THE CATHOLIC QUESTION
Re: THE CATHOLIC QUESTION
De Gasperi e Andreotti andavano insieme a messa , e tutti credevano che facessero la stessa cosa. Ma non era così.
In chiesa De Gasperi parlava con Dio , Andreotti col prete.
I preti votano , Dio no.
- Indro Montanelli -
In chiesa De Gasperi parlava con Dio , Andreotti col prete.
I preti votano , Dio no.
- Indro Montanelli -
Re: THE CATHOLIC QUESTION
LAZIO: LA GIUNTA POLVERINI APPROVA LA NORMA "AD PARROCCHIAM"
La norma consente agli enti religiosi di finanziare la realizzazione e l’ampliamento di chiese attraverso la costruzione di strutture residenziali, commerciali, direzionali e turistiche
Un centro commerciale annesso alla parrocchia, e perché no? Case e strutture residenziali della Curia a fianco alla Chiesa, e che male c'è? I consiglieri del Lazio si saranno risposti più o meno così quando hanno votato il piano che è stato già ribattezzato "casa e chiesa".
La norma, chiamata da alcuni ad parrocchiam, consente agli enti religiosi di finanziare la realizzazione e l'ampliamento di chiese attraverso la costruzione di strutture residenziali, commerciali, direzionali, turistiche, per una volumetria pari a quella delle opere religiose fino a un massimo di 3mila metri quadrati. Dove? Su terreni loro e in deroga al piano regolatore.
In soldoni significa che con questa modifica al piano casa la Chiesa potrà costruire oratori, alberghi e persino outlet vicino alle parrocchie occupando fino a tremila metri quadrati di terreno. E sono 2mila gli enti religiosi con sede a Roma e possiedono decine di migliaia di terreni e fabbricati.
Sel e Radicali hanno fatto muro e infine la norma ha recepito un emendamento del Pd sul limite dei 3 mila metri quadrati. Secondo l'assessore all' urbanistica e vicepresidente della regione Luciano Ciocchetti (Udc) è una "soluzione alla crisi che limita le provvidenze pubbliche per i luoghi di culto". Gli ambientalisti invece la considerano "un regalo a Chiesa e palazzinari".
Mentre si stavano votando gli emendamenti, la Giunta Polverini ha presentato un sub-emendamento che ha fatto decadere tutti gli altri depositati, per dare il via libera alla legge entro fine luglio, termine fissato per il via libera. Per questo l'opposizione al momento del voto ha abbandonato l'aula per protesta.
Fonte: Blitzquotidiano.it
La norma consente agli enti religiosi di finanziare la realizzazione e l’ampliamento di chiese attraverso la costruzione di strutture residenziali, commerciali, direzionali e turistiche
Un centro commerciale annesso alla parrocchia, e perché no? Case e strutture residenziali della Curia a fianco alla Chiesa, e che male c'è? I consiglieri del Lazio si saranno risposti più o meno così quando hanno votato il piano che è stato già ribattezzato "casa e chiesa".
La norma, chiamata da alcuni ad parrocchiam, consente agli enti religiosi di finanziare la realizzazione e l'ampliamento di chiese attraverso la costruzione di strutture residenziali, commerciali, direzionali, turistiche, per una volumetria pari a quella delle opere religiose fino a un massimo di 3mila metri quadrati. Dove? Su terreni loro e in deroga al piano regolatore.
In soldoni significa che con questa modifica al piano casa la Chiesa potrà costruire oratori, alberghi e persino outlet vicino alle parrocchie occupando fino a tremila metri quadrati di terreno. E sono 2mila gli enti religiosi con sede a Roma e possiedono decine di migliaia di terreni e fabbricati.
Sel e Radicali hanno fatto muro e infine la norma ha recepito un emendamento del Pd sul limite dei 3 mila metri quadrati. Secondo l'assessore all' urbanistica e vicepresidente della regione Luciano Ciocchetti (Udc) è una "soluzione alla crisi che limita le provvidenze pubbliche per i luoghi di culto". Gli ambientalisti invece la considerano "un regalo a Chiesa e palazzinari".
Mentre si stavano votando gli emendamenti, la Giunta Polverini ha presentato un sub-emendamento che ha fatto decadere tutti gli altri depositati, per dare il via libera alla legge entro fine luglio, termine fissato per il via libera. Per questo l'opposizione al momento del voto ha abbandonato l'aula per protesta.
Fonte: Blitzquotidiano.it
Re: THE CATHOLIC QUESTION
Chiesa, Bagnasco: «I cattolici in politica siano più numerosi e ben formati»
Il presidente della Cei lancia un appello nell'omelia in San Lorenzo
GENOVA - In politica «i cattolici siano sempre più numerosi e ben formati»: l'auspicio è dell'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, che l'ha formulato nell'omelia pronunciata stamani in San Lorenzo durante la messa per la ricorrenza del patrono della cattedrale.
«I cristiani - ha detto - com'è loro dovere, sono stati e continueranno ad essere lievito nella società con fiducia e spirito di servizio, consapevoli di aver ricevuto un giacimento inesauribile di visione e di valori religiosi, umani e culturali». «La loro presenza - ha proseguito - non è codificata in formule specifiche, fatta salva la consapevolezza che sui principi di fondo non si può mercanteggiare, che i valori non sono tutti uguali ma esiste una gerarchia; che l'etica della vita e della famiglia non sono la conseguenza ma il fondamento della giustizia e della solidarietà sociale».
Nell'omelia, il cardinale ha parlato anche dei «grandi statisti cattolici che l'Italia ricorda» che «hanno portato la propria indiscutibile statura umana e cristiana che il Paese, l'Europa e gli scenari internazionali esigevano, allora come oggi. Hanno messo a servizio, non di se stessi ma del bene comune, un'alta caratura intellettuale, spirituale e dottrinale formata alla luce del Magistero sociale della Chiesa, senza reticenze o complessi».
Venerdì 10 Agosto 2012
http://www.ilmessaggero.it/primopiano/v ... 3308.shtml
Il presidente della Cei lancia un appello nell'omelia in San Lorenzo
GENOVA - In politica «i cattolici siano sempre più numerosi e ben formati»: l'auspicio è dell'arcivescovo di Genova e presidente della Cei, cardinale Angelo Bagnasco, che l'ha formulato nell'omelia pronunciata stamani in San Lorenzo durante la messa per la ricorrenza del patrono della cattedrale.
«I cristiani - ha detto - com'è loro dovere, sono stati e continueranno ad essere lievito nella società con fiducia e spirito di servizio, consapevoli di aver ricevuto un giacimento inesauribile di visione e di valori religiosi, umani e culturali». «La loro presenza - ha proseguito - non è codificata in formule specifiche, fatta salva la consapevolezza che sui principi di fondo non si può mercanteggiare, che i valori non sono tutti uguali ma esiste una gerarchia; che l'etica della vita e della famiglia non sono la conseguenza ma il fondamento della giustizia e della solidarietà sociale».
Nell'omelia, il cardinale ha parlato anche dei «grandi statisti cattolici che l'Italia ricorda» che «hanno portato la propria indiscutibile statura umana e cristiana che il Paese, l'Europa e gli scenari internazionali esigevano, allora come oggi. Hanno messo a servizio, non di se stessi ma del bene comune, un'alta caratura intellettuale, spirituale e dottrinale formata alla luce del Magistero sociale della Chiesa, senza reticenze o complessi».
Venerdì 10 Agosto 2012
http://www.ilmessaggero.it/primopiano/v ... 3308.shtml
Re: THE CATHOLIC QUESTION
i valori non sono tutti uguali ma esiste una gerarchia;
THE BAGNASCO CODE
C’era una vorta un Re[1] cche ddar palazzo
mannò ffora a li popoli st’editto:
«Io sò io, e vvoi nun zete[2] un caXXo,
sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto.
Io fo ddritto lo storto e storto er dritto:
pòzzo vénneve[3] a ttutti a un tant’er mazzo:
Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,
ché la vita e la robba Io ve l’affitto.
