Re: è P O S S S I B I L E
Inviato: 30/05/2015, 17:53
da iospero
L’INTELLIGENZA DELLA TRISTEZZA
di Alfonso Gianni – 28 maggio 2015
Vorrei inserirmi nella discussione che qui si è aperta per merito degli articoli pubblicati da Roberto Musacchio e da Valentino Parlato. Non servirà certo – è bene avvertire subito l’eventuale lettore – a squarciare quel velo di tristezza che avvolge entrambi gli scritti citati. Non posso dire di essere animato da particolari motivi di ottimismo. Proprio per questo i due articoli mi sono parsi da subito meritevoli di particolare attenzione. Perché sono privi di retorica e finalmente esprimono uno stato d’animo diffuso autentico, che, a sua volta, diventa un elemento politico non trascurabile nella nostra situazione.
Siamo alla vigilia di elezioni regionali certamente significative. Si voterà tra una manciata di giorni in sette regioni e tutta l’attenzione indotta dai mass-media è concentrata sul risultato finale, espresso in termini tennistici: sarà un 6 a 1, oppure un 4 a 3 e via dicendo. Nessuno sembra preoccuparsi e tenere in considerazione l’elemento che in ogni caso sarà il più rilevante di questa tornata elettorale amministrativa: la disaffezione al voto. Tutti i sondaggi fin qui consultabili indicano un ulteriore incremento dell’astensionismo. Dovessero sbagliarsi i sondaggi e le mie personali percezioni – magari! -, questa sì sarebbe allora la vera novità capace di proporre in una luce diversa il quadro politico e sociale del nostro paese.
Sì, perché non si può vivere solo di luce riflessa. I successi di Syriza, ora di Podemos ( e non solo ), come del referendum irlandese sui matrimoni gay ci riempiono di entusiasmo. Tommaso Nencioni in uno stimolante articolo pubblicato sul Manifesto, ricorda come ritorni in ballo il vecchio auspicio di Carlo Rosselli “Oggi in Spagna, domani in Italia”. Ma è niente altro che un dolce nostalgico richiamo o un wishful thinking che non trova riscontri reali nella nostra condizione. La verità è che da noi mancano non solo soggetti politici nuovi della sinistra, ma anche i movimenti hanno andamenti carsici o insediamenti troppo localistici che li configurano più come comunità in lotta che movimenti antisistemici complessivi.
Sperare che la vicenda spagnola influisca positivamente sulla imminente tornata elettorale italiana mi pare una pia illusione. Sia che a coltivarla sia il Movimento 5 stelle che, se troverà domenica una buona affermazione, non sarà certo per punti di somiglianza con Podemos – casomai con Ciudadanos, il movimento liberal democratico spagnolo –, ma per il protagonismo nell’opposizione a Renzi, qualunque sia il giudizio di qualità e di merito che si voglia dare sulle loro azioni. Sia che a nutrire una simile speranza siano le liste di cittadinanza – comprendenti anche i piccoli partiti della sinistra d’alternativa, ma non tutti e non da tutte le parti - che, con molta fatica, sono state messe in piedi. La loro possibilità di ottenere buoni risultati, che vadano al di là dei bacini elettorali preesistenti, è esclusivamente legata alla eventuale capacità di avere centrato qualche argomento che tocca e scuote la condizione concreta delle popolazioni locali. Le amministrative sono le amministrative. E’ tautologia, ma sembra che bisogna ripetercelo ogni volta. Abbiamo già patito le delusioni della stagione dei sindaci arancioni, anche perché affidavamo loro capacità trasformative generali che mai avrebbero potuto fornire.
D’altro canto così si spiega il successo della sinistra spagnola, come ci dicono le analisi più accurate che sono seguite al voto. I migliori successi avvengono nelle città dove si è costruita una coalizione di forze politiche e sociali. Se queste fossero andate divise o se le prime avessero preteso dalle seconde solamente il voto, anziché la partecipazione attiva alla costruzione del programma, della lista, dell’immagine complessiva da mettere in campo, i risultati sarebbero stati più scadenti.
Non a caso ho parlato di sinistra spagnola, malgrado le nuove forze sembrano scartare lo stesso termine “sinistra” dalle proprie insegne, quasi fosse un relitto del passato aggrappandosi al quale si rischia di andare a fondo. Nessuno può avere dubbi sul carattere profondamente di sinistra della vittoria della coalizione catalana, per fare un esempio. Non solo perché le lotte sociali che l’hanno partorita, quelle contro gli sfratti, riproducono un conflitto più che classico fra proprietà privata e diritto all’abitazione – ne scrivevano già Marx e soprattutto Engels più o meno 150 anni fa -, ma perché la costruzione di senso che è stata perseguita muove tutta nella direzione dell’uguaglianza, il tratto assolutamente distintivo della sinistra, il clivage fra destra e sinistra come aveva scritto Norberto Bobbio 20 anni fa. Il conflitto fra destra e sinistra è stato tra i protagonisti nella contesa spagnola, accanto, ma non sorpassato, a quelli fra alto e basso nella società, fra esclusi e inclusi. Ma lo scontro tra destra e sinistra per esistere e incidere deve nuovamente inverarsi nel tessuto sociale, poiché a livello delle vecchie rappresentanze politiche esso è del tutto irriconoscibile.
Ha ragione Loris Caruso quando conclude la sua analisi affermando che “Qualsiasi forma di politicismo, anche brillante, è decisamente votata alla sconfitta. Sarà questo il futuro modello della sinistra, visibilmente in gestazione in questi anni e di cui le elezioni spagnole parlano in modo chiaro: partiti e movimenti insieme, coalizione sociale più coalizione politica. Ognuno, da solo, farà poca strada”. Appunto, ma per “sommarsi”, bisogna che già esistano entrambi: partiti e movimenti. Questo punto non può essere saltato nel ragionamento quando riflettiamo sulla condizione nel nostro paese. Né la confusione fra coesione politica e coesione sociale aiuta. Pensare che dalla coesione sociale lanciata da Landini possa provenire di per sé la risposta per la costruzione del soggetto nuovo della sinistra è un errore, come lo è prescinderne. Su questo punto ha ragione Fausto Bertinotti, in un’intervista rilasciata all’Huffingtonpost, quando afferma che “la coalizione sociale è la produzione di un processo politico-partitico? No. E’ una produzione di politicizzazione? Sì. Quindi può essere intercettata da chi in autonomia può fare Podemos o Syriza”.
