Siamo sempre là, che altro possiamo fare?Maucat ha scritto:E chi ti fa una serie intemrinabile di scioperi col mutuo da pagare...?
Io lo posso fare... tu pure... ma le masse...?
Come se ne viene fuori ?
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Re: Come se ne viene fuori ?
"Ma anche i furbi commettono un errore quando danno per scontato che tutti gli altri siano stupidi. E invece non tutti sono stupidi, impiegano solo un po' più di tempo a capire, tutto qui".
Robert Harris, "Archangel"
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Re: Come se ne viene fuori ?
Quella di oggi giornata particolarmente deprimente.
Al tg3 la moglie di un operaio dell'Alcoa esprimeva la sua mesta rassegnazione per un futuro di povertà che aspetta la sua famiglia e per la consapevolezza di non poter mantenere il figlio agli studi (inquadrato di sfuggita dall'operatore con dubbio buongusto).
Il grande manager Marpionne annuncia ciò che sapevamo ormai da tempo: che il progetto Fabbrica Italia non esiste più (meglio: non è mai esistito).
Intanto il nostro presidente del consiglio addebita allo statuto dei lavoratori la responsabilità di aver impedito la creazione dei posti di lavoro.
Sull'altro fronte, Vendola (fino a pochi mesi fa la grande speranza della sinistra) ripete su FB stancamente la litania del "noi l'avevamo detto" e della necessità per il governo di "convocare Marchionne". Per dirgli cosa, questo è un dettaglio sul quale ovviamente sorvola.
Per oggi può bastare.
Al tg3 la moglie di un operaio dell'Alcoa esprimeva la sua mesta rassegnazione per un futuro di povertà che aspetta la sua famiglia e per la consapevolezza di non poter mantenere il figlio agli studi (inquadrato di sfuggita dall'operatore con dubbio buongusto).
Il grande manager Marpionne annuncia ciò che sapevamo ormai da tempo: che il progetto Fabbrica Italia non esiste più (meglio: non è mai esistito).
Intanto il nostro presidente del consiglio addebita allo statuto dei lavoratori la responsabilità di aver impedito la creazione dei posti di lavoro.
Sull'altro fronte, Vendola (fino a pochi mesi fa la grande speranza della sinistra) ripete su FB stancamente la litania del "noi l'avevamo detto" e della necessità per il governo di "convocare Marchionne". Per dirgli cosa, questo è un dettaglio sul quale ovviamente sorvola.
Per oggi può bastare.
Re: Come se ne viene fuori ?
le aziende , non da oggi, se ne vanno a produrre in paesi ( e quelli dell'est sono maledettamente vicini) dove pagano due lire .
il problema è che in quei paesi NON c'è lo statuto dei lavoratori, non che da noi c'è.
( vero è che i sindacati hanno difeso l'indifendibile e che qui se hai un problema legale sai quando inizi e non sai quando finisci... ma questa è un'altra storia
)
il mercato comanda le democrazie , i politici ( tecnici e non) subiscono il ricatto .... scegli : o disoccupati o sottopagati e con meno garanzie .
un casino di proporzioni enormi.
il problema è che in quei paesi NON c'è lo statuto dei lavoratori, non che da noi c'è.
( vero è che i sindacati hanno difeso l'indifendibile e che qui se hai un problema legale sai quando inizi e non sai quando finisci... ma questa è un'altra storia
)
il mercato comanda le democrazie , i politici ( tecnici e non) subiscono il ricatto .... scegli : o disoccupati o sottopagati e con meno garanzie .
un casino di proporzioni enormi.
Re: Come se ne viene fuori ?
E come mai in Germania e nei paesi "virtuosi" del nord-Europa le cose vanno diversamente?
Che ne dice il "tedesco" Monti?
Fare impresa e sviluppo sfruttando la gente e calpestando i diritti, non richiede grandi capacità imprenditoriali, tecniche e politiche.
Vuoi vedere che la differenza sta tutta (o in gran parte) qui?
Che ne dice il "tedesco" Monti?
Fare impresa e sviluppo sfruttando la gente e calpestando i diritti, non richiede grandi capacità imprenditoriali, tecniche e politiche.
Vuoi vedere che la differenza sta tutta (o in gran parte) qui?
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Re: Come se ne viene fuori ?
Sottoscrivo Mariok.
Veramente ci stanno prendendo per i fondelli.
Veramente ci stanno prendendo per i fondelli.
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Re: Come se ne viene fuori ?
Consolatevi con questo.
http://en.wikipedia.org/wiki/V_for_Vendetta_%28film%29
E che nessuno lo associ a grillini o rottamatori.
soloo42000
http://en.wikipedia.org/wiki/V_for_Vendetta_%28film%29
E che nessuno lo associ a grillini o rottamatori.
soloo42000
Re: Come se ne viene fuori ?
L’Altrapolitica può vincere
di Paolo Flores d'Arcais | 14 settembre 2012
I partiti del fronte unico conformista di Napolitano e Monti sono in grande ambascia, i sondaggi dei diversi istituti demoscopici annunciano unanimi che alle prossime elezioni il primo “partito” sarà quello che l’establishment esorcizza e insulta come “antipolitica”, ma in realtà è solo buona volontà di Altrapolitica in contrapposizione ai disastri della Casta. Le intenzioni di voto per Grillo e Di Pietro, sommate, superano infatti ormai quelle del Pd, da un anno vincitore “in pectore”, che con l’attuale legge elettorale si prenderebbe il 55% dei seggi alla Camera. In realtà i voti per l’Altrapolitica sono già molti di più, poiché nel conteggio non compaiono quelli di una eventuale lista di società civile legata alle lotte degli ultimi 15 anni e promossa dalla Fiom, voti che in buona misura stentano a convergere su M5S e Idv, ma che rifiutano ormai Sel, PdCI e altre Rifondazioni.