Chi abbita a sto monno senza er titolo
o dde Papa, o dde Re, o dd’Imperatore,
quello nun pò avé mmai vosce in capitolo».
Co st’editto annò er Boja pe ccuriero,
interroganno tutti in zur tenore;
e arisposeno tutti: «È vvero, è vvero».
21 gennaio 1832 - De Pepp’er tosto
G.G.Belli
THE BAGNASCO CODE
C’era una vorta un Re[1] cche ddar palazzo
mannò ffora a li popoli st’editto:
«Io sò io, e vvoi nun zete[2] un caXXo,
sori vassalli bbuggiaroni, e zzitto.
Io fo ddritto lo storto e storto er dritto:
pòzzo vénneve[3] a ttutti a un tant’er mazzo:
Io, si vve fo impiccà nun ve strapazzo,
ché la vita e la robba Io ve l’affitto.
Chi abbita a sto monno senza er titolo
o dde Papa, o dde Re, o dd’Imperatore,
quello nun pò avé mmai vosce in capitolo».
Co st’editto annò er Boja pe ccuriero,
interroganno tutti in zur tenore;
e arisposeno tutti: «È vvero, è vvero».
21 gennaio 1832 - De Pepp’er tosto
G.G.Belli
Re: THE CATHOLIC QUESTION
Rimini, domenica parte il Meeting di Cl. Ma la base scarica Formigoni
Il 22 agosto parlerà il governatore della Lombardia, che in un primo momento non era stato inserito in nessun evento forse per evitare critiche dopo le inchieste della Procura di Milano. Tra gli stand in via di definizione, però, i volontari 'condannano' il Celeste. Ed è polemica sui finanziamenti del Pirellone per l'appuntamento in Riviera
di David Marceddu | 17 agosto 2012
“Non è che se uno di noi sbaglia è colpa di tutto il movimento”. Giulia è una studentessa all’accademia di Brera. Mentre abbozza un progetto per uno degli stand risponde alle domande su Roberto Formigoni e le inchieste milanesi sulla sanità che lo hanno visto coinvolto. Non se la sente di assolverlo o condannarlo, ma guai a toccare il movimento. E tra i giovani che lavorano alla preparazione del Meeting 2012 di Comunione e Liberazione cresce sempre più la voglia di prendere le distanze dai risvolti delle inchieste milanesi. “Ogni uomo ha la responsabilità di dire di sì o di no alle cose. Non è che far parte di Cl comporti che tu sia automaticamente salvato”.
Il motore dell’evento si è acceso. Seicento volontari sono a lavoro a Rimini per preparare l’edizione di quest’anno, che domenica vedrà Mario Monti aprire i lavori. Rispetto ad aprile scorso, l’ultimo grande incontro ciellino a Rimini, quando lo scandalo era appena venuto a galla e tutti si dicevano fiduciosi rispetto a Formigoni, qualcosa è cambiato. Sara, volontaria anche lei a lavoro tra gli stand della fiera di Rimini, non ha dubbi sulla sua adesione a Cl, ma “la merda c’è ovunque e io non sto nel movimento per le persone che ci sono”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08 ... te/327267/
C’è anche chi ancora difende il governatore, indagato dalla Procura di Milano per corruzione, considerandolo vittima di un ‘accanimento di propaganda’. Tuttavia, spiega Federico, un commercialista brianzolo che non crede troppo alle accuse contro Formigoni, se fossero vere “ciò non sposta niente rispetto all’essere qua, anzi chiede un impegno maggiore a chi si dà da fare”. Insomma “sbagliare è umano”. Eppure sono lontani i tempi un anno fa, proprio alla fiera di Rimini, quando tutti già pensavano Roberto Formigoni con un futuro radioso a Palazzo Chigi.
Del resto le distanze le hanno prese anche già i vertici ciellini. Tutti i volontari fanno infatti riferimento alla lettera del successore di don Giussani, Julián Carrón, che nel maggio scorso ha preso atto che nel movimento qualcosa che non va c’è. “Se Comunione e Liberazione è continuamente identificata con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato – scriveva il numero uno di Cl – qualche pretesto dobbiamo aver dato”.
Intanto, nonostante la bufera abbattutasi sulla Regione Lombardia, anche quest’anno l’ente guidato da Formigoni ha foraggiato l’evento riminese. Il copione è ormai lo stesso da diversi anni: i finanziamenti partono diretti in Riviera e poi, quando vengono a galla i documenti, una parte dell’opposizione insorge. Già, una parte soltanto, perché il Partito democratico sul tema è sempre stato timido. Almeno questa l’accusa di Giulio Cavalli, regista teatrale e consigliere regionale di Sinistra e Libertà nell’assemblea lombarda. “Non dimentichiamoci mai che Cl in Lombardia non è solo Formigoni. Dentro c’è anche molto Pd e questo rende tutto molto più complicato”, spiega il consigliere a ilfattoquotidiano.it.
Anche quest’anno la giunta ha messo in campo, sotto la voce sponsorizzazioni, 80mila euro per l’evento in programma per una settimana a partire da domenica prossima. Per Cavalli, da anni in prima linea contro questi finanziamenti, quest’anno l’atto della giunta assume un sapore ancora più beffardo. “In un momento in cui Cl stessa ha voluto mettersi in discussione sui propri legami con la politica – conclude Cavalli facendo riferimento alla lettera di Carrón – sarebbe stato un gesto di sobrietà evitare questa sponsorizzazione”.
Oltre a quegli 80mila euro ci saranno anche i soldi delle società partecipate dalla Regione. Tra tutte, l’azienda ferroviaria Trenord, anche quest’anno presente in Riviera. “Il conto che presenteremo in aula sarà quello totale”, assicura Cavalli. Ma nella lotta in aula probabilmente ancora una volta non ci sarà il Pd. “Escluso Pippo Civati, con cui siamo stati convergenti, il Pd è sempre stato molto timido”.
Ma è la Lega Nord di Bobo Maroni, secondo il consigliere, a non aver fatto niente per bloccare quelle sponsorizzazioni che molte altre regioni invece da quest’anno hanno preferito evitare. A parole i lumbard hanno sempre criticato quel fiume di soldi per la Riviera. Ma poi in giunta hanno sempre sottoscritto. “Quello è un atto firmato dal leghista Andrea Gibelli. Lo stesso Gibelli – attacca Cavalli – che dice che il governo si è scordato di Mantova dopo il terremoto. Perché i soldi per il meeting non li destinano alla ristrutturazione di una chiesa danneggiata dopo il sisma? Forse ne sarebbe più felice anche don Giussani“. Poi il consigliere vendoliano, anche se non può provarlo, avanza un sospetto: “Il dubbio vero è che, più che una sponsorizzazione, sia il dazio per essere invitato al Meeting“, dice Cavalli. Il governatore lombardo infatti inizialmente non avrebbe infatti dovuto parlare, per la prima volta in 33 anni. Questo almeno fino a pochi giorni fa, quando il nome del presidente della Lombardia è stato inserito in un dibattito previsto per il 22 agosto.
Il 22 agosto parlerà il governatore della Lombardia, che in un primo momento non era stato inserito in nessun evento forse per evitare critiche dopo le inchieste della Procura di Milano. Tra gli stand in via di definizione, però, i volontari 'condannano' il Celeste. Ed è polemica sui finanziamenti del Pirellone per l'appuntamento in Riviera
di David Marceddu | 17 agosto 2012
“Non è che se uno di noi sbaglia è colpa di tutto il movimento”. Giulia è una studentessa all’accademia di Brera. Mentre abbozza un progetto per uno degli stand risponde alle domande su Roberto Formigoni e le inchieste milanesi sulla sanità che lo hanno visto coinvolto. Non se la sente di assolverlo o condannarlo, ma guai a toccare il movimento. E tra i giovani che lavorano alla preparazione del Meeting 2012 di Comunione e Liberazione cresce sempre più la voglia di prendere le distanze dai risvolti delle inchieste milanesi. “Ogni uomo ha la responsabilità di dire di sì o di no alle cose. Non è che far parte di Cl comporti che tu sia automaticamente salvato”.