Ma non esiste un modello per farlo. Del resto Podemos e Syriza sono diversissimi tra loro. La formazione iberica si ispira deliberatamente a quel populismo di sinistra, teorizzato come risposta alla crisi delle ideologie e della forma partito, da Ernesto Laclau, cui si connette inevitabilmente, direi strutturalmente, la figura carismatica del leader. E quest’ultimo non si inventa. Non credo sia questa la risposta da dare in Italia. Tentativi ce ne sono stati, più o meno consapevoli, più o meno analoghi. Dalle forzature teoriche sul concetto di “moltitudine” al tentativo di creare connessioni, se non unità, fra movimenti che avevano obiettivi circoscritti. Sono falliti – o hanno durato lo spazio di un amen - tanto quanto i richiami all’unità delle micro formazioni politiche.
L’Altra Europa con Tsipras con il suo risicato ma decisivo 4,03% è andata in controtendenza rispetto alla “scimmia” della sconfitta posatasi sulle spalle della sinistra di alternativa. Ma quello che ne è seguito dimostra che non basta. Non solo per le litigiosità interne. Il richiamo a un europeismo antiliberista è stato un punto forte di programma che si è rivelato vincente. Ma da solo non può reggere il compito della costruzione di un nuovo soggetto politico della sinistra. La ragione di questo limite sta proprio nell’Europa. Essa non è solo Grecia e Spagna, ma anche Polonia. Per non parlare del suo attuale carattere germanocentrico. Più che un ideale è un terreno di conflitto aperto ad ogni soluzione. Se prevalesse la Grexit – cui magari potrebbe seguire un’uscita della Gran Bretagna , della Polonia o della Spagna per motivi fra loro opposti – dell’Europa, e di quanto ha rappresentato in termini ideali da Ventotene in poi, non resterebbe più nulla. Del resto ogni soggetto politico ha necessità di trovare le ragioni del suo esistere in primo luogo nella realtà culturale, economica e sociale nella quale nasce.
So bene che un nuovo soggetto politico non può essere partorito dai vecchi. Verrebbe trascinato nella tomba da questi ultimi. Ma intanto se si potesse evitare che alla sinistra del Pd ci siano più organizzazioni la cui esistenza separata non ha più alcuna ragione di essere nemmeno per i propri militanti – anche grazie al rifiuto di qualunque relazione alla propria sinistra teorizzata e praticata da Renzi - e soprattutto se ci potessimo risparmiare che le forze che abbandonano il Pd, pensino di potere mettere sé stesse al centro di processi unitari (ogni riferimento a Civati non è casuale) sarebbe già un piccolissimo passo in avanti. Un’opera di semplificazione e di igiene politica utile a farsi intendere e capire. Forse non basterà un convegno per ottenere questo risultato, ma cominciare a parlarsi chiaro sarebbe utile.
Ma soprattutto per conquistare nuove forze, quelle dell’astensionismo per esempio, quelle della sinistra diffusa fortemente politicizzata ma non partitica, vi è bisogno di una nuova elaborazione programmatica, di sperimentazioni organizzative all’insegna della democrazia deliberativa, di nuovi linguaggi. Una vera ricerca intellettuale e pratica ci sta davanti. Eppure le non molte forze che lo potrebbero fare, anziché unirsi si suddividono ulteriormente. Ovunque nascono gruppi di studio, centri di elaborazione programmatica, gruppi di lavoro. Che non si parlano tra di loro e neppure competono in una sana produttività intellettuale. Semplicemente o si pestano i piedi o si attribuiscono la palma dell’heri dicebamus. Su questo terreno non ha neppure senso una separazione di ricerca fra chi lavora prevalentemente alla coalizione sociale e chi a un nuovo soggetto politico, essendo i temi gli stessi, mentre ciò che è diverso è il ruolo che le due differenti dimensioni giocano in rapporto a quelle tematiche. E’ troppo chiedere di unificare, almeno tendenzialmente, i “pensatoi” secondo linee di ricerca condivise? Almeno, se distinzioni restassero – e certamente ne resterebbero -, avrebbero il pregio della chiarezza.
Probabilmente nei prossimi mesi, se non settimane, verranno al pettine diverse questioni che potrebbero essere oggetto di nuove battaglie referendarie. Dalla legge elettorale, alle controriforme costituzionali, dalle leggi neoliberiste sul lavoro a quelle che distruggono stato sociale, scuola e beni comuni. Il governo è stato iperattivo su questi fronti. Questo “merito” a Renzi bisogna riconoscerglielo. Naturalmente bisognerà discutere, ad esempio sui contenuti e la forma dei quesiti da sottoporre ai cittadini – con intensità ma con calma. La fretta – ce lo insegna la nostra storia – in questi campi è matrice di sconfitte, a volte anche banali.
Ma in ogni caso si apre una possibilità imperdibile. Si possono unire temi istituzionali, quindi prettamente politici, con grandi tematiche sociali per cui battersi con le armi della mobilitazione di massa e della democrazia diretta, l’unica cosa che può veramente fondere, senza confondere, il terreno politico con quello sociale. Se accompagnamo questo con l’intensificazione di un internazionalismo europeista concreto, fatto non solo di parole d’ordine ma di connessioni materiali, e della ripresa di una lotta per la pace che i nuovi venti di guerra (da qualche parte del mondo è già da tempo burrasca piena) che spirano a Sud e a Est del nostro vecchio continente, forse ce la facciamo a tracciare una nostra strada originale, sia per dare continuità ai movimenti sociali, sia per rinnovare profondamente il sindacato, sia per fondare un soggetto politico nuovo della sinistra.
In conclusione: restiamo pure tristi , se non altro perché l’età ci fa avvertiti, ma non abbandoniamo tenacia e intelligenza.
da
http://www.altraeuroparoma.it/blog/lint ... -tristezza
Re: è P O S S S I B I L E
Inviato: 27/06/2015, 22:54
da iospero
Michele Di Salvo
Esperto di comunicazione politica
L'appeal politico di Possibile, alla sinistra di Renzi
Pubblicato: 23/06/2015 16:50
La scommessa di Civati non è facile, ma è tutt'altro che quella "banale, consueta" ricerca di somma di micropartitini a sinistra del Pd, che gli analisti hanno ragione a dire che non supererebbero il 4% raggiunto dalla versione italiana della lista Tsipras alle europee. Nell'epoca della comunicazione "totale" e di una politica fatta di leadership individuali, certamente la proposta di Giuseppe Civati va articolata e resa chiara e inequivocabile sin da subito: avanti con chi ci sta, ma con un nome e con una piattaforma chiari, capaci di raggiungere tre obiettivi.
Il primo mettere insieme la struttura di tutte quelle associazioni e movimenti sindacali e piccoli partitini che non hanno alcuna chance di presentarsi da soli, il secondo, quello di eliminare la conflittualità tipica della frammentazione "a sinistra" che diventa incomprensibile e spesso masochista, il terzo, offrire una leadership unica capace di confrontarsi con altre leadership uniche (come Renzi e Salvini).
