Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
Ilva, la politica dei veleni
di Bruno Tinti | 14 agosto 2012
Riepiloghiamo i fatti. Ilva ammazza, dal 1982, migliaia di persone, tra cittadini e lavoratori negli stabilimenti. La Procura di Taranto, il gip e il Tribunale della Libertà, fanno quello che possono per evitare che la gente continui a morire. C’è un solo modo: impedire che Ilva continui a spargere veleni. E siccome Ilva non lo fa, il suo stabilimento è sequestrato. Ferrante, nominato custode, approfitta di questa sua carica istituzionale per progettare iniziative contrarie alle prescrizioni dei giudici. Quindi è rimosso. I padroni di Ilva, alcuni ministri e i sindacati aggrediscono la magistratura, l’accusano di insensibilità, eccesso di zelo, protagonismo, creatrice di conflitto con la politica. Addirittura sproloquiano di veleni micidiali nel passato ma non più presenti (o presenti oggi in minima parte), sicché nulla osterebbe a riprendere la produzione, ferma restando la necessità di risanamenti da realizzare in contemporanea; e pensano a un conflitto di attribuzioni contro la magistratura che, con i suoi provvedimenti, contrasta l’azione del governo. Padroni e sindacati, paradossalmente uniti, presentano ricorsi e occupano strade: vogliono che la produzione riprenda. Tra vuoti proclami e accuse ridicole, nessuno (ma proprio nessuno) sottopone alla pubblica opinione i fatti che seguono.
Ilva produce veleno. Lo ha prodotto per 30 anni e continua a produrlo. Così dicono le perizie realizzate nell’incidente probatorio, cui avrebbe potuto intervenire la difesa; che invece non l’ha fatto, non ha contestato, non ha proposto argomenti o soluzioni alternative a quelle dei periti. Silenzio completo. Ferrante e Clini (in particolare quest’ultimo) straparlano di progetti di risanamento, interventi concreti, decreti miracolistici e tutta la solita fuffa propinata da una politica inconcludente. E tuttavia, ammesso che simili baldanzosi propositi abbiano seguito, i risultati si vedrebbero (se si trovassero i soldi), secondo Clini e Ferrante, in 4 mesi, secondo i periti, in 4 anni. Sicché, sta di fatto che, se la produzione continuasse, Ilva ammazzerebbe ancora, a dir poco, per i prossimi 4 mesi. L’oggetto del contendere è dunque la vita delle persone. Nemmeno B. avrebbe la faccia di sostenere che i giudici stiano perseguendo un progetto eversivo di lotta alla politica per via giudiziaria; in questo caso opponendosi (perché poi?) a fantomatici progetti industriali. Ma Catricalà vuole proporre un conflitto avanti alla Corte Costituzionale perché rimuova gli illegittimi ostacoli frapposti dalla magistratura al progetto del governo. Nonostante autorevoli precedenti, l’iniziativa muoverebbe al riso; se non rivelasse una cultura ispirata a disprezzo per i più elementari principi costituzionali; alludo, ovviamente, alla separazione tra il potere esecutivo e quello giudiziario. Se i provvedimenti dei giudici sono sbagliati, la via per correggerli è quella giudiziaria: un primo ricorso è stato respinto; altro è possibile avanti alla Corte di Cassazione: lo propongano e stiano a vedere.
Si tratta della vita delle persone; non dell’obbligo di Ilva di procedere al risanamento dello stabilimento. Non è compito dei giudici imporre misure di questo genere: essi infliggono sanzioni per la violazione di norme (per esempio di quelle in materia ambientale e antinfortunistica) e impediscono, con il sequestro, il perpetuarsi dei reati. Se poi la proprietà non intende adeguare lo stabilimento alle norme di legge, questo non è un problema della magistratura. Semplicemente, finché lo stabilimento non è a norma, lì dentro non si può lavorare. Clini potrebbe risolvere la situazione prendendo a prestito i sistemi di B: una legge che innalzi i limiti entro i quali la produzione di veleno è lecita e che tramuti Ilva in uno stabilimento perfetto. Invece si arrampica sui vetri sostenendo che Ilva ha ammazzato; e che ammazza ancora, ma non poi tanto. Proponga una legge che dica che è lecito ammazzare poco. Severino imita Napolitano e chiede gli atti al gip. Per farne cosa non si sa. Certo il ministro della Giustizia non può né annullarli né modificarli. Quando ben bene se li sia letti, le cose resteranno come sono. Può avviare un procedimento disciplinare, questo sì; il che, al momento sembra essere l’attività preferita dalla politica pescata con le mani nel sacco. Sanno, naturalmente, che si tratta di procedimenti infondati ma confidano nell’intimidazione. E ignorano (ma non è strano vista la loro formazione culturale – diciamo così) che i magistrati non collusi con il potere non si lasciano intimidire; gli altri, naturalmente, obbediscono spontaneamente. Sfortunatamente, tra i magistrati che si occupano di Ilva, di questa seconda categoria non ce n’è.
Resta una domanda cui sarà difficile rispondere. Ilva è un’impresa privata. Risanarla costa un sacco di soldi. Perché dovrebbe essere lo Stato a spenderli? I padroni hanno guadagnato parecchio gestendo, negli anni, questa fabbrica di morte. Usino il bottino per ricondurla nella legalità. Se non lo fanno, dico subito che io non sono per niente contento di pagare, pro quota, il risanamento del loro stabilimento. A meno che, si capisce, questo non venga ceduto allo Stato. Una due diligence ben fatta, un conguaglio (da Ilva allo Stato si capisce, ci mancherebbe altro, con tutto quello che c’è da spendere e da risarcire) e allora possiamo discuterne.
Il Fatto Quotidiano, 14 agosto 2012
di Bruno Tinti | 14 agosto 2012
Riepiloghiamo i fatti. Ilva ammazza, dal 1982, migliaia di persone, tra cittadini e lavoratori negli stabilimenti. La Procura di Taranto, il gip e il Tribunale della Libertà, fanno quello che possono per evitare che la gente continui a morire. C’è un solo modo: impedire che Ilva continui a spargere veleni. E siccome Ilva non lo fa, il suo stabilimento è sequestrato. Ferrante, nominato custode, approfitta di questa sua carica istituzionale per progettare iniziative contrarie alle prescrizioni dei giudici. Quindi è rimosso. I padroni di Ilva, alcuni ministri e i sindacati aggrediscono la magistratura, l’accusano di insensibilità, eccesso di zelo, protagonismo, creatrice di conflitto con la politica. Addirittura sproloquiano di veleni micidiali nel passato ma non più presenti (o presenti oggi in minima parte), sicché nulla osterebbe a riprendere la produzione, ferma restando la necessità di risanamenti da realizzare in contemporanea; e pensano a un conflitto di attribuzioni contro la magistratura che, con i suoi provvedimenti, contrasta l’azione del governo. Padroni e sindacati, paradossalmente uniti, presentano ricorsi e occupano strade: vogliono che la produzione riprenda. Tra vuoti proclami e accuse ridicole, nessuno (ma proprio nessuno) sottopone alla pubblica opinione i fatti che seguono.