Il motore dell’evento si è acceso. Seicento volontari sono a lavoro a Rimini per preparare l’edizione di quest’anno, che domenica vedrà Mario Monti aprire i lavori. Rispetto ad aprile scorso, l’ultimo grande incontro ciellino a Rimini, quando lo scandalo era appena venuto a galla e tutti si dicevano fiduciosi rispetto a Formigoni, qualcosa è cambiato. Sara, volontaria anche lei a lavoro tra gli stand della fiera di Rimini, non ha dubbi sulla sua adesione a Cl, ma “la merda c’è ovunque e io non sto nel movimento per le persone che ci sono”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08 ... te/327267/
C’è anche chi ancora difende il governatore, indagato dalla Procura di Milano per corruzione, considerandolo vittima di un ‘accanimento di propaganda’. Tuttavia, spiega Federico, un commercialista brianzolo che non crede troppo alle accuse contro Formigoni, se fossero vere “ciò non sposta niente rispetto all’essere qua, anzi chiede un impegno maggiore a chi si dà da fare”. Insomma “sbagliare è umano”. Eppure sono lontani i tempi un anno fa, proprio alla fiera di Rimini, quando tutti già pensavano Roberto Formigoni con un futuro radioso a Palazzo Chigi.
Del resto le distanze le hanno prese anche già i vertici ciellini. Tutti i volontari fanno infatti riferimento alla lettera del successore di don Giussani, Julián Carrón, che nel maggio scorso ha preso atto che nel movimento qualcosa che non va c’è. “Se Comunione e Liberazione è continuamente identificata con l’attrattiva del potere, dei soldi, di stili di vita che nulla hanno a che vedere con quello che abbiamo incontrato – scriveva il numero uno di Cl – qualche pretesto dobbiamo aver dato”.
Intanto, nonostante la bufera abbattutasi sulla Regione Lombardia, anche quest’anno l’ente guidato da Formigoni ha foraggiato l’evento riminese. Il copione è ormai lo stesso da diversi anni: i finanziamenti partono diretti in Riviera e poi, quando vengono a galla i documenti, una parte dell’opposizione insorge. Già, una parte soltanto, perché il Partito democratico sul tema è sempre stato timido. Almeno questa l’accusa di Giulio Cavalli, regista teatrale e consigliere regionale di Sinistra e Libertà nell’assemblea lombarda. “Non dimentichiamoci mai che Cl in Lombardia non è solo Formigoni. Dentro c’è anche molto Pd e questo rende tutto molto più complicato”, spiega il consigliere a ilfattoquotidiano.it.
Anche quest’anno la giunta ha messo in campo, sotto la voce sponsorizzazioni, 80mila euro per l’evento in programma per una settimana a partire da domenica prossima. Per Cavalli, da anni in prima linea contro questi finanziamenti, quest’anno l’atto della giunta assume un sapore ancora più beffardo. “In un momento in cui Cl stessa ha voluto mettersi in discussione sui propri legami con la politica – conclude Cavalli facendo riferimento alla lettera di Carrón – sarebbe stato un gesto di sobrietà evitare questa sponsorizzazione”.
Oltre a quegli 80mila euro ci saranno anche i soldi delle società partecipate dalla Regione. Tra tutte, l’azienda ferroviaria Trenord, anche quest’anno presente in Riviera. “Il conto che presenteremo in aula sarà quello totale”, assicura Cavalli. Ma nella lotta in aula probabilmente ancora una volta non ci sarà il Pd. “Escluso Pippo Civati, con cui siamo stati convergenti, il Pd è sempre stato molto timido”.
Ma è la Lega Nord di Bobo Maroni, secondo il consigliere, a non aver fatto niente per bloccare quelle sponsorizzazioni che molte altre regioni invece da quest’anno hanno preferito evitare. A parole i lumbard hanno sempre criticato quel fiume di soldi per la Riviera. Ma poi in giunta hanno sempre sottoscritto. “Quello è un atto firmato dal leghista Andrea Gibelli. Lo stesso Gibelli – attacca Cavalli – che dice che il governo si è scordato di Mantova dopo il terremoto. Perché i soldi per il meeting non li destinano alla ristrutturazione di una chiesa danneggiata dopo il sisma? Forse ne sarebbe più felice anche don Giussani“. Poi il consigliere vendoliano, anche se non può provarlo, avanza un sospetto: “Il dubbio vero è che, più che una sponsorizzazione, sia il dazio per essere invitato al Meeting“, dice Cavalli. Il governatore lombardo infatti inizialmente non avrebbe infatti dovuto parlare, per la prima volta in 33 anni. Questo almeno fino a pochi giorni fa, quando il nome del presidente della Lombardia è stato inserito in un dibattito previsto per il 22 agosto.
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Re: THE CATHOLIC QUESTION
Non c'è riuscito Stalin ad abbattere la religione cattolica,...lo sta facendo Formigoni detto il Celeste.
Quando uno ascolta Formigoni non può più credere nella religione cattolica.
Formigoni: “Io innocente, i verbali falsificati dai giornalisti del Fatto” (video)
Il presidente della Regione Lombardia attacca il giornale: "Manipolato tutto, la gente crede in me e io in loro. Così continuo a lavorare fino alla fine del mio mandato. Il mio incontro con Monti? Mi sono complimentato con lui per la presa di posizione sulle intercettazioni telefoniche"
di Martina Castigliani | Rimini | 19 agosto 2012
Commenti (9)
“La gente crede in me e io credo in loro e continuiamo a lavorare”, sono le prime parole che Roberto Formigoni dice, mentre passeggia pacificamente davanti al palco poco prima che Mario Monti intervenga per il discorso di apertura del meeting di Rimini di Comunione e Liberazione. È l’ospite meno atteso, il presidente della Regione Lombardia, indagato per corruzione e messo in discussione dalla base e dai militanti. La sua presenza è stata confermata solo tre settimane fa e se negli anni passati era una delle attrazioni del meeting, quest’anno ce lo si aspettava solo mercoledì per un incontro lontano dai riflettori. Poi l’arrivo nel primo giorno del lancio come se niente fosse, e il posto in prima fila nell’auditorium centrale dove il primo ministro Mario Monti ha parlato di politica, crescita, giovani e futuro.
Mentre il presidente del consiglio passeggiava per la fiera, Formigoni ne ha approfittato per andarsi a sedere in sala. Questo è bastato far scattare un applauso dalla platea. E il presidente dice: “Me lo aspettavo”. Nemmeno un po’ di imbarazzo da parte del presidente lombardo, che se ha qualche titubanza non la lascia trasparire e dichiara l’assoluta fiducia nei suoi sostenitori. “La gente – dice con fermezza Formigoni, – non è fessa, non si è lasciata abbindolare dalle menzogne raccontate innanzitutto da alcuni giornali e televisioni e poi seguiti pedissequamente da tutti i giornali e da tutte le televisioni. Il Fatto Quotidiano è stato il primo che ha raccontato menzogne falsificando i verbali, come io ho dimostrato, ma la gente non crede più a queste bugie, crede quello che vede e che sperimenta. Sanno chi è Formigoni e continuano ad apprezzarlo e sostenerlo”. Il presidente lombardo si riferisce agli articoli del Fatto Quotidiano sull’inchiesta giudiziaria che lo ha visto come protagonista, e conclude con un gioco di parole dicendo “i fatti sono più forti del Fatto”. Tra i verbali
“Il mio ruolo non è ridimensionato né al meeting né in regione Lombardia – continua Formigoni, – e resto fino al 2013. In 17 anni da Presidente della Lombardia mi hanno mandato 14 avvisi di garanzia, questo è il quattordicesimo. I precedenti 13 sono tutti finiti nel nulla nel senso che non sono mai stato condannato, e sono stato mandato 11 volte a processo con 11 assoluzioni, quindi ho vinto 11 a zero. Questo è il quattordicesimo avviso e anche questo farà la fine degli altri, andrà a finire nel cestino della carta, per usare un’espressione elegante”.