Nel paese il mood anti-Casta e il bisogno di Altrapolitica, benché non perfettamente coincidenti, sono del resto maggioranza schiacciante, visto che l’insieme dei partiti ha da mesi nei sondaggi il gradimento stabile di un miserando 5%. Per questo il fronte unico conformista di Napolitano e Monti vuole a tambur battente una legge elettorale peggiore del Porcellum: per impedire che il prossimo Parlamento rispecchi questa travolgente volontà di svolta.
Ma i marchingegni di leggi truffa non basteranno più. Il peso del “partito” dell’Altrapolitica alle urne non può che aumentare. L’esasperazione e la collera di decine di milioni di italiani contro tutte le nomenklature partitocratiche, è tale che ormai si esprimerà nel voto anche se Grillo e Di Pietro non si emendassero dai difetti macroscopici qui più volte segnalati. Ed è giusto così.
La Casta tenta di correre ai ripari scimmiottando l’Altrapolitica, cercando di ricucirsi una verginità di società civile e di “nuovo” a forza di retorica e di “rottamazioni”. Ma che credibilità possono avere i Montezemolo e i Renzi, o i Passera e i Bonanni unti dal cardinal Bagnasco? La potenza di fuoco del monopolio mediatico sarà dispiegata oltre ogni indecenza, ma l’organicità di questi signori alla Casta, di cui vogliono semplicemente scalzare i vertici per prenderne il posto, è troppo smaccata perché l’equivoco possa durare. Il fronte unico conformista può vincere solo se l’Altrapolitica (dal M5S all’Idv, dai movimenti alla Fiom, dalle testate libere agli intellettuali pubblici) nei prossimi mesi peccherà ancora più “fortiter”, per atti e/o omissioni, piccinerie di bottega in primis.
Il Fatto Quotidiano, 14 Settembre 2012
di Paolo Flores d'Arcais | 14 settembre 2012
I partiti del fronte unico conformista di Napolitano e Monti sono in grande ambascia, i sondaggi dei diversi istituti demoscopici annunciano unanimi che alle prossime elezioni il primo “partito” sarà quello che l’establishment esorcizza e insulta come “antipolitica”, ma in realtà è solo buona volontà di Altrapolitica in contrapposizione ai disastri della Casta. Le intenzioni di voto per Grillo e Di Pietro, sommate, superano infatti ormai quelle del Pd, da un anno vincitore “in pectore”, che con l’attuale legge elettorale si prenderebbe il 55% dei seggi alla Camera. In realtà i voti per l’Altrapolitica sono già molti di più, poiché nel conteggio non compaiono quelli di una eventuale lista di società civile legata alle lotte degli ultimi 15 anni e promossa dalla Fiom, voti che in buona misura stentano a convergere su M5S e Idv, ma che rifiutano ormai Sel, PdCI e altre Rifondazioni.
Nel paese il mood anti-Casta e il bisogno di Altrapolitica, benché non perfettamente coincidenti, sono del resto maggioranza schiacciante, visto che l’insieme dei partiti ha da mesi nei sondaggi il gradimento stabile di un miserando 5%. Per questo il fronte unico conformista di Napolitano e Monti vuole a tambur battente una legge elettorale peggiore del Porcellum: per impedire che il prossimo Parlamento rispecchi questa travolgente volontà di svolta.
Ma i marchingegni di leggi truffa non basteranno più. Il peso del “partito” dell’Altrapolitica alle urne non può che aumentare. L’esasperazione e la collera di decine di milioni di italiani contro tutte le nomenklature partitocratiche, è tale che ormai si esprimerà nel voto anche se Grillo e Di Pietro non si emendassero dai difetti macroscopici qui più volte segnalati. Ed è giusto così.
La Casta tenta di correre ai ripari scimmiottando l’Altrapolitica, cercando di ricucirsi una verginità di società civile e di “nuovo” a forza di retorica e di “rottamazioni”. Ma che credibilità possono avere i Montezemolo e i Renzi, o i Passera e i Bonanni unti dal cardinal Bagnasco? La potenza di fuoco del monopolio mediatico sarà dispiegata oltre ogni indecenza, ma l’organicità di questi signori alla Casta, di cui vogliono semplicemente scalzare i vertici per prenderne il posto, è troppo smaccata perché l’equivoco possa durare. Il fronte unico conformista può vincere solo se l’Altrapolitica (dal M5S all’Idv, dai movimenti alla Fiom, dalle testate libere agli intellettuali pubblici) nei prossimi mesi peccherà ancora più “fortiter”, per atti e/o omissioni, piccinerie di bottega in primis.
Il Fatto Quotidiano, 14 Settembre 2012
Re: Come se ne viene fuori ?
Il partito galleggiante
Le contraddizioni del centro. Galli della Loggia sul Corriere della Sera
pubblicato il 16 settembre 2012
Ci si poteva aspettare che la paralisi che da mesi ha colpito il Pdl— una paralisi che in periferia sembra preludere ad autentiche catastrofi elettorali: vedi a Roma e nel Lazio (grazie al malgoverno di Alemanno e all’evanescenza della Polverini) o in Lombardia (per effetto dei traffici dei faccendieri vicini a Formigoni e a Comunione e Liberazione)—ci si poteva aspettare, dicevo, che la crisi della destra berlusconiana aprisse la strada a una ripresa in grande stile di quell’area cattolica e liberale di spirito moderato ma riformatore, che finora aveva avuto come suo sia pur parziale punto di riferimento l’Udc di Pier Ferdinando Casini. E invece no.
