Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
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Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
Da quanto letto penso che non sia un problema né di ambiente né di posti di lavoro, ma di daneè.
La Termokimik è presente sul mercato nazionale ed internazionale dal 1938. Da una decina d’anni ha
concentrato la sua attività completamente sul mercato estero per la semplice ragione che l’amministrazione pubblica italiana non paga regolarmente i fornitori. Il problema dei pagamenti dell’amministrazione pubblica in perenne ritardo, oggi per un ammontare di 70 miliardi, ha assunto le prime pagine dei giornali solo negli ultimi 2 anni, ma le aziende che lavorano per il pubblico sono anni che sono in sofferenza.
Per questo motivo la Termokimik pur avendo mercato e commesse, ha scelto in modo unidirezionale di abbandonare l’Italia.
Questa è una delle poche aziende italiane che non ha risentito della crisi.
Una decina di anni fa lo Stato dell’Indiana, Usa, aveva un problema superiore a quello di Taranto, e si è rivolto alla Termokimik. Il capo ufficio progettazione, si è spaventato quando in macchina si trovato di fronte a chilometri di fumi.
Il problema però l’hanno risolto,..anche perché gli ammericà pagano.
A poche centinaia di metri dal Casinò di Monaco hanno costruito un inceneritore. La gente non se ne accorge del traffico dei camion con i rifiuti, perché è stato realizzato un sistema di trasporti sotterraneo fino al luogo di smaltimento.
A Taranto o sono in crisi economica da tempo da non poter permettersi l’impiego dei filtri,…oppure, vogliono continuare a trarre profitto nel solito vecchio modo.
Questa è la Termokimik.
I disegni Divisione focalizze forniture e sistemi di controllo ambientale, l'inquinamento e la depurazione dei fumi. Il portafoglio tecnologico e l'impressionante record di progetti di successo realizzati TERMOKIMIK consente di affrontare e risolvere i problemi ambientali più diverse. L'esperienza varia da centrali elettriche a fonderie, da impianti siderurgici di inceneritori di rifiuti urbani e industriali, da cementries alle raffinerie e impianti chimici. I numerosi impianti progettati e installati dalla Divisione hanno dato risultati operativi ottimali e il massimo grado di efficienza, con eccezionale La soddisfazione del cliente. L'esperienza tecnica e il campo acquisita in tanti anni, insieme con costante lavoro di ricerca sperimentale, hanno portato ad un sostanziale miglioramento e il perfezionamento di queste tecnologie complesse.
La Termokimik è presente sul mercato nazionale ed internazionale dal 1938. Da una decina d’anni ha
concentrato la sua attività completamente sul mercato estero per la semplice ragione che l’amministrazione pubblica italiana non paga regolarmente i fornitori. Il problema dei pagamenti dell’amministrazione pubblica in perenne ritardo, oggi per un ammontare di 70 miliardi, ha assunto le prime pagine dei giornali solo negli ultimi 2 anni, ma le aziende che lavorano per il pubblico sono anni che sono in sofferenza.
Per questo motivo la Termokimik pur avendo mercato e commesse, ha scelto in modo unidirezionale di abbandonare l’Italia.
Questa è una delle poche aziende italiane che non ha risentito della crisi.
Una decina di anni fa lo Stato dell’Indiana, Usa, aveva un problema superiore a quello di Taranto, e si è rivolto alla Termokimik. Il capo ufficio progettazione, si è spaventato quando in macchina si trovato di fronte a chilometri di fumi.
Il problema però l’hanno risolto,..anche perché gli ammericà pagano.
A poche centinaia di metri dal Casinò di Monaco hanno costruito un inceneritore. La gente non se ne accorge del traffico dei camion con i rifiuti, perché è stato realizzato un sistema di trasporti sotterraneo fino al luogo di smaltimento.
A Taranto o sono in crisi economica da tempo da non poter permettersi l’impiego dei filtri,…oppure, vogliono continuare a trarre profitto nel solito vecchio modo.
Questa è la Termokimik.
I disegni Divisione focalizze forniture e sistemi di controllo ambientale, l'inquinamento e la depurazione dei fumi. Il portafoglio tecnologico e l'impressionante record di progetti di successo realizzati TERMOKIMIK consente di affrontare e risolvere i problemi ambientali più diverse. L'esperienza varia da centrali elettriche a fonderie, da impianti siderurgici di inceneritori di rifiuti urbani e industriali, da cementries alle raffinerie e impianti chimici. I numerosi impianti progettati e installati dalla Divisione hanno dato risultati operativi ottimali e il massimo grado di efficienza, con eccezionale La soddisfazione del cliente. L'esperienza tecnica e il campo acquisita in tanti anni, insieme con costante lavoro di ricerca sperimentale, hanno portato ad un sostanziale miglioramento e il perfezionamento di queste tecnologie complesse.
Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
E' la solita storia del capitalismo italiano straccione e famelico ed una classe politica complice e collusa.
La ex Italsider fu svenduta dall'Iri proprio perché erano necessari ingenti investimenti per mettere a norma gli impianti.
Nulla da allora è stato fatto nel silenzio generale mentre i bucanieri privati facevano profitti ad investimento praticamente pari a zero.
E' vero che ora è una questione di soldi, ma bisognerebbe sapere innanzitutto a quanto ammonta l'investimento necessario a mantenere quegli impianti e se ne vale la pena.
Il rischio è che si ripeta la storia di Bagnoli, che dopo essere stata foraggiata per anni alla fine ha lasciato in quel territorio solo un cumulo di rovine e di veleni.
La ex Italsider fu svenduta dall'Iri proprio perché erano necessari ingenti investimenti per mettere a norma gli impianti.
Nulla da allora è stato fatto nel silenzio generale mentre i bucanieri privati facevano profitti ad investimento praticamente pari a zero.
E' vero che ora è una questione di soldi, ma bisognerebbe sapere innanzitutto a quanto ammonta l'investimento necessario a mantenere quegli impianti e se ne vale la pena.
Il rischio è che si ripeta la storia di Bagnoli, che dopo essere stata foraggiata per anni alla fine ha lasciato in quel territorio solo un cumulo di rovine e di veleni.
Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
E ti pareva che non c'era di mezzo la corruzione!
IMPRESA E AMBIENTE
Politici, sindacalisti e anche prelati
la rete d'oro dell'uomo pr dell'Ilva
Un sistema di potere impressionante messo in piedi dal dirigente del siderurgico, Girolamo Archinà. E non è finita. La Finanza spulcia nove mesi di intercettazioni. Ferrante lo licenzia
dal nostro inviato LELLO PARISE
TARANTO - La "repubblica indipendente dell'Ilva" tutto vedeva e a tutti provvedeva. Dagli uomini politici ai sindacalisti, dagli alti prelati ai giornalisti. Tremano gli operai, perché i magistrati sequestrano l'area "a caldo" del più grande centro siderurgico d'Europa. Ma adesso trema anche tutta Taranto, perché dalle carte di un'altra inchiesta penale tuttora coperta dal segreto istruttorio potrebbe saltare fuori l'immagine di una città più o meno compromessa col re dell'acciaio, Emilio Riva. L'indagine la coordina il pm Remo Epifani, che chiede sei mesi di proroga. Il reato è quello di corruzione in atti giudiziari.