A incuriosire pubblico e cronisti è l’incontro che il presidente lombardo ha avuto in privato proprio con Mario Monti, in un salottino della fiera pochi minuti prima dell’inizio del discorso inaugurale. E alla domanda de Il Fatto Quotidiano.it, se il primo ministro gli abbia dato qualche suggerimento in merito alla politica chiedendogli di dimettersi, Formigoni risponde: “No assolutamente no, anche Monti come tutta l’altra gente non crede ad una virgola di quello che i giornalisti hanno scritto mille volte. Nel nostro incontro, mi sono semplicemente congratulato con lui per la splendida intervista che ha fatto a Tempi: per aver sollevato con coraggio il tema delle intercettazioni, per aver detto che bisogna fare una riforma della giustizia, che l’evasione fiscale è uno dei mali dell’Italia da scacciare e abbiamo scambiato alcune battute sul momento politico attuale che è certamente delicato”.
Roberto Formigoni seduto in prima fila nell’auditorium della Fiera di Rimini ha seguito tutto il discorso inaugurale del meeting con Emilia Guarnieri, Presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà e Mario Monti. Protagonista Don Giussani citato nel corso della giornata da tutti gli intervenenti e capace di suscitare un applauso spontaneo ogni volta da parte del pubblico, l’esempio morale a cui anche Formigoni fa riferimento: “Io sono uno dei tanti aderenti a Cl, non ho alcun ruolo di guida o di capo, li ho lasciati nel 1987 quando sono entrato in politica. La responsabilità politica è personale. Don Giussani ha educato degli adulti che si assumessero le proprie responsabilità. Alcuni si sono impegnati nel mondo del lavoro, nelle aziende, altri in missione e altri ancora in politica. Comunione Liberazione è un punto di riferimento ed è un aiuto ad impostare la vita”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08 ... eo/329076/
Quando uno ascolta Formigoni non può più credere nella religione cattolica.
Formigoni: “Io innocente, i verbali falsificati dai giornalisti del Fatto” (video)
Il presidente della Regione Lombardia attacca il giornale: "Manipolato tutto, la gente crede in me e io in loro. Così continuo a lavorare fino alla fine del mio mandato. Il mio incontro con Monti? Mi sono complimentato con lui per la presa di posizione sulle intercettazioni telefoniche"
di Martina Castigliani | Rimini | 19 agosto 2012
Commenti (9)
“La gente crede in me e io credo in loro e continuiamo a lavorare”, sono le prime parole che Roberto Formigoni dice, mentre passeggia pacificamente davanti al palco poco prima che Mario Monti intervenga per il discorso di apertura del meeting di Rimini di Comunione e Liberazione. È l’ospite meno atteso, il presidente della Regione Lombardia, indagato per corruzione e messo in discussione dalla base e dai militanti. La sua presenza è stata confermata solo tre settimane fa e se negli anni passati era una delle attrazioni del meeting, quest’anno ce lo si aspettava solo mercoledì per un incontro lontano dai riflettori. Poi l’arrivo nel primo giorno del lancio come se niente fosse, e il posto in prima fila nell’auditorium centrale dove il primo ministro Mario Monti ha parlato di politica, crescita, giovani e futuro.
Mentre il presidente del consiglio passeggiava per la fiera, Formigoni ne ha approfittato per andarsi a sedere in sala. Questo è bastato far scattare un applauso dalla platea. E il presidente dice: “Me lo aspettavo”. Nemmeno un po’ di imbarazzo da parte del presidente lombardo, che se ha qualche titubanza non la lascia trasparire e dichiara l’assoluta fiducia nei suoi sostenitori. “La gente – dice con fermezza Formigoni, – non è fessa, non si è lasciata abbindolare dalle menzogne raccontate innanzitutto da alcuni giornali e televisioni e poi seguiti pedissequamente da tutti i giornali e da tutte le televisioni. Il Fatto Quotidiano è stato il primo che ha raccontato menzogne falsificando i verbali, come io ho dimostrato, ma la gente non crede più a queste bugie, crede quello che vede e che sperimenta. Sanno chi è Formigoni e continuano ad apprezzarlo e sostenerlo”. Il presidente lombardo si riferisce agli articoli del Fatto Quotidiano sull’inchiesta giudiziaria che lo ha visto come protagonista, e conclude con un gioco di parole dicendo “i fatti sono più forti del Fatto”. Tra i verbali
“Il mio ruolo non è ridimensionato né al meeting né in regione Lombardia – continua Formigoni, – e resto fino al 2013. In 17 anni da Presidente della Lombardia mi hanno mandato 14 avvisi di garanzia, questo è il quattordicesimo. I precedenti 13 sono tutti finiti nel nulla nel senso che non sono mai stato condannato, e sono stato mandato 11 volte a processo con 11 assoluzioni, quindi ho vinto 11 a zero. Questo è il quattordicesimo avviso e anche questo farà la fine degli altri, andrà a finire nel cestino della carta, per usare un’espressione elegante”.
A incuriosire pubblico e cronisti è l’incontro che il presidente lombardo ha avuto in privato proprio con Mario Monti, in un salottino della fiera pochi minuti prima dell’inizio del discorso inaugurale. E alla domanda de Il Fatto Quotidiano.it, se il primo ministro gli abbia dato qualche suggerimento in merito alla politica chiedendogli di dimettersi, Formigoni risponde: “No assolutamente no, anche Monti come tutta l’altra gente non crede ad una virgola di quello che i giornalisti hanno scritto mille volte. Nel nostro incontro, mi sono semplicemente congratulato con lui per la splendida intervista che ha fatto a Tempi: per aver sollevato con coraggio il tema delle intercettazioni, per aver detto che bisogna fare una riforma della giustizia, che l’evasione fiscale è uno dei mali dell’Italia da scacciare e abbiamo scambiato alcune battute sul momento politico attuale che è certamente delicato”.
Roberto Formigoni seduto in prima fila nell’auditorium della Fiera di Rimini ha seguito tutto il discorso inaugurale del meeting con Emilia Guarnieri, Presidente della Fondazione Meeting per l’amicizia fra i popoli, Giorgio Vittadini, Presidente della Fondazione per la Sussidiarietà e Mario Monti. Protagonista Don Giussani citato nel corso della giornata da tutti gli intervenenti e capace di suscitare un applauso spontaneo ogni volta da parte del pubblico, l’esempio morale a cui anche Formigoni fa riferimento: “Io sono uno dei tanti aderenti a Cl, non ho alcun ruolo di guida o di capo, li ho lasciati nel 1987 quando sono entrato in politica. La responsabilità politica è personale. Don Giussani ha educato degli adulti che si assumessero le proprie responsabilità. Alcuni si sono impegnati nel mondo del lavoro, nelle aziende, altri in missione e altri ancora in politica. Comunione Liberazione è un punto di riferimento ed è un aiuto ad impostare la vita”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08 ... eo/329076/
Re: THE CATHOLIC QUESTION
è ora di mettersi comodi sul divano e godersi il finale ....
http://it.wikipedia.org/wiki/La_caduta_degli_dei
http://it.wikipedia.org/wiki/La_caduta_degli_dei
Re: THE CATHOLIC QUESTION
Famiglia Cristiana attacca meeting Cl:
applausi al potere senza senso critico
«Le parole di Monti hanno dato fiducia. Il Paese è stremato, c'è emergenza occupazione»
ROMA - «C'è il sospetto che a Rimini si applauda non per ciò che viene detto. Ma solo perché chi rappresenta il potere è lì, a rendere omaggio al popolo di Comunione e Liberazione. Non ci sembra garanzia di senso critico, ma di omologazione». È quanto afferma Famiglia Cristiana nel numero in edicola nei prossimi giorni, dopo gli applausi con cui il popolo di Cl ha accolto il premier Mario Monti alla kermesse riminese.