Se riuscire in questi tre obiettivi per qualcuno è impresa titanica, dall'altro segna l'esatta differenza che - a destra - ha portato a due risultati contrapposti: il partito della Meloni a dimezzarsi nelle aspettative e - centrando invece l'obiettivo - la Lega di Salvini passata dal 4% al 16%. Perché la sfida dell'offerta nel mercato politico è esattamente questa: avere una leadership capace di comunicare in maniera efficace e sostanziale offre crescite esponenziali, ripetere errori alla Tsipras italica è suicidio politico, perché si perdono identità senza averne in cambio una nuova e più forte.
L'appeal politico c'è, e non va tanto ricercato solo a sinistra del Pd, quanto dentro il suo stesso elettorato (che è cosa ben diversa dagli eletti). Non è un caso che senza l'appoggio di quasi nessuno la proposta di Civati abbia raccolto circa il 10% del popolo democratico (contro il 38% di Cuperlo e il 43% di Renzi). Non è un caso se Civati abbia - e questo lo dimenticano in molti - raccolto circa mezzo milione di voti alle primarie aperte. E non è un caso che la sua struttura unica, organizzata autonomamente nel web, e che raccoglie oltre 50mila persone, abbia portato ben 5 neo-eletti in Europa nelle stesse liste del Pd. Questi numeri contano e pesano, e sono ben più rilevanti di fare la conta di quanti parlamentari oggi o domani possa perdere il gruppo Pd in parlamento o quanto questo incida sula maggioranza di governo.
Perché anche questo è un punto di forza di Civati, ed un interesse (sembra paradossale) convergente con Renzi: che si vada avanti, prendere tutto il tempo necessario prima del confronto elettorale: il Pd ai massimi storici può solo scendere, mentre questo nuovo soggetto può solo crescere. Il grande bacino cui attingere è eterogeneo, e l'unica formula vincente per compattarlo è una proposta politica unitaria; si va dalla minoranza Pd ai tantissimi delusi dalla politica, all'astensionismo a sinistra, a quella fetta importante di elettori di sinistra che votano cinquestelle. Un bacino che complessivamente supera il 15% di potenziale elettorato. La Liguria insegna che una sinistra disunita perde anche con un improbabile Toti. E il caso di Venezia riporta alla mente quella Bologna persa contro Guazzaloca, perché non si vince per diritto divino, soprattutto se dall'altra parte la proposta (personale e politica) è rappresentata da persone perbene e credibili.
La prospettiva infatti è quell'Italicum in cui si arriverà certamente ai ballottaggi, ed in cui se il Pd vorrà andare da solo potrà solo rischiare... Esattamente come negli ultimi ballottaggi alle amministrative: perché se è vero che non si possono paragonare elezioni politiche nazionali con quelle locali, è altrettanto vero che la logica dei collegi somiglia più alle seconde che non alle prime. Specialmente quando ci sono preferenze da esprimere, ed anche più a seconda del modo con cui verranno scelte le candidature.
Se il Pd imporrà le candidature senza primarie si suiciderà, esattamente come se nella metà dei colleggi non farà accordi evitando uno scontro fratricida con il mondo intero alla sua sinistra. E qui entra in gioco la non elaborazione completa di quell'idea Veltroniana di "partito unico", in una realtà in cui la proposta renziana del "Partito unico della Nazione" si contra con la realpolitik e parziale inesperienza della sua classe dirigente: un partito "unico" e grande deve anche essere capace di contenere ed essere comprensivo. La presunzione del "non ci interessa, tanto se esci dal Pd fuori non c'è nulla" non paga. Perché se questo può essere vero in un dato momento, la politica non è mai statica, ed è proprio questo atteggiamento che può portare - come sta accadendo - alla creazione possibile di "quello che fuori non c'era". Un po' come se fosse la stessa politica renziana a generare il suo stesso antagonista a sinistra e dargli credito e credibilità.
A che tutto questo si trasformi da idea ad azione è certamente un lavoro lungo, ma il tempo gioca a favore della neo-creatura, che almeno sulla carta si presenta aperta, unificante e convergente. Quanto ai parlamentari, è la stessa parabola renziana che mostra lo scenario, basta ripensare a quanti ufficialmente e dichiaratamente bersaniani, otto mesi dopo sono diventati "renziani della prima ora". E questa volta la sfida a Renzi va benoltre un "secondo tempo del congresso", e parta da qualcuno che il Pd lo conosce bene, ne conosce le dinamiche, la storia e le persone, e riguarda chi, la prima Leopolda e l'ha fatta prima di Renzi, quando ancora si chiamava "Prossima fermata Italia". Se quindi l'entourage e lo staff della comunicazione del premier-segretario fa bene comunicativamente a ridimensionare il fenomeno, politicamente le preoccupazioni dovrebbero essere ben maggiori di quello sbandierato non preoccupante 4%. E se non ne hanno percezione concreta, parafrasando Houston, "Palazzo Chigi ha un problema".
Re: è P O S S S I B I L E
Inviato: 27/08/2015, 19:58
da camillobenso
Piovono Rane di Alessandro Gilioli
26 ago
Perché è una cosa giusta
L'usanza di guardare al dito e non alla luna è uno dei difetti più antichi della politica nostrana e solo di recente si è, per fortuna, iniziato a metterla in discussione.
Sto parlando di quell'abitudine a giudicare non i contenuti ma chi li sostiene: schierandosi a favore o contro i contenuti in questione senza entrare nel merito, ma per pura simpatia o antipatia nei confronti del proponente.
È probabilmente questa (pessima) pratica il maggiore ostacolo che incontra la raccolta delle firme per otto referendum sui cui contenuti potrebbe trovarsi d'accordo una larga fetta dell'opinione pubblica: si propone infatti di abolire le parti più odiose del Jobs Act, quelle più antidemocratiche dell'Italicum e quelle più autoritarie della riforma della scuola, più altri sacrosanti quesiti sulle trivellazioni e le grandi opere.
A questa pagina il materiale informativo pubblicato dai proponenti: cioè dalla formazione politica di Pippo Civati, "Possibile".
E qui viene appunto la questione di metodo e di pratiche a cui accennavo. Infatti ho incrociato, nei giorni scorsi, diverse persone che hanno arricciato il naso di fronte a questa iniziativa con la motivazione che si tratta dei "referendum di Civati".
Il quale sta sulle scatole a molti piddini perché dal loro partito è polemicamente uscito; ma non è amato neppure da tanti grillini perché lui comunque grillino non è: e anzi collabora con alcuni fuoriusciti del Movimento; infine viene visto con sospetto pure da diversi esponenti della sminuzzata galassia a sinistra del Pd, dove si passa sempre parecchio tempo a farsi le scarpe a vicenda su questioni di leadership (o altre ancora più inutili) anziché collaborare nel merito.