Si tratta della stessa indagine da cui il procuratore Franco Sebastio e il sostituto Mariano Buccoliero stralciano tra le dieci e le quindici intercettazioni per dimostrare che gli otto indagati accusati di disastro ambientale devono rimanere ai domiciliari perché potrebbero continuare, se fossero in libertà, a inquinare le prove. Ma ci sono altre decine di telefonate ascoltate dagli investigatori della Finanza e tuttora riservate, che raccontano della capacità di Ilva di tessere una impareggiabile rete di rapporti, ma pure dell'insistenza di chi dall'Ilva reclama piaceri, favori, un occhio di riguardo o solo un'attenzione particolare. Uomini politici che favorirebbero assunzioni, sindacalisti o ex sindacalisti che non disdegnerebbero promozioni aziendali o l'assegnazione di premi di produzione, preti altolocati che porgerebbero l'altra guancia se riuscissero a ottenere il contributo richiesto, cronisti disposti a diventare malleabili.
Nei documenti nascosti di un processo destinato a prendere forma, si materializza lo spaccato di una comunità ostaggio nel bene come nel male dei "padroni delle ferriere". Tutto ruoterebbe attorno alla figura di Girolamo Archinà, da ieri ex responsabile delle relazioni istituzionali di Ilva nel capoluogo ionico. Era, perfino inevitabilmente, arruolato per chiacchierare con tutti. Ma non per questo autorizzato ad alzare la voce, come fa invece col direttore generale dell'Arpa, il professor Giorgio Assennato: protesta dopo l'uscita di un dossier dell'agenzia per l'ambiente che "a suo dire porterebbe alla chiusura dello stabilimento" annotano le fiamme gialle.
La conversazione telefonica risale al 21 giugno del 2010. Dodici giorni prima, un avvocato dell'Ilva, Francesco Perli, spiegava a Fabio Riva che la visita della commissione istruttoria l'autorizzazione ambientale integrata "va un po' pilotata" e che la pignoleria di Assennato "è dettata da ambizioni politiche". Tutto parte proprio dall'eclettico Archinà, filmato mentre consegna all'ombra di una stazione di servizio di Acquaviva delle Fonti una busta bianca al professore universitario Lorenzo Liberti. Non un professore qualsiasi, ma il consulente della procura ingaggiato per mettere a nudo presunti giochi di prestigio dell'Ilva lungo il fronte della tutela ambientale. Lo sospettano tuttavia di avere intascato denaro per 10mila euro.
Comincia così questa storia, tenuta insieme dalle maledette-benedette intercettazioni andate avanti per nove mesi, nel 2010. Due anni più tardi Bruno Ferrante, nuovo presidente di Ilva, taglia la testa al toro: "La società ha da oggi (ieri, ndr) interrotto ogni rapporto di lavoro con il signor Girolamo Archinà che pertanto in alcun modo e in nessuna sede può rappresentare la società stessa". E' la linea riveduta e corretta impressa alla multinazionale dall'ex prefetto di Milano: patti chiari e amicizia lunga. Con tutti. Per "abbassare i toni e essere meno conflittuali".
(05 agosto 2012)
http://bari.repubblica.it/cronaca/2012/ ... ef=HREC2-2
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Un sistema di potere impressionante messo in piedi dal dirigente del siderurgico, Girolamo Archinà. E non è finita. La Finanza spulcia nove mesi di intercettazioni. Ferrante lo licenzia
dal nostro inviato LELLO PARISE
TARANTO - La "repubblica indipendente dell'Ilva" tutto vedeva e a tutti provvedeva. Dagli uomini politici ai sindacalisti, dagli alti prelati ai giornalisti. Tremano gli operai, perché i magistrati sequestrano l'area "a caldo" del più grande centro siderurgico d'Europa. Ma adesso trema anche tutta Taranto, perché dalle carte di un'altra inchiesta penale tuttora coperta dal segreto istruttorio potrebbe saltare fuori l'immagine di una città più o meno compromessa col re dell'acciaio, Emilio Riva. L'indagine la coordina il pm Remo Epifani, che chiede sei mesi di proroga. Il reato è quello di corruzione in atti giudiziari.
Si tratta della stessa indagine da cui il procuratore Franco Sebastio e il sostituto Mariano Buccoliero stralciano tra le dieci e le quindici intercettazioni per dimostrare che gli otto indagati accusati di disastro ambientale devono rimanere ai domiciliari perché potrebbero continuare, se fossero in libertà, a inquinare le prove. Ma ci sono altre decine di telefonate ascoltate dagli investigatori della Finanza e tuttora riservate, che raccontano della capacità di Ilva di tessere una impareggiabile rete di rapporti, ma pure dell'insistenza di chi dall'Ilva reclama piaceri, favori, un occhio di riguardo o solo un'attenzione particolare. Uomini politici che favorirebbero assunzioni, sindacalisti o ex sindacalisti che non disdegnerebbero promozioni aziendali o l'assegnazione di premi di produzione, preti altolocati che porgerebbero l'altra guancia se riuscissero a ottenere il contributo richiesto, cronisti disposti a diventare malleabili.
Nei documenti nascosti di un processo destinato a prendere forma, si materializza lo spaccato di una comunità ostaggio nel bene come nel male dei "padroni delle ferriere". Tutto ruoterebbe attorno alla figura di Girolamo Archinà, da ieri ex responsabile delle relazioni istituzionali di Ilva nel capoluogo ionico. Era, perfino inevitabilmente, arruolato per chiacchierare con tutti. Ma non per questo autorizzato ad alzare la voce, come fa invece col direttore generale dell'Arpa, il professor Giorgio Assennato: protesta dopo l'uscita di un dossier dell'agenzia per l'ambiente che "a suo dire porterebbe alla chiusura dello stabilimento" annotano le fiamme gialle.
La conversazione telefonica risale al 21 giugno del 2010. Dodici giorni prima, un avvocato dell'Ilva, Francesco Perli, spiegava a Fabio Riva che la visita della commissione istruttoria l'autorizzazione ambientale integrata "va un po' pilotata" e che la pignoleria di Assennato "è dettata da ambizioni politiche". Tutto parte proprio dall'eclettico Archinà, filmato mentre consegna all'ombra di una stazione di servizio di Acquaviva delle Fonti una busta bianca al professore universitario Lorenzo Liberti. Non un professore qualsiasi, ma il consulente della procura ingaggiato per mettere a nudo presunti giochi di prestigio dell'Ilva lungo il fronte della tutela ambientale. Lo sospettano tuttavia di avere intascato denaro per 10mila euro.
Comincia così questa storia, tenuta insieme dalle maledette-benedette intercettazioni andate avanti per nove mesi, nel 2010. Due anni più tardi Bruno Ferrante, nuovo presidente di Ilva, taglia la testa al toro: "La società ha da oggi (ieri, ndr) interrotto ogni rapporto di lavoro con il signor Girolamo Archinà che pertanto in alcun modo e in nessuna sede può rappresentare la società stessa". E' la linea riveduta e corretta impressa alla multinazionale dall'ex prefetto di Milano: patti chiari e amicizia lunga. Con tutti. Per "abbassare i toni e essere meno conflittuali".
(05 agosto 2012)
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Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
Ricordiamo chi è veramente il Signor Prodi
RICORDIAMO SINTETICAMENTE CHI E’ ROMANO PRODI
il ‘RESUSCITATO’ LEADER DEL ‘RESUSCITATO’ ULIVO
La ‘complicità’ (lo affermerà la stessa Magistratura) tra Romano Prodi e Carlo De Benedetti inizia nel luglio 1982, quando Prodi viene nominato presidente dell'IRI, il più grande ente economico dello Stato, in casa del suo storico compare Carlo De Benedetti (proprietario del gruppo Repubblica ed Espresso e di altre 30 riviste/quotidiani/settimanali/mensili in tutta Italia), nel caso di Repubblica addirittura De Benedetti ne è l'unico editorialista, quindi gli articoli se li scrive lui stesso (ci immaginiamo l’obiettività).
