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La libertà è il diritto dell’anima a respirare. E noi, partecipando malgrado tutto, vogliamo continuare a respirare.Lo facciamo nel modo più opportuno possibile all’interno di questo forum che offre spazio a tutti coloro che credono nella democrazia
lilly ha scritto:Il contrasto tra liberalismo e democrazia per la competizione elettorale è apparente.Infatti tutti devono avere gli stessi nastri partenza poi ci sarà chi è più bravo e chi meno.Questo impone un limite alle donazioni perche se non ci fosse il limite il partito diventerebbe un partito padronale in mano alle lobbies.Poi tutti devono avere gli stessi spazi in tv e chi non può pagarsi la campagna elettorale dovrebbe essere sovvenzionato.Per ex in uk ancora esiste il finanziamento pubblico che dovrebbe essere trasparente e certificato,entrate ,uscite,utilizzi
Infatti tutti devono avere gli stessi nastri partenza
Mi permetto, caro lilly, di modificare il tempo del verbo. Da “devono” a “dovrebbero”, in quanto “devono" presuppone una concezione della democrazia, che gli italiani non hanno più, e che non saprei come ripristinare nel medio e lungo termine.
Brzezinski: Germania, il kapò perfetto per ingabbiare l’Ue
Scritto il 22/4/16 • nella Categoria: idee
Per capire l’attuale stato dell’Unione Europea, più che le fesserie dette di volta in volta da politicanti ora di finta destra ora di finta sinistra, è indispensabile leggere un libro di Zbigniew Brzezinski, “La Grande Scacchiera”, pubblicato da Longanesi nel lontano 1997. Il libro in questione non è facilmente reperibile e, dopo averlo letto, la cosa non stupisce. Brzezinski, per chi non lo sapesse, è uno dei più influenti player della politica americana da molti anni; appartenente al primo cerchio del potere globale, già ideatore e fondatore di consessi paramassonici potentissimi come la “Trilateral Commission”, Brzezinski fa parte di quella categoria di uomini che i fatti non li analizza: li determina. L’autore ha il dono di parlare chiaro, dipingendo la realtà senza concedere nulla né alla “forma” né al “garbo”. I paesi “amici” dell’America vengono definiti senza tanti giri di parole “Stati vassalli”, da blandire o minacciare a seconda degli interessi contingenti delle élite statunitensi. Brzezinski parte da un dato di fatto: gli Stati Uniti esercitano oggi una indiscutibile leadership sul piano globale, leadership che il definitivo crollo dell’impero sovietico ha reso esclusiva e assoluta. Come mantenere e consolidare un simile primato negli anni a venire?Il libro si snoda intorno a questa priorità, approfondita da Brzezinski con approccio tanto lucido quanto cinico. Il politologo di origine polacca individua nell’Eurasia la zona strategica da presidiare sull’assunto che chi “comanda in Europa comanda nel mondo intero”. Per gli Stati Uniti quindi è decisivo non perdere influenza nel Vecchio Continente, favorendo un progressivo processo di unificazione trainato dall’asse franco-tedesco. Brzezinski sostiene inoltre che, nell’ottica americana, è preferibile avallare la leadership dei tedeschi, considerati più “gestibili” rispetto ai francesi ancora nostalgici di una “grandeur” che ne gonfia l’ego rendendoli più imprevedibili. La Germania, invece, anche per i trascorsi nazisti, senza l’ombrello militare a stelle e strisce non godrebbe di nessuna legittimazione in campo internazionale, onde per cui un eventuale processo di disallineamento da parte delle classi dirigenti teutoniche rispetto agli ordini impartiti da oltre Oceano viene considerato altamente improbabile.Brzezinski, fautore di un progressivo allargamento ad est dell’Europa (cosa poi puntualmente avvenuta), individua per tempo nella Russia il principale antagonista di un simile progetto, dimostrando anche in questo caso di possedere una certa “lungimiranza”. I semi delle odierne tensioni in Ucraina