Sia nei sondaggi che nell’aria che si respira in giro la crisi del Pdl (e della Lega, bisogna aggiungere) non sembra premiare affatto l’Udc.
Io credo principalmente per due ragioni. La prima è l’inconsistenza della sua offerta politica.
Nel mezzo della più grave crisi conosciuta dal Paese in questo dopoguerra — una crisi in cui vengono al pettine nodi di mezzo secolo di storia repubblicana; una crisi che obbliga a ripensare tutta questa storia — non si possono offrire ricette per il futuro a base di formule vuote tipo «Monti dopo Monti» o simili.
Lo so che per le abitudini dei politici nostrani si tratta di qualcosa d’inconcepibile, ma in circostanze del genere è assolutamente necessario impegnare il proprio nome e la propria faccia su non più di quattro, cinque proposte concrete, sufficientemente dettagliate, e su quelle chiedere il consenso degli elettori.
Così fanno dappertutto i partiti che vogliono essere presi sul serio. Non già stare lì a perdersi in spossanti surplace sul proprio posizionamento, sulle alleanze, sulle leggi elettorali, sulle preferenze e altri arabeschi del genere, in un interminabile chiacchiericcio tra addetti ai lavori.
Se Casini vuole capeggiare qualcosa che non sia solo l’Udc, dovrebbe riuscire a parlare finalmente il linguaggio delle cose da fare. Si tratta di cose, tra l’altro, che a parere di chi scrive richiedono oggi una peculiare commistione di elementi conservatori e riformatori, e dunque si presterebbero bene a divenire oggetto di proposte da parte di una formazione come la sua.
Penso per esempio al rapporto con l’Europa e alla profonda riflessione che esso richiede sulla nostra sovranità e sui nostri autentici interessi nazionali; al Paese Italia che rischia nella sua stessa fisicità di sparire distrutto dal cemento, dalla rinuncia all’agricoltura, da inesistenti politiche del turismo; penso a chi lo amministra, con un federalismo antistatale maneggiato da classi politiche locali perlopiù o inette o rapaci, spesso entrambe le cose insieme; ancora: penso all’ambito cruciale dell’istruzione e della ricerca, il quale è da decenni nel più totale marasma, preda di demagogie e di egualitarismi insulsi (l’autonomia dei singoli istituti e però tutti gli insegnanti pagati nella stessa misura), di programmi sbagliati e di pannicelli caldi tecnologici (ci mancava il tablet!).
Ebbene, che cosa pensa concretamente di fare in ognuno di questi punti critici e in tanti altri immaginabili Pier Ferdinando Casini? Nessuno lo sa.
Il sospetto che viene è che l’oscurità su questo punto chiave, oltre a indicare limiti intrinseci, serva però a uno scopo preciso: a lasciare nell’ombra il problema irrisolto della collocazione centrista finora tenuta dall’Udc.
Con chi fare, insomma, le cose che si pensa eventualmente di fare (e di cui peraltro ma forse non a caso nulla è dato di sapere)? Con la destra? Con la sinistra? La risposta tipica del centrismo è: «Con chi ci sta». Cioè è una non risposta.
Che tuttavia appare l’unica possibile se, come l’Udc oggi sembra intenzionata a fare, si vuole mantenere il gioco nell’arena della schermaglia politicista della proporzionale e dei governicchi di coalizione; e se non si ha l’animo, viceversa, di rivolgersi al Paese, di chiamare a scelte importanti le grandi masse elettorali, magari sfidando l’egemonia di Berlusconi sulla destra (quella di Bersani sulla sinistra sembra più difficile...).
Ancora una volta, insomma, il silenzio è il paravento per l’irrisolutezza e la mancanza di visione.
Il problema di Casini naturalmente sta anche nel suo partito. Sembra di capire che per accrescere l’attrazione elettorale dell’Udc, egli la vorrebbe trasformare in una formazione di rassemblement, in un partito di raccolta per un’intera area.
Ma è dubbio che per questo obiettivo basti l’immissione di logori e scoloriti professionisti della politica come Fini o Bonanni, ovvero di personaggi come Passera e Marcegaglia, privi di qualunque vera immagine pubblica che non sia quella di sedicenti «tecnici», mentre in realtà si tratta di titolari di cospicui redditi d’impresa che li destina più che altro ad essere soggetti di un rilevante conflitto d’interessi.
Anche qui, insomma, il problema dell’Udc e del suo segretario appare la sproporzione tra le ambizioni nutrite e la effettiva capacità di rischiare in proprio per realizzarle.
Affermare di voler costruire qualcosa che vada oltre, molto oltre, il piccolo partito attuale, ma poi non saper rinunciare al comodo riparo del cespuglietto cattolico-minidiccì con annesse «personalità » da due di briscola.
Sognare di diventare domani se non proprio una portaerei almeno un incrociatore pesante, continuando però ad essere oggi la zattera galleggiante che si accontenta di galleggiare.