Ilva produce veleno. Lo ha prodotto per 30 anni e continua a produrlo. Così dicono le perizie realizzate nell’incidente probatorio, cui avrebbe potuto intervenire la difesa; che invece non l’ha fatto, non ha contestato, non ha proposto argomenti o soluzioni alternative a quelle dei periti. Silenzio completo. Ferrante e Clini (in particolare quest’ultimo) straparlano di progetti di risanamento, interventi concreti, decreti miracolistici e tutta la solita fuffa propinata da una politica inconcludente. E tuttavia, ammesso che simili baldanzosi propositi abbiano seguito, i risultati si vedrebbero (se si trovassero i soldi), secondo Clini e Ferrante, in 4 mesi, secondo i periti, in 4 anni. Sicché, sta di fatto che, se la produzione continuasse, Ilva ammazzerebbe ancora, a dir poco, per i prossimi 4 mesi. L’oggetto del contendere è dunque la vita delle persone. Nemmeno B. avrebbe la faccia di sostenere che i giudici stiano perseguendo un progetto eversivo di lotta alla politica per via giudiziaria; in questo caso opponendosi (perché poi?) a fantomatici progetti industriali. Ma Catricalà vuole proporre un conflitto avanti alla Corte Costituzionale perché rimuova gli illegittimi ostacoli frapposti dalla magistratura al progetto del governo. Nonostante autorevoli precedenti, l’iniziativa muoverebbe al riso; se non rivelasse una cultura ispirata a disprezzo per i più elementari principi costituzionali; alludo, ovviamente, alla separazione tra il potere esecutivo e quello giudiziario. Se i provvedimenti dei giudici sono sbagliati, la via per correggerli è quella giudiziaria: un primo ricorso è stato respinto; altro è possibile avanti alla Corte di Cassazione: lo propongano e stiano a vedere.
Si tratta della vita delle persone; non dell’obbligo di Ilva di procedere al risanamento dello stabilimento. Non è compito dei giudici imporre misure di questo genere: essi infliggono sanzioni per la violazione di norme (per esempio di quelle in materia ambientale e antinfortunistica) e impediscono, con il sequestro, il perpetuarsi dei reati. Se poi la proprietà non intende adeguare lo stabilimento alle norme di legge, questo non è un problema della magistratura. Semplicemente, finché lo stabilimento non è a norma, lì dentro non si può lavorare. Clini potrebbe risolvere la situazione prendendo a prestito i sistemi di B: una legge che innalzi i limiti entro i quali la produzione di veleno è lecita e che tramuti Ilva in uno stabilimento perfetto. Invece si arrampica sui vetri sostenendo che Ilva ha ammazzato; e che ammazza ancora, ma non poi tanto. Proponga una legge che dica che è lecito ammazzare poco. Severino imita Napolitano e chiede gli atti al gip. Per farne cosa non si sa. Certo il ministro della Giustizia non può né annullarli né modificarli. Quando ben bene se li sia letti, le cose resteranno come sono. Può avviare un procedimento disciplinare, questo sì; il che, al momento sembra essere l’attività preferita dalla politica pescata con le mani nel sacco. Sanno, naturalmente, che si tratta di procedimenti infondati ma confidano nell’intimidazione. E ignorano (ma non è strano vista la loro formazione culturale – diciamo così) che i magistrati non collusi con il potere non si lasciano intimidire; gli altri, naturalmente, obbediscono spontaneamente. Sfortunatamente, tra i magistrati che si occupano di Ilva, di questa seconda categoria non ce n’è.
Resta una domanda cui sarà difficile rispondere. Ilva è un’impresa privata. Risanarla costa un sacco di soldi. Perché dovrebbe essere lo Stato a spenderli? I padroni hanno guadagnato parecchio gestendo, negli anni, questa fabbrica di morte. Usino il bottino per ricondurla nella legalità. Se non lo fanno, dico subito che io non sono per niente contento di pagare, pro quota, il risanamento del loro stabilimento. A meno che, si capisce, questo non venga ceduto allo Stato. Una due diligence ben fatta, un conguaglio (da Ilva allo Stato si capisce, ci mancherebbe altro, con tutto quello che c’è da spendere e da risarcire) e allora possiamo discuterne.
Il Fatto Quotidiano, 14 agosto 2012
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Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
Bruno Tinti ha ragione. Allora, visto che la sua è una voce autorevole, assieme ad altre dello stesso livello, chiedano che siano i PARTITI CHE HANNO RICEVUTO I SOLDI DA RIVA A SOSTENERE LE SPESE DI BONIFICA, NON LO STATO.
Glieli trattengano dal rimborso delle spese elettorali.
Preso atto che i partiti si stanno comportando come un settore passivo vampirizzante, questa volta la donazione del sangue alla Patria tocca a loro.
Glieli trattengano dal rimborso delle spese elettorali.
Preso atto che i partiti si stanno comportando come un settore passivo vampirizzante, questa volta la donazione del sangue alla Patria tocca a loro.
Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
E pensare che più o meno in quel periodo erano in tanti "da sinistra" ad indicare Vendola come il leader del centrosinistra.Il 15 luglio 2010 Archinà e Fabio Riva incontrano Vendola per discutere di Ilva. Dopo l'incontro Fabio Riva parla con suo figlio Emilio e gli dice che l'incontro è andato bene. «Emilio suggerisce di fare un comunicato fuorviante» annotano i finanzieri: «Si dice... si vende fumo, non so come dire! Sì, l'Ilva collabora con la Regione, tutto bene...».
TARANTO
Ilva, le intercettazioni. I Riva: «Vendiamo fumo
Diciamo che va tutto bene»
I contatti con il tecnico nominato dai magistrati e i rilevamenti della diossina: «Diamogli i nostri dati»
TARANTO - Operazioni spregiudicate, tecnici compiacenti, commenti in libertà. Dalle carte del caso Ilva ecco nuove sorprese: intercettazioni finora inedite contenute nell'informativa della Guardia di Finanza che ha dato vita al fascicolo per corruzione in atti giudiziari contro Girolamo Archinà, il responsabile delle pubbliche relazioni dell'Ilva che il presidente Bruno Ferrante ha licenziato pochi giorni fa. Le Fiamme gialle partono dall'ormai famoso incontro fra Archinà e Lorenzo Liberti - consulente tecnico dei magistrati che secondo la Procura avrebbe ricevuto da Archinà diecimila euro per favorire il gruppo siderurgico nelle relazioni da consegnare ai pubblici ministeri - e finiscono col disegnare uno scenario inquietante di accordi sottobanco, tentativi di condizionamenti, versioni da costruire a tavolino per la stampa. L'episodio Archinà-Liberti viaggia su una strada giudiziaria autonoma ma è finito nelle indagini che hanno portato al sequestro dello stabilimento e ai domiciliari per otto persone (fra le quali Emilio Riva, proprietario dell'Ilva, e suo figlio Nicola) perché il giudice Patrizia Todisco lo ha citato riferendosi alla capacità di inquinamento delle prove della famiglia Riva.
«Comunicato fuorviante»
Il 15 luglio 2010 Archinà e Fabio Riva incontrano Vendola per discutere di Ilva. Dopo l'incontro Fabio Riva parla con suo figlio Emilio e gli dice che l'incontro è andato bene. «Emilio suggerisce di fare un comunicato fuorviante» annotano i finanzieri: «Si dice... si vende fumo, non so come dire! Sì, l'Ilva collabora con la Regione, tutto bene...».