sono già presenti all’interno delle pagine de “La Grande Scacchiera” (pubblicato, lo ricordiamo, quasi venti anni orsono), allorquando Brzezinski preconizza il futuribile ingresso della patria di Poroshenko nella grande famiglia della Ue in un periodo che va dal 2005 al 2010. Nel rapporto con l’Europa l’autore tradisce sentimenti ambivalenti: da un lato ritiene indispensabile scoraggiare il possibile riemergere di nazionalismi intraeuropei non funzionali al controllo americano sul continente; dall’altro però coglie come una Europa politicamente unita avrebbe tutte le carte in regole per ristabilire in termini paritari il rapporto – ora di “puro vassallaggio” – con lo zio Sam. La paralisi odierna è tutta racchiusa nell’analisi di Brzezinski. Ai manovratori serve una “Europa unita ma non troppo”.La lettura del libro in argomento è utile anche per capire le fisime sulle politiche di austerità, considerate da Brzezinski funzionali non tanto al rilancio dell’economia, quanto indispensabili per risvegliare lo spirito di un popolo – quello europeo – ora ripiegato a causa dell’eccesso di benessere. Una tesi che ricorda la “riscoperta della durezza del vivere” teorizzata da un altro bel personaggio come Tommaso Padoa Schioppa. E’ interessante notare infine come Brzezinski, legato a doppio filo ai principali circuiti massonici mondialisti, individui proprio nel “cristianesimo” il collante culturale buono per accelerare il progetto di integrazione comunitaria. A pagina 83 del suo libro l’autore rivendica infatti come “imprescindibile, sul piano politico ed economico, l’azione civilizzatrice dell’Europa cristiana, depositaria di una antica eredità religiosa comune”. Nel libro “Wojtyla segreto” di Galeazzi e Pinotti, d’altronde, si ricostruiscono gli strettissimi rapporti intercorsi fra Giovanni Paolo II e lo stesso Brzezinski, quest’ultimo fortemente sospettato di avere recitato un ruolo nell’elezione del papa polacco, secondo solo a quello esercitato dallo “Spirito”.(Francesco Maria Toscano, “L’Europa di oggi, semplice e ignara pedina nella Grande Scacchiera disegnata da Zbigniew Brzezinski”, dal blog “Il Moralista” del 18 aprile 2016).
al posto di eliminare il finanziamento pubblico,che realizzava la separazione fra partiti e finanza,questo andava riformato cioè doveva essere chiaro trasparente certificato con entrate uscite ed utilizzi.Invece con le donazioni il rischio è creare interferenze con le lobbies che possono benissimo non contribuire se la la loro richiesta non è esaudita perche contraria alle inclinazioni dell'elettorato.Spesso si dice che il finanziamento pubblico non è possibile perche i partiti sono associazioni di diritto privato.Allora per realizzare la separazione è necessario il frundising cioè sviluppare delle attività con la quale i partiti possono finanziarsi cioè pubblicizzare dei beni e dei servizi come assicurazioni ed altre cose vendere dei libri ed altre cose.La postdemocrazia si combatte solo se si contrastano posizioni dominanti che sono in grado di influire sulle scelte dei partiti.In breve la ricchezza deve essere diffusa parcellizata ,serve più concorrenza,cosi come le banche le tv private e la carta stampata dove non si può possedere più del 5% del pacchetto azionario di ogni rete.La tv pubblica deve essere libera dalle interferenze dei partiti e del governo
Scriveva così Gustav Le Bon nel 1895, nel suo libro “PSICOLOGIA DELLE FOLLE”:
INTRODUZIONE Evoluzione dell'età attuale. - I grandi cambiamenti di incivilimento sono la conseguenza di cambiamenti nel pensiero dei popoli. - La moderna credenza nella potenza delle folle, e com'essa trasforma la politica tradizionale degli Stati. - Come si produce l'avvento delle classi popolari e come si esercita la loro potenza. - Conseguenze necessarie della potenza delle folle. Esse non possono esercitare che un'azione distruttiva. - Come per esse si compie la dissoluzione delle civiltà troppo vecchie. - Ignoranza generale della psicologia delle folle. - Importanza dello studio delle folle: per i legislatori e gli uomini di Stato. I grandi sovvertimenti che precedono i cambiamenti di civiltà, sembrano, di primo acchito, determinati da trasformazioni politiche considerevoli : invasioni di popoli o rovesciamento di dinastie. Ma uno studio attento di tali avvenimenti rivela, più comunemente, come causa reale, dietro le cause apparenti, una modificazione profonda nelle idee dei popoli. I veri sconvolgimenti storici non sono quelli che ci stupiscono con la loro grandiosità e violenza. Gli unici mutamenti importanti, quelli da cui scaturiscono rinnovamenti di civiltà, si operano nelle opinioni, nelle concezioni e credenze. Gli avvenimenti memorabili sono gli effetti visibili degli invisibili cambiamenti dei sentimenti degli uomini. Se essi raramente si manifestano, si è che il fondo ereditario dei sentimenti di una razza è il suo elemento più stabile. L'epoca attuale costituisce uno dei momenti critici in cui il pensiero umano è in via di trasformazione. Due fattori fondamentali sono alla base di questa trasformazione. Il primo è la distruzione delle credenze religiose, politiche e sociali da cui derivano tutti gli elementi della nostra civiltà. Il secondo, la creazione di condizioni d'esistenza e di pensiero interamente nuovi creati dalle moderne esigenze delle scienze e dell'industria. Le idee del passato, benchè scosse, essendo ancora potentissime, e quelle che dovranno sostituirle non essendo che in via di trasformazione, l'età moderna rappresenta un periodo di transizione e d'anarchia. Da un tal periodo, necessariamente un po' caotico, non è facile dire per ora ciò che un giorno potrà scaturire. Su quali idee fondamentali si edificheranno le società che seguiranno alla nostra ? Lo ignoriamo ancora. Ma, fin da ora, si può prevedere che, nella loro organizzazione, esse avranno a che fare con una nuova potenza, ultima sovrana dell'età moderna: la potenza delle folle. Sulle rovine di molte idee, già tenute per vere e oggi morte, sulle rovine di molti poteri, via via spezzati dalle rivoluzioni, questa forza è l'unica che si sia innalzata, e par voglia assorbire ben presto le altre. Mentre le nostre antiche credenze vacillano e scompaiono, e le vecchie colonne a mano a mano sprofondano, l'azione delle folle è l'unica forza non minacciata e il cui prestigio ogni giorno si accresce. L'epoca in cui entriamo, sarà veramente l' Era delle folle.
Ma Le Bon, non aveva ancora visto la Prima e la Seconda guerra Mondiale con l’intermezzo della rivoluzione russa.
Le Bon ha influito su tutte le dittature del XX secolo in quanto fu il primo psicologo a studiare scientificamente il comportamento delle folle, cercando di identificarne i caratteri peculiari e proponendo tecniche adatte per guidarle e controllarle. Per questa ragione le sue opere vennero lette e attentamente studiate dai dittatori totalitari del novecento, i quali basarono il proprio potere sulla capacità di controllare e manipolare le masse.
Lenin, Stalin, Hitler lessero meticolosamente l'opera di Le Bon e l'uso di determinate tecniche di persuasione nella loro dittatura sembra ispirato direttamente dai suoi consigli; ma anche Mussolini fu un fervido ammiratore dell'opera dello psicologo francese. "Ho letto tutta l'opera di Le Bon - diceva Mussolini- e non so quante volte abbia riletto la sua "Psicologia delle folle" E' un opera capitale alla quale ancora oggi spesso ritorno".
Ma tutto questo sembra essere superato quando le élite si riorganizzano a livello mondiale, soprattutto grazie al denaro che posseggono.
Ecco che vanno al contrattacco e cercano di piegare il Pianeta al loro dominio.
Le folle, le masse, sono sparite, annientate. Siamo entrati nella fase della POSTDEMODRAZIA, o della DEMOCRAZIA TOTALITARIA.