Peccato, ecco.
Peccato che si ragioni così, dico.
Perché sono solidamente convinto che buonissima parte degli elettori del M5S, non pochi elettori del Pd, quasi tutti quelli della sinistra radicale - e pure moltissimi tra coloro che non votano - se avessero la buona idea di guardare i contenuti di quei referendum si troverebbero d'accordo: se non su tutti i quesiti, di certo su più d'uno.
C'è un mese per smettere di ragionare in questo modo cretino, insomma per firmare a favore di quei contenuti: qui la mappa dei banchetti e degli uffici.
Ah, per trasparenza, con Civati mi sono trovato e mi trovo anch'io talvolta in disaccordo, su diverse cose: ad esempio, non sono affatto sicuro che fare mille partitini ciascuno attorno al suo leader sia il modo migliore per costruire qualcosa di alternativo al presente. Ma ovviamente firmo gli otto referendum. Del resto li firmerei anche se li proponesse Grillo, il Papa o mia zia.
Li firmo insomma perché è una cosa giusta.
27 ago
Perché è una cosa giusta /2
Ho ricevuto su Fb e in privato un po' di perplessi commenti per il post qui sotto - quello sui "referendum di Civati" - la maggior parte dei quali argomentati sull'alta probabilità che le 500 mila firme non saranno mai raggiunte: troppo pochi i banchetti in giro, troppo isolati i civatiani, troppo sbagliata la stagione estiva.
Tutto sensato, certo, eppure stupefacente.
Stupefacente perché basato sulll'idea che i nostri comportamenti non debbano dipendere da ciò che riteniamo giusto o non giusto, ma dalla possibilità di stare poi dalla parte dei vincitori. Anche quando questi comportamenti implicano uno sforzo davvero minimo. Qualcuno mi ha perfino sconsigliato di "mettere la faccia" a favore di un'iniziativa che probabilmente non raggiungerà gli obiettivi.
Mamma mia.
Mi permetto di sostenere che se si è persone decenti si ragiona all'opposto.
Si ragiona cioè facendo ciò che ci sembra giusto indipendentemente dal risultare poi vincenti o perdenti. Si fa una cosa perché la riteniamo giusta e basta: non per poter fare poi il gesto dell'ombrello all'avversario, non per potergli dire "rosica". Queste robe per favore lasciamole ai berlusconiani - e ai peggiori tra i renziani, quelli inconsciamente intrisi del ventennio appena concluso.
Certo che l'obiettivo è sempre vincere, in politica come altrove: ma schierarsi preventivamente con chi si ritiene probabile vincitore non è politica e non è nemmeno tifo, è proprio meschineria morale, epifenomeno squallido di una subcultura vincista (e molto liberista) che considera vergognoso e "da sfigati" non risultare nella schiera dei trionfanti.
A proposito, in questo blog si fa un uso assai parco di citazioni, di solito pallose. Ma quando ci vuole, ci vuole. Quindi vorrei ricordare a tutte e a tutti la terza formula dell'imperativo categorico di Kant: «Non compiere alcuna azione secondo una massima diversa da quella suscettibile di valere come legge universale, cioè tale che la volontà, in base alla massima, possa considerare contemporaneamente se stessa come universalmente legislatrice».
Vuol dire - semplificando - che bisogna agire come se ogni nostra azione fosse la legge morale di tutti. Non in base a convenienze, ambizioni ed eccezioni per se stessi. Ed è un approfondimento in positivo, in proattivo, del principio cristiano "non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te".
Se ciascuno applicasse la massima kantiana, nel nostro vivere così limitrofi e intrecciati in società, avremmo superato il 99 per cento delle ingiustizie. Dallo schiavismo nei campi al parcheggio in seconda fila. Altro che i referendum di Civati. Che se non altro a una cosa sono già serviti: a farmi incazzare in questo post con l'inquinamento del convenientismo e del vincismo anche nelle fila di chi sostiene di voler migliorare il mondo. E che così invece non lo migliorerà mai.
21 commenti 8
Andrea Chiari
27 agosto 2015 alle 11:34
Abbiamo capito, anche Kanti sostiene Civati. Quella di Gilioli è pubblicità intelligente anche con i distinguo (Civati sarebbe per creare il 365° partitino nella storia della sinistra, Gilioli è per l'anno sabbatico in attesa che il fiorellino di Landini diventi una robusta quercia, pardon, un ulivo, pardon ancora: un qualche albero non ancora passato in politica). Secondo me il Civati non ha il fisico per proporre e raccogliere referendum e per imbastire una qualche forza (per dire) politica che possa essere ricordata nelle noticine dei libri di storia. Certo, ha la possibilità di lanciare una idea. Internet - come ci ricorda Eco - è fatta apposta per tipi come lui.
Cristina
27 agosto 2015 alle 11:34
Sai cosa? Mi sembra che Civati come si faccia politica se lo sia scordato (o forse non l'ha mai saputo?)
Sven
27 agosto 2015 alle 11:53
Gilioli semplifica; ci sono anche altre considerazioni più politiche da tenere presente, ad esempio un fallimento nella raccolta firme per un referendum abrogativo su un determinato argomento rende più difficile un'analoga iniziativa in un momento più favorevole o con un'alleanza più ampia. Quindi si, bisognerebbe intraprendere queste imprese avendo buone probabilità di farcela e non solo perchè è giusto
carletto
27 agosto 2015 alle 12:10
Tutto ciò mi ricorda il post di "Matita rossa" ( ma cosa c'è di rosso?) al quale non rispondo commentando perchè non voglio, per mia scelta personale, aderire al sistema di schedatura su social network da lui proposto per commentare.
Li si parla di macelleria sociale e di mettere i disabili contro gli immigrati.
Facendo quel blog e scrivendo quelle cose ci si mette con il vincitore secondo me.
Ci si mette con chi di turno comanda e con l'editore, di conseguenza.
Civati voleva riuscire realmente con il suo referendum o semplicemente farsi pubblicità? Forse in questo caso vuole semplicemente essere lui il vincitore rimanendo nell'ombrello del pd, facendo continuare il governo renzi e non perdendosi gli elettori di sinistra (adesso fa lo stampellino, il pd ringrazierà?).
Forse se volesse veramente contrapporsi alla politica di renzi e alle sue controriforme avrebbe dovuto semplicemente favorire la caduta del suo governo o almeno organizzare meglio il referendum e non dar spazio ai fuoriusciti grillini ma direttamente ai grillini.