In una chiamata del 31 marzo 2010 Archinà parla di Liberti con Fabio Riva: «Io ritengo che sia oramai... sta in linea con quelle che sono le nostre esigenze». Liberti aspetta dall'Arpa (Agenzia regionale protezione e ambiente) alcuni dati sui rilevamenti della diossina. «E diamoglieli noi, dai!» dice Fabio Riva. E Archinà: «In modo che io potrei lavorargli... a dire... sulla quantità piuttosto che sul profilo». «Darglieli in anteprima - traducono i finanzieri - significa che così Archinà potrà iniziare a lavorare sul Liberti affinché (...) attesti che comunque le emissioni di diossina prodotte dal siderurgico siano in quantitativi notevolmente inferiori a quelli accertati all'esterno».
«Ci serve un parere positivo»
Scrive la Finanza: «Emerge come anche a livello ministeriale servano i contatti non propio istituzionali per ammorbidire alcuni componenti della Commissione Ipcc-Aia. Con i predetti le relazioni vengono mantenute da tale Vittoria Romeo».
Romeo: «Dicevo ad Archinà, se Palmisano che è quello della Regione, tira fuori l'argomento in Commissione, siccome l'Arpa deve ancora dare il parere sul barrieramento (le barriere contro le polveri sottili dei parchi minerari, ndr ) e a noi serve un parere positivo... non vorrei che quelli... siccome c'è l'Arpa.. fanno un parere negativo».
Fabio Riva: «È chiarissimo. Però siccome noi non possiamo assolutamente coprire i parchi perché non è fattibile... tanto vale rischiarla così».
Romeo: «Valutiamo se la cosa in questi giorni la teniamo al livello di Ticali, Pelaggi, Mazzoni (presidente e membri della commissione ministeriale Ipcc, ndr ) oppure...».
Fabio Riva: «No, picchiamo duro... appena c'è l'occasione picchiamo come fabbri».
Trasparenza
È sempre Archinà che in un'altra telefonata spiega al suo interlocutore «Mi sto stufando... io so' stato accusato di mantenere tutto sotto coperta, però nulla è mai successo... quando abbiamo sposato la linea che sicuramente è più corretta, della trasparenza... La situazione è complicata e se non si ha l'umiltà di dire ritorniamo tutti a nascondere tutto...».
Il 29 giugno 2010 Liberti viene a sapere dall'ingegnere Roberto Primerano che la Procura di Taranto vuole un indicente probatorio e s'infuria: «Cerca di appurare qualcosa, và dal magistrato» se la prende col pubblico ministero Mariano Buccoliero. «Che soggetto da guerra», dice. «Ma vada a..., sto cretino! Antipaticissima sta storia (...) ma si prenda consulenti i vigili del fuoco e se la veda con loro, non ci rompa più le scatole a noi».
Giusi Fasano
15 agosto 2012 | 9:46
http://www.corriere.it/cronache/12_agos ... ec0a.shtml
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Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
Ilva di Taranto, risanare senza chiudere? Possibile ma servono 500 milioni
In via teorica le azioni a tutela dell'ambiente (e della salute) sono percorribili anche senza bloccare gli impianti. Lo confermano ingegneri del ministero dell'Ambiente e della stessa Ilva, tecnici della Fiom o politici di esperienza sindacale. Però costa e l'azienda si oppone
di Salvatore Cannavò | 14 agosto 2012
Non capisco...se fosse vero che, per risanare senza chiudere, la preventiva quantificazione di 500 milioni fosse esatta,
non dovrebbe esserci nessun problema... così insormontabile.
La salute dei cittadini,
la salvaguardia ambientale di un intero territorio,
il rispetto delle leggi, l'autonomia della magistratura, non dovrebbe valere molto di più di 500 milioni di euro? O no?
In via teorica le azioni a tutela dell'ambiente (e della salute) sono percorribili anche senza bloccare gli impianti. Lo confermano ingegneri del ministero dell'Ambiente e della stessa Ilva, tecnici della Fiom o politici di esperienza sindacale. Però costa e l'azienda si oppone
di Salvatore Cannavò | 14 agosto 2012
Non capisco...se fosse vero che, per risanare senza chiudere, la preventiva quantificazione di 500 milioni fosse esatta,
non dovrebbe esserci nessun problema... così insormontabile.
La salute dei cittadini,
la salvaguardia ambientale di un intero territorio,
il rispetto delle leggi, l'autonomia della magistratura, non dovrebbe valere molto di più di 500 milioni di euro? O no?
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Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
Qui forse non s'è capita una cosa (non sul forum, in generale).
Stanno scatenando la guerra governo-lavoratori-sindacati-giudici. Tutto per distrarre l'attenzione da CHI HA PERMESSO CHE SI COMBINASSE E CHI HA COMBINATO QUESTO CASINO.
Porca puttana oh.
Ma vogliamo VERAMENTE fare qualcosa? Bene. Ai responsabili gli levi pure le mutande e risarcisci i lavoratori mentre la fabbrica viene messa in sicurezza.
Ci vuole tempo?
Ma come, qua si fanno i decreti d'urgenza... al limite patteggiamo, ma a condizione che quei criminali paghino il conto non solo in galera. Anche con TUTTE le loro sostanze.
Un'altra cosa che fa ribrezzo è il ministro clini (querelami, su...). Dice che non può essere la magistratura a decidere una cosa del genere ma è il governo che fa le leggi col parlamento... che strano, pensavo che le leggi LE APPLICASSERO PROPRIO I GIUDICI, RAZZA DI INETTO!
Non facciamoci fregare.
E un'altra cosa. si dimostra per l'ennesima volta come, in questo paese, i grandi manager pubblici o privati che siano vengano nominati e agiscano solo ed esclusivamente per interesse personale.
Fabbriche, scuola, telefonia, autostrade... STATALIZZIAMO TUTTO QUANTO, RIPRENDIAMOCI TUTTO!
Stanno scatenando la guerra governo-lavoratori-sindacati-giudici. Tutto per distrarre l'attenzione da CHI HA PERMESSO CHE SI COMBINASSE E CHI HA COMBINATO QUESTO CASINO.
Porca puttana oh.
Ma vogliamo VERAMENTE fare qualcosa? Bene. Ai responsabili gli levi pure le mutande e risarcisci i lavoratori mentre la fabbrica viene messa in sicurezza.
Ci vuole tempo?
Ma come, qua si fanno i decreti d'urgenza... al limite patteggiamo, ma a condizione che quei criminali paghino il conto non solo in galera. Anche con TUTTE le loro sostanze.
Un'altra cosa che fa ribrezzo è il ministro clini (querelami, su...). Dice che non può essere la magistratura a decidere una cosa del genere ma è il governo che fa le leggi col parlamento... che strano, pensavo che le leggi LE APPLICASSERO PROPRIO I GIUDICI, RAZZA DI INETTO!
Non facciamoci fregare.