L'attività di Prodi dal 1982 al 2007 è stata concentrata principalmente in un solo unico compito:
Svendere (o regalare) tutti gli enti pubblici dello Stato al suo alleato Carlo De Benedetti a un prezzo irrisorio con bandi truccati.
De Benedetti, dal canto suo, si è poi puntualmente affrettato a rivendere immediatamente tali società al loro reale valore di mercato (di solito 20 volte il loro prezzo d'acquisto) a gruppi stranieri (o addirittura allo Stato stesso, che li ricomprava a prezzi folli), realizzando guadagni incalcolabili a danno degli italiani.
Prodi, per 7 anni guidò l’ IRI dello Stato, concedendo tra l'altro incarichi miliardari alla sua società di consulenza "Nomisma", con un evidente conflitto di interessi.
Al termine di questi 7 anni il patrimonio dell’ IRI risultò dimezzato per la cessione di importanti gruppi quali Alfa Romeo e FIAT, dalla quale prese grosse somme di denaro in tangenti per la Nomisma, passando da 3.959 a 2.102 miliardi. La Ford aveva offerto 2.000 miliardi in contanti per l'Alfa Romeo, ma Prodi la regalò alla FIAT per soli 1000 miliardi a rate. Egli nel frattempo lottizzò ben 170 nomine dei quali ben 93 diessini.
Le privatizzazioni dell'IRI fatte da Romano Prodi sono state delle vere e proprie svendite del patrimonio economico italiano a gruppi privati della Sinistra (De Benedetti, Coop Rosse) complici del professore, anche se "svendere" un ente pubblico a un decimo del suo valore quando ci sono altri gruppi privati che offrono il doppio, più che una "svendita" è un regalo, o per essere ancora più precisi è una serie incredibile di furti colossali a danno dello Stato e degli italiani perpetrata impunemente per anni.
Giocando sulle parole e sull’interpretazione dello statuto dell’Ente, Romano Prodi vantò utili inverosimili (12 miliardi e 400 milioni nel 1985). La Corte dei Conti, magistratura di sorveglianza, portò alla luce l'enorme falso in bilancio di Prodi: «Il complessivo risultato di gestione dell’Istituto IRI per il 1985, cui concorrono... sia il saldo del conto profitti e perdite sia gli utili e le perdite di natura patrimoniale, corrisponde a una perdita di 980,2 miliardi, che si raffronta a quella di 2.737 miliardi consuntivata nel 1984». La Corte, inoltre, segnalava che le perdite nette nel 1985 erano assommate a 1.203 miliardi contro i 2.347 miliardi del 1984.
Romano Prodi, davanti alle folle dei suoi fan (si sa, l’Italia non scarseggia in quanto a coglioni) tutt’oggi si vanta tantissimo che durante i suoi 7 anni alla presidenza dell' IRI riuscì a far guadagnare utili stratosferici. La verità, come chiarito dalla Corte dei Conti, è che invece di utili stratosferici realizzo perdite stratosferiche, regalando il patrimonio dello Stato e degli Italiani ai suoi amici della Sinistra.
Prodi uscì indenne dai processi perché le aziende erano S.P.A. di diritto privato e quindi i dirigenti non erano qualificati come pubblici ufficiali. Mani Pulite cambierà anche questo, per cui le società controllate da enti pubblici sarebbero state considerate tutte operanti nell'interesse pubblico, con le relative conseguenze per gli amministratori.
La conferma di tutto questo si trova nell’indebitamento dell’Istituto, salito dal 1982 al 1989 da 7.349 a 20.873 miliardi (+184 per cento), e quello del gruppo IRI da 34.948 a 45.672 (+30 per cento). Perdite stratosferiche appunto.
Lo stesso D’Alema, intervistato da Biagi in televisione, affermò che Romano Prodi, da lui scelto per guidare la coalizione contro Berlusconi, era un «uomo competente» perché quando lasciò l’IRI nel 1989 il bilancio dava un «più 981 miliardi». Fu facile confutare queste affermazioni, facendogli notare che la cifra reale, tenendo contro delle perdite siderurgiche transitate soltanto nel conto patrimoniale, era di «meno» 2.416 miliardi. Il buco reale non fu mai contestato dai diretti interessati.
La vera abilità di Romano Prodi è sempre stata di riuscire a prendere soldi dallo Stato a costo zero. La conferma ci viene da un articolo di Paolo Cirino Pomicino, nel quale rileva che dei 28.500 miliardi erogati dallo Stato a titolo di fondo di dotazione dalla data di nascita dell’IRI, Romano Prodi ne ottenne ben 17.500!
Nel 1986, Romano Prodi, con un contrattino di appena 4 paginette (anziché centinaia come normalmente si fa) a trattativa privata, svendette il più grande gruppo alimentare dello Stato, la SME, alla Buitoni del suo amicone Carlo De Benedetti per soli 393 miliardi. La SME, già nelle casse aveva più di 600 miliardi di denaro liquido, ma il suo valore globale era di 3.100 miliardi. A Prodi e De Benedetti fu dato torto in primo grado, in Corte d'appello e in Cassazione da ben 15 magistrati, all'unanimità. Il magistrato Saverio Borrelli del pool Mani Pulite di Milano, 6 anni dopo, incriminerà invece penalmente Silvio Berlusconi, per aver impedito (insieme a Ferrero e Barilla con una pubblica offerta d'acquisto enormemente superiore rispetto a quella di De Benedetti) l'ennesima svendita di Romano Prodi: la SME (un regalo di 3100 miliardi dello Stato) a Carlo De Benedetti, nonostante a questi due compari fosse stato dato torto in tutti e 3 i gradi di giudizio dal Tribunale di Roma e dal TAR del Lazio e nonostante Berlusconi e gli altri imprenditori non ci avessero guadagnato alla fine nulla.
Come presidente dell'IRI, svendette anche la Italgel alla Unilever, essendo contemporaneamente consulente di quest'ultima, nonostante quindi un conflitto di interessi evidente.
Se l'IRI era, come in realtà era, un covo di corruzione senza limiti sarebbe stata giusto arrestare e processare Prodi, che la presiedette per 7 anni e non solo chi (Nobile) lo fece per soli 17 mesi.
Durante Tangentopoli, Di Pietro stava per arrestare Prodi, ma lui se ne andò dritto a piangere (nel vero senso della parola) da Mancuso e dal presidente della Repubblica Scalfaro, il quale, come presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, riuscì a non farlo incriminare. Tutto in un giorno.
Durante il suo Governo nel 1996 regalò 5.000 miliardi alla Fiat per fare una rottamazione.
Durante i fallimenti Parmalat e Cirio, Prodi difese i banchieri che truffarono i risparmiatori e loro ricambiarono il favore con i loro giornali schierati.
I PM dovrebbero usare lo stesso metro, lo stesso zelo sia con Fiorani che con Consorte; o, almeno, sullo stesso Fiorani credergli sempre o mai. Anche quando dice, e Boni conferma, d'aver dato 750 mila euro Palenzona (Margherita), che sono 15 volte di più di quanto dato (e rifiutato) dal leghista Giorgetti. Anche se il Corriere su Giorgetti ha fatto un titolo 15 volte più vistoso di quello per Palenzona.
http://www.riscossacristiana.it/index.p ... ima-pagina
...........................................