Tutte e due le situazioni son paradossali e la dicono l'unga sul sistema di raggiro mediatico italiano di cittadini e lavoratori Es:
In Italia si prendono i soldi dei lavoratori che servirebbero per le loro pensioni da fame e si pagano le megapensioni dei dirigenti privati e delle caste, si prendono gli stessi soldi e si pagano improbabili servizi civili di comodo (a non si sa chi), si arrivano persino a pagare i biglietti expo per mandarci i pensionati (o per giustificare l'expo).
Con quei soldi si pagano i poveri le pensioni sociali, la cassa integrazione, per i comodi degli agnelli e di quelli come loro (ovvero i profitti a loro e le perdite ai lavoratori), ed infine anche gli handicappati (l'unica spesa giusta, visto che gli invalidi più bisognosi sono quelli che sono a carico dei magri stipendi dei lavoratori).
Poi arriva il blogghista di turno a ricordarci che e brutto mettere contro i lavoratori (a cui con tutta probabilità gli immigrati toglieranno lavoro e stipendi e pensioni e assistenza ai cari invalidi) dicevo contro gli immigrati (reale ricchezza per approfittatori delle emergenze, coop del malaffare e clientelismi politici vari), nonostante la contemporanea riduzione di diritti pensionistici, assistenza handicap ed invalidi e cassa integrazione e disoccupazione, sempre pagata con le pensioni dei lavoratori (cioè i cittadini meno pagati e più a rischio per il fenomeno immigrazione).
Certo con le emergenze e più facile rubare i soldi delle loro pensioni di quanto lo sia con l'assistenza agli invalidi italiani (che in cambio, magari, pretendono un minimo di servizi decenti, visto che comunque quei soldi le famiglie degli invalidi neanche li vedono, ma sono per la quasi totalità destinati a pagare coop e aziende private, fornitrici dei servizi).
Sarebbe giusto e facile mettere la cassa integrazione a carico della fiscalità generale lo stesso per invalidità sociale, disoccupazione, handicap e ricche pensioni immeritate, e lo stesso anche per quanto riguarda l'assistenza degli immigrati, finendo così per far pagare queste tasse occulte a tutti i cittadini in proporzione alle loro ricchezze (anche a coloro che beneficano di dette prebende e della riduzione del valore del lavoro "caste, politici, coop, aziende, dirigenti privati, gli agnelli ecc."), ma si continua a rastrellarli, questi soldi, sulle pensioni dei lavoratori, del resto visto che ancora sulle pensioni dei lavoratori si preleva la tassa per ONPI, opera nazionale pensionati italiani, ente dal nome pseudofascista sciolto già nel '77 ma per il quale i pensionati continuano a pagare il balzello. Mi sembra il tutto pienamente coerente con la malafede di chi grida ai populismi vari.
Stare con chi comanda e sempre facile e fare le cose giuste, per i pennivendoli, è sempre populismo (potrebbe essere questa la conclusione?)
No la conclusione è quest'altra, forse i lavoratori possono sopportare che si sottraggano i loro fondi di pensione per persone che stanno peggio di loro, senza colpa essendo malati, ma sicuramente è odioso che sulla loro pelle si faccia putrido mercimonio clientelare per approfittatori facendo finta che è per i rifugiati.
Se proprio ci tiene lo stato a dare una parvenza d'ordine e sicurezza a questi sfruttamenti di manodopera, riduzione del valore del lavoro, e di soldi pubblici lo faccia tassando i più ricchi (i beneficiari) o almeno in proporzione e non solo i lavoratori.
In quanto a Civati se vuol ottenere veramente il risultato che dice di voler ottenere, si adoperi al riguardo facendo cadere il governo (soluzione vera), appoggiando i grillini, o almeno facendo riuscire i referendum (pannicelli freddi su una febbre da cavallo).
Andrea
27 agosto 2015 alle 12:19
OK, io i referendum li firmo, però mi sembra che lei Gilioli confonda i piani.
Si può criticare un'iniziativa politica perché è fatta male e probabilmente inefficace senza essere per forza "vincisti", parola che le piace molto. Le suggerisco allora anche di introdurre il concetto di "perdisti": quelli che fanno la cosa che ritengono giusta senza se e senza ma, compresi i se ed i ma che magari servirebbero a renderla efficace. Il dubbio è che prendano le loro iniziative non per incidere veramente sulla realtà, ma solo per sentirsi migliori degli altri e che quindi la sconfitta non sia un incidente, ma in qualche modo un obiettivo.
Ant
27 agosto 2015 alle 12:28
Tutto giustissimo Gilioli, si fa una cosa perchè è giusta e non in visione del suo risultato e di chi la fe soprattutto perchè la fa.
Ecco perchè non si vapisce l'astio trasumante e continuo, al meglio, o al peggio il black-out informativo nei confronti delle iniziative dei 'grillini'.
Il solito Chiagni&Fotti.
Non facciamo i finti tonti..di questi temi, a questo personaggio non importa una mazza. Li vuole usare per strappare voti ai 5 stelle o sopravvivere al suo lento ed inesorabile oblio.
kantiamo_insieme
27 agosto 2015 alle 12:53
il primo amore non si scorda mai.
piti
27 agosto 2015 alle 13:13
I migliori commenti della nostra vita, grazie BM.
volty
27 agosto 2015 alle 13:22
Tutto giusto tranne lo scambiare il gusto per il giusto.
(ci vorrebbe il «confronto di idee», per poter scindere il bollore kafrkiano dal valore kantiano, appunto)
stefano pedrollo
27 agosto 2015 alle 13:28
Mi dispiace, il mandante conta...
federico
27 agosto 2015 alle 13:31
Ant, veramente Civati non è mai stato astioso con nessuno, anzi è sempre stato l'unico sinceramente dialogante coi grillini, che per non inquinarsi con lui lo hanno sempre preso a pesci in faccia. Civati, per contro, continua tramquillamente a tendere la mano. Ci sta che i 5S non vogliano collaborare per paura che poi Civati si intesti una vittoria, ma dovrebbero fare atto di onestà e dichiarare pubblicamente il "non possumus". L'onestà intellettuale in politica, però, non ha cittadinanza, nemmeno tra i sedicenti "onestissimi". La cosa ci sta, eh, se la Lega proponesse referendum sensati, per esmpio, difficilmente accetterei di dare loro quella formidabile vetrina politica, ma ammetto questo mio limite senza chiacchierare di astio, finte tontaggini e altre amenità, semplicemente perché so che la Lega farebbe una cosa buona per ottenere come contropartita una leva che le permetta di fare cose cattive.
Ecco, il M5S crede che, se Civati riuscisse a far partire i referendum e poi li vincesse, quella leva sarebbe usata per il male?