E un'altra cosa. si dimostra per l'ennesima volta come, in questo paese, i grandi manager pubblici o privati che siano vengano nominati e agiscano solo ed esclusivamente per interesse personale.
Fabbriche, scuola, telefonia, autostrade... STATALIZZIAMO TUTTO QUANTO, RIPRENDIAMOCI TUTTO!
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
Robert Harris, "Archangel"
Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
Decreto Salvakiller
di Marco Travaglio | 16 agosto 2012
Il cosiddetto ministro dell’Ambiente, Clini, sta disperatamente cercando di “evitare un decreto d’urgenza” per ribaltare le ordinanze dei giudici di Taranto sull’Ilva. Ma non sa se ce la farà, perché si sa come sono fatti questi decreti: ti capitano fra capo e collo a tradimento, d’urgenza, e soprattutto a tua insaputa, senza che tu li abbia né voluti né firmati. Un po’ come i temporali d’estate. Accadono, ecco. Precipitano. E non c’è verso di evitarli. A meno che, si capisce, i giudici non cedano al ricatto del governo, che a sua volta cede al ricatto dell’Ilva, nel qual caso il decreto si può evitare, come pure “il ricorso alla Consulta”. E addio “conflitto”, anzi “potremo lavorare insieme”. Fanno il racket e lo chiamano pace. Clini auspica “un colloquio almeno col Procuratore capo”: per trovare “un punto di equilibrio” e “lavorare insieme”. Come se la Procura potesse dare ordini al Gip (e non viceversa); se i giudici potessero “lavorare insieme” ai politici”; e se la Giustizia fosse un suk arabo dove si contratta, tipo tappetari e vuccumprà: “Tu vuoi il sequestro, io no, allora veniamoci incontro: facciamo mezzo sequestro e un bacio sopra”. Saldi di fine democrazia. Chissà dove hanno studiato diritto questi giuristi della mutua travestiti da “tecnici”: forse alla scuola Radio Elettra, per corrispondenza.
Il Messaggero informa che, in tenuta tirolese, “Monti segue passo passo dall’Engadina l’operazione salva-Ilva” e ha sguinzagliato i suoi sherpa, i due Corradi, Passera e Clini, a cercare “un contatto diretto col procuratore Sebastio per ‘una moral suasion garbata e discreta’. Obiettivo: convincere i magistrati a rinunciare allo spegnimento, illustrando una volta di più il piano di risanamento dell’azienda”, che guardacaso arriva proprio ora che si muovono i giudici dopo 30 anni di strage indisturbata. Ma dei morti di cancro nessuno parla, in questo delirio su fantomatiche “invasioni di campo dei magistrati nella sfera dell’esecutivo” e “menomazioni della politica industriale del governo”. C’è da augurarsi che il procuratore Sebastio, persona seria, metta alla porta i due postulanti dopo aver loro impartito un corso accelerato di diritto penale e costituzionale. Così finalmente lo vedremo, questo famoso decreto che rovescia un provvedimento giudiziario sgradito.
L’ultimo precedente risale a metà anni 80, con i due “decreti Berlusconi” imposti da Craxi per annullare il sequestro degl’impianti Fininvest fuorilegge. Ci riprovò due anni fa B., per annullare le sentenze su Eluana, ma Napolitano gli fece sapere che era fatica sprecata: l’avrebbe rispedito al mittente. Chissà se ora farà lo stesso con l’amato Monti, o firmerà un decreto incostituzionale che legalizza l’illegalità; seppellisce l’indipendenza della magistratura e il primato della legge e della salute sul profitto privato; e spiega ai famigliari dei morti e dei malati che devono rassegnarsi, qualche centinaio di vittime non sono nulla di fronte ai fatturati della famiglia Riva che tanto ha dato al Paese e soprattutto ai politici. Del resto – argomenta Clini – i morti risalgono alla gestione Italsider e Riva è arrivato da poco: aspettiamo che crepi qualche malato per la gestione Riva, poi vedremo.
Così, 18 anni dopo il decreto Salvaladri, avremo un bel decreto Salvakiller, stavolta fra gli applausi di centro, destra e sinistra. A proposito di sinistra: dopo sette anni di governo (si fa per dire), Vendola farfuglia di un “tavolo del dialogo con le parti”, di “confronto con i magistrati” e annuncia di aver chiesto all’Ilva nientemeno che “di confermare il nuovo stile dell’azienda”. Come? Con “atti concreti” e un “cronoprogramma” per “ambientalizzare finalmente la fabbrica”. Quando? “Quanto prima”. Dopo sette anni. Infatti “lo sguardo di chi governa” deve evitare “che l’ardire utopico dei pensieri lunghi si pieghi alla disperazione di un presente immobile, quasi divorato dal suo passato”. Gliele ha cantate chiare. È la famosa “sinistra radicale”.
Il Fatto Quotidiano, 15 agosto 2012
di Marco Travaglio | 16 agosto 2012
Il cosiddetto ministro dell’Ambiente, Clini, sta disperatamente cercando di “evitare un decreto d’urgenza” per ribaltare le ordinanze dei giudici di Taranto sull’Ilva. Ma non sa se ce la farà, perché si sa come sono fatti questi decreti: ti capitano fra capo e collo a tradimento, d’urgenza, e soprattutto a tua insaputa, senza che tu li abbia né voluti né firmati. Un po’ come i temporali d’estate. Accadono, ecco. Precipitano. E non c’è verso di evitarli. A meno che, si capisce, i giudici non cedano al ricatto del governo, che a sua volta cede al ricatto dell’Ilva, nel qual caso il decreto si può evitare, come pure “il ricorso alla Consulta”. E addio “conflitto”, anzi “potremo lavorare insieme”. Fanno il racket e lo chiamano pace. Clini auspica “un colloquio almeno col Procuratore capo”: per trovare “un punto di equilibrio” e “lavorare insieme”. Come se la Procura potesse dare ordini al Gip (e non viceversa); se i giudici potessero “lavorare insieme” ai politici”; e se la Giustizia fosse un suk arabo dove si contratta, tipo tappetari e vuccumprà: “Tu vuoi il sequestro, io no, allora veniamoci incontro: facciamo mezzo sequestro e un bacio sopra”. Saldi di fine democrazia. Chissà dove hanno studiato diritto questi giuristi della mutua travestiti da “tecnici”: forse alla scuola Radio Elettra, per corrispondenza.
Il Messaggero informa che, in tenuta tirolese, “Monti segue passo passo dall’Engadina l’operazione salva-Ilva” e ha sguinzagliato i suoi sherpa, i due Corradi, Passera e Clini, a cercare “un contatto diretto col procuratore Sebastio per ‘una moral suasion garbata e discreta’. Obiettivo: convincere i magistrati a rinunciare allo spegnimento, illustrando una volta di più il piano di risanamento dell’azienda”, che guardacaso arriva proprio ora che si muovono i giudici dopo 30 anni di strage indisturbata. Ma dei morti di cancro nessuno parla, in questo delirio su fantomatiche “invasioni di campo dei magistrati nella sfera dell’esecutivo” e “menomazioni della politica industriale del governo”. C’è da augurarsi che il procuratore Sebastio, persona seria, metta alla porta i due postulanti dopo aver loro impartito un corso accelerato di diritto penale e costituzionale. Così finalmente lo vedremo, questo famoso decreto che rovescia un provvedimento giudiziario sgradito.