Con l'ilva mi è venuto in mente tutte le aziende statali vendute.
Alla fine ci troviamo il 2 debito piu grande del mondo.
Ora ripartiranno le svendite caserme eccc.......Chi controllerà veramente se l'affare lo fa lo stato o altri?
Ciao
Paolo11
RICORDIAMO SINTETICAMENTE CHI E’ ROMANO PRODI
il ‘RESUSCITATO’ LEADER DEL ‘RESUSCITATO’ ULIVO
La ‘complicità’ (lo affermerà la stessa Magistratura) tra Romano Prodi e Carlo De Benedetti inizia nel luglio 1982, quando Prodi viene nominato presidente dell'IRI, il più grande ente economico dello Stato, in casa del suo storico compare Carlo De Benedetti (proprietario del gruppo Repubblica ed Espresso e di altre 30 riviste/quotidiani/settimanali/mensili in tutta Italia), nel caso di Repubblica addirittura De Benedetti ne è l'unico editorialista, quindi gli articoli se li scrive lui stesso (ci immaginiamo l’obiettività).
L'attività di Prodi dal 1982 al 2007 è stata concentrata principalmente in un solo unico compito:
Svendere (o regalare) tutti gli enti pubblici dello Stato al suo alleato Carlo De Benedetti a un prezzo irrisorio con bandi truccati.
De Benedetti, dal canto suo, si è poi puntualmente affrettato a rivendere immediatamente tali società al loro reale valore di mercato (di solito 20 volte il loro prezzo d'acquisto) a gruppi stranieri (o addirittura allo Stato stesso, che li ricomprava a prezzi folli), realizzando guadagni incalcolabili a danno degli italiani.
Prodi, per 7 anni guidò l’ IRI dello Stato, concedendo tra l'altro incarichi miliardari alla sua società di consulenza "Nomisma", con un evidente conflitto di interessi.
Al termine di questi 7 anni il patrimonio dell’ IRI risultò dimezzato per la cessione di importanti gruppi quali Alfa Romeo e FIAT, dalla quale prese grosse somme di denaro in tangenti per la Nomisma, passando da 3.959 a 2.102 miliardi. La Ford aveva offerto 2.000 miliardi in contanti per l'Alfa Romeo, ma Prodi la regalò alla FIAT per soli 1000 miliardi a rate. Egli nel frattempo lottizzò ben 170 nomine dei quali ben 93 diessini.
Le privatizzazioni dell'IRI fatte da Romano Prodi sono state delle vere e proprie svendite del patrimonio economico italiano a gruppi privati della Sinistra (De Benedetti, Coop Rosse) complici del professore, anche se "svendere" un ente pubblico a un decimo del suo valore quando ci sono altri gruppi privati che offrono il doppio, più che una "svendita" è un regalo, o per essere ancora più precisi è una serie incredibile di furti colossali a danno dello Stato e degli italiani perpetrata impunemente per anni.
Giocando sulle parole e sull’interpretazione dello statuto dell’Ente, Romano Prodi vantò utili inverosimili (12 miliardi e 400 milioni nel 1985). La Corte dei Conti, magistratura di sorveglianza, portò alla luce l'enorme falso in bilancio di Prodi: «Il complessivo risultato di gestione dell’Istituto IRI per il 1985, cui concorrono... sia il saldo del conto profitti e perdite sia gli utili e le perdite di natura patrimoniale, corrisponde a una perdita di 980,2 miliardi, che si raffronta a quella di 2.737 miliardi consuntivata nel 1984». La Corte, inoltre, segnalava che le perdite nette nel 1985 erano assommate a 1.203 miliardi contro i 2.347 miliardi del 1984.
Romano Prodi, davanti alle folle dei suoi fan (si sa, l’Italia non scarseggia in quanto a coglioni) tutt’oggi si vanta tantissimo che durante i suoi 7 anni alla presidenza dell' IRI riuscì a far guadagnare utili stratosferici. La verità, come chiarito dalla Corte dei Conti, è che invece di utili stratosferici realizzo perdite stratosferiche, regalando il patrimonio dello Stato e degli Italiani ai suoi amici della Sinistra.
Prodi uscì indenne dai processi perché le aziende erano S.P.A. di diritto privato e quindi i dirigenti non erano qualificati come pubblici ufficiali. Mani Pulite cambierà anche questo, per cui le società controllate da enti pubblici sarebbero state considerate tutte operanti nell'interesse pubblico, con le relative conseguenze per gli amministratori.
La conferma di tutto questo si trova nell’indebitamento dell’Istituto, salito dal 1982 al 1989 da 7.349 a 20.873 miliardi (+184 per cento), e quello del gruppo IRI da 34.948 a 45.672 (+30 per cento). Perdite stratosferiche appunto.
Lo stesso D’Alema, intervistato da Biagi in televisione, affermò che Romano Prodi, da lui scelto per guidare la coalizione contro Berlusconi, era un «uomo competente» perché quando lasciò l’IRI nel 1989 il bilancio dava un «più 981 miliardi». Fu facile confutare queste affermazioni, facendogli notare che la cifra reale, tenendo contro delle perdite siderurgiche transitate soltanto nel conto patrimoniale, era di «meno» 2.416 miliardi. Il buco reale non fu mai contestato dai diretti interessati.
La vera abilità di Romano Prodi è sempre stata di riuscire a prendere soldi dallo Stato a costo zero. La conferma ci viene da un articolo di Paolo Cirino Pomicino, nel quale rileva che dei 28.500 miliardi erogati dallo Stato a titolo di fondo di dotazione dalla data di nascita dell’IRI, Romano Prodi ne ottenne ben 17.500!
Nel 1986, Romano Prodi, con un contrattino di appena 4 paginette (anziché centinaia come normalmente si fa) a trattativa privata, svendette il più grande gruppo alimentare dello Stato, la SME, alla Buitoni del suo amicone Carlo De Benedetti per soli 393 miliardi. La SME, già nelle casse aveva più di 600 miliardi di denaro liquido, ma il suo valore globale era di 3.100 miliardi. A Prodi e De Benedetti fu dato torto in primo grado, in Corte d'appello e in Cassazione da ben 15 magistrati, all'unanimità. Il magistrato Saverio Borrelli del pool Mani Pulite di Milano, 6 anni dopo, incriminerà invece penalmente Silvio Berlusconi, per aver impedito (insieme a Ferrero e Barilla con una pubblica offerta d'acquisto enormemente superiore rispetto a quella di De Benedetti) l'ennesima svendita di Romano Prodi: la SME (un regalo di 3100 miliardi dello Stato) a Carlo De Benedetti, nonostante a questi due compari fosse stato dato torto in tutti e 3 i gradi di giudizio dal Tribunale di Roma e dal TAR del Lazio e nonostante Berlusconi e gli altri imprenditori non ci avessero guadagnato alla fine nulla.
Come presidente dell'IRI, svendette anche la Italgel alla Unilever, essendo contemporaneamente consulente di quest'ultima, nonostante quindi un conflitto di interessi evidente.
Se l'IRI era, come in realtà era, un covo di corruzione senza limiti sarebbe stata giusto arrestare e processare Prodi, che la presiedette per 7 anni e non solo chi (Nobile) lo fece per soli 17 mesi.
