erding ha scritto:
La “regola” quando è accettata ha un suo valore altroché!
L'”ovvio”... invece è relativo.
Ciò che è ovvio per qualcuno non lo è per qualcun altro.
Stessa cosa per il così detto “buon senso”.
Chi stabilisce cosa è di buon senso e cosa no?
Quale è il metro di misura?
...
Questo invece non sminuisce il valore della regola, a mio vedere, la rafforza.
A Roma le regole saranno anche poco rispettate (è comunque un male)
ma chiediamoci... in assenza totale di regole cosa succederebbe?
Penso che se ci fossero regole democraticamente decise e successivamente unanimemente condivise e rispettate,
non parlo solo di traffico stradale, tutto sarebbe meglio.
Le regole servono per stabilire, appunto, in cosa consiste il "buon senso comune", o per stabilire, tra varie opzioni possibili, quella convenzionalmente valida: "stabilire", nel senso di rendere noto in forma accessibile a tutti gli interessati.
Ma le regole non scendono dal cielo. Sono il prodotto di un'intepretazione della realtà e dell'applicazione dell'intelligenza, che non possiamo pensare come un'esclusiva di coloro che hanno scritto le regole: la medesima intelligenza la può e la deve applicare chiunque affronti quella determinata situazione.
A questo punto del discorso, però, è necessario guardare più da vicino cosa sia una "regola", o meglio un regolamento scritto, prederminato: è un tentativo di intepretare i casi che si verificano nella realtà, immaginarne la varietà e indicare (imporre) il comportamnto ritenuto migliore in una determinata situazione.
Ma i casi sono infinitamente più vari di come si riesca a immaginarli a priori, e soprattutto molto più varie e complessa è la loro interdipendenza, il loro contemporaneo accadimento, così come - nel caso della strada - sono moltissime le configurazioni diverse da quelle considerate standard nel regolamento, e diversissime sono le condizioni climatiche, di visibilità, di fondo stradale, etc.
Ma non basta. Le regole tendono generalmente a "vietare" comportamenti sbagliati, anche quando formalmente si esprimono per indicare quelli giusti - o impongono un comportamento, che sembra preciso, mentre in realtà è vago quando viene messo a confronto con il caso specifico: ti faccio l'esempio dello Stop - fermarsi allo Stop, sgnifica che devi fermati al di qua della linea bianca per dare la precedenza a entrambe le direzioni dell'incrocio. Ma questo suppone un incrocio teorico, nel quale c'è una normale e corretta visibilità in entrambe le direzioni. In realtà in molti incroci, se ti fermi esattamnte al di qua della linea, non vedi un tubo in una o nell'altra direzione, e quindi sei destinato a ripartire quasi alla cieca, o sperando nella buona sorte. Se invece metti il musetto della tua macchina poco poco al di là, riesci a vedere meglio.
Altro esempio, tratto da un incrocio tipico che sta vicino casa mia - io abito in campagna: la strada è aperta e la visibilità ottima.
C'è un incrocio ad angolo retto con un'altra strada, che risulta essere quasi uno slargo, in quanto la strada diciamo così "secondaria" (in verità è quella più usata) ha gli angoli fortemente smussati all'incrocio con quella principale.
Questa strada, dove la maggior parte svoltano provenendo da quella principale, ha uno Stop: se chi arriva allo Stop si ferma proprio sulla riga bianca, costringe quelli che svoltano a fare un'immissione piuttosto angolosa, poco fluida. Se invece si fermano qualche metro indietro, o si fermano leggermente di traverso, pronti a svoltare anche loro, facilitano di molto l'immisione degli altri.
In questo caso si tratta di rispettare grosso modo lo stop, ma si tratta anche di avere un'accortezza in più che serve a rompere le palle il meno possibile agli altri, evitando di sfruttare lo spazio a disposizione fino all'ultimo centimetro.
Insomma, c'è una casistica delle cose sbagliate da evitare, ma non potrà mai esserci una casistica delle cose giuste da fare in quella determinata situazione, in quel certo luogo a quell'ora, di fronte a non-si-sa-bene-chi - e spesso quella giusta è una variante "intelligente" di quella sbagliata.
Questo nella vita pratica.
In politica (le leggi) la questione è diversa, ma non troppo dissimile per certi versi.
La nostra visione, italiana intendo, è tendenzialmente prescrittiva e classificatoria. Non a caso siamo cattolici, però: siamo biblici nel fare le leggi, ma gesuiti nell'applicarle.
La nostra stessa Costituzione è pletorica, e piena di falle dalle quali entra di tutto e poco di buono: si stabiliscono principi virtuosissimi e inappellabili, e poi si rimanda il dettaglio alla legge ordinaria, che ovviamente vanifica in buona parte il dettato costituzionale.
La sindrome prescrittiva produce un cumulo grottesco di divieti, in gran parte ideologici, che troppo spesso mal si accordano coi casi concreti, e questa è già una premessa a che siano poco rispettati.
Il "bravo cittadino" (per non parlare della "brava persona" che sarebbe ancora meglio) non è però quello che semplicemnte "non fa" questa o quella cosa, ma è quello che "fa", e che fa per intelligenza e coscienza, e non solo per ossequio della regola - ammesso che la regola sia virtuosa e umanamente giusta, quando in politica sappiamo bene che il potere persegue spesso altri scopi che non l'umanità e la giustizia.
Tutto questo è ciò che mi suggerisce la razionalità, in via generale.
Sul piano personale, so bene di essere un anarchico, che non ha una visione etica, ma estetica delle cose del mondo, e quindi poco adatto a organizzare codici e regolamenti.
Io credo alle regole come punti di riferimento da contraddire e superare, come ostacoli da smontare, insomma all'intelligenza come arte che rispetta profondamente alcune regole fondamentali e inventa da sè tutte le altre.
In pratica, ho una sola regola, multiuso: rispettare le persone, soprattuttola loro esistenza fisica, il loro spazio vitale, i loro sentimenti.
Tutto il resto è commercio, è contrattabile e volatile, è elastico, qualche volta è un peso stupido che ci portiamo dietro inutilmente, come una penitenza.