L’ultimo precedente risale a metà anni 80, con i due “decreti Berlusconi” imposti da Craxi per annullare il sequestro degl’impianti Fininvest fuorilegge. Ci riprovò due anni fa B., per annullare le sentenze su Eluana, ma Napolitano gli fece sapere che era fatica sprecata: l’avrebbe rispedito al mittente. Chissà se ora farà lo stesso con l’amato Monti, o firmerà un decreto incostituzionale che legalizza l’illegalità; seppellisce l’indipendenza della magistratura e il primato della legge e della salute sul profitto privato; e spiega ai famigliari dei morti e dei malati che devono rassegnarsi, qualche centinaio di vittime non sono nulla di fronte ai fatturati della famiglia Riva che tanto ha dato al Paese e soprattutto ai politici. Del resto – argomenta Clini – i morti risalgono alla gestione Italsider e Riva è arrivato da poco: aspettiamo che crepi qualche malato per la gestione Riva, poi vedremo.
Così, 18 anni dopo il decreto Salvaladri, avremo un bel decreto Salvakiller, stavolta fra gli applausi di centro, destra e sinistra. A proposito di sinistra: dopo sette anni di governo (si fa per dire), Vendola farfuglia di un “tavolo del dialogo con le parti”, di “confronto con i magistrati” e annuncia di aver chiesto all’Ilva nientemeno che “di confermare il nuovo stile dell’azienda”. Come? Con “atti concreti” e un “cronoprogramma” per “ambientalizzare finalmente la fabbrica”. Quando? “Quanto prima”. Dopo sette anni. Infatti “lo sguardo di chi governa” deve evitare “che l’ardire utopico dei pensieri lunghi si pieghi alla disperazione di un presente immobile, quasi divorato dal suo passato”. Gliele ha cantate chiare. È la famosa “sinistra radicale”.
Il Fatto Quotidiano, 15 agosto 2012
Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
Ilva, Nichi Vendola e il doppio binario
Il presidente della Regione Puglia nel 2011 disse: "Sulla diossina dati straordinari, la miglior buona pratica in Europa"
di Marco Palombi | 15 agosto 2012
“Io penso che abbandonare l’acciaio sarebbe una sconfitta, bisogna mettere in equilibrio il lavoro e la salute. Nelle carte dei magistrati c’è il percorso. L’ambientalizzazione della fabbrica può essere fatta solo a impianti accesi”. Peraltro, “L’Ilva rispettava i limiti e si è adeguata alla legge regionale sulla diossina, ma l’Ilva è anche una metropoli che per 60 anni è stata un propagatore di veleni”.
LA POSIZIONE di Nichi Vendola sull’acciaieria di Taranto, com’è naturale per un uomo che rifiuta le facili semplificazioni, è un po’ complessa: hanno ragione i giudici che chiedono all’Ilva di non inquinare e prescrivono la chiusura della fabbrica, però hanno pure torto perché l’Ilva adesso rispetta i limiti e quindi la fabbrica deve rimanere aperta. Il governatore è confuso? No, più che altro si muove sul doppio binario su cui ha sempre viaggiato in questi anni: ufficialmente lui ha risolto la situazione, in pratica non può far finta che non esistano le perizie ordinate dalla magistratura che dimostrano che non è vero.
Basti vedere quanto lo stesso Vendola diceva in uno dei suoi videomessaggi nel dicembre del 2011, otto mesi fa: “Ho i dati degli ultimi rilevamenti dell’Arpa sulle emissioni di diossina e furani a Taranto: siamo a quota 0,2 nano-grammi per metro quadrato. Vorrei ricordare a tutti che nel 2005 l’Ilva sputava in atmosfera fino a 10 nano-grammi di veleni. Questo dato è straordinario, è una delle migliori buone pratiche che ci siano state a livello europeo”. Non che fosse la prima volta che il nostro parlava degli straordinari progressi di Taranto. Basta rileggere un paio di numeri della rivista della stessa Ilva, Il Ponte. Ecco cosa diceva Vendola in un’intervista del novembre 2010: “Gli investimenti dal punto di vista ambientale sono stati notevoli, sebbene rimanga ancora molto da fare. In moltissimi settori sono state applicate le migliori tecnologie disponibili, come previsto dalla legislazione europea, e a breve il cronoprogramma per l’ambientalizzazione completa dell’Ilva sarà attuato al 100%”. A maggio 2011, invece, fornì al periodico pagato dai Riva una dichiarazione contro la consultazione popolare promossa dai movimenti tarantini per la chiusura dello stabilimento: “Chiesi ad Emilio Riva, nel mio primo incontro con lui, se fosse credente, perché al centro della nostra conversazione ci sarebbe stato il diritto alla vita. Credo che dalla durezza di quei primi incontri sia nata la stima reciproca che c’è oggi. La stessa che mi ha fatto scendere in campo contro il referendum per la chiusura del ‘polmone produttivo’ della Puglia”. Sul polmone produttivo della Puglia poi sono arrivate le analisi della Procura, compresa quella che rileva livelli di diossina intollerabili, e i toni sono un po’ cambiati.
SOLO CHE NON solo di parole ha peccato Vendola, ma pure in opere e omissioni. La famosa legge sulla diossina del 2008 che ha risolto tutto secondo lui, per dire, prevede non controlli in continuo (“assolutamente indispensabili”, scrive Todisco nella sua ordinanza) ma sulla media aritmetica di rilevazioni discontinue e casuale. Per di più i numeri trionfali forniti dal governatore – ed è sempre il gip che lo sancisce – avvenivano andando a fare gli esami nel camino sbagliato.
ANCHE L’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) firmata da Vendola nell’agosto di un anno fa, all’ingrosso, consentiva il raddoppio della produzione, non prevedeva controlli in continuo, né la copertura del parco minerale da cui si alzano molte delle polveri che infestano Taranto . Festeggiò allora l’assessore all’Ambiente Nicastro: “Siamo riusciti a tenere insieme le ragioni dell’ecologia con quelle dell’economia e del diritto alla salute con il diritto al lavoro. Un passaggio storico”. Poi a marzo la giunta Vendola cambiò idea e chiese al ministro Clini di procedere al riesame dell’Aia. Se si volesse risalire al 2005, si potrebbe ricordare anche che, Provincia e Comune ritirarono la loro costituzione di parte civile nel processo che portò alla prima condanna dei Riva. Contestualmente firmarono un protocollo in cui la Regione si impegnava a stanziare 50 milioni per il risanamento del quartiere Tamburi e altri 25 milioni per il Mar Piccolo. Che ne è stato di quei soldi? C’è una certezza: a Taranto non li hanno visti.
Ci sono, infine, le omissioni, il cui peso si può apprezzare solo adesso che tutti parlano della mancanza di dati certi su cui basare un’analisi credibile. I dati non ci sono anche perché Vendola, pur avendone la competenza istituzionale, s’è sempre rifiutato di disporre un’indagine epidemiologica e pure di avviare il monitoraggio di sangue e urine nonostante gli sia stato chiesto più volte dai movimenti tarantini e da forze politiche dello stesso centrosinistra (i Verdi).