Durante Tangentopoli, Di Pietro stava per arrestare Prodi, ma lui se ne andò dritto a piangere (nel vero senso della parola) da Mancuso e dal presidente della Repubblica Scalfaro, il quale, come presidente del Consiglio Superiore della Magistratura, riuscì a non farlo incriminare. Tutto in un giorno.
Durante il suo Governo nel 1996 regalò 5.000 miliardi alla Fiat per fare una rottamazione.
Durante i fallimenti Parmalat e Cirio, Prodi difese i banchieri che truffarono i risparmiatori e loro ricambiarono il favore con i loro giornali schierati.
I PM dovrebbero usare lo stesso metro, lo stesso zelo sia con Fiorani che con Consorte; o, almeno, sullo stesso Fiorani credergli sempre o mai. Anche quando dice, e Boni conferma, d'aver dato 750 mila euro Palenzona (Margherita), che sono 15 volte di più di quanto dato (e rifiutato) dal leghista Giorgetti. Anche se il Corriere su Giorgetti ha fatto un titolo 15 volte più vistoso di quello per Palenzona.
http://www.riscossacristiana.it/index.p ... ima-pagina
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Con l'ilva mi è venuto in mente tutte le aziende statali vendute.
Alla fine ci troviamo il 2 debito piu grande del mondo.
Ora ripartiranno le svendite caserme eccc.......Chi controllerà veramente se l'affare lo fa lo stato o altri?
Ciao
Paolo11
Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
Non vedo a cosa serva gettare un po' di fango su Romano Prodi, se non ad alzare polveroni nel momento in cui la magistratura sta tentando di scoperchiare connivenze e corruzione di questi anni.
Quanto poi alla fonte, per qualificarla basta dare un'occhiata all'appello promosso dallo stesso sito.
http://www.culturacattolica.it/detail.a ... =0&id=7809
Quanto poi alla fonte, per qualificarla basta dare un'occhiata all'appello promosso dallo stesso sito.
http://www.culturacattolica.it/detail.a ... =0&id=7809
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Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
Quello che ha attratto la mia attenzione è questa frase :
…. in casa del suo storico compare Carlo De Benedetti (proprietario del gruppo Repubblica ed Espresso e di altre 30 riviste/quotidiani/settimanali/mensili in tutta Italia), nel caso di Repubblica addirittura De Benedetti ne è l'unico editorialista, quindi gli articoli se li scrive lui stesso (ci immaginiamo l’obiettività).
Perché era già comparsa pari pari su un quotidiano della destra al tempo del secondo governo Prodi.
Questa è una clamorosa bufala, un classico dell’estrema destra che non ha nessuna remora a raccontare il falso.
Carlo De Benedetti non ha mai fatto nulla di simile.
Anche se sono un lettore della prima ora di Repubblica, perché Giorgio Bocca aveva traslocato da Il Giorno, quando va fuori binario gliel’ho sempre fatto notare come in questo caso della difesa ad oltranza di Napolitano. La Repubblica si sta comportando come la vecchia Pravda dei tempi di Breznev e questo l’ho notificato al quotidiano attraverso una mail al Direttore, al vice Direttore, alla Redazione.
Questo genere di informazioni partigiane non mi piacciono affatto perché sospendono di fatto la democrazia, riportandoci nell’informazione di regime.
Come nulla osta a denunciare la palese violazione di Repubblica, altrettanto non mi piacciono le informazioni partigiane atte solo a creare discredito verso il nemico solo nel mero tentativo di infangare.
Non mi permetterei di farlo neppure nei confronti di Berlusconi, da sempre un avversario inaffidabile sotto tutti i punti di vista.
Le accuse sono sostenibili quando sono fondate.
E’ per questo che ritengo inaffidabile il punto di vista di Riscossa cristiana nei confronti di De Bebedetti.
La destra estrema, spesso molto cattolica, ama creare il nemico da combattere. Un modo come un altro per tenere unite le truppe.
In questo caso è Romano Prodi, suo nemico da sempre.
La politica e la religione si nutrono di queste cose.
Non a caso, il nemico storico di Romano Prodi, Francesco Cossiga, è l’artefice della caduta del primo governo Prodi.
Bertinotti è solo l’incidente. Non si porta dalla sera alla mattina un partito di destra come l’Udeur di Mastella a sinistra, a cui guarda caso si era iscritto da poco anche Francesco Cossiga. Lo stesso Cossiga che abbandonerà qualche mese dopo l'Udeur a missione compiuta, dopo aver insediato D’Alema, ed evitato un Prodi bis.
In quel momento Prodi infastidiva i poteri forti come Confindustria e il Vaticano SpA. Doveva essere eliminato a tutti i costi.
Nell’articolo si sente forte l’avversione per tutto quello che è di sinistra.
Romano Prodi, davanti alle folle dei suoi fan (si sa, l’Italia non scarseggia in quanto a coglioni)
Questa è gente che in fatto di coglioneria non è seconda a nessuno, perché per diciott’anni ha appoggi agiato Silvio Berlusconi.
…. in casa del suo storico compare Carlo De Benedetti (proprietario del gruppo Repubblica ed Espresso e di altre 30 riviste/quotidiani/settimanali/mensili in tutta Italia), nel caso di Repubblica addirittura De Benedetti ne è l'unico editorialista, quindi gli articoli se li scrive lui stesso (ci immaginiamo l’obiettività).
Perché era già comparsa pari pari su un quotidiano della destra al tempo del secondo governo Prodi.
Questa è una clamorosa bufala, un classico dell’estrema destra che non ha nessuna remora a raccontare il falso.
Carlo De Benedetti non ha mai fatto nulla di simile.
Anche se sono un lettore della prima ora di Repubblica, perché Giorgio Bocca aveva traslocato da Il Giorno, quando va fuori binario gliel’ho sempre fatto notare come in questo caso della difesa ad oltranza di Napolitano. La Repubblica si sta comportando come la vecchia Pravda dei tempi di Breznev e questo l’ho notificato al quotidiano attraverso una mail al Direttore, al vice Direttore, alla Redazione.
Questo genere di informazioni partigiane non mi piacciono affatto perché sospendono di fatto la democrazia, riportandoci nell’informazione di regime.
Come nulla osta a denunciare la palese violazione di Repubblica, altrettanto non mi piacciono le informazioni partigiane atte solo a creare discredito verso il nemico solo nel mero tentativo di infangare.
Non mi permetterei di farlo neppure nei confronti di Berlusconi, da sempre un avversario inaffidabile sotto tutti i punti di vista.
Le accuse sono sostenibili quando sono fondate.
E’ per questo che ritengo inaffidabile il punto di vista di Riscossa cristiana nei confronti di De Bebedetti.
La destra estrema, spesso molto cattolica, ama creare il nemico da combattere. Un modo come un altro per tenere unite le truppe.
In questo caso è Romano Prodi, suo nemico da sempre.
La politica e la religione si nutrono di queste cose.
Non a caso, il nemico storico di Romano Prodi, Francesco Cossiga, è l’artefice della caduta del primo governo Prodi.
Bertinotti è solo l’incidente. Non si porta dalla sera alla mattina un partito di destra come l’Udeur di Mastella a sinistra, a cui guarda caso si era iscritto da poco anche Francesco Cossiga. Lo stesso Cossiga che abbandonerà qualche mese dopo l'Udeur a missione compiuta, dopo aver insediato D’Alema, ed evitato un Prodi bis.
In quel momento Prodi infastidiva i poteri forti come Confindustria e il Vaticano SpA. Doveva essere eliminato a tutti i costi.
Nell’articolo si sente forte l’avversione per tutto quello che è di sinistra.