25 APR 2016 11:42 1. FERMI TUTTI! LA LOGGIA DEL GRANDUCATO DI TOSCANA MOBILITA QUEL POCO CHE RESTA DEL MONTE DEI PASCHI DI SIENA, PARTECIPATA AL 4,5% DAL TESORO, PER SPONSORIZZARE UN COMIZIO ELETTORALE DI MARIA “ETRURIA” BOSCHI A BENEVENTO, A SOSTEGNO DI UN CANDIDATO DEL PD, ATTRAVERSO INVIO DI SMS AI PROPRI CLIENTI, CON TANTO DI APPELLO: “NON MANCARE”
2. LA DENUNCIA DI CLEMENTE MASTELLA, CANDIDATO SINDACO PER IL COMUNE DI BENEVENTO: “UNA DELLE PRIME BANCHE ITALIANE SCENDE IN POLITICA... FA PUBBLICITÀ AI CANDIDATI DEL PD”
3. MPS È STATA LA SOLA BANCA DAVVERO SALVATA DALLO STATO ITALIANO NEGLI ANNI DELLA CRISI. FURONO INVENTATI DEI BOND SPECIALI PER AIUTARE LA “BANCA ROSSA” IN MANO AL PARTITO DI D'ALEMA. UNA VOLTA CONVERTITO IL PD AL RENZISMO, ANCHE IL MPS SI E' ADEGUATO
Discorso di Mario Draghi, al tempo Direttore Generale del Tesoro, alla Conferenza sulle Privatizzazioni tenutasi sullo yacht Britannia il 2 giugno 1992.
“Signore e signori, cari amici, desidero anzitutto congratularmi con l’Ambasciata Britannica e gli Invisibili Britannici per la loro superba ospitalità.
Tenere questo incontro su questa nave è di per sé un esempio di privatizzazione di un fantastico bene pubblico.
DURANTE gli ultimi quindici mesi, molto è stato detto sulla privatizzazione dell’economia italiana. Alcuni progressi sono stati fatti, nel promuovere la vendita di alcune banche possedute dallo Stato ad altre istituzioni cripto-pubbliche, e per questo la maggior parte del merito va a Guido Carli, Ministro del Tesoro. Ma, per quanto riguarda le vendite reali delle maggiori aziende pubbliche al settore privato, è stato fatto poco.
Non deve sorprendere, perché un’ampia privatizzazione è una grande – direi straordinaria – decisione politica, che scuote le fondamenta dell’ordine socio-economico, riscrive confini tra pubblico e privato che non sono stati messi in discussione per quasi cinquant’anni, induce un ampio processo di deregolamentazione, indebolisce un sistema economico in cui i sussidi alle famiglie e alle imprese hanno ancora un ruolo importante. In altre parole, la decisione sulla privatizzazione è un’importante decisione politica che va oltre le decisioni sui singoli enti da privatizzare. Pertanto, può essere presa solo da un esecutivo che ha ricevuto un mandato preciso e stabile.
Altri oratori parleranno dello stato dell’arte in quest’area: dove siamo ora da un punto di vista normativo, e quali possono essere i prossimi passaggi.
Una breve panoramica della visione del Tesoro sui principali effetti delle privatizzazioni può aiutare a comunicare la nostra strategia nei prossimi mesi.
PRIMO: privatizzazioni e bilancio.
La privatizzazione è stata originariamente introdotta come un modo per ridurre il deficit di bilancio. Più tardi abbiamo compreso, e l’abbiamo scritto nel nostro ultimo rapporto quadrimestrale, che la privatizzazione non può essere vista come sostituto del consolidamento fiscale, esattamente come una vendita di asset per un’impresa privata non può essere vista come un modo per ridurre le perdite annuali. Gli incassi delle privatizzazioni dovrebbero andare alla riduzione del debito, non alla riduzione del deficit.
Quando un governo vende un asset profittevole, perde tutti i dividendi futuri, ma può ridurre il suo debito complessivo e il servizio del debito. Quindi, la privatizzazione cambia il profilo temporale degli attivi e dei passivi, ma non può essere presentata come una riduzione del deficit, solo come il suo finanziamento. (Questo fatto, nella visione del Tesoro, ha alcune implicazioni che vedremo in un secondo momento).
Le conseguenze politiche di questa visione sono due.
Dal punto di vista della finanza pubblica, il consolidamento fiscale da mettere a bilancio per l’anno 1993 e i successivi non dovrebbe includere direttamente nessun ricavo dalle privatizzazioni.