Le contraddizioni del centro. Galli della Loggia sul Corriere della Sera
pubblicato il 16 settembre 2012
Ci si poteva aspettare che la paralisi che da mesi ha colpito il Pdl— una paralisi che in periferia sembra preludere ad autentiche catastrofi elettorali: vedi a Roma e nel Lazio (grazie al malgoverno di Alemanno e all’evanescenza della Polverini) o in Lombardia (per effetto dei traffici dei faccendieri vicini a Formigoni e a Comunione e Liberazione)—ci si poteva aspettare, dicevo, che la crisi della destra berlusconiana aprisse la strada a una ripresa in grande stile di quell’area cattolica e liberale di spirito moderato ma riformatore, che finora aveva avuto come suo sia pur parziale punto di riferimento l’Udc di Pier Ferdinando Casini. E invece no.
Sia nei sondaggi che nell’aria che si respira in giro la crisi del Pdl (e della Lega, bisogna aggiungere) non sembra premiare affatto l’Udc.
Io credo principalmente per due ragioni. La prima è l’inconsistenza della sua offerta politica.
Nel mezzo della più grave crisi conosciuta dal Paese in questo dopoguerra — una crisi in cui vengono al pettine nodi di mezzo secolo di storia repubblicana; una crisi che obbliga a ripensare tutta questa storia — non si possono offrire ricette per il futuro a base di formule vuote tipo «Monti dopo Monti» o simili.
Lo so che per le abitudini dei politici nostrani si tratta di qualcosa d’inconcepibile, ma in circostanze del genere è assolutamente necessario impegnare il proprio nome e la propria faccia su non più di quattro, cinque proposte concrete, sufficientemente dettagliate, e su quelle chiedere il consenso degli elettori.
Così fanno dappertutto i partiti che vogliono essere presi sul serio. Non già stare lì a perdersi in spossanti surplace sul proprio posizionamento, sulle alleanze, sulle leggi elettorali, sulle preferenze e altri arabeschi del genere, in un interminabile chiacchiericcio tra addetti ai lavori.
Se Casini vuole capeggiare qualcosa che non sia solo l’Udc, dovrebbe riuscire a parlare finalmente il linguaggio delle cose da fare. Si tratta di cose, tra l’altro, che a parere di chi scrive richiedono oggi una peculiare commistione di elementi conservatori e riformatori, e dunque si presterebbero bene a divenire oggetto di proposte da parte di una formazione come la sua.
Penso per esempio al rapporto con l’Europa e alla profonda riflessione che esso richiede sulla nostra sovranità e sui nostri autentici interessi nazionali; al Paese Italia che rischia nella sua stessa fisicità di sparire distrutto dal cemento, dalla rinuncia all’agricoltura, da inesistenti politiche del turismo; penso a chi lo amministra, con un federalismo antistatale maneggiato da classi politiche locali perlopiù o inette o rapaci, spesso entrambe le cose insieme; ancora: penso all’ambito cruciale dell’istruzione e della ricerca, il quale è da decenni nel più totale marasma, preda di demagogie e di egualitarismi insulsi (l’autonomia dei singoli istituti e però tutti gli insegnanti pagati nella stessa misura), di programmi sbagliati e di pannicelli caldi tecnologici (ci mancava il tablet!).
Ebbene, che cosa pensa concretamente di fare in ognuno di questi punti critici e in tanti altri immaginabili Pier Ferdinando Casini? Nessuno lo sa.
Il sospetto che viene è che l’oscurità su questo punto chiave, oltre a indicare limiti intrinseci, serva però a uno scopo preciso: a lasciare nell’ombra il problema irrisolto della collocazione centrista finora tenuta dall’Udc.
Con chi fare, insomma, le cose che si pensa eventualmente di fare (e di cui peraltro ma forse non a caso nulla è dato di sapere)? Con la destra? Con la sinistra? La risposta tipica del centrismo è: «Con chi ci sta». Cioè è una non risposta.
Che tuttavia appare l’unica possibile se, come l’Udc oggi sembra intenzionata a fare, si vuole mantenere il gioco nell’arena della schermaglia politicista della proporzionale e dei governicchi di coalizione; e se non si ha l’animo, viceversa, di rivolgersi al Paese, di chiamare a scelte importanti le grandi masse elettorali, magari sfidando l’egemonia di Berlusconi sulla destra (quella di Bersani sulla sinistra sembra più difficile...).
Ancora una volta, insomma, il silenzio è il paravento per l’irrisolutezza e la mancanza di visione.
Il problema di Casini naturalmente sta anche nel suo partito. Sembra di capire che per accrescere l’attrazione elettorale dell’Udc, egli la vorrebbe trasformare in una formazione di rassemblement, in un partito di raccolta per un’intera area.
Ma è dubbio che per questo obiettivo basti l’immissione di logori e scoloriti professionisti della politica come Fini o Bonanni, ovvero di personaggi come Passera e Marcegaglia, privi di qualunque vera immagine pubblica che non sia quella di sedicenti «tecnici», mentre in realtà si tratta di titolari di cospicui redditi d’impresa che li destina più che altro ad essere soggetti di un rilevante conflitto d’interessi.
Anche qui, insomma, il problema dell’Udc e del suo segretario appare la sproporzione tra le ambizioni nutrite e la effettiva capacità di rischiare in proprio per realizzarle.
Affermare di voler costruire qualcosa che vada oltre, molto oltre, il piccolo partito attuale, ma poi non saper rinunciare al comodo riparo del cespuglietto cattolico-minidiccì con annesse «personalità » da due di briscola.
Sognare di diventare domani se non proprio una portaerei almeno un incrociatore pesante, continuando però ad essere oggi la zattera galleggiante che si accontenta di galleggiare.