«Omologazione senza senso critico». «Tutti gli ospiti del Meeting - sottolinea Famiglia Cristiana - a ogni edizione, sono stati sempre accolti così: da Cossiga a Formigoni, da Andreotti a Craxi, da Forlani a Berlusconi. Qualunque cosa dicessero. Poco importava se il Paese, intanto, si avviava sull'orlo del baratro. Su cui ancora continuiamo a danzare. C'è il sospetto che a Rimini si applauda non per ciò che viene detto. Ma solo perchè chi rappresenta il potere è lì, a rendere omaggio al popolo di Comunione e Liberazione. Non ci sembra garanzia di senso critico, ma di omologazione. Quell'omologazione da cui dovrebbe rifuggire ogni giovane. E che rischia di trasformare il Meeting di Rimini in una vetrina: attraente, ma pur sempre autoreferenziale».
«Le parole di Monti hanno dato fiducia al Paese». «Le parole di Monti sono servite a dar fiducia a un Paese con il freno a mano tirato - dice Famiglia Cristiana commentando l'intervento del premier al meeting - Anche se il cammino di risanamento è lungo. Un discorso di speranza, con forti contrasti con la realtà». Il giornale si pone interrogativi sulle misure del governo, soprattutto sulle politiche giovanili: «Ma quali provvedimenti stanno creando lavoro e contrastando la disoccupazione giovanile?» E continua: «Il Paese è stremato. Dieci milioni di famiglie tirano la cinghia. La disoccupazione è al 10,8 per cento. Solo un italiano su tre ha un posto regolare a tempo indeterminato (meno che in tutti i Paesi europei). Secondo Eurostat, gli occupati in Italia sono 450mila in meno che nel 2007. Aumentano i cassaintegrati. Su una popolazione di 60,8 milioni di residenti, solo il 36,8 per cento (22,3 milioni di persone) lavora».
http://www.ilmessaggero.it/primopiano/p ... 5103.shtml
applausi al potere senza senso critico
«Le parole di Monti hanno dato fiducia. Il Paese è stremato, c'è emergenza occupazione»
ROMA - «C'è il sospetto che a Rimini si applauda non per ciò che viene detto. Ma solo perché chi rappresenta il potere è lì, a rendere omaggio al popolo di Comunione e Liberazione. Non ci sembra garanzia di senso critico, ma di omologazione». È quanto afferma Famiglia Cristiana nel numero in edicola nei prossimi giorni, dopo gli applausi con cui il popolo di Cl ha accolto il premier Mario Monti alla kermesse riminese.
«Omologazione senza senso critico». «Tutti gli ospiti del Meeting - sottolinea Famiglia Cristiana - a ogni edizione, sono stati sempre accolti così: da Cossiga a Formigoni, da Andreotti a Craxi, da Forlani a Berlusconi. Qualunque cosa dicessero. Poco importava se il Paese, intanto, si avviava sull'orlo del baratro. Su cui ancora continuiamo a danzare. C'è il sospetto che a Rimini si applauda non per ciò che viene detto. Ma solo perchè chi rappresenta il potere è lì, a rendere omaggio al popolo di Comunione e Liberazione. Non ci sembra garanzia di senso critico, ma di omologazione. Quell'omologazione da cui dovrebbe rifuggire ogni giovane. E che rischia di trasformare il Meeting di Rimini in una vetrina: attraente, ma pur sempre autoreferenziale».
«Le parole di Monti hanno dato fiducia al Paese». «Le parole di Monti sono servite a dar fiducia a un Paese con il freno a mano tirato - dice Famiglia Cristiana commentando l'intervento del premier al meeting - Anche se il cammino di risanamento è lungo. Un discorso di speranza, con forti contrasti con la realtà». Il giornale si pone interrogativi sulle misure del governo, soprattutto sulle politiche giovanili: «Ma quali provvedimenti stanno creando lavoro e contrastando la disoccupazione giovanile?» E continua: «Il Paese è stremato. Dieci milioni di famiglie tirano la cinghia. La disoccupazione è al 10,8 per cento. Solo un italiano su tre ha un posto regolare a tempo indeterminato (meno che in tutti i Paesi europei). Secondo Eurostat, gli occupati in Italia sono 450mila in meno che nel 2007. Aumentano i cassaintegrati. Su una popolazione di 60,8 milioni di residenti, solo il 36,8 per cento (22,3 milioni di persone) lavora».
http://www.ilmessaggero.it/primopiano/p ... 5103.shtml
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Re: THE CATHOLIC QUESTION
Sciupone l'Africano
I cattolici sono cristiani? Direi proprio di no. Loro millantano di essere cristiani, ma dal Celeste Formigone a Sciupone l'Africano hanno buttato al vento più di 2000 anni di storia,....ma non solo loro.
E neppure l'altro cattolico che lo ha sostituito "osa" metterci mano. In questo Paese di falsi cattolici, c'è chi si suicida perché non ce la fa più andare avanti, in questi giorni inaugurando anche la stagione dei bonzi italiani, ..e chi spreca denaro a vista d'occhio, sotto gli occhi di O' Re.
Ovviamente a Meeting di Comunione e Fatturazione (Termine azzeccatissimo di ieri di Travaglio) di queste cose non se ne discute.
Viviamo come più di 2000 anni fa,...in Palestina, non è cambiato assolutamente nulla.....
Due auto blindate e quaranta uomini
Quanto ci costa la scorta del deputato B.
Grazie alle leggi varate dai suoi stessi governi, l'ex premier conserva la protezione che gli era
garantita in carica. 2,5 milioni circa il costo annuo. Senza contare i presidi delle sue abitazioni
Una quarantina di uomini divisi in due squadre di 20 ciascuna e due auto blindate per una spesa superiore ai 200mila euro al mese. Vale a dire due milioni e mezzo l’anno. Tanto costano gli uomini dei servizi di sicurezza che ancora oggi stanno appresso all’ex premier Silvio Berlusconi. Senza contare i carabinieri dispiegati dal Ministero degli Interni per servizi ordinari presso le ville di famiglia. Un’eredità che lo stesso Berlusconi si è costruito da solo, a più riprese, con provvedimenti ad hoc e che è riuscito a mantenere anche oggi che è un deputato come altri, solo molto molto costoso. Ecco come
di Thomas Mackinson
***
40 uomini e due auto blindate. Quanto ci costa la scorta del deputato Berlusconi
Grazie ad una serie di provvedimenti varati dai suoi stessi governi, l'ex presidente del Consiglio conserva la protezione piena che gli era garantita quando era in carica. Due milioni e mezzo circa il costo annuo, pagato dai cittadini solo per la scorta. Senza contare il dispiegamento di Carabinieri a presidio delle sue abitazioni
di Thomas Mackinson | 23 agosto 2012
Commenti (29)
Una quarantina di uomini divisi in due squadre di 20 ciascuna e due auto blindate per una spesa superiore ai 200mila euro al mese. Vale a dire due milioni e mezzo l’anno. Tanto costano gli uomini dei servizi di sicurezza che ancora oggi stanno appresso all’ex premier Silvio Berlusconi. Senza contare i carabinieri dispiegati dal Ministero degli Interni per servizi ordinari presso le ville di famiglia. Un’eredità che lo stesso Berlusconi si è costruito da solo, a più riprese, con provvedimenti ad hoc e che è riuscito a mantenere anche oggi che è un deputato come altri, solo molto molto costoso. Tanto che gli 80mila euro per la scorta balneare di Fini, da settimane oggetto di furiose polemiche, diventano briciole.
Gli uomini al seguito del Cavaliere, spiegano fonti molto qualificate, hanno trattamenti economici doppi rispetto ai colleghi che svolgono servizi di sicurezza ordinari. Hanno stipendi e prerogative equiparati a quelli dei colleghi dello spionaggio e controspionaggio senza esserlo. Siamo, per essere chiari, intorno ai cinquemila euro al mese. E sono appunto quaranta. I conti sono presto fatti.