Romano Prodi, davanti alle folle dei suoi fan (si sa, l’Italia non scarseggia in quanto a coglioni)
Questa è gente che in fatto di coglioneria non è seconda a nessuno, perché per diciott’anni ha appoggi agiato Silvio Berlusconi.
Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
è appena andato in onda sul tg 3 un filmato fatto col telefonino di un dipendente dell'ilva di taranto al quale era stato chiesto di sversare nella fogna le acque di raffreddamento di un impianto, altamente tossiche....
alla facciazza di sinistra ECOLOGIA e libertà che governa la puglia.
ma è possibile che in italia la magistratura deve sempre mettere pezze sulla "non politica" ? di fatto sostituendola ?
alla facciazza di sinistra ECOLOGIA e libertà che governa la puglia.
ma è possibile che in italia la magistratura deve sempre mettere pezze sulla "non politica" ? di fatto sostituendola ?
Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
Io continuo a ritenere chee la cosa migliore sarebbe di chiudere questo mostro.
Ottenere un congruo risarcimento dall'azienda ed investire il denaro che comunque sarà sperperato per un'impresa impossibile (quella di conciliare produzione e salute) innanzitutto nel sostegno alle famiglie, in una grande riconversione produttiva della zona, l'istituzione di un porto-franco, incentivi alle forze locali (mai più soldi alle imprese del nord) per l'avvio di nuove attività.
"Non farei mai crescere mio nipote lì." Viva la sincerità del min. Clini. Quanto alla coerenza...
Sei in: Il Fatto Quotidiano > Ambiente & Veleni > Ilva di Taranto...
Ilva di Taranto, Clini: “Non farei mai crescere mio nipote lì. Serve svolta”
Il ministro dell'Ambiente intervistato dal Fatto: "Teoricamente la tecnologia permette di abbattere le polveri, ma non è semplice. Sull'impianto servono misure urgenti da parte dell'impresa, che in passato ha sbagliato e ora ha un atteggiamento conflittuale"
di Giorgio Meletti | 8 agosto 2012Commenti (1)
Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini
Più informazioni su: Autorizzazione integrata ambientale, benzopirene, Corrado Clini, Girolamo Archinà, ilva, ilva di taranto, ministro dell'ambiente, taranto.
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10
Lei farebbe crescere un suo nipotino nel quartiere Tamburi di Taranto? “Sicuramente no. E non ci prenderei mai casa”. L’intervista al ministro dell’Ambiente Corrado Clini potrebbe finire qui. “Non ho altre domande”, avrebbe detto Perry Mason. Ma la vicenda dell’Ilva di Taranto è troppo drammatica per essere risolta con una sentenza.
Dunque, anche ipotizzando l’adozione delle migliori tecnologie disponibili, non è pensabile che la gente continui a vivere lì?
Teoricamente la possibilità di minimizzare la polverosità diffusa fino a rendere abitabile il quartiere Tamburi c’è, ma in pratica non è semplice.
L’Ilva dice di essere in regola con i limiti sulle emissioni. Lei è d’accordo?
L’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), data all’Ilva nel 2011, dice che l’azienda deve fare molti interventi. Ci sono 462 prescrizioni, quindi l’Ilva non si può dire in regola.
Ma sulle questioni più delicate (cokeria, sinterizzazione) l’azienda dichiara che è già tutto fatto.
Questo è uno dei temi di contenzioso. C’è un problema irrisolto: le emissioni non convogliate, cioè le polveri che devono essere ridotte con misure gestionali. È uno dei temi critici, su cui Ilva dovrà investire.
Lei ha chiesto la revisione dell’Aia e l’Ilva ha fatto ricorso al Tar.
Sì, è andata così. Quando è uscito l’aggiornamento europeo delle migliori tecnologie disponibili ho chiesto di lavorarci, anche se c’erano quattro anni di tempo. Per questo hanno reagito.
L’atteggiamento delle industrie è sempre quello di prendere tempo, come se le norme anti-inquinamento fossero una forma di sadismo anti-industriale. E il governo dà loro ragione.
Non è il mio caso. L’8 marzo è stata pubblicata la decisione europea sulle nuove tecnologie e il 12 marzo ho chiesto di riaprire la procedura Aia dell’Ilva: quattro giorni, quando potevo aspettare quattro anni.
Però quando è stato deciso il sequestro la reazione è stata del tipo “questi magistrati esagerano sempre”. Non si è sentito un esponente del governo dire che Riva, condannato già due volte per lo stesso reato, ha tirato un po’ troppo la corda.
Veramente io lo penso, eccome! La situazione ambientale di Taranto richiede una strategia di risanamento urgente. E le prescrizioni dell’Aia 2011 non bastano. Pur avendo chiaro il contesto della concorrenza, ho chiesto a Ilva di adeguare gli impianti.
Il segnale prevalente che viene dal governo è che gli interessi generali sono stati messi in pericolo dall’intervento dei pm. Non crede che, di tutto questo, ne stiamo parlando solo grazie all’intervento della magistratura?
L’intervento della magistratura ha accelerato tutto, certo. Ma la procedura di Aia è stata aperta nel 2008, dunque è da allora che stiamo lavorando sulla riqualificazione del centro siderurgico. Ritengo sbagliato che ci si sia messo tanto tempo. I tempi della legge sono 300 giorni e vanno rispettati. Quattro anni e mezzo vuol dire che c’è stata una lunghissima trattativa, e questo non va bene.
Ma non è la stessa via concertativa che lei oggi rivendica?
Sì, ma io gli ho dato una settimana di tempo. L’Ilva ha smesso di protestare perché sa che non ha alternative. Non può più ridurre i costi risparmiando sull’ambiente , non può, è un reato.
Ma finora l’ha fatto?
Su questo non ho un giudizio. So quello che deve fare ora.
Il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante dice che aspetta finanziamenti dal governo.
È previsto dalle norme europee, ma solo per fondi europei su interventi innovativi, cioè non per stare nei termini di legge, ma per raggiungere standard più avanzati.
L’ordinanza di custodia cautelare dice che l’obbligo di tenere bagnati i materiali del parco geominerario veniva violato per risparmiare. Poi si contrappone il pensiero industrialista razionale al presunto irrazionalismo selvaggio degli ambientalisti. Non le sembra che i cittadini di Taranto abbiano diritto di sentirsi dire dal governo che il selvaggio forse è Riva?
I fatti sono quelli che dice lei, ed è un’altra delle azioni sbagliate di Ilva. Quello che mi ha colpito molto della vicenda è l’atteggiamento conflittuale. Non esiste in Europa un’industria che possa agire in conflitto con il suo territorio. Ho detto perciò a Ferrante: possiamo cominciare a parlare se la smettete con questo approccio.
Riva evidentemente ritiene che il rispetto dell’ambiente comporti un costo voluttuario che metterebbe l’Ilva fuori mercato. E lei spesso sembra condividere l’idea.
Non è così. Non ho detto questo quando è uscita la direttiva europea sui nuovi standard anti-inquinamento. Io mi batto per un’industria più moderna, più pulita. La politica ambientale dev’essere il driver delle politiche industriali, se vanno in contrapposizione perdono le politiche industriali.
Ma come può progettare il futuro la più grande acciaieria d’Europa, proprietà personale di un signore di 86 anni, arrestato dopo due condanne per inquinamento?
Il segnale è la nomina di Ferrante. Speriamo che questo aiuti l’Ilva ad assumere una dimensione europea.