Re: Come se ne viene fuori ?
a proposito di contraddizioni...
qualcuno può spiegarmi perchè Tabacci si candida alle primarie e lascia l'assessorato a Milano?
l'ultimo sondaggio dava l'api allo 0,3 % , cioè in questo partito sono in tutto una quindicina ed esprimono un CANDIDATO PREMIER ?
per favore illuminatemi perchè mi sembra una cosa che non sta nè in cielo nè in terra.
qualcuno può spiegarmi perchè Tabacci si candida alle primarie e lascia l'assessorato a Milano?
l'ultimo sondaggio dava l'api allo 0,3 % , cioè in questo partito sono in tutto una quindicina ed esprimono un CANDIDATO PREMIER ?
per favore illuminatemi perchè mi sembra una cosa che non sta nè in cielo nè in terra.
Re: Come se ne viene fuori ?
De Magistris: 'Sinistra, svegliati'
di Alessandro Gilioli
(14 settembre 2012)
«Oggi è il momento del coraggio per chi vuole costruire un'alternativa al pastrocchio con l'Udc. Mi riferisco a Vendola e Di Pietro, ma anche ai cittadini e ai movimenti». L'appello del sindaco di Napoli, che aggiunge: «Se qualcuno si fa avanti davvero per coalizzare uno schieramento 'arancione', io lo appoggerò»(14 settembre 2012)Le tensioni sociali, esplose con la vicenda Alcoa. Beppe Grillo, il suo guru Casaleggio e il Movimento 5 Stelle. Ma anche - o soprattutto - lo spaesamento degli elettori di sinistra, che dopo la 'primavera arancione' dell'anno scorso (con i referendum e i nuovi sindaci) ora vedono un Pd sempre più vicino a Passera e Casini e sempre più lontano dall'idea di costruire un'alternativa radicale sui diritti sociali e civili. Sono i nodi di questa intervista a Luigi De Magistris, uno dei protagonisti di quella primavera, oggi primo cittadino di Napoli.
De Magistris, qualcuno dice che sta arrivando un 'autunno caldo' e che i disordini al corteo dell'Alcoa sono un anticipo di quello che verrà. E' vero?
«Ci siamo già, nell'autunno caldo. E l'Alcoa è la punta di un iceberg, simbolicamente più visibile per via della situazione del Sulcis: ma in tutta Italia ci sono tante piccole Alcoa ogni giorno. La tensione sociale è molto forte e si sta un po' sul filo. Per ora la situazione è ancora sotto controllo, ma in pochi giorni potrebbe sfuggire di mano. Le fibrillazioni sono enormi e io sono preoccupato».
Che scenario vede?
«Quando la gente pensa che la condizione in cui si trova non è colpa di nessuno, che non si poteva fare in alcun altro modo, tutto sommato la situazione regge: come dopo una guerra, ad esempio. Ma se invece chi ha un dramma in famiglia sa che ci sono delle responsabilità, che si sarebbe potuto fare diversamente e che sono state perpetrate delle ingiustizie, ecco che allora le cose possono peggiorare».
A cosa si riferisce?
«Alle manovre economiche che da un anno e mezzo a questa parte - quindi con i governi Berlusconi e Monti - sono andate a colpire solo alcuni ceti. E che soprattutto non hanno messo in campo alcuna politica di sostegno di lavoro».
Qual è stato l'errore maggiore del governo Monti?
«La prima manovra. Dopo Berlusconi, il professore si presentava come una novità, come un leader di grandissimo prestigio internazionale e con una larghissima maggioranza. Poteva spendere quella forza in modo diverso. Primo, con una patrimoniale: chiedere qualche sacrificio anche ai ricchi sarebbe stato un segnale forte in un momento di difficoltà e in un Paese attraversato da forti di disuguaglianze sociali. Secondo, lo scudo fiscale, un tema di cui si parla sempre troppo poco poco: tassandolo adeguatamente, si poteva arrivare a una ventina di miliardi di euro. Terzo, alcune spese intollerabili come i cacciabombardieri. Ecco, queste scelte oggi rendono più difficile tenere sotto controllo le tensioni sociali, amche perché si assommano alla sfiducia montante in tutto il Paese nei confronti del ceto parlamentare».
Ha sbagliato il Pd a far nascere il governo Monti?
«Io penso che sarebbe stato meglio andare a votare subito, ma posso anche capire che in quel momento - pur di mandare via Berlusconi e ridare credibilità al Paese - si poteva far propria la scelta di Napolitano di puntare su Monti. Il vero problema è venuto dopo, quando il Pd è stato determinante a fare scelte che io considero inaccettabili: come quelle che ho citato sopra, ma anche la riforma dell'articolo 18, i tagli ai comuni, la compressione dei diritti. Per non parlare del pareggio di bilancio in Costituzione, passato nel più assoluto silenzio».
E oggi?
«Oggi tutto il centrosinistra rischia di pagare quelle scelte: come va a giustificarle di fronte agli elettori? I cittadini non sono stupidi né inconsapevoli di quello che è stato fatto. Tanto più che il Pd non sembra aver sciolto gli equivoci su quanto vuole essere in continuità e quanto in rottura, se andrà direttamente al governo, con le scelte fatte da Monti».
A proposito del Pd, che cosa pensa di Renzi?
«Ho rispetto di lui perché è un sindaco eletto, giovane e coraggioso. E questo gli va riconosciuto. Il suo programma politico però è molto distante dal mio pensiero. Se devo pensare a un alternativa delle politiche liberiste degli ultimi anni, non penso certo a Renzi».
Invece il suo giudizio sull'Idv di adesso qual è?