Nel contempo, dovremmo avviare un piano di riduzione del debito con gli incassi dalle privatizzazioni. Ciò implicherà più enfasi del Tesoro sulle implicazioni economiche complessive delle privatizzazioni e sull’obiettivo ultimo di ricostruire gli incentivi per il settore privato.
Secondo: privatizzazioni e mercati finanziari. La privatizzazione implica un cambiamento nella composizione della ricchezza finanziaria privata dal debito pubblico alle azioni. L’effetto di riduzione del debito pubblico può implicare una discesa dei tassi di interesse. Ma l’impatto sui mercati finanziari può essere molto più importante, quando vediamo che la quantità di ricchezza privata in forma di azioni è piccola in relazione alla ricchezza privata totale e che con le privatizzazioni può aumentare in modo significativo. In altre parole, i mercati finanziari italiani sono piccoli perché sono istituzionalmente piccoli, ma anche perché – forse in modo connesso – gli investitori italiani vogliono che siano piccoli. Le privatizzazioni porteranno molte nuove azioni in questi mercati. L’implicazione politica è che dovremmo vedere le privatizzazioni come un’opportunità per approvare leggi e generare cambiamenti istituzionali per potenziare l’efficienza e le dimensioni dei nostri mercati finanziari.
Tre: privatizzazioni e crescita. (In molti casi) vediamo le privatizzazioni come uno strumento per aumentare la crescita. Nella maggior parte dei casi la privatizzazione porterà a un aumento della produttività, con una gestione migliore o più indipendente, e a una struttura più competitiva del mercato. La privatizzazione quindi potrebbe parzialmente compensare i possibili – ma non certi – effetti di breve termine di contrazione fiscale necessaria per un bilancio più equilibrato. In alcuni casi, per trarre beneficio dai vantaggi di un aumento della concorrenza derivante dalla privatizzazione, potrebbe essere necessaria un’ampia deregolamentazione. Questo processo, se da una parte diminuisce le inefficienze e le rendite delle imprese pubbliche, dall’altra parte indebolisce la capacità del governo di perseguire alcuni obiettivi non di mercato, come la riduzione della disoccupazione e la promozione dello sviluppo regionale. Tuttavia, consideriamo questo processo – privatizzazione accompagnata da deregolamentazione – inevitabile perché innescato dall’aumento dell’integrazione europea. L’Italia può promuoverlo da sé, oppure essere obbligata dalla legislazione europea. Noi preferiamo la prima strada.
Le implicazioni di policy sono che: a) un grande rilievo verrà dato all’analisi della struttura industriale che emergerà dopo le privatizzazioni, e soprattutto a capire se assicurino prezzi più bassi e una migliore qualità dei servizi prodotti; b) nei casi rilevanti la deregolamentazione dovrà accompagnare la decisione di privatizzare, e un’attenzione speciale sarà data ai requisiti delle norme comunitarie; c) dovranno essere trovati mezzi alternativi per perseguire obiettivi non di mercato, quando saranno considerati essenziali. Quarto: privatizzazioni e depoliticizzazione. Un ultimo aspetto attraente della privatizzazione è che è percepita come uno strumento per limitare l’interferenza politica nella gestione quotidiana delle aziende pubbliche. Questo è certamente vero e sbarazzarsi di questo fenomeno è un obiettivo lodevole. Tuttavia, dobbiamo essere certi che dopo le privatizzazioni non affronteremo lo stesso problema, col proprietario privato che interferisce nella gestione ordinaria dell’impresa. Qui l’implicazione politica immediata è l’esigenza di accompagnare la privatizzazione con una legislazione in grado di proteggere gli azionisti di minoranza e di tracciare linee chiare di separazione tra gli azionisti di controllo e il management, tra decisioni societarie ordinarie e straordinarie.