Questa domanda va fatta secondo me. La risposta per carità, la conosciamo: chiunque sia fuori dal M5S e non sia neanche schierato per loro, per il M5S è feccia.
Se però la mettessero in questi termini, accantonando la favola del "votiamo solo se condividiamo", avremmo finalmente una lotta politica chiara. E nessuno se ne avrebbe a male.
Civati ha scelto di accettare il rischio di essere consegnato all'oblio uscendo dal PD, dimostrando di essere sinceramente preoccupato per il bene comune, anche se non lo ha fatto nei modi e nei tempi di un cuor di leone. Mi chiedo, però, se lei, Ant, veda intorno a sé tutti questi coraggiosi.
Elleti
27 agosto 2015 alle 13:31
Se volete fare qualcosa di serio, caro Gilioli... uscite da questa mediocrita' tutti assieme.
Fate un cartellone sociale e sponsorizzate le persone, con una macchina organizzativa in cui voi ci mettete soldi, tempo e culo.
E le persone che entrano nelle istituzioni sono quelle dal basso, non voi in primissima fila. Se organizzate un movimento sociale fatto cosi' le persone verranno da sole.
Il problema e' che non fate un referendum perche' ci credete. Non aderite ad una formazione perche' e' giusta. Ma avete bisogno di conservare un giro di persone ammuffite e gia' mezze marcite in 20, 30 anni di politica.
La scelta di Pastorino in Liguria e' un esempio lampante del perche' un oggetto cosi' nobile non potra' mai uscire da questa sinistra.
Perche' questa sinistra e' una elite di persone che vogliono mantenersi in prima fila. E per mantenersi in prima fila e' capace di rinnegare tutto, sinistra ed ideali inclusi.
Fate un caXXo di movimento per le persone. Metteteci i soldi. .Metteteci il vostro sudore. Altro che chiamata ai banchetti da uno scranno parlamentare.
Giovanni Stirelli
27 agosto 2015 alle 13:49
Nessuno ha letto Kant, e chi lo ha letto non lo ha capito. Giuliano Ferrara lo citò a sproposito quando fece la conferenza stampa in un cinema di Roma, con tante mutande appese a un filo del bucato, per dire che non ci si poteva immischiare nelle faccende private del Berlusca. Molti ci cascarono: se Ferrara cita Kant vorrà dire che lo ha letto e vorrà dire che se lo dice Kant è vero.
Ivo Serenthà
27 agosto 2015 alle 13:52
Con il pensiero unico che sia renziano o caimano dentro alle larghe intese siamo e stiamo andando proprio bene,e fino a quando ci sarà questa fissazione del saltare sul carro dei potenti o di seguire chi appoggia buona parte dei media,non si andrà da nessuna parte.
La pancia ad averla piena saranno sempre in meno,e l'economia farà sempre più schifo,fino a quando ci si staccherà dai pifferai magici sponsorizzati dai poteri che contano,quelli si che riescono a fare un ottimo e sporco lavoro.
L'ho già scritto ieri e lo ribadisco,Civati ha fatto due ottime mosse in pochi mesi,la dignità personale va rispettata al di là del successo o meno.
Enrica
27 agosto 2015 alle 14:35
A mia insaputa ho adottato tutta la vita la formula di Kant, che non ho studiato perché ho DOVUTO, non scelto, andare a lavorare a 14 anni.
Istintivamente ho fatto le mie scelte sulla base di quello che mi sembrava giusto, anche se scomodo e rischioso.
Altrettanto istintivamente ho sempre guardato con sospetto e una punta di disprezzo chi sceglieva il vincitore a prescindere.
Corrado
27 agosto 2015 alle 15:26
Un'azione politica non è una dichiarazione di fede, ma un progetto per influire nella realtà modificandola in meglio ( a pare dell'attore ) se è costruita male e non può avere il risultato va criticata perché inutile e dannosa per la "causa" La retorica del "beau geste" è all'origine di molti fallimenti di una certa sinistra
marco
27 agosto 2015 alle 15:33
Civati è l'unico politico ad esser vittima del non detto: vuoi per lasciar intendere che abbia fatto qualcosa di male (ossia per interessi di parte), vuoi per ignoranza, pregiudizio o "pecoronaggine".
Persino il buon Gilioli, contrariamente a quanto abbia scritto poco sopra, ha paura di sostenere apertamente Civati nonostante abbia praticamente le sue stesse idee.
E' stato il bersaglio contemporaneamente dei democratici a cui sta a cuore Renzi e dei grillini, entrambi i gruppi molto presenti su internet e a vario livello caratterizzati dalla poca volontà di argomentazione, violenza dell'attacco e critica di basso profilo e sostenenti politiche molto diverse da quelle proposte da Possibile, per me tipiche di una sinistra europea illuminata e concreta.
Ecco, la vera differenza fra Civati e gli altri è che lui parla di politica, di fatti concreti, di idee sempre, mai scadendo nei pregiudizi. Lui è coerente, non fa alleanze sommatorie ma ideali.
Credeva nel progetto e nelle idee del Pd: quando ha visto che sono state tradite e all'interno una percentuale sempre più insopportabile di colleghi di partito si allineava alle idee del vincente di turno, ha lasciato. Dove sarebbe lo scandalo del suo comportamento ancora non s'è capito.
Riguardo l'alleanza a sinistra potete scommettere che lui sarà uno di quelli che farà di tutto per aggregare le forze sulla base di idee condivise.
Berluscameno
27 agosto 2015 alle 15:57
OT.
SOTTOMISSIONE … (“FINANZIARIA”).
“Michel Houellebecq” dimentica un piccolo dettaglio nel suo romanzo “SOTTOMISSIONE “:
da tempo, la Francia e le altre democrazie formali si sono già sottomesse, nel formale rispetto delle loro procedure democratiche, al “potere bancario globale”.
Le gente viene rieducata alla “Shariya dei banchieri usurai”:
si lavora fino a 70 anni per pagare gli interessi sui debiti (pubblici e privati) e per realizzare il "pareggio di bilancio con avanzo primario attivo" – ossia con lo Stato che preleva più soldi con le tasse dalla società, di quanti glie ne restituisca con la spesa pubblica;
così la moneta diventa sempre più scarsa e per compensare la sua scarsità "bisogna chiedere prestiti alle banche", incrementando il loro potere sulla società, sulla cultura, sui mass media e sulla giustizia.
“L’Euro è grande, la Merkel è il suo profeta, non avrai altro denaro all’ infuori dell’Euro”.
“In realtà, non saremmo esposti al "pericolo islamista", se non fossimo già sottomessi al “sistema bancario globale “e se avessimo ancora gli Stati democratici parlamentari nazionali a difendere la nostra sicurezza e i nostri interessi.
