in ricordo di un grande ,grande uomo (di sinistra...ma è un dettaglio )
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Giuseppe Chiarante, la forza
gentile del Partito comunista
Di Aldo Tortorella
1 agosto 2012
Scrivere della scomparsa di un amico e compagno carissimo, con cui ho condiviso scelte e lotte politiche per un quarantennio, è cosa assai dolorosa e difficile.
Incominciammo a lavorare insieme quando assunsi la responsabilità della sezione culturale ed egli si occupava della scuola.
E la comune visione di quel che dovesse e potesse essere la sinistra ci ha portato, insieme, sino ad ieri.
Ci separavano pochi anni, quello che bastava perché lui non potesse partecipare alla Resistenza e vivere quella esperienza che portò parecchi di noi, allora studenti, alla adesione al Pci.
Chiarante seguì una strada completamente diversa, che diverrà esemplare di coraggio politico e di forza morale.
Partecipe del mondo cattolico, iniziò il suo percorso nel movimento giovanile della Democrazia cristiana, di cui divenne rapidamente uno dei massimi dirigenti, schierato con la sinistra di Giuseppe Dossetti, uno dei principali estensori della Costituzione repubblicana.
Protagonista nel 1953 della fondazione della corrente di Base, che raccolse l’eredità di Dossetti fattosi sacerdote, venne eletto, poco più che ventenne, nel consiglio nazionale della Dc al congresso del 54 che vide l’affermazione di Amintore Fanfani.
Erano, quelli, gli anni più aspri della guerra fredda.
La contrapposizione tra i blocchi, e il monopolio statunitense dell’arma atomica, faceva temere la possibilità di una nuova catastrofica guerra.
Chiarante, con altri esponenti di parte cattolica e molti intellettuali indipendenti di ogni parte d’Europa, decise di partecipare come osservatore al congresso costitutivo del movimento internazionale dei «partigiani della pace», subito bollato come filosovietico.
Ne nacque una dura polemica con Fanfani, culminata con il rifiuto dell’autocritica e con l’espulsione.
Da allora si fece più stretto l’incontro di Chiarante - e del gruppo che faceva capo a lui e a Lucio Magri - con le posizioni dei comunisti cattolici di Franco Rodano, con cui fondò la combattiva rivista «Il dibattito politico».
Quell’incontro sfociò, poi, nella adesione al Pci.
Chiarante, come giornalista, era, intanto, divenuto vice direttore di Paese sera, quotidiano progressista indipendente di ampia diffusione.
Nella discussione interna al partito, egli portò le posizioni di chi, pur condividendo pienamente la scelta democratica e gradualista di Togliatti, sottolineava la necessità di marcare le esigenze riformatrici e trasformatrici, particolarmente dopo il superamento dell’arretratezza e l’avvenuta trasformazione dell’Italia in un Paese industriale avanzato.
La discussione divenne più acuta dopo la scomparsa di Togliatti - con cui Chiarante si era già misurato sulle colonne di Nuovi Argomenti - quando si incominciò ad intravedere che venivano maturando tempi nuovi e temi fino a quel momento sconosciuti.
Si era alla vigilia del 68, e dei mutamenti ma anche delle involuzioni di quel moto che fu, in Italia, giovanile e operaio.
Chiarante fu allora con i compagni che sentivano il fascino delle posizioni di Ingrao, ma non parteciparono poi alla esperienza del Manifesto, pur rifiutandone la radiazione avvenuta sulla base di uno statuto che cambierà troppo tardi.
La differenza di opinioni non impediva però, allora, la assunzione di responsabilità rilevantissime.
Chiarante fu responsabile della politica per la scuola, e poi delle politiche per la cultura, e direttore di Rinascita, la rivista settimanale edita dal partito:
ovunque portando il peso della sua personalità pacata e ferma, come la sua scrittura.
Il primato della scuola, della ricerca, della cultura per un Paese che voglia dirsi moderno e avanzato ebbero in Chiarante un interprete rigoroso e creativo.
E la legislazione italiana per la difesa del nostro patrimonio culturale gli deve molto.
Ma proprio perciò egli, come accadde a me e ad altri, temette, nel momento in cui fu proposto il mutamento del Pci in altro da sé, la dispersione di una comunità e di un grande patrimonio che non era solo di memorie e di sentimenti pur cari, ma di elaborazioni concrete e precise, perfettibili certamente, ma non così povere da dover rincominciare da zero.
Non comprendevamo l’ansia di tagliare le proprie radici che non erano le medesime di quelle che avevano prodotto frutti avvelenati, anche se capivamo il bisogno di rinnovamento di una nuova generazione.
Perciò non volemmo la scissione.
E Chiarante assunse, anzi, quale esponente della minoranza congressuale, la responsabilità del gruppo senatoriale e della commissione di garanzia del nuovo partito reggendole entrambe con grande capacità e lealtà.
Parve a lui, e a me, che la nostra storia di partito dovesse concludersi con il bombardamento di Belgrado.
Eravamo nel ‘98.
Non ci convinceva la lacerazione tra le due sinistre, tema che oggi si ripropone, e perciò, assieme ad altri, partecipammo alla costruzione di una associazione per il rinnovamento e per l’unità della sinistra, di cui Chiarante è stato animatore determinante.
Egli ha riassunto la sua storia, che è gran parte della storia del dibattito nel gruppo dirigente del Pci tra il ‘60 e il ‘90 in due densi volumi.
Chi li legge può vedere non solo quante realtà egli avesse visto in anticipo.
Ma quanta fermezza e coerenza vi sia stata nella sua volontà di una sinistra veramente nuova e aperta al futuro.
Ciò che non si può leggere è che persona squisita fosse, quanta forza trasmetteva la sua serena coscienza, mai esibita.
Anche per questo rimarrà non solo nei suoi scritti ma nell’animo di chiunque l’abbia conosciuto.
http://www.unita.it/italia/giuseppe-chi ... a-1.434508