Finito? Quasi: il “Registro tumori” a Taranto è fermo al 2005, quindi sarà difficile stabilire il numero esatto dei morti per inquinamento. Fortuna che ci pensa Nichi via Facebook a spiegarci tutto: “Lo sguardo di chi governa deve pesare ciascuno dei beni da tutelare, deve custodire tutte le promesse di futuro , ma soprattutto deve sentire la responsabilità di evitare che vinca il caos, e che l’ardire utopico dei pensieri lunghi si pieghi alla disperazione di un presente immobile, quasi divorato dal suo passato”.
da Il Fatto Quotidiano del 15 agosto 2012
Il presidente della Regione Puglia nel 2011 disse: "Sulla diossina dati straordinari, la miglior buona pratica in Europa"
di Marco Palombi | 15 agosto 2012
“Io penso che abbandonare l’acciaio sarebbe una sconfitta, bisogna mettere in equilibrio il lavoro e la salute. Nelle carte dei magistrati c’è il percorso. L’ambientalizzazione della fabbrica può essere fatta solo a impianti accesi”. Peraltro, “L’Ilva rispettava i limiti e si è adeguata alla legge regionale sulla diossina, ma l’Ilva è anche una metropoli che per 60 anni è stata un propagatore di veleni”.
LA POSIZIONE di Nichi Vendola sull’acciaieria di Taranto, com’è naturale per un uomo che rifiuta le facili semplificazioni, è un po’ complessa: hanno ragione i giudici che chiedono all’Ilva di non inquinare e prescrivono la chiusura della fabbrica, però hanno pure torto perché l’Ilva adesso rispetta i limiti e quindi la fabbrica deve rimanere aperta. Il governatore è confuso? No, più che altro si muove sul doppio binario su cui ha sempre viaggiato in questi anni: ufficialmente lui ha risolto la situazione, in pratica non può far finta che non esistano le perizie ordinate dalla magistratura che dimostrano che non è vero.
Basti vedere quanto lo stesso Vendola diceva in uno dei suoi videomessaggi nel dicembre del 2011, otto mesi fa: “Ho i dati degli ultimi rilevamenti dell’Arpa sulle emissioni di diossina e furani a Taranto: siamo a quota 0,2 nano-grammi per metro quadrato. Vorrei ricordare a tutti che nel 2005 l’Ilva sputava in atmosfera fino a 10 nano-grammi di veleni. Questo dato è straordinario, è una delle migliori buone pratiche che ci siano state a livello europeo”. Non che fosse la prima volta che il nostro parlava degli straordinari progressi di Taranto. Basta rileggere un paio di numeri della rivista della stessa Ilva, Il Ponte. Ecco cosa diceva Vendola in un’intervista del novembre 2010: “Gli investimenti dal punto di vista ambientale sono stati notevoli, sebbene rimanga ancora molto da fare. In moltissimi settori sono state applicate le migliori tecnologie disponibili, come previsto dalla legislazione europea, e a breve il cronoprogramma per l’ambientalizzazione completa dell’Ilva sarà attuato al 100%”. A maggio 2011, invece, fornì al periodico pagato dai Riva una dichiarazione contro la consultazione popolare promossa dai movimenti tarantini per la chiusura dello stabilimento: “Chiesi ad Emilio Riva, nel mio primo incontro con lui, se fosse credente, perché al centro della nostra conversazione ci sarebbe stato il diritto alla vita. Credo che dalla durezza di quei primi incontri sia nata la stima reciproca che c’è oggi. La stessa che mi ha fatto scendere in campo contro il referendum per la chiusura del ‘polmone produttivo’ della Puglia”. Sul polmone produttivo della Puglia poi sono arrivate le analisi della Procura, compresa quella che rileva livelli di diossina intollerabili, e i toni sono un po’ cambiati.
SOLO CHE NON solo di parole ha peccato Vendola, ma pure in opere e omissioni. La famosa legge sulla diossina del 2008 che ha risolto tutto secondo lui, per dire, prevede non controlli in continuo (“assolutamente indispensabili”, scrive Todisco nella sua ordinanza) ma sulla media aritmetica di rilevazioni discontinue e casuale. Per di più i numeri trionfali forniti dal governatore – ed è sempre il gip che lo sancisce – avvenivano andando a fare gli esami nel camino sbagliato.
ANCHE L’Aia (Autorizzazione integrata ambientale) firmata da Vendola nell’agosto di un anno fa, all’ingrosso, consentiva il raddoppio della produzione, non prevedeva controlli in continuo, né la copertura del parco minerale da cui si alzano molte delle polveri che infestano Taranto . Festeggiò allora l’assessore all’Ambiente Nicastro: “Siamo riusciti a tenere insieme le ragioni dell’ecologia con quelle dell’economia e del diritto alla salute con il diritto al lavoro. Un passaggio storico”. Poi a marzo la giunta Vendola cambiò idea e chiese al ministro Clini di procedere al riesame dell’Aia. Se si volesse risalire al 2005, si potrebbe ricordare anche che, Provincia e Comune ritirarono la loro costituzione di parte civile nel processo che portò alla prima condanna dei Riva. Contestualmente firmarono un protocollo in cui la Regione si impegnava a stanziare 50 milioni per il risanamento del quartiere Tamburi e altri 25 milioni per il Mar Piccolo. Che ne è stato di quei soldi? C’è una certezza: a Taranto non li hanno visti.
Ci sono, infine, le omissioni, il cui peso si può apprezzare solo adesso che tutti parlano della mancanza di dati certi su cui basare un’analisi credibile. I dati non ci sono anche perché Vendola, pur avendone la competenza istituzionale, s’è sempre rifiutato di disporre un’indagine epidemiologica e pure di avviare il monitoraggio di sangue e urine nonostante gli sia stato chiesto più volte dai movimenti tarantini e da forze politiche dello stesso centrosinistra (i Verdi).
Finito? Quasi: il “Registro tumori” a Taranto è fermo al 2005, quindi sarà difficile stabilire il numero esatto dei morti per inquinamento. Fortuna che ci pensa Nichi via Facebook a spiegarci tutto: “Lo sguardo di chi governa deve pesare ciascuno dei beni da tutelare, deve custodire tutte le promesse di futuro , ma soprattutto deve sentire la responsabilità di evitare che vinca il caos, e che l’ardire utopico dei pensieri lunghi si pieghi alla disperazione di un presente immobile, quasi divorato dal suo passato”.
da Il Fatto Quotidiano del 15 agosto 2012
Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
Eppure molti di noi, fino a qualche tempo fa, lo consideravano come la nuova speranza della sinistra, il leader che potesse imprimere una svolta al morente centrosinistra.
Dico questo solo per sottolineare la necessità che abbiamo di questi tempi, quella di essere iper-diffidenti e di pretendere fatti non parole da chiunque.
Dico questo solo per sottolineare la necessità che abbiamo di questi tempi, quella di essere iper-diffidenti e di pretendere fatti non parole da chiunque.