Nei suoi mandati, a più riprese, il Cavaliere è riuscito a cambiare le regole sulla sicurezza e imporre uomini di fiducia provenienti dalla sua azienda. Lo si scoprirà anni più tardi, quando i magistrati baresi cercheranno risposte all’andirivieni incontrollato di persone dalle ville del Cavaliere: possibile che nessuno della sicurezza controllasse chi entra e chi esce? Si, perché il premier, proprio per tutelare la sua “privacy”, già dal primo mandato era riuscito a sostituire gli uomini dello Stato con quelli della security di Fininvest e Standa (da quel giorno in poi a libro paga degli italiani). Un’impresa non semplice. Prima di allora, infatti, nessuno poteva entrare in polizia, carabinieri o finanza senza un regolare concorso pubblico. Per garantirsi la “sua” scorta – che obbedisca a personalissimi criteri di fedeltà privata e discrezione pubblica – Berlusconi ricorre allora a un escamotage senza precedenti: grazie alle sue prerogative di Presidente del Consiglio, s’inventa una nuova competenza ad hoc presso i Servizi, gli unici cui la legge consente di assumere personale a chiamata diretta. Nasce così un nucleo per la scorta del presidente che fa capo al Cesis (oggi Aisi, Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna) anziché al Viminale, anche se con l’attività di intelligence vera e propria nulla ha a che fare.
Gli uomini d’azienda vestiranno la divisa sotto la guida dell’uomo che, alla fine degli anni Ottanta, faceva la security alla Standa. E che di punto in bianco si trova capo-scorta del presidente del Consiglio con la qualifica di capo-divisione dei servizi. E si porta dietro almeno altre cinque ex body-guard Fininvest. Col tempo la struttura è cresciuta a ventiquattro unità, poi 31 e infine 40 che stavolta vengono in parte attinte dalle Forze dell’Ordine, ma sempre su indicazione di quel primo nucleo. Che tornerà regolarmente ad ogni successivo mandato. Anzi, non smetterà più di prestare servizio.
Quegli stessi uomini, infatti, sono lì ancora oggi che il Cavaliere è tornato ad essere un deputato. Perché? Perché ha deciso così. E’ il 27 aprile del 2006. Berlusconi ha perso le elezioni e si appresta a fare le valigie e cedere la poltrona e la “campanella” del Consiglio dei Ministri a Romano Prodi. Ma non ha alcuna intenzione di cedere anche quella struttura che i magistrati baresi tre anni dopo definiranno quantomeno “anomala” e che in fin dei conti è una sua creatura. Così, giusto 17 giorni dopo il voto, poco prima di lasciare il Palazzo, Berlusconi vara un altro provvedimento ad hoc che oggi giorno potrebbe chiamarsi a buon diritto “salva-scorta”, nella migliore tradizione delle leggi ad personam. Se ne accorgono, in ottobre, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo sul Corriere, che raccontano come, non fidandosi del professore, la scorta per il futuro Berlusconi abbia provveduto a farsela da solo stabilendo che i capi di governo “cessati dalle funzioni” abbiano diritto a conservare la scorta su tutto il territorio nazionale nel massimo dispiegamento. Così facendo riesce a portarsela via come fosse un’eredità personale, anche se era (e continua a essere) un servizio di sicurezza privato pagato con soldi pubblici. Al costo, ancora oggi, di due milioni e mezzo l’anno.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08 ... ni/331734/
I cattolici sono cristiani? Direi proprio di no. Loro millantano di essere cristiani, ma dal Celeste Formigone a Sciupone l'Africano hanno buttato al vento più di 2000 anni di storia,....ma non solo loro.
E neppure l'altro cattolico che lo ha sostituito "osa" metterci mano. In questo Paese di falsi cattolici, c'è chi si suicida perché non ce la fa più andare avanti, in questi giorni inaugurando anche la stagione dei bonzi italiani, ..e chi spreca denaro a vista d'occhio, sotto gli occhi di O' Re.
Ovviamente a Meeting di Comunione e Fatturazione (Termine azzeccatissimo di ieri di Travaglio) di queste cose non se ne discute.
Viviamo come più di 2000 anni fa,...in Palestina, non è cambiato assolutamente nulla.....
Due auto blindate e quaranta uomini
Quanto ci costa la scorta del deputato B.
Grazie alle leggi varate dai suoi stessi governi, l'ex premier conserva la protezione che gli era
garantita in carica. 2,5 milioni circa il costo annuo. Senza contare i presidi delle sue abitazioni
Una quarantina di uomini divisi in due squadre di 20 ciascuna e due auto blindate per una spesa superiore ai 200mila euro al mese. Vale a dire due milioni e mezzo l’anno. Tanto costano gli uomini dei servizi di sicurezza che ancora oggi stanno appresso all’ex premier Silvio Berlusconi. Senza contare i carabinieri dispiegati dal Ministero degli Interni per servizi ordinari presso le ville di famiglia. Un’eredità che lo stesso Berlusconi si è costruito da solo, a più riprese, con provvedimenti ad hoc e che è riuscito a mantenere anche oggi che è un deputato come altri, solo molto molto costoso. Ecco come
di Thomas Mackinson
***
40 uomini e due auto blindate. Quanto ci costa la scorta del deputato Berlusconi
Grazie ad una serie di provvedimenti varati dai suoi stessi governi, l'ex presidente del Consiglio conserva la protezione piena che gli era garantita quando era in carica. Due milioni e mezzo circa il costo annuo, pagato dai cittadini solo per la scorta. Senza contare il dispiegamento di Carabinieri a presidio delle sue abitazioni
di Thomas Mackinson | 23 agosto 2012
Commenti (29)
Una quarantina di uomini divisi in due squadre di 20 ciascuna e due auto blindate per una spesa superiore ai 200mila euro al mese. Vale a dire due milioni e mezzo l’anno. Tanto costano gli uomini dei servizi di sicurezza che ancora oggi stanno appresso all’ex premier Silvio Berlusconi. Senza contare i carabinieri dispiegati dal Ministero degli Interni per servizi ordinari presso le ville di famiglia. Un’eredità che lo stesso Berlusconi si è costruito da solo, a più riprese, con provvedimenti ad hoc e che è riuscito a mantenere anche oggi che è un deputato come altri, solo molto molto costoso. Tanto che gli 80mila euro per la scorta balneare di Fini, da settimane oggetto di furiose polemiche, diventano briciole.
Gli uomini al seguito del Cavaliere, spiegano fonti molto qualificate, hanno trattamenti economici doppi rispetto ai colleghi che svolgono servizi di sicurezza ordinari. Hanno stipendi e prerogative equiparati a quelli dei colleghi dello spionaggio e controspionaggio senza esserlo. Siamo, per essere chiari, intorno ai cinquemila euro al mese. E sono appunto quaranta. I conti sono presto fatti.
Nei suoi mandati, a più riprese, il Cavaliere è riuscito a cambiare le regole sulla sicurezza e imporre uomini di fiducia provenienti dalla sua azienda. Lo si scoprirà anni più tardi, quando i magistrati baresi cercheranno risposte all’andirivieni incontrollato di persone dalle ville del Cavaliere: possibile che nessuno della sicurezza controllasse chi entra e chi esce? Si, perché il premier, proprio per tutelare la sua “privacy”, già dal primo mandato era riuscito a sostituire gli uomini dello Stato con quelli della security di Fininvest e Standa (da quel giorno in poi a libro paga degli italiani). Un’impresa non semplice. Prima di allora, infatti, nessuno poteva entrare in polizia, carabinieri o finanza senza un regolare concorso pubblico. Per garantirsi la “sua” scorta – che obbedisca a personalissimi criteri di fedeltà privata e discrezione pubblica – Berlusconi ricorre allora a un escamotage senza precedenti: grazie alle sue prerogative di Presidente del Consiglio, s’inventa una nuova competenza ad hoc presso i Servizi, gli unici cui la legge consente di assumere personale a chiamata diretta. Nasce così un nucleo per la scorta del presidente che fa capo al Cesis (oggi Aisi, Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna) anziché al Viminale, anche se con l’attività di intelligence vera e propria nulla ha a che fare.