«Sono molto curioso di sapere cosa dirà Di Pietro a Vasto. Spero che l'Italia dei Valori abbandoni definitivamente quella svolta moderata da cui è stata tentata un annetto fa e mi piacerebbe che il partito maturasse, arrivando a quell'assunzione di responsabilità propria di chi vuole governare. E vorrei che Di Pietro fosse più aperto e meno pauroso verso chi in questi anni si è generosamente è impegnato con lui nel partito, compresi moltissimi molti giovani».
E poi c'è la questione del Movimento 5 Stelle, esplosa in modo rumoroso nei giorni scorsi.
«Guardi, io ho iniziato a fare politica conoscendo moltissimi attivisti del M5S, dei quali sono ancora amico. E ho molta stima di loro perché credono veramente nelle battaglie che fanno. Trovo però del tutto sbagliato il fatto che Beppe Grillo continui a dire che in politica anno tutti schifo nello stesso modo, naturalmente tranne lui: lo capisco, intendiamoci, perché serve a prendere consensi, ma non aiuta a costruire un paese. E poi diciamolo, il tema di Casaleggio esiste, io lo dicevo da mesi. C'è un'eterodirezione dei movimento politico. Una cosa è avere un consulente, un'altra cosa è avere uno che di fatto detta la linea».
Lei l'ha conosciuto, Casaleggio?
«Sì, l'ho incontrato in un paio di occasioni. La mia impressione è che sia una persona estremamente competente, soprattutto di Internet e di movimenti. Non stiamo parlando di una quaqquaraqua: è un personaggio strutturato, che ha avuto incarichi importanti anche in ambienti economici. E mi dà l'idea di uno che controlla e guida Grillo».
E come fa?
«Casaleggio ha un notevole fascino nei confronti di quelli con cui parla: se non hai una robusta personalità, lui ha una grande capacità di influenza, un carisma a cui non è facilissimo sfuggire. E che lui esercita sulle persone con cui lavora, a iniziare proprio da Grillo».
Ma con che scopi? Economici o politici?
«La mia opinione, che non vuole essere diffamatoria, è che da parte sua ci sia solo un disegno economico, non politico. Per questo non vedo in lui - e quindi in Grillo - una proposta vera per cambiare il paese: vedo invece un modo per conquistare spazi finalizzati a un ritorno individuale. Diverso è il movimento, invece, composto da ottimi ragazzi che considero degli interlocutori. Se vogliono cambiare la politica, però, devono capire che insieme a loro ci sono altre persone per bene nel Paese, persone che tra l'altro vivono in situazioni di grave difficoltà che certo Grillo non conosce, essendo uno che vive nell'agio e nell'opulenza. Comunque, il dibattito nel M5S c'è, anzi c'era già prima del caso Favia. E credo che non potrà essere compresso».
In ogni caso, Grillo andrà alle elezioni da solo. Il Pd invece? Alla fine che alleanze farà?
«Quello che temo è che o lascino il Porcellum o facciano una riforma elettorale con lo stesso effetto: quello di potersi presentare agli elettori in un'alleanza senza l'Udc, per poi fare un accordo di governo con Casini subito dopo. Se non peggio»
Peggio come?
«Credo che diversi stiano pensando a ripetere l'esperienza di una grande coalizione, anche perché nel 2013 si dovrà eleggere il presidente della Repubblica: e quindi i vecchi partiti vogliono mettersi al sicuro, temono la nuova politica che sta avanzando. Quando si ha una sindrome di accerchiamento, è abbastanza frequente che ci si ricompatti, che ci si metta insieme. Non è un caso che la grande coalizione di Monti sia arrivata poco dopo la primavera arancione, i referendum sull'acqua, l'elezione di sindaci come Pisapia, Zedda e il sottoscritto».
Che effetti ha avuto quella primavera?
«Ha creato molta paura sia ai partiti sia ai poteri forti. Questi ultimi, in particolare, erano gli stessi che avevano sostenuto Berlsuconi, ma si erano poi resi conto che le loro politiche liberiste non potevano essere più portate avanti da un premier privo di credibilità come il Cavaliere. La grande coalizione è stata la loro reazione al timore che potesse montare una primavera arancione in tutto il Paese».
E perché nessun soggetto finora ha raccolto quella primavera per provare farne un'alleanza politica diversa?
«Perché ci voleva, e ci vuole ancora, molto coraggio. Un po' lo stesso coraggio che abbiamo avuto noi quando ci siamo candidati qui a Napoli, senza l'appoggio né del Pd né di Vendola, e con tutti i pronostici contro».
A chi è rivolto questo appello al coraggio?
«Se parliamo di partiti, prima di tutto all'Idv e a Sel, e naturalmente ai loro leader: Vendola e Di Pietro, che non facendo parte della maggioranza sono quelli che più di altri potrebbero raccogliere l'eredità della primavera 2011».
Non è troppo tardi?
«No, se Vendola e Di Pietro fanno scelte coraggiose, aprendosi ai cittadini, agli elettori, ai movimenti. Il Paese è molto più radicale di quello che si possa immaginare. E comunque anche i moderati non si conquistano con operazioni algebriche: oggi i moderati li conquisti con chiarezza, coerenza, credibilità, etica, rigore. Non facendo accordi di corridoio con l'Udc».
Lei andrà a votare alle primarie del centrosinistra, con gli attuali candidati?
«No, non credo proprio, quello che lei descrive non è uno scenario che mi appassiona»
Quindi?
«Quindi questo, ripeto, è il momento del coraggio e della generosità. A me farebbe piacere che di qui alle prossime settimane si facessero avanti per candidarsi delle persone belle di questo paese, che è pieno di risorse conosciute e meno conosciute. I partiti i partiti da soli non cambieranno mai, senza una botta dai cittadini e dai movimenti».