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Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
IL SISTEMA ARCHINÀ, IL CONSULENTE «CHE PERTURBAVA L'OPERATO DEGLI ENTI PUBBLICI»
Controlli pilotati, tredici indagati
«Le istituzioni erano compiacenti»
Le intercettazioni: «L'ispezione? Ci sarà un tecnico gradito»
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
TARANTO - Politici e funzionari pubblici. Tredici in tutto. Indagati, a diverso titolo, per corruzione in atti giudiziari e concussione. L'inchiesta sul caso della presunta mazzetta data al consulente tecnico della procura Lorenzo Liberti per «addomesticare» le perizie sull'Ilva, si allarga e prende quota. Entra nelle stanze della politica, locale e non. E si annuncia rumorosa. Un'altra valanga, giura chi ne conosce i contenuti, sull'amministrazione pubblica pugliese.
Tutto parte dalle indagini sul gruppo siderurgico più grande d'Europa, l'Ilva. Dove i controlli, i controllati e i controllori coincidevano, dicono le carte dell'inchiesta, con un nome soltanto, Girolamo Archinà, consulente e uomo delle pubbliche relazioni dello stabilimento che il presidente Bruno Ferrante ha licenziato in tronco una settimana fa. Lo stesso della frase ormai famosa: «Io ho sempre sostenuto che bisogna pagare la stampa per tagliargli la lingua! Cioè pagare la stampa per non parlare!».
Ma la stampa pare non fosse l'unica preoccupazione di Archinà. Lo erano anche le rilevazioni dei tecnici ambientali, per esempio. Che stando alle accuse della Guardia di Finanza Archinà avrebbe pilotato in più occasioni.
Dice l'informativa dei finanzieri: «È evidente che l'Archinà, grazie alle sue conoscenze, riesce a perturbare l'operato degli enti pubblici riuscendo talvolta anche a pilotare i sopralluoghi e le verifiche presso Ilva». Viene riportata una telefonata del 7 luglio 2010 fra Archinà e Pierfrancesco Palmisano, funzionario che rappresenta la Regione Puglia nelle riunioni della Conferenza dei servizi (al ministero dell'Ambiente) per istruire la pratica per il rilascio dell'Aia (Autorizzazione integrata ambientale). La Finanza scrive che «fra i due emerge un elevato grado di compiacenza». Archinà, per esempio, chiede a Palmisano chiarimenti su un fax appena ricevuto che riguarda un imminente sopralluogo nello stabilimento. «Palmisano - dice l'informativa - lo rassicura e gli spiega che il sopralluogo potrebbe farsi all'esterno». E gli dice anche un'altra cosa che tranquillizza Archinà «cioè il fatto che durante il controllo ci sarebbe stata una persona a lui gradita, l'ingegner Roberto Primerano».
Agli atti c'è un'altra comunicazione fra Archinà e il dirigente Capogrosso che si preoccupa perché qualcuno sta andando ad eseguire sopralluoghi all'improvviso. Archinà lo rassicura: «Dandogli conferma - scrive la Finanza - di aver personalmente preso accordi con l'ingegner Antonello Antonicelli (dirigente regionale del settore ambiente ndr ). L'ingegnere gli ha assicurato che i funzionari del sopralluogo saranno portati negli uffici del secondo piano e verranno metaforicamente "legati alla sedia" senza poter fare nessuna attività ispettiva». Dice testualmente Archinà: «Vengono all'ufficio al secondo piano e legati qua...». E Capogrosso: «Di questo sei sicuro insomma». «Sicurissimo». Nella stessa telefonata si discute anche della possibilità di piazzare le centraline di controllo dentro l'Ilva: «Figuriamoci se facciamo mettere le centraline all'interno!» commenta sicuro Capogrosso con Archinà.
Tra le conversazioni ritenute utili dagli inquirenti c'è quella del 15 luglio 2010 dalla quale, rivela l'informativa, emerge un «dato interessante relativo alla questione parchi minerali, in relazione alla quale evidentemente l'Archinà ha preso accordi a Bari verosimilmente con l'ingegner Antonicelli». Archinà dice a Capogrosso che sarà fatto uno studio di fattibilità che gli consentirà di prendere tempo. «Come si può ben vedere - annotano gli investigatori - è costante e sistematico l'intervento dell'Archinà verso alcuni soggetti delle istituzioni, che a loro volta lo assecondano quasi sempre, finalizzato a ridimensionare sempre gli impatti che le azioni amministrative possano avere verso il siderurgico tarantino». Un lungo capitolo dell'informativa della Guardia di Finanza è dedicato al professor Giorgio Assennato, direttore generale dell'Arpa (Agenzia regionale protezione ambiente). Nelle carte dell'inchiesta c'è scritto che «come più volte emerso dall'indagine, il prof Assennato viene visto come il vero e proprio nemico dell'Ilva, considerato che con il suo rapporto sulle emissioni di benzo(a)pirene dalle cockerie ha scatenato un vero e proprio putiferio». Il «nemico» dell'Ilva aveva certificato il raddoppio delle emissioni (rispetto ai dati precedenti) nel periodo gennaio/maggio 2010 e aveva causato l'apertura di una nuova inchiesta. Archinà se l'era presa parecchio. Tanto da scrivere una email all'avvocato Francesco Manna (allora capo di gabinetto di Nichi Vendola): «A che serve essere leali e collaborativi?».
Da quel momento in poi sarebbe stata guerra contro Assennato: «lo dobbiamo distruggere» ha ripetuto più volte Archinà al telefono ai suoi interlocutori. Raccontando all'avvocato dell'Ilva Egidio Albanese anche di un fantomatico accordo preso con Nichi Vendola per «sconfessare l'Arpa Puglia». Una sconfessione che però lo stesso funzionario regionale, confermato dopo la scadenza del suo incarico, dice di non aver mai subito.
Giusi Fasano
GiusiFasano
17 agosto 2012 | 8:10
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/12_agos ... f4c6.shtml
Controlli pilotati, tredici indagati
«Le istituzioni erano compiacenti»
Le intercettazioni: «L'ispezione? Ci sarà un tecnico gradito»
DA UNO DEI NOSTRI INVIATI
TARANTO - Politici e funzionari pubblici. Tredici in tutto. Indagati, a diverso titolo, per corruzione in atti giudiziari e concussione. L'inchiesta sul caso della presunta mazzetta data al consulente tecnico della procura Lorenzo Liberti per «addomesticare» le perizie sull'Ilva, si allarga e prende quota. Entra nelle stanze della politica, locale e non. E si annuncia rumorosa. Un'altra valanga, giura chi ne conosce i contenuti, sull'amministrazione pubblica pugliese.
Tutto parte dalle indagini sul gruppo siderurgico più grande d'Europa, l'Ilva. Dove i controlli, i controllati e i controllori coincidevano, dicono le carte dell'inchiesta, con un nome soltanto, Girolamo Archinà, consulente e uomo delle pubbliche relazioni dello stabilimento che il presidente Bruno Ferrante ha licenziato in tronco una settimana fa. Lo stesso della frase ormai famosa: «Io ho sempre sostenuto che bisogna pagare la stampa per tagliargli la lingua! Cioè pagare la stampa per non parlare!».
Ma la stampa pare non fosse l'unica preoccupazione di Archinà. Lo erano anche le rilevazioni dei tecnici ambientali, per esempio. Che stando alle accuse della Guardia di Finanza Archinà avrebbe pilotato in più occasioni.