Gli uomini d’azienda vestiranno la divisa sotto la guida dell’uomo che, alla fine degli anni Ottanta, faceva la security alla Standa. E che di punto in bianco si trova capo-scorta del presidente del Consiglio con la qualifica di capo-divisione dei servizi. E si porta dietro almeno altre cinque ex body-guard Fininvest. Col tempo la struttura è cresciuta a ventiquattro unità, poi 31 e infine 40 che stavolta vengono in parte attinte dalle Forze dell’Ordine, ma sempre su indicazione di quel primo nucleo. Che tornerà regolarmente ad ogni successivo mandato. Anzi, non smetterà più di prestare servizio.
Quegli stessi uomini, infatti, sono lì ancora oggi che il Cavaliere è tornato ad essere un deputato. Perché? Perché ha deciso così. E’ il 27 aprile del 2006. Berlusconi ha perso le elezioni e si appresta a fare le valigie e cedere la poltrona e la “campanella” del Consiglio dei Ministri a Romano Prodi. Ma non ha alcuna intenzione di cedere anche quella struttura che i magistrati baresi tre anni dopo definiranno quantomeno “anomala” e che in fin dei conti è una sua creatura. Così, giusto 17 giorni dopo il voto, poco prima di lasciare il Palazzo, Berlusconi vara un altro provvedimento ad hoc che oggi giorno potrebbe chiamarsi a buon diritto “salva-scorta”, nella migliore tradizione delle leggi ad personam. Se ne accorgono, in ottobre, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo sul Corriere, che raccontano come, non fidandosi del professore, la scorta per il futuro Berlusconi abbia provveduto a farsela da solo stabilendo che i capi di governo “cessati dalle funzioni” abbiano diritto a conservare la scorta su tutto il territorio nazionale nel massimo dispiegamento. Così facendo riesce a portarsela via come fosse un’eredità personale, anche se era (e continua a essere) un servizio di sicurezza privato pagato con soldi pubblici. Al costo, ancora oggi, di due milioni e mezzo l’anno.
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Re: THE CATHOLIC QUESTION
Sciupone l'Africano
I cattolici sono cristiani? Direi proprio di no. Loro millantano di essere cristiani, ma dal Celeste Formigone a Sciupone l'Africano hanno buttato al vento più di 2000 anni di storia,....ma non solo loro.
E neppure l'altro cattolico che lo ha sostituito "osa" metterci mano. In questo Paese di falsi cattolici, c'è chi si suicida perché non ce la fa più andare avanti, in questi giorni inaugurando anche la stagione dei bonzi italiani, ..e chi spreca denaro a vista d'occhio, sotto gli occhi di O' Re.
Ovviamente a Meeting di Comunione e Fatturazione (Termine azzeccatissimo di ieri di Travaglio) di queste cose non se ne discute.
Viviamo come più di 2000 anni fa,...in Palestina, non è cambiato assolutamente nulla.....
Due auto blindate e quaranta uomini
Quanto ci costa la scorta del deputato B.
Grazie alle leggi varate dai suoi stessi governi, l'ex premier conserva la protezione che gli era
garantita in carica. 2,5 milioni circa il costo annuo. Senza contare i presidi delle sue abitazioni
Una quarantina di uomini divisi in due squadre di 20 ciascuna e due auto blindate per una spesa superiore ai 200mila euro al mese. Vale a dire due milioni e mezzo l’anno. Tanto costano gli uomini dei servizi di sicurezza che ancora oggi stanno appresso all’ex premier Silvio Berlusconi. Senza contare i carabinieri dispiegati dal Ministero degli Interni per servizi ordinari presso le ville di famiglia. Un’eredità che lo stesso Berlusconi si è costruito da solo, a più riprese, con provvedimenti ad hoc e che è riuscito a mantenere anche oggi che è un deputato come altri, solo molto molto costoso. Ecco come
di Thomas Mackinson
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40 uomini e due auto blindate. Quanto ci costa la scorta del deputato Berlusconi
Grazie ad una serie di provvedimenti varati dai suoi stessi governi, l'ex presidente del Consiglio conserva la protezione piena che gli era garantita quando era in carica. Due milioni e mezzo circa il costo annuo, pagato dai cittadini solo per la scorta. Senza contare il dispiegamento di Carabinieri a presidio delle sue abitazioni
di Thomas Mackinson | 23 agosto 2012
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Una quarantina di uomini divisi in due squadre di 20 ciascuna e due auto blindate per una spesa superiore ai 200mila euro al mese. Vale a dire due milioni e mezzo l’anno. Tanto costano gli uomini dei servizi di sicurezza che ancora oggi stanno appresso all’ex premier Silvio Berlusconi. Senza contare i carabinieri dispiegati dal Ministero degli Interni per servizi ordinari presso le ville di famiglia. Un’eredità che lo stesso Berlusconi si è costruito da solo, a più riprese, con provvedimenti ad hoc e che è riuscito a mantenere anche oggi che è un deputato come altri, solo molto molto costoso. Tanto che gli 80mila euro per la scorta balneare di Fini, da settimane oggetto di furiose polemiche, diventano briciole.
Gli uomini al seguito del Cavaliere, spiegano fonti molto qualificate, hanno trattamenti economici doppi rispetto ai colleghi che svolgono servizi di sicurezza ordinari. Hanno stipendi e prerogative equiparati a quelli dei colleghi dello spionaggio e controspionaggio senza esserlo. Siamo, per essere chiari, intorno ai cinquemila euro al mese. E sono appunto quaranta. I conti sono presto fatti.
Nei suoi mandati, a più riprese, il Cavaliere è riuscito a cambiare le regole sulla sicurezza e imporre uomini di fiducia provenienti dalla sua azienda. Lo si scoprirà anni più tardi, quando i magistrati baresi cercheranno risposte all’andirivieni incontrollato di persone dalle ville del Cavaliere: possibile che nessuno della sicurezza controllasse chi entra e chi esce? Si, perché il premier, proprio per tutelare la sua “privacy”, già dal primo mandato era riuscito a sostituire gli uomini dello Stato con quelli della security di Fininvest e Standa (da quel giorno in poi a libro paga degli italiani). Un’impresa non semplice. Prima di allora, infatti, nessuno poteva entrare in polizia, carabinieri o finanza senza un regolare concorso pubblico. Per garantirsi la “sua” scorta – che obbedisca a personalissimi criteri di fedeltà privata e discrezione pubblica – Berlusconi ricorre allora a un escamotage senza precedenti: grazie alle sue prerogative di Presidente del Consiglio, s’inventa una nuova competenza ad hoc presso i Servizi, gli unici cui la legge consente di assumere personale a chiamata diretta. Nasce così un nucleo per la scorta del presidente che fa capo al Cesis (oggi Aisi, Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna) anziché al Viminale, anche se con l’attività di intelligence vera e propria nulla ha a che fare.
Gli uomini d’azienda vestiranno la divisa sotto la guida dell’uomo che, alla fine degli anni Ottanta, faceva la security alla Standa. E che di punto in bianco si trova capo-scorta del presidente del Consiglio con la qualifica di capo-divisione dei servizi. E si porta dietro almeno altre cinque ex body-guard Fininvest. Col tempo la struttura è cresciuta a ventiquattro unità, poi 31 e infine 40 che stavolta vengono in parte attinte dalle Forze dell’Ordine, ma sempre su indicazione di quel primo nucleo. Che tornerà regolarmente ad ogni successivo mandato. Anzi, non smetterà più di prestare servizio.
