monti - ha fatto un passo importante dichiarando di non esser più ostile alla tassa, di fronte alla richiesta di procedere ad una cooperazione rafforzata, cioè non a 27, ma per esempio per la zona euro, potrebbe prendere in considerazione questa richiesta, ma aderirebbe solo se anche per altri aspetti» ci sarà la stessa volontà.
Tecnicamente non è un veto, ma è qualcosa che complica di molto l'adozione di un'iniziativa che sta a cuore sia a Parigi che a Berlino. Sfilare l'Italia dal progetto significa indebolirlo, ridurne in modo ulteriore i contorni di applicazione. È insomma la prima di una serie di condizioni che da oggi Monti potrebbe portare al tavolo del vertice, dal quale vuole uscire, «anche lavorando sino a domenica sera», ha detto due giorni fa, con un meccanismo di stabilizzazione degli spread sui titoli di Stato. Le caute aperture di Berlino sul tema, filtrate a Parigi due sere fa, mercoledì sono state raffreddate dalla Commissione, così come da alcuni Stati solitamente affiancati a Berlino. Il primo ministro finlandese, Jyrki Katainen, durante un incontro con Mario Mauro, capogruppo pdl al Parlamento europeo, è stato molto netto: «Se proviamo a mettere in pratica la proposta di Monti rimaniamo senza soldi entro la fine dell'anno».
Il riferimento è all'uso di uno dei Fondi salva Stati per calmierare lo spread dei Paesi in difficoltà. Quel risultato che Monti vuole per lunedì mattina. Mercoledì Jean-Claude Juncker, premier del Lussemburgo, ha definito Monti «un combattente». Dopo aver ritirato il premio, lo stesso Monti, ad una domanda su mercati e Germania, entrambi da convincere, ha risposto così: «Sono due sfide molto impegnative, ma tutti in Europa danno il loro meglio quando sono in una sfida». La speranza è che proprio la Germania «prosegua nella sua visione, quella di uno Stato decisivo nella costruzione del modello europeo». Lo dice «il premier di mentalità più tedesca che l'Italia abbia mai avuto».
28 giugno 2012 | 7:26
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Re: Come se ne viene fuori ?
E-mail inviata al Presidente dell Camera.
All’ombra del Partenone
Egregio Presidente Fini,
leggo dal Corriere.it di stamani:
LE VACANZE DI AGOSTO
Deputati in ferie, la Rete mugugna
Fini: «Se serve si lavorerà di notte»
POLITICA Dopo lo scambio di battute tra il capogruppo Pdl e il ministro Giarda sulla la continuazione dei lavori a Montecitorio in agosto, Cicchitto è trend topic di Twitter. Ma anche alla buvette
http://www.corriere.it/politica/12_giug ... f4b9.shtml
Evitiamo Presidente, evitiamo di lavorare anche di notte. Già questa legislatura ha visto troppe “porcate” (ma neppure le altre sono da meno, altrimenti non saremmo falliti come sostiene il Prof. Gustavo Zagrebelsky, già Presidente emerito della Corte Costituzionale) durante il lavoro di giorno, figuriamoci con “l’affaticamento” della notte.
A.Hopkins
All’ombra del Partenone
Egregio Presidente Fini,
leggo dal Corriere.it di stamani:
LE VACANZE DI AGOSTO
Deputati in ferie, la Rete mugugna
Fini: «Se serve si lavorerà di notte»
POLITICA Dopo lo scambio di battute tra il capogruppo Pdl e il ministro Giarda sulla la continuazione dei lavori a Montecitorio in agosto, Cicchitto è trend topic di Twitter. Ma anche alla buvette
http://www.corriere.it/politica/12_giug ... f4b9.shtml
Evitiamo Presidente, evitiamo di lavorare anche di notte. Già questa legislatura ha visto troppe “porcate” (ma neppure le altre sono da meno, altrimenti non saremmo falliti come sostiene il Prof. Gustavo Zagrebelsky, già Presidente emerito della Corte Costituzionale) durante il lavoro di giorno, figuriamoci con “l’affaticamento” della notte.
A.Hopkins
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Re: Come se ne viene fuori ?
Guardiamo il Monti che rappresenta l'Italia in Europa e sulla scena internazionale. Probabilmente è la parte che più delle altre corrisponde, come ho cercato di argomentare nel post precedente, al mandato ricevuto.
Sta dando la giusta impostazione alle "richieste" da avanzare ai partner europei?
………..Oggi pare invece che i suoi sforzi si concentrino su politiche di "gestione dei debiti sovrani", in altri termini su meccanismi di protezione dagli attacchi della speculazione attraverso gli "spread".
mariok
*****
Su questo punto ho un’altra visione delle priorità.
Ieri ho sentito di sfuggita in tv che da qualche parte è stato affermato che non si deve pronunciare la parola “guerra”, in merito agli accadimenti economico- finanziari in corso.
Non sono d’accordo.
Il primo motivo è che ritengo che la popolazione adulta di un Paese non debba essere trattata in modo infantile, anche se alcune fasce potrebbero dimostrare un certo infantilismo latente.
Ad una nazione non bisogna nascondere la verità, anche la più cruda possibile.