La vecchia Francia, la vecchia Gran Bretagna, avrebbero sistemato l “’Isis” , l’islamismo e gli scafisti da molto tempo.
Anche perché non avrebbero permesso all’ Arabia di finanziarla e alla Turchia di armarla”.
“Il patto di Maastricht, ossia il patto di “convergenza, stabilità e sviluppo”, che non è ammesso ridiscutere, ha portato in Europa alla moltiplicazione delle divergenze, “all’ aumento generalizzato dell’indebitamento pubblico per circa 5.000 miliardi”, all’”aumento generalizzato della disoccupazione” e della “povertà dura”, a un calo generalizzato del prodotto(PIL), quindi della stabilità (sostenibilità del debito pubblico e dei debiti privati)- (“infatti di fatto l’UE ha privato- i cittadini dei Paesi deboli UE- dei soldi necessari per lavorare e quindi per poter ripagare i debiti col frutto del lavoro).
I paesi UE dell’Euro hanno avuto in PIL molto peggiore di quelli OCSE non Euro.
“Il Regno Unito, paese europeo che non ha adottato l’Euro né le sue ricette, ha avuto una forte crescita”.
“Dunque l’Euro, nel suo effetto concreto, ha tradito innanzitutto proprio quegli obiettivi di risanamento, crescita, sicurezza e stabilizzazione per cui esso e l’austerità erano stati prescritti”.
“L’Euro fa male. E’"il bidone del secolo". Lo dimostrano i fatti”.
“L’euro zona è tenuta ormai insieme solo dalla paura di uscire dall’ Euro, delle conseguenze”.
Se non ci fosse questa paura, molti Paesi deboli della UE avrebbero già scelto di riprendersi la loro autonomia monetaria e di bilancio.
Paradossalmente, gli effetti controproducenti dell’Euro (e delle regole ad esso connesse) hanno posto e pongono gli Stati nella condizione di dover cedere, "sotto ricatto", cioè "per paura", ancora di più a poteri privati e irresponsabili ,non solo la guida della politica, ma la ridefinizione dei diritti dei lavoratori, dei risparmiatori, degli elettori, dei cittadini, anzi semplicemente” la ridefinizione dei "diritti dell’Uomo" secondo le convenienze del Capitale Bancario e finanziario speculativo .
“Arduo è insomma sostenere che Maastricht e l’Euro siano stati introdotti in buona fede, e non come uno "strumento premeditato per spremere dai popoli ricchezza e libertà" – specialmente se consideriamo come quel modello finanziario ha invece arricchito fortemente proprio le classi che lo hanno accreditato e imposto, cioè i "ricchi finanzieri e loro uomini politici", a scapito dell’insieme del corpo sociale”.
Chiaramente di mala fede si è rivelata altresì “la ricetta monetarista imposta a tutta l’area del Dollaro”, e soprattutto dalla BCE, ossia che "basti dosare la liquidità in modo da prevenire l’inflazione" e i mercati diverranno automaticamente mercati efficienti (cioè raggiungeranno la piena occupazione e preverranno o correggeranno le crisi), e ciò permetterà di deregolamentare (liberalizzare) il settore bancario onde rendere efficiente anch’ esso.
“Questa ricetta falsa , imposta ancora oggi, è servita come"pretesto per deregolamentare il settore bancario" consentendo a chi lo manovra di “realizzare profitti stellari attraverso operazioni fraudolente” che "hanno creato gigantesche crisi di mercato a danni dei risparmiatori e della popolazione in generale", su cui tali crisi sono poi state scaricate dai governi mediante severe manovre fiscali”.
“E’ insomma un dato di fatto che le istituzioni, ovvero chi le ha in mano, ossia il potere costituito, "sogliono mentire (“vulgus vult decipi”,ossia il popolo vuol essere ingannato) sui loro fini reali e ingannare sullo scopo a cui mirano" i loro provvedimenti e le riforme;
"quindi dalle istituzioni bisogna guardarsi e proteggersi.”
La sussistenza di uno spazio per un reale dialogo partecipativo – della popperiana “società aperta” e democratica, in cui è possibile sostituire chi è al comando con mezzi pacifici – tra chi occupa le istituzioni e i cittadini è “quantomeno dubbia”, perché” il rapporto è di sfruttamento materiale” (ma, data la sproporzione delle forze, soprattutto tecnologiche e organizzative, “una sostituzione per via rivoluzionaria è oggi irrealizzabile”-purtroppo -, quindi l’alternanza reale è bloccata).
“Come esempio di sfruttamento materiale diretto, pensiamo a Monti, che prelevò circa "57 miliardi di tasse agli Italiani", precipitando il Paese nella depressione, "non già per ridurre il debito pubblico", cioè per risanare i conti – questo era ciò che le istituzioni ingannevolmente dichiaravano – , ma, come poi emerse, "per prestarli a Grecia, Spagna, Portogallo e Irlanda, divenute insolventi, affinché potessero pagare i loro contestabilissimi debiti verso i banchieri franco-tedeschi", che avevano prestato denaro a quei Paesi in modo da gonfiare acquisti immobiliari (senza badare al prezzo di acquisto)col fine non dichiarato di “finanziare l’export tedesco verso di essi”.
“Cioè il governo, sostenuto da quasi tutto il parlamento, ci ha dissanguati per “nutrire gli squali della finanza predona straniera” e per giunta così ci ha messo in condizione di dover svendere loro (alla Banda che comanda la UE)i nostri assets più appetibili”.
In più, nel dicembre 2011, senza alcuna obiezione, Monti pagò 2,6 miliardi alla banca speculativa Morgan Stanley in base “a un contratto derivato finanziario suicida e temerario “stipulato dal Governo Ciampi.
Giovanni
27 agosto 2015 alle 16:12
Scomodare Kant per Civati evidenzia un amore infinito! O un arrampicamento su gli specchi dopo le critica al precedente post. Caro Alessandro , l'acqua è poca e la papera non galleggia!
Massimo Gallo
27 agosto 2015 alle 16:20
Gentile Gilioli,
non ho studiato Kant, peccato - sono un Perito Elettronico -.
Ma mi fregio di un piccolo merito: l'aver osservato, nella Sinistra italiana, il fenomeno del "vincismo" da più di 20 anni, esattamente da quando i "Progressisti" - chi li ricorda? io c'ero! - di Occhetto vennero sconfitti, il 27 marzo, dalle due coalizioni di Silvio - una per il nord ed una per il sud -.
Occhetto si dimise - e fece male - e da allora la Sinistra tutta si perse... ragionando con il pragmatismo assoluto, finalizzato alla vittoria, divenne speculare alla destra.
Anche Rifondazione, o almeno quelle parti che "cavalcavano" ogni forma di dissenso radicale pur di inglobare qualche voto.