C’è anche l’abitudine dell’Ilva di fare pressioni varie sulle autorità di controllo. Dalle intercettazioni viene fuori il nome del vostro dirigente Dario Ticali.
C’è anche l’intercettazione su di me, dove l’ex capo delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà dice ‘Clini è uomo nostro’. Ho preso atto che Ferrante ha licenziato Archinà, e questo è positivo. Ho chiesto al direttore generale competente di riferirmi se sono state rilevate pressioni dell’Ilva su Ticali o su altri.
Nell’estate del 2010 il suo predecessore Stefania Prestigiacomo ha abolito i limiti per il benzo(a)pirene. Così l’Ilva può buttarne fuori quanto ne vuole tanto è sempre in regola. Come è potuto accadere?
Non ha abolito il tetto, ha rinviato l’entrata in vigore del limite al 31 dicembre 2012. Il perché lo abbia fatto non lo so. Ho chiesto di conoscere l’istruttoria che ha portato alla decisione. Io non l’avrei fatto. Spero che la decisione sia nata da una seria struttura tecnica di ragionamento.
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/08/ ... to/203229/
Ottenere un congruo risarcimento dall'azienda ed investire il denaro che comunque sarà sperperato per un'impresa impossibile (quella di conciliare produzione e salute) innanzitutto nel sostegno alle famiglie, in una grande riconversione produttiva della zona, l'istituzione di un porto-franco, incentivi alle forze locali (mai più soldi alle imprese del nord) per l'avvio di nuove attività.
"Non farei mai crescere mio nipote lì." Viva la sincerità del min. Clini. Quanto alla coerenza...
Sei in: Il Fatto Quotidiano > Ambiente & Veleni > Ilva di Taranto...
Ilva di Taranto, Clini: “Non farei mai crescere mio nipote lì. Serve svolta”
Il ministro dell'Ambiente intervistato dal Fatto: "Teoricamente la tecnologia permette di abbattere le polveri, ma non è semplice. Sull'impianto servono misure urgenti da parte dell'impresa, che in passato ha sbagliato e ora ha un atteggiamento conflittuale"
di Giorgio Meletti | 8 agosto 2012Commenti (1)
Il ministro dell'Ambiente Corrado Clini
Più informazioni su: Autorizzazione integrata ambientale, benzopirene, Corrado Clini, Girolamo Archinà, ilva, ilva di taranto, ministro dell'ambiente, taranto.
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10
Lei farebbe crescere un suo nipotino nel quartiere Tamburi di Taranto? “Sicuramente no. E non ci prenderei mai casa”. L’intervista al ministro dell’Ambiente Corrado Clini potrebbe finire qui. “Non ho altre domande”, avrebbe detto Perry Mason. Ma la vicenda dell’Ilva di Taranto è troppo drammatica per essere risolta con una sentenza.
Dunque, anche ipotizzando l’adozione delle migliori tecnologie disponibili, non è pensabile che la gente continui a vivere lì?
Teoricamente la possibilità di minimizzare la polverosità diffusa fino a rendere abitabile il quartiere Tamburi c’è, ma in pratica non è semplice.
L’Ilva dice di essere in regola con i limiti sulle emissioni. Lei è d’accordo?
L’Autorizzazione integrata ambientale (Aia), data all’Ilva nel 2011, dice che l’azienda deve fare molti interventi. Ci sono 462 prescrizioni, quindi l’Ilva non si può dire in regola.
Ma sulle questioni più delicate (cokeria, sinterizzazione) l’azienda dichiara che è già tutto fatto.
Questo è uno dei temi di contenzioso. C’è un problema irrisolto: le emissioni non convogliate, cioè le polveri che devono essere ridotte con misure gestionali. È uno dei temi critici, su cui Ilva dovrà investire.
Lei ha chiesto la revisione dell’Aia e l’Ilva ha fatto ricorso al Tar.
Sì, è andata così. Quando è uscito l’aggiornamento europeo delle migliori tecnologie disponibili ho chiesto di lavorarci, anche se c’erano quattro anni di tempo. Per questo hanno reagito.
L’atteggiamento delle industrie è sempre quello di prendere tempo, come se le norme anti-inquinamento fossero una forma di sadismo anti-industriale. E il governo dà loro ragione.
Non è il mio caso. L’8 marzo è stata pubblicata la decisione europea sulle nuove tecnologie e il 12 marzo ho chiesto di riaprire la procedura Aia dell’Ilva: quattro giorni, quando potevo aspettare quattro anni.
Però quando è stato deciso il sequestro la reazione è stata del tipo “questi magistrati esagerano sempre”. Non si è sentito un esponente del governo dire che Riva, condannato già due volte per lo stesso reato, ha tirato un po’ troppo la corda.
Veramente io lo penso, eccome! La situazione ambientale di Taranto richiede una strategia di risanamento urgente. E le prescrizioni dell’Aia 2011 non bastano. Pur avendo chiaro il contesto della concorrenza, ho chiesto a Ilva di adeguare gli impianti.
Il segnale prevalente che viene dal governo è che gli interessi generali sono stati messi in pericolo dall’intervento dei pm. Non crede che, di tutto questo, ne stiamo parlando solo grazie all’intervento della magistratura?
L’intervento della magistratura ha accelerato tutto, certo. Ma la procedura di Aia è stata aperta nel 2008, dunque è da allora che stiamo lavorando sulla riqualificazione del centro siderurgico. Ritengo sbagliato che ci si sia messo tanto tempo. I tempi della legge sono 300 giorni e vanno rispettati. Quattro anni e mezzo vuol dire che c’è stata una lunghissima trattativa, e questo non va bene.
Ma non è la stessa via concertativa che lei oggi rivendica?
Sì, ma io gli ho dato una settimana di tempo. L’Ilva ha smesso di protestare perché sa che non ha alternative. Non può più ridurre i costi risparmiando sull’ambiente , non può, è un reato.
Ma finora l’ha fatto?
Su questo non ho un giudizio. So quello che deve fare ora.
Il presidente dell’Ilva Bruno Ferrante dice che aspetta finanziamenti dal governo.
È previsto dalle norme europee, ma solo per fondi europei su interventi innovativi, cioè non per stare nei termini di legge, ma per raggiungere standard più avanzati.
L’ordinanza di custodia cautelare dice che l’obbligo di tenere bagnati i materiali del parco geominerario veniva violato per risparmiare. Poi si contrappone il pensiero industrialista razionale al presunto irrazionalismo selvaggio degli ambientalisti. Non le sembra che i cittadini di Taranto abbiano diritto di sentirsi dire dal governo che il selvaggio forse è Riva?
I fatti sono quelli che dice lei, ed è un’altra delle azioni sbagliate di Ilva. Quello che mi ha colpito molto della vicenda è l’atteggiamento conflittuale. Non esiste in Europa un’industria che possa agire in conflitto con il suo territorio. Ho detto perciò a Ferrante: possiamo cominciare a parlare se la smettete con questo approccio.
Riva evidentemente ritiene che il rispetto dell’ambiente comporti un costo voluttuario che metterebbe l’Ilva fuori mercato. E lei spesso sembra condividere l’idea.
Non è così. Non ho detto questo quando è uscita la direttiva europea sui nuovi standard anti-inquinamento. Io mi batto per un’industria più moderna, più pulita. La politica ambientale dev’essere il driver delle politiche industriali, se vanno in contrapposizione perdono le politiche industriali.
Ma come può progettare il futuro la più grande acciaieria d’Europa, proprietà personale di un signore di 86 anni, arrestato dopo due condanne per inquinamento?