Non ritengo sia giusto che quando si vanno a richiedere sacrifici, si adoperi la retorica “del bene della nazione”, richiamando i doveri per il bene comune e la salvezza di figli e nipoti, ma poi gli si nasconda cosa effettivamente stia succedendo.
Il secondo motivo è di natura militare, se si vuole ottenere il massimo impegno delle truppe occorre raccontare la verità sui motivi per cui si va alla guerra.
Il terzo motivo è di natura culturale.
Negli ultimi cent’anni non è che gli abitanti di questo pianeta, che si dovrebbe chiamare Marte, in onore del dio della guerra e non Terra, ha tratto pochissimi insegnamenti dalle tragedie di cui sono stati testimoni.
Proprio perché l’aspetto culturale della guerra e della pace è minoritario, ancora oggi è valido il pensiero di ERICH VON LUDENDORFF, Capo di Stato Maggiore dal 1916 al 1918 dell’Esercito Tedesco, che sosteneva :
La pace è solo un intervallo tra due guerre.
E’ un pensiero drammaticamente valido, perché volendo trascurare forzatamente tutti i teatri di guerra dal 1945 ad oggi, le nazioni continuano le loro guerre su altri piani.
Il principale di questi è la guerra commerciale.
Un altro piano è la guerra monetaria.
Se Obama, su pressione dei suoi consiglieri, preme sull’Europa affinché trovi rapidamente una soluzione sia per l’euro che per le nazioni deboli dell’eurozona al fine di evitare che il collasso europeo trascini nella tragedia anche gli Usa, i suoi avversari repubblicani, che potremmo definire “senz’anima” con il pelo sullo stomaco, spingono per la scomparsa dell’euro a favore del dollaro.
E’ poco comprensibile come si possano mettere sugli altari le agenzie di rating, come se fossero il verbo, quando sappiamo che stanno facendo un gioco sporco ed interessato a favor di certi settori statunitensi e non solo.
Da anni sfornano pagelle sulle nazioni del mondo non sempre obiettivamente validi.
E’ una nuova forma di condizionamento nella sovrastruttura costruita ad arte dell’economia di base legata alla produttività.
Continua
Sta dando la giusta impostazione alle "richieste" da avanzare ai partner europei?
………..Oggi pare invece che i suoi sforzi si concentrino su politiche di "gestione dei debiti sovrani", in altri termini su meccanismi di protezione dagli attacchi della speculazione attraverso gli "spread".
mariok
*****
Su questo punto ho un’altra visione delle priorità.
Ieri ho sentito di sfuggita in tv che da qualche parte è stato affermato che non si deve pronunciare la parola “guerra”, in merito agli accadimenti economico- finanziari in corso.
Non sono d’accordo.
Il primo motivo è che ritengo che la popolazione adulta di un Paese non debba essere trattata in modo infantile, anche se alcune fasce potrebbero dimostrare un certo infantilismo latente.
Ad una nazione non bisogna nascondere la verità, anche la più cruda possibile.
Non ritengo sia giusto che quando si vanno a richiedere sacrifici, si adoperi la retorica “del bene della nazione”, richiamando i doveri per il bene comune e la salvezza di figli e nipoti, ma poi gli si nasconda cosa effettivamente stia succedendo.
Il secondo motivo è di natura militare, se si vuole ottenere il massimo impegno delle truppe occorre raccontare la verità sui motivi per cui si va alla guerra.
Il terzo motivo è di natura culturale.
Negli ultimi cent’anni non è che gli abitanti di questo pianeta, che si dovrebbe chiamare Marte, in onore del dio della guerra e non Terra, ha tratto pochissimi insegnamenti dalle tragedie di cui sono stati testimoni.
Proprio perché l’aspetto culturale della guerra e della pace è minoritario, ancora oggi è valido il pensiero di ERICH VON LUDENDORFF, Capo di Stato Maggiore dal 1916 al 1918 dell’Esercito Tedesco, che sosteneva :
La pace è solo un intervallo tra due guerre.
E’ un pensiero drammaticamente valido, perché volendo trascurare forzatamente tutti i teatri di guerra dal 1945 ad oggi, le nazioni continuano le loro guerre su altri piani.
Il principale di questi è la guerra commerciale.
Un altro piano è la guerra monetaria.
Se Obama, su pressione dei suoi consiglieri, preme sull’Europa affinché trovi rapidamente una soluzione sia per l’euro che per le nazioni deboli dell’eurozona al fine di evitare che il collasso europeo trascini nella tragedia anche gli Usa, i suoi avversari repubblicani, che potremmo definire “senz’anima” con il pelo sullo stomaco, spingono per la scomparsa dell’euro a favore del dollaro.
E’ poco comprensibile come si possano mettere sugli altari le agenzie di rating, come se fossero il verbo, quando sappiamo che stanno facendo un gioco sporco ed interessato a favor di certi settori statunitensi e non solo.
Da anni sfornano pagelle sulle nazioni del mondo non sempre obiettivamente validi.
E’ una nuova forma di condizionamento nella sovrastruttura costruita ad arte dell’economia di base legata alla produttività.
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