E lei cosa farà?
«Naturalmente il sindaco di Napoli. Ma mi piacerebbe anche dare il mio contributo a chi vuole costruire un'alternativa al governo Monti».
http://espresso.repubblica.it/dettaglio ... 2191090//0
di Alessandro Gilioli
(14 settembre 2012)
«Oggi è il momento del coraggio per chi vuole costruire un'alternativa al pastrocchio con l'Udc. Mi riferisco a Vendola e Di Pietro, ma anche ai cittadini e ai movimenti». L'appello del sindaco di Napoli, che aggiunge: «Se qualcuno si fa avanti davvero per coalizzare uno schieramento 'arancione', io lo appoggerò»(14 settembre 2012)Le tensioni sociali, esplose con la vicenda Alcoa. Beppe Grillo, il suo guru Casaleggio e il Movimento 5 Stelle. Ma anche - o soprattutto - lo spaesamento degli elettori di sinistra, che dopo la 'primavera arancione' dell'anno scorso (con i referendum e i nuovi sindaci) ora vedono un Pd sempre più vicino a Passera e Casini e sempre più lontano dall'idea di costruire un'alternativa radicale sui diritti sociali e civili. Sono i nodi di questa intervista a Luigi De Magistris, uno dei protagonisti di quella primavera, oggi primo cittadino di Napoli.
De Magistris, qualcuno dice che sta arrivando un 'autunno caldo' e che i disordini al corteo dell'Alcoa sono un anticipo di quello che verrà. E' vero?
«Ci siamo già, nell'autunno caldo. E l'Alcoa è la punta di un iceberg, simbolicamente più visibile per via della situazione del Sulcis: ma in tutta Italia ci sono tante piccole Alcoa ogni giorno. La tensione sociale è molto forte e si sta un po' sul filo. Per ora la situazione è ancora sotto controllo, ma in pochi giorni potrebbe sfuggire di mano. Le fibrillazioni sono enormi e io sono preoccupato».
Che scenario vede?
«Quando la gente pensa che la condizione in cui si trova non è colpa di nessuno, che non si poteva fare in alcun altro modo, tutto sommato la situazione regge: come dopo una guerra, ad esempio. Ma se invece chi ha un dramma in famiglia sa che ci sono delle responsabilità, che si sarebbe potuto fare diversamente e che sono state perpetrate delle ingiustizie, ecco che allora le cose possono peggiorare».
A cosa si riferisce?
«Alle manovre economiche che da un anno e mezzo a questa parte - quindi con i governi Berlusconi e Monti - sono andate a colpire solo alcuni ceti. E che soprattutto non hanno messo in campo alcuna politica di sostegno di lavoro».
Qual è stato l'errore maggiore del governo Monti?
«La prima manovra. Dopo Berlusconi, il professore si presentava come una novità, come un leader di grandissimo prestigio internazionale e con una larghissima maggioranza. Poteva spendere quella forza in modo diverso. Primo, con una patrimoniale: chiedere qualche sacrificio anche ai ricchi sarebbe stato un segnale forte in un momento di difficoltà e in un Paese attraversato da forti di disuguaglianze sociali. Secondo, lo scudo fiscale, un tema di cui si parla sempre troppo poco poco: tassandolo adeguatamente, si poteva arrivare a una ventina di miliardi di euro. Terzo, alcune spese intollerabili come i cacciabombardieri. Ecco, queste scelte oggi rendono più difficile tenere sotto controllo le tensioni sociali, amche perché si assommano alla sfiducia montante in tutto il Paese nei confronti del ceto parlamentare».
Ha sbagliato il Pd a far nascere il governo Monti?
«Io penso che sarebbe stato meglio andare a votare subito, ma posso anche capire che in quel momento - pur di mandare via Berlusconi e ridare credibilità al Paese - si poteva far propria la scelta di Napolitano di puntare su Monti. Il vero problema è venuto dopo, quando il Pd è stato determinante a fare scelte che io considero inaccettabili: come quelle che ho citato sopra, ma anche la riforma dell'articolo 18, i tagli ai comuni, la compressione dei diritti. Per non parlare del pareggio di bilancio in Costituzione, passato nel più assoluto silenzio».
E oggi?
«Oggi tutto il centrosinistra rischia di pagare quelle scelte: come va a giustificarle di fronte agli elettori? I cittadini non sono stupidi né inconsapevoli di quello che è stato fatto. Tanto più che il Pd non sembra aver sciolto gli equivoci su quanto vuole essere in continuità e quanto in rottura, se andrà direttamente al governo, con le scelte fatte da Monti».
A proposito del Pd, che cosa pensa di Renzi?
«Ho rispetto di lui perché è un sindaco eletto, giovane e coraggioso. E questo gli va riconosciuto. Il suo programma politico però è molto distante dal mio pensiero. Se devo pensare a un alternativa delle politiche liberiste degli ultimi anni, non penso certo a Renzi».
Invece il suo giudizio sull'Idv di adesso qual è?
«Sono molto curioso di sapere cosa dirà Di Pietro a Vasto. Spero che l'Italia dei Valori abbandoni definitivamente quella svolta moderata da cui è stata tentata un annetto fa e mi piacerebbe che il partito maturasse, arrivando a quell'assunzione di responsabilità propria di chi vuole governare. E vorrei che Di Pietro fosse più aperto e meno pauroso verso chi in questi anni si è generosamente è impegnato con lui nel partito, compresi moltissimi molti giovani».