A cosa dobbiamo fare attenzione, per valutare la forza del mandato politico di un governo che voglia veramente privatizzare? Primo, occorre una chiara decisione politica su quello che deve essere considerato un settore strategico. Non importa quanto questo concetto possa essere sfuggente, è comunque il prerequisito per muoversi senza incertezze. Secondo, visto che non c’è una Thatcher alle viste in Italia, dobbiamo considerare un insieme di disposizioni sui possibili effetti delle privatizzazioni sulla disoccupazione (se essa dovesse aumentare come effetto della ricerca dell’efficienza), sulla possibile concentrazione di mercato, e sulla discriminazione dei prezzi (quest’ultima in particolare per la privatizzazione delle utility). Terzo, occorre superare i problemi normativi. Un esempio importante: le banche, che secondo la legislazione antitrust (l. 287/91) non possono essere acquisite da imprese industriali, ma solo da altre banche, da istituzioni finanziarie non bancarie (Sim, fondi pensione, fondi comuni di investimento, imprese finanziarie), da compagnie assicurative e da individui che non siano imprenditori professionisti. In pratica, siccome in Italia non ci sono virtualmente grandi banche private, gli unici possibili acquirenti tra gli investitori domestici sono le assicurazioni o i singoli individui. Una limitazione molto stringente.
In ordine logico, non necessariamente temporale, tutti questi passaggi dovrebbero avvenire prima del collocamento. In quel momento, affronteremo la sfida più importante: considerando che una vasta parte delle azioni sarà offerta, almeno inizialmente, agli investitori domestici, come facciamo spazio per questi asset nei loro portafogli? Qui giunge in tutta la sua importanza la necessità che le privatizzazioni siano a complemento di un piano credibile di riduzione del deficit, soprattutto per ridurre la creazione di debito pubblico. Solo se abbiamo successo nel compito di ridurre “continuamente e sostanziosamente” il nostro rapporto tra debito e Pil, come richiesto dal Trattato di Maastricht, troveremo spazio nei portafogli degli investitori. Allo stesso tempo, l’assorbimento di queste nuove azioni può essere accelerato dall’aumento dell’efficienza del nostro mercato azionario e dall’allargamento dello spettro degli intermediari finanziari. Qui il pensiero va subito alla creazione di fondi pensione ma, di nuovo, i fondi pensione sono alimentati dal risparmio privato che da ultimo deve essere accompagnato dal sistema di sicurezza sociale nazionale verso i fondi pensione. Ma un ammanco dei contributi di sicurezza sociale allo schema nazionale implicherebbe di per sé un deficit più elevato. Questo ci porta a una conclusione di policy sui fondi pensione: possono essere creati su una base veramente ampia solo se il sistema nazionale di sicurezza sociale è riformato nella direzione di un sistema meglio finanziato o più equilibrato rispetto a quello odierno.
Questa presentazione non era fatta per rispondere alla domanda su quanto possa essere veloce il processo di privatizzazioni – non è il momento giusto per affrontare il tema. L’obiettivo era fornirvi una lista delle cose da considerare per valutare la solidità del processo. La conclusione generale è che la privatizzazione è una delle poche riforme nella vita di un paese che ha assolutamente bisogno del contesto macroeconomico giusto per avere successo. Lasciatemi sottolineare ancora che non dobbiamo fare prima le principali riforme e poi le privatizzazioni. Dovremmo realizzarle insieme. Di certo, non possiamo avere le privatizzazioni senza una politica fiscale credibile, che – ne siamo certi – sarà parte di ogni futuro programma di governo, perché l’aderenza al Trattato di Maastricht sarà parte di ogni programma di governo.
Lasciatemi concludere spiegando, nella visione del Tesoro, la principale ragione tecnica – possono esserci altre ragioni, legate alla visione personale dell’oratore, che vi risparmio – per cui questo processo decollerà. La ragione è questa: i mercati vedono le privatizzazioni in Italia come la cartina di tornasole della dipendenza del nostro governo dai mercati stessi, dal loro buon funzionamento come principale strada per riportare la crescita. Poiché le privatizzazioni sono così cruciali nello sforzo riformatore del Paese, i mercati le vedono come il test di credibilità del nostro sforzo di consolidamento fiscale. E i mercati sono pronti a ricompensare l’Italia, come hanno fatto in altre occasioni, per l’azione in questa direzione. I benefici indiretti delle privatizzazioni, in termini di accresciuta credibilità delle nostre politiche, sono secondo noi così significativi da giocare un ruolo fondamentale nel ridurre in modo considerevole il costo dell’aggiustamento fiscale che ci attende nei prossimi cinque anni.