E pensare che l'innaturale alleanza di Berlusconi si sfasciò da sola, com'era ovvio. Ma i tempi mutarono presto e si cercò di tenere insieme cani e porci - e sì, cani e porci - in maggioranze eterogenee e senza obiettivi condivisi, pur di mantenere le poltrone.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Polemiche anche per dei referendum? Ma che si faccia qualcosa, pur di muovere questa Sinistra.
Però Elleti ha un bel pò ragione......................................................................
Berluscameno
27 agosto 2015 alle 16:38
OT.
“Ricordando il Governo MONTI” :
ci dobbiamo rammentare che LUI pagò 2,6 miliardi alla banca speculativa Morgan Stanley.
In seguito ad una clausola imponente il pagamento di un” contratto derivato finanziario suicida temerario” stipulato dal Governo Ciampi.
La clausola contrattuale era scattata a seguito del “down rating” del debito pubblico italiano fatto proprio da Standard and Poor’s, collegata a Morgan Stanley attraverso un’altra società– quindi la clausola era facilmente contestabile.
Inoltre proprio Standard and Poor’s era promotrice dell’oggettivamente ingiustificabile” down rating” dell’Italia in quel periodo, che aveva consentito la sostituzione dell’ultimo premier italiano con mandato democratico e la sua sostituzione proprio con
“Monti, l’amico dei banchieri, che Napolitano non solo chiamò a Palazzo Chigi, ma blindò con la nomina a senatore a vita concessa per i suoi” inesistenti” alti meriti”.
“Questa vicenda, oggetto di recenti denunce penali, è una splendida dimostrazione di mala fede istituzionale nell’ interesse dello “straniero”.
Una mala fede cui corrispondono i “milioni di babbei” che in quei giorni esultavano aspettandosi un rapido miglioramento per l’effetto della caduta di Berlusconi e delle grandi capacità di Monti – babbei che oggi perlopiù confidano in Renzi, che sta completando la missione ordinata dalla BCE col famoso papello segreto del 2011, e iniziata da Monti”.
“La teoria dominante, quella applicata dalle istituzioni, dice che abbiamo avuto un tenore di vita troppo alto e ora dobbiamo pagare, tirare la cinghia, rientrare dei debiti.
Ma il tenore di vita consiste nel livello di consumo di beni e servizi, e avere un tenore di vita troppo alto significa perciò consumare più beni e servizi di quanti se ne produce”.
E qui incominciano le difficoltà per la teoria in questione,” perché in realtà noi abbiamo un problema opposto, di “domanda insufficiente”, ossia che produciamo più di quanto consumiamo, più di quanto possiamo pagare”.
“Abbiamo una “domanda insufficiente ad assorbire tutta l’offerta”, perché non abbiamo i soldi, i redditi, per pagare tutti i beni e i servizi che produciamo e di cui vorremmo godere, “per fare gli investimenti produttivi che andrebbero fatti, assumendo la relativa mano d’opera”.
I prodotti rimangono invenduti, e le aziende licenziano o chiudono o non investono:
da qui “deflazione, recessione, disoccupazione”, grandi spese per gli ammortizzatori sociali”.
Perché allora non si immettono nell’ economia reale produttiva i soldi corrispondenti alla ricchezza reale che produciamo, e che potremmo produrre in più, se ce li dessero?
Perché non abbiamo e non possiamo avere una quantità adeguata di simboli economici (cioè denaro) a comprare non dico ciò che non produciamo, ma ciò che stiamo producendo in casa nostra e di cui abbiamo bisogno, ma rimane invenduto?
Chi lo ha deciso? Il mercato?
No, evidentemente: è una decisione politica, che mira al potere, non al profitto.
Altrimenti detto:
“per quale motivo razionale, se non per mettere in crisi e "ricattare il corpo sociale", chi ha l’esclusiva della regolazione monetaria, cioè il sistema bancario, non ne mette a disposizione una quantità idonea, corrispondente alla ricchezza reale prodotta, e in tal modo determina una tendenza recessiva? “
“Meglio un PIL magro, ma tutto saldamente in mano nostra(ossia dei ricchi banchieri), che un PIL grasso, ma inutilmente distribuito alla gente che lavora e poi avanza pretese di partecipazione alle decisioni”.
Oppure:
“Abbiamo provato a dar loro qualche decennio di benessere e di partecipazione alle decisioni; abbiamo visto che non funziona; quindi ora torniamo a prima.
” Credo che il ragionamento dietro la” predetta politica monetaria antisociale “(Austerity)sia di questo tenore”.
“Lo stesso quantitative easing(QE) della BCE, che (come previsto e sicuramente programmato) fallisce rispetto al fine dichiarato di rilanciare i paesi deboli europei,infatti
“ è un dare soldi” non all’ economia reale e agli investimenti pubblici infrastrutturali di cui vi è sommamente bisogno”, ma proprio ai banchieri, cioè ai responsabili dell’attuale crisi nonché gestori della BCE stessa, in modo che li rimettano nei mercati speculativi finanziari(Shadow Banking) , sotto forma dei già noti prestiti facili e a rischio programmato, cioè in modo da far ripartire” non l’economia reale produttiva di beni per il nostro mercato interno e lo sviluppo civile”, ma innanzitutto “nuove bolle finanziarie con il commercio dei derivati tossici (Shadow Banking)“, a cui seguiranno, come sempre sono seguite nella storia della finanza, crolli e ondate di insolvenze”.
“Infatti i ricchi Banchieri e finanzieri guadagnano non sulla crescita del PIL(economia reale), ma sull’ ampiezza e sulla frequenza delle oscillazioni dei mercati speculativi” – onde i governi e le “autorità monetarie” agiscono al fine che tali oscillazioni avvengano, non per lo sviluppo della collettività, la quale invece deve adattarsi e collaborare al predetto fine e di fronte ad esso le persone perdono diritti e autonomia politica.
“Cioè, la BCE finanzia la ripetizione di un gioco che, per sua struttura, nella prima fase crea ripresa e consenso, ma che poi, automaticamente, sfocia nel suo opposto.
Se questo non è conflitto di interessi …”
LE GRANDI BANCHE CENTRALI ,ma anche quelle che operano sul mercato,
non producono nulla di utile per la società civile,e per questo motivo andrebbero tutte abolite e sostituite con vari uffici diretti dalla Guardia di Finanza e questo anche per impedire il RICICLAGGIO dei capitali mafiosi o la trasferta Off-shore dei capitali avventurosi.
Le Banche creano denaro dal nulla (FIAT MONEY) e non gli costa nulla!
Ma alle PMI negano i prestiti per poter continuare a lavorare ; oppure chiedono interessi annuali che vengono definiti opera di veri USURAI!
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