Il segnale è la nomina di Ferrante. Speriamo che questo aiuti l’Ilva ad assumere una dimensione europea.
C’è anche l’abitudine dell’Ilva di fare pressioni varie sulle autorità di controllo. Dalle intercettazioni viene fuori il nome del vostro dirigente Dario Ticali.
C’è anche l’intercettazione su di me, dove l’ex capo delle relazioni istituzionali Girolamo Archinà dice ‘Clini è uomo nostro’. Ho preso atto che Ferrante ha licenziato Archinà, e questo è positivo. Ho chiesto al direttore generale competente di riferirmi se sono state rilevate pressioni dell’Ilva su Ticali o su altri.
Nell’estate del 2010 il suo predecessore Stefania Prestigiacomo ha abolito i limiti per il benzo(a)pirene. Così l’Ilva può buttarne fuori quanto ne vuole tanto è sempre in regola. Come è potuto accadere?
Non ha abolito il tetto, ha rinviato l’entrata in vigore del limite al 31 dicembre 2012. Il perché lo abbia fatto non lo so. Ho chiesto di conoscere l’istruttoria che ha portato alla decisione. Io non l’avrei fatto. Spero che la decisione sia nata da una seria struttura tecnica di ragionamento.
http://tv.ilfattoquotidiano.it/2012/08/ ... to/203229/
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Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
ILVA di Taranto: il sequestro dopo 20 anni di inerzia.
Dopo il recentissimo sequestro dello stabilimento dell’ILVA di Taranto non si ricada nell’errore di separare la questione ambientale dalla questione occupazionale,
pensando che le soluzioni possano essere disgiunte,
ricorda il WWF Italia e si stringa un patto di ferro che da una parte diminuisca l’inquinamento e parallelamente porti avanti la riconversione industriale.
La magistratura,
venti anni dopo l’inizio del caso,
con il sequestro ha attuato un atto dovuto dopo lunghissime indagini e perizie.
Certamente tutto ciò doveva arrivare ben prima, visto che l’area industriale dell’ILVA è stata dichiarata prima sito a alto rischio ambientale e poi sito di bonifica di interesse nazionale senza che,
prima di tutto la proprietà,
avviasse un processo di risanamento e riconversione industriale.
Il ricatto occupazionale per troppi anni ha avuto la meglio sull’impatto ambientale che è ricaduto sulla città.
Come richiesto dal WWF in precedenza, meglio sarebbe stato se l’autorizzazione unica ambientale rilasciata congiuntamente da molti enti,
tra cui il Ministero dell’Ambiente e la Regione Puglia,
fosse stata data chiedendo in via preventiva interventi di riduzione degli impatti.
Oggi la strada si fa più difficile e inevitabilmente occorre oggi garantire l’aspetto sociale e quindi l’occupazione purchè si abbia l’assoluta certezza che sin da subito si pongano in essere procedure e misure per diminuire emissioni e carichi inquinanti,
purchè si riprenda con forza il tema della riconversione dello stabilimento che in assenza di alternative ha purtroppo il destino segnato nell’ambito di un mercato globale.
Su queste vicende sempre alta è stata l’attenzione del WWF,
che aveva depositato un ricorso avverso l’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata dal Ministero dell’Ambiente a favore dello stabilimento tarantino,
ritenendolo carente degli strumenti burocratici, tecnici e tecnologici idonei a garantire l’ambiente e quindi la salute dei cittadini.
Nel pieno rispetto dei principi di precauzione, integrazione ambientale e dell’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, il WWF ha sempre richiesto un concreto abbattimento delle emissioni prodotte dalle cokerie tarantine, un campionamento continuo e “a monte” della produzione di diossina,
nonché ulteriori, più incisive, prescrizioni a tutela della salubrità ambientale della città di Taranto e della regione tutta.
Recentemente il WWF si è costituito parte offesa al processo per all'inquinamento generato dagli impianti ILVA,
incaricando l'avvocato Francesco Di Lauro per la difesa legale.
http://www.wwf.it/client/ricerca.aspx?r ... &content=1
Dopo il recentissimo sequestro dello stabilimento dell’ILVA di Taranto non si ricada nell’errore di separare la questione ambientale dalla questione occupazionale,
pensando che le soluzioni possano essere disgiunte,
ricorda il WWF Italia e si stringa un patto di ferro che da una parte diminuisca l’inquinamento e parallelamente porti avanti la riconversione industriale.
La magistratura,
venti anni dopo l’inizio del caso,
con il sequestro ha attuato un atto dovuto dopo lunghissime indagini e perizie.
Certamente tutto ciò doveva arrivare ben prima, visto che l’area industriale dell’ILVA è stata dichiarata prima sito a alto rischio ambientale e poi sito di bonifica di interesse nazionale senza che,
prima di tutto la proprietà,
avviasse un processo di risanamento e riconversione industriale.
Il ricatto occupazionale per troppi anni ha avuto la meglio sull’impatto ambientale che è ricaduto sulla città.
Come richiesto dal WWF in precedenza, meglio sarebbe stato se l’autorizzazione unica ambientale rilasciata congiuntamente da molti enti,
tra cui il Ministero dell’Ambiente e la Regione Puglia,
fosse stata data chiedendo in via preventiva interventi di riduzione degli impatti.
Oggi la strada si fa più difficile e inevitabilmente occorre oggi garantire l’aspetto sociale e quindi l’occupazione purchè si abbia l’assoluta certezza che sin da subito si pongano in essere procedure e misure per diminuire emissioni e carichi inquinanti,
purchè si riprenda con forza il tema della riconversione dello stabilimento che in assenza di alternative ha purtroppo il destino segnato nell’ambito di un mercato globale.
Su queste vicende sempre alta è stata l’attenzione del WWF,
che aveva depositato un ricorso avverso l’Autorizzazione Integrata Ambientale rilasciata dal Ministero dell’Ambiente a favore dello stabilimento tarantino,
ritenendolo carente degli strumenti burocratici, tecnici e tecnologici idonei a garantire l’ambiente e quindi la salute dei cittadini.
Nel pieno rispetto dei principi di precauzione, integrazione ambientale e dell’utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, il WWF ha sempre richiesto un concreto abbattimento delle emissioni prodotte dalle cokerie tarantine, un campionamento continuo e “a monte” della produzione di diossina,
nonché ulteriori, più incisive, prescrizioni a tutela della salubrità ambientale della città di Taranto e della regione tutta.
Recentemente il WWF si è costituito parte offesa al processo per all'inquinamento generato dagli impianti ILVA,
incaricando l'avvocato Francesco Di Lauro per la difesa legale.
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Re: Il dilemma: ambiente/salute o lavoro?
evidentemente l'esperienza di casale Monferrato,
dove migliaia di persone,
pur non avendo mai lavorato un giorno all'interno dell'Eternit,
si sono ammalate e sono morte di mesotelioma pleurico,
non è servita a nulla...
così come non servirà a nulla l'esperienza di migliaia di padani che sono morti e moriranno di tumore ai polmoni a causa della merda che respirano,
pur non avendo neanche mai fumato un toscano...
dove migliaia di persone,
pur non avendo mai lavorato un giorno all'interno dell'Eternit,
si sono ammalate e sono morte di mesotelioma pleurico,
non è servita a nulla...
così come non servirà a nulla l'esperienza di migliaia di padani che sono morti e moriranno di tumore ai polmoni a causa della merda che respirano,
pur non avendo neanche mai fumato un toscano...
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