Dice l'informativa dei finanzieri: «È evidente che l'Archinà, grazie alle sue conoscenze, riesce a perturbare l'operato degli enti pubblici riuscendo talvolta anche a pilotare i sopralluoghi e le verifiche presso Ilva». Viene riportata una telefonata del 7 luglio 2010 fra Archinà e Pierfrancesco Palmisano, funzionario che rappresenta la Regione Puglia nelle riunioni della Conferenza dei servizi (al ministero dell'Ambiente) per istruire la pratica per il rilascio dell'Aia (Autorizzazione integrata ambientale). La Finanza scrive che «fra i due emerge un elevato grado di compiacenza». Archinà, per esempio, chiede a Palmisano chiarimenti su un fax appena ricevuto che riguarda un imminente sopralluogo nello stabilimento. «Palmisano - dice l'informativa - lo rassicura e gli spiega che il sopralluogo potrebbe farsi all'esterno». E gli dice anche un'altra cosa che tranquillizza Archinà «cioè il fatto che durante il controllo ci sarebbe stata una persona a lui gradita, l'ingegner Roberto Primerano».
Agli atti c'è un'altra comunicazione fra Archinà e il dirigente Capogrosso che si preoccupa perché qualcuno sta andando ad eseguire sopralluoghi all'improvviso. Archinà lo rassicura: «Dandogli conferma - scrive la Finanza - di aver personalmente preso accordi con l'ingegner Antonello Antonicelli (dirigente regionale del settore ambiente ndr ). L'ingegnere gli ha assicurato che i funzionari del sopralluogo saranno portati negli uffici del secondo piano e verranno metaforicamente "legati alla sedia" senza poter fare nessuna attività ispettiva». Dice testualmente Archinà: «Vengono all'ufficio al secondo piano e legati qua...». E Capogrosso: «Di questo sei sicuro insomma». «Sicurissimo». Nella stessa telefonata si discute anche della possibilità di piazzare le centraline di controllo dentro l'Ilva: «Figuriamoci se facciamo mettere le centraline all'interno!» commenta sicuro Capogrosso con Archinà.
Tra le conversazioni ritenute utili dagli inquirenti c'è quella del 15 luglio 2010 dalla quale, rivela l'informativa, emerge un «dato interessante relativo alla questione parchi minerali, in relazione alla quale evidentemente l'Archinà ha preso accordi a Bari verosimilmente con l'ingegner Antonicelli». Archinà dice a Capogrosso che sarà fatto uno studio di fattibilità che gli consentirà di prendere tempo. «Come si può ben vedere - annotano gli investigatori - è costante e sistematico l'intervento dell'Archinà verso alcuni soggetti delle istituzioni, che a loro volta lo assecondano quasi sempre, finalizzato a ridimensionare sempre gli impatti che le azioni amministrative possano avere verso il siderurgico tarantino». Un lungo capitolo dell'informativa della Guardia di Finanza è dedicato al professor Giorgio Assennato, direttore generale dell'Arpa (Agenzia regionale protezione ambiente). Nelle carte dell'inchiesta c'è scritto che «come più volte emerso dall'indagine, il prof Assennato viene visto come il vero e proprio nemico dell'Ilva, considerato che con il suo rapporto sulle emissioni di benzo(a)pirene dalle cockerie ha scatenato un vero e proprio putiferio». Il «nemico» dell'Ilva aveva certificato il raddoppio delle emissioni (rispetto ai dati precedenti) nel periodo gennaio/maggio 2010 e aveva causato l'apertura di una nuova inchiesta. Archinà se l'era presa parecchio. Tanto da scrivere una email all'avvocato Francesco Manna (allora capo di gabinetto di Nichi Vendola): «A che serve essere leali e collaborativi?».
Da quel momento in poi sarebbe stata guerra contro Assennato: «lo dobbiamo distruggere» ha ripetuto più volte Archinà al telefono ai suoi interlocutori. Raccontando all'avvocato dell'Ilva Egidio Albanese anche di un fantomatico accordo preso con Nichi Vendola per «sconfessare l'Arpa Puglia». Una sconfessione che però lo stesso funzionario regionale, confermato dopo la scadenza del suo incarico, dice di non aver mai subito.
Giusi Fasano
GiusiFasano
17 agosto 2012 | 8:10
© RIPRODUZIONE RISERVATA
http://www.corriere.it/cronache/12_agos ... f4c6.shtml
Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
LA DENUNCIA
Le lacrime della pediatra dei Tamburi
«Qui ho visto morire troppi bambini»
Grazia Parisi: «Ci hanno detto di non far giocare
i più piccoli nelle piazze o di lavarli al rientro in casa»
TARANTO - «Avrei voluto partecipare a questa assemblea con tante fascette nere legate al braccio per quanti sono i bambini che ho visto morire». Lo ha detto Grazia Parisi, pediatra di base che cura anche i bambini del rione Tamburi (il più vicino all'Ilva) dal palco dell'assemblea pubblica in corso nel capoluogo ionico.
L'AMAREZZA - Il medico ha ricordato tra gli applausi della folla che qualche tempo fa il sindaco firmò un'ordinanza con la quale vietò ai bambini dei Tamburi di giocare tra le aiuole e li invitò a calpestare solo le zone pavimentate. «Invitarono noi pediatri di base - ha sottolineato - a dire alle mamme che dopo il gioco all'aria aperta i bimbi dovevano essere lavati». «Quell'ordinanza - ha denunciato - è stata revocata senza che la situazione fosse davvero cambiata». «Tutti - ha concluso sopraffatta dall'emozione - dovremmo legarci una fascetta nera ad un braccio per ogni caro che abbiamo perso».
Redazione online
17 agosto 2012
http://corrieredelmezzogiorno.corriere. ... 7812.shtml
Le lacrime della pediatra dei Tamburi
«Qui ho visto morire troppi bambini»
Grazia Parisi: «Ci hanno detto di non far giocare
i più piccoli nelle piazze o di lavarli al rientro in casa»
TARANTO - «Avrei voluto partecipare a questa assemblea con tante fascette nere legate al braccio per quanti sono i bambini che ho visto morire». Lo ha detto Grazia Parisi, pediatra di base che cura anche i bambini del rione Tamburi (il più vicino all'Ilva) dal palco dell'assemblea pubblica in corso nel capoluogo ionico.
L'AMAREZZA - Il medico ha ricordato tra gli applausi della folla che qualche tempo fa il sindaco firmò un'ordinanza con la quale vietò ai bambini dei Tamburi di giocare tra le aiuole e li invitò a calpestare solo le zone pavimentate. «Invitarono noi pediatri di base - ha sottolineato - a dire alle mamme che dopo il gioco all'aria aperta i bimbi dovevano essere lavati». «Quell'ordinanza - ha denunciato - è stata revocata senza che la situazione fosse davvero cambiata». «Tutti - ha concluso sopraffatta dall'emozione - dovremmo legarci una fascetta nera ad un braccio per ogni caro che abbiamo perso».
Redazione online
17 agosto 2012
http://corrieredelmezzogiorno.corriere. ... 7812.shtml
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