E poi c'è la questione del Movimento 5 Stelle, esplosa in modo rumoroso nei giorni scorsi.
«Guardi, io ho iniziato a fare politica conoscendo moltissimi attivisti del M5S, dei quali sono ancora amico. E ho molta stima di loro perché credono veramente nelle battaglie che fanno. Trovo però del tutto sbagliato il fatto che Beppe Grillo continui a dire che in politica anno tutti schifo nello stesso modo, naturalmente tranne lui: lo capisco, intendiamoci, perché serve a prendere consensi, ma non aiuta a costruire un paese. E poi diciamolo, il tema di Casaleggio esiste, io lo dicevo da mesi. C'è un'eterodirezione dei movimento politico. Una cosa è avere un consulente, un'altra cosa è avere uno che di fatto detta la linea».
Lei l'ha conosciuto, Casaleggio?
«Sì, l'ho incontrato in un paio di occasioni. La mia impressione è che sia una persona estremamente competente, soprattutto di Internet e di movimenti. Non stiamo parlando di una quaqquaraqua: è un personaggio strutturato, che ha avuto incarichi importanti anche in ambienti economici. E mi dà l'idea di uno che controlla e guida Grillo».
E come fa?
«Casaleggio ha un notevole fascino nei confronti di quelli con cui parla: se non hai una robusta personalità, lui ha una grande capacità di influenza, un carisma a cui non è facilissimo sfuggire. E che lui esercita sulle persone con cui lavora, a iniziare proprio da Grillo».
Ma con che scopi? Economici o politici?
«La mia opinione, che non vuole essere diffamatoria, è che da parte sua ci sia solo un disegno economico, non politico. Per questo non vedo in lui - e quindi in Grillo - una proposta vera per cambiare il paese: vedo invece un modo per conquistare spazi finalizzati a un ritorno individuale. Diverso è il movimento, invece, composto da ottimi ragazzi che considero degli interlocutori. Se vogliono cambiare la politica, però, devono capire che insieme a loro ci sono altre persone per bene nel Paese, persone che tra l'altro vivono in situazioni di grave difficoltà che certo Grillo non conosce, essendo uno che vive nell'agio e nell'opulenza. Comunque, il dibattito nel M5S c'è, anzi c'era già prima del caso Favia. E credo che non potrà essere compresso».
In ogni caso, Grillo andrà alle elezioni da solo. Il Pd invece? Alla fine che alleanze farà?
«Quello che temo è che o lascino il Porcellum o facciano una riforma elettorale con lo stesso effetto: quello di potersi presentare agli elettori in un'alleanza senza l'Udc, per poi fare un accordo di governo con Casini subito dopo. Se non peggio»
Peggio come?
«Credo che diversi stiano pensando a ripetere l'esperienza di una grande coalizione, anche perché nel 2013 si dovrà eleggere il presidente della Repubblica: e quindi i vecchi partiti vogliono mettersi al sicuro, temono la nuova politica che sta avanzando. Quando si ha una sindrome di accerchiamento, è abbastanza frequente che ci si ricompatti, che ci si metta insieme. Non è un caso che la grande coalizione di Monti sia arrivata poco dopo la primavera arancione, i referendum sull'acqua, l'elezione di sindaci come Pisapia, Zedda e il sottoscritto».
Che effetti ha avuto quella primavera?
«Ha creato molta paura sia ai partiti sia ai poteri forti. Questi ultimi, in particolare, erano gli stessi che avevano sostenuto Berlsuconi, ma si erano poi resi conto che le loro politiche liberiste non potevano essere più portate avanti da un premier privo di credibilità come il Cavaliere. La grande coalizione è stata la loro reazione al timore che potesse montare una primavera arancione in tutto il Paese».
E perché nessun soggetto finora ha raccolto quella primavera per provare farne un'alleanza politica diversa?
«Perché ci voleva, e ci vuole ancora, molto coraggio. Un po' lo stesso coraggio che abbiamo avuto noi quando ci siamo candidati qui a Napoli, senza l'appoggio né del Pd né di Vendola, e con tutti i pronostici contro».
A chi è rivolto questo appello al coraggio?
«Se parliamo di partiti, prima di tutto all'Idv e a Sel, e naturalmente ai loro leader: Vendola e Di Pietro, che non facendo parte della maggioranza sono quelli che più di altri potrebbero raccogliere l'eredità della primavera 2011».
Non è troppo tardi?
«No, se Vendola e Di Pietro fanno scelte coraggiose, aprendosi ai cittadini, agli elettori, ai movimenti. Il Paese è molto più radicale di quello che si possa immaginare. E comunque anche i moderati non si conquistano con operazioni algebriche: oggi i moderati li conquisti con chiarezza, coerenza, credibilità, etica, rigore. Non facendo accordi di corridoio con l'Udc».
Lei andrà a votare alle primarie del centrosinistra, con gli attuali candidati?
«No, non credo proprio, quello che lei descrive non è uno scenario che mi appassiona»
Quindi?
«Quindi questo, ripeto, è il momento del coraggio e della generosità. A me farebbe piacere che di qui alle prossime settimane si facessero avanti per candidarsi delle persone belle di questo paese, che è pieno di risorse conosciute e meno conosciute. I partiti i partiti da soli non cambieranno mai, senza una botta dai cittadini e dai movimenti».
E lei cosa farà?
«Naturalmente il sindaco di Napoli. Ma mi piacerebbe anche dare il mio contributo a chi vuole costruire un'alternativa al governo Monti».
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