Quegli stessi uomini, infatti, sono lì ancora oggi che il Cavaliere è tornato ad essere un deputato. Perché? Perché ha deciso così. E’ il 27 aprile del 2006. Berlusconi ha perso le elezioni e si appresta a fare le valigie e cedere la poltrona e la “campanella” del Consiglio dei Ministri a Romano Prodi. Ma non ha alcuna intenzione di cedere anche quella struttura che i magistrati baresi tre anni dopo definiranno quantomeno “anomala” e che in fin dei conti è una sua creatura. Così, giusto 17 giorni dopo il voto, poco prima di lasciare il Palazzo, Berlusconi vara un altro provvedimento ad hoc che oggi giorno potrebbe chiamarsi a buon diritto “salva-scorta”, nella migliore tradizione delle leggi ad personam. Se ne accorgono, in ottobre, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo sul Corriere, che raccontano come, non fidandosi del professore, la scorta per il futuro Berlusconi abbia provveduto a farsela da solo stabilendo che i capi di governo “cessati dalle funzioni” abbiano diritto a conservare la scorta su tutto il territorio nazionale nel massimo dispiegamento. Così facendo riesce a portarsela via come fosse un’eredità personale, anche se era (e continua a essere) un servizio di sicurezza privato pagato con soldi pubblici. Al costo, ancora oggi, di due milioni e mezzo l’anno.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/08 ... ni/331734/
I cattolici sono cristiani? Direi proprio di no. Loro millantano di essere cristiani, ma dal Celeste Formigone a Sciupone l'Africano hanno buttato al vento più di 2000 anni di storia,....ma non solo loro.
E neppure l'altro cattolico che lo ha sostituito "osa" metterci mano. In questo Paese di falsi cattolici, c'è chi si suicida perché non ce la fa più andare avanti, in questi giorni inaugurando anche la stagione dei bonzi italiani, ..e chi spreca denaro a vista d'occhio, sotto gli occhi di O' Re.
Ovviamente a Meeting di Comunione e Fatturazione (Termine azzeccatissimo di ieri di Travaglio) di queste cose non se ne discute.
Viviamo come più di 2000 anni fa,...in Palestina, non è cambiato assolutamente nulla.....
Due auto blindate e quaranta uomini
Quanto ci costa la scorta del deputato B.
Grazie alle leggi varate dai suoi stessi governi, l'ex premier conserva la protezione che gli era
garantita in carica. 2,5 milioni circa il costo annuo. Senza contare i presidi delle sue abitazioni
Una quarantina di uomini divisi in due squadre di 20 ciascuna e due auto blindate per una spesa superiore ai 200mila euro al mese. Vale a dire due milioni e mezzo l’anno. Tanto costano gli uomini dei servizi di sicurezza che ancora oggi stanno appresso all’ex premier Silvio Berlusconi. Senza contare i carabinieri dispiegati dal Ministero degli Interni per servizi ordinari presso le ville di famiglia. Un’eredità che lo stesso Berlusconi si è costruito da solo, a più riprese, con provvedimenti ad hoc e che è riuscito a mantenere anche oggi che è un deputato come altri, solo molto molto costoso. Ecco come
di Thomas Mackinson
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40 uomini e due auto blindate. Quanto ci costa la scorta del deputato Berlusconi
Grazie ad una serie di provvedimenti varati dai suoi stessi governi, l'ex presidente del Consiglio conserva la protezione piena che gli era garantita quando era in carica. Due milioni e mezzo circa il costo annuo, pagato dai cittadini solo per la scorta. Senza contare il dispiegamento di Carabinieri a presidio delle sue abitazioni
di Thomas Mackinson | 23 agosto 2012
Commenti (29)
Una quarantina di uomini divisi in due squadre di 20 ciascuna e due auto blindate per una spesa superiore ai 200mila euro al mese. Vale a dire due milioni e mezzo l’anno. Tanto costano gli uomini dei servizi di sicurezza che ancora oggi stanno appresso all’ex premier Silvio Berlusconi. Senza contare i carabinieri dispiegati dal Ministero degli Interni per servizi ordinari presso le ville di famiglia. Un’eredità che lo stesso Berlusconi si è costruito da solo, a più riprese, con provvedimenti ad hoc e che è riuscito a mantenere anche oggi che è un deputato come altri, solo molto molto costoso. Tanto che gli 80mila euro per la scorta balneare di Fini, da settimane oggetto di furiose polemiche, diventano briciole.
Gli uomini al seguito del Cavaliere, spiegano fonti molto qualificate, hanno trattamenti economici doppi rispetto ai colleghi che svolgono servizi di sicurezza ordinari. Hanno stipendi e prerogative equiparati a quelli dei colleghi dello spionaggio e controspionaggio senza esserlo. Siamo, per essere chiari, intorno ai cinquemila euro al mese. E sono appunto quaranta. I conti sono presto fatti.
Nei suoi mandati, a più riprese, il Cavaliere è riuscito a cambiare le regole sulla sicurezza e imporre uomini di fiducia provenienti dalla sua azienda. Lo si scoprirà anni più tardi, quando i magistrati baresi cercheranno risposte all’andirivieni incontrollato di persone dalle ville del Cavaliere: possibile che nessuno della sicurezza controllasse chi entra e chi esce? Si, perché il premier, proprio per tutelare la sua “privacy”, già dal primo mandato era riuscito a sostituire gli uomini dello Stato con quelli della security di Fininvest e Standa (da quel giorno in poi a libro paga degli italiani). Un’impresa non semplice. Prima di allora, infatti, nessuno poteva entrare in polizia, carabinieri o finanza senza un regolare concorso pubblico. Per garantirsi la “sua” scorta – che obbedisca a personalissimi criteri di fedeltà privata e discrezione pubblica – Berlusconi ricorre allora a un escamotage senza precedenti: grazie alle sue prerogative di Presidente del Consiglio, s’inventa una nuova competenza ad hoc presso i Servizi, gli unici cui la legge consente di assumere personale a chiamata diretta. Nasce così un nucleo per la scorta del presidente che fa capo al Cesis (oggi Aisi, Agenzia Informazioni e Sicurezza Interna) anziché al Viminale, anche se con l’attività di intelligence vera e propria nulla ha a che fare.
Gli uomini d’azienda vestiranno la divisa sotto la guida dell’uomo che, alla fine degli anni Ottanta, faceva la security alla Standa. E che di punto in bianco si trova capo-scorta del presidente del Consiglio con la qualifica di capo-divisione dei servizi. E si porta dietro almeno altre cinque ex body-guard Fininvest. Col tempo la struttura è cresciuta a ventiquattro unità, poi 31 e infine 40 che stavolta vengono in parte attinte dalle Forze dell’Ordine, ma sempre su indicazione di quel primo nucleo. Che tornerà regolarmente ad ogni successivo mandato. Anzi, non smetterà più di prestare servizio.
Quegli stessi uomini, infatti, sono lì ancora oggi che il Cavaliere è tornato ad essere un deputato. Perché? Perché ha deciso così. E’ il 27 aprile del 2006. Berlusconi ha perso le elezioni e si appresta a fare le valigie e cedere la poltrona e la “campanella” del Consiglio dei Ministri a Romano Prodi. Ma non ha alcuna intenzione di cedere anche quella struttura che i magistrati baresi tre anni dopo definiranno quantomeno “anomala” e che in fin dei conti è una sua creatura. Così, giusto 17 giorni dopo il voto, poco prima di lasciare il Palazzo, Berlusconi vara un altro provvedimento ad hoc che oggi giorno potrebbe chiamarsi a buon diritto “salva-scorta”, nella migliore tradizione delle leggi ad personam. Se ne accorgono, in ottobre, Gian Antonio Stella e Sergio Rizzo sul Corriere, che raccontano come, non fidandosi del professore, la scorta per il futuro Berlusconi abbia provveduto a farsela da solo stabilendo che i capi di governo “cessati dalle funzioni” abbiano diritto a conservare la scorta su tutto il territorio nazionale nel massimo dispiegamento. Così facendo riesce a portarsela via come fosse un’eredità personale, anche se era (e continua a essere) un servizio di sicurezza privato pagato con soldi pubblici. Al costo, ancora oggi, di due milioni e mezzo l’anno.
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