Kiev brucia, è guerra civile
(NICOLA LOMBARDOZZI).
21/02/2014 di triskel182
Massacro in Ucraina, cento morti. Obama e Merkel: fermatevi.
Le strade invase dai cadaveri. La Ue accusa Yanukovich, la replica di Mosca: non siamo lo zerbino dell’Occidente.
KIEV - GLI spari non li senti, vedi solo un ragazzo che crolla a terra e si dimena tenendosi una gamba; e una donna, un po’ più avanti, che cade a faccia in giù e resta immobile proprio sotto a quella bandierina europea che brucia lentamente. E poi tutti gli altri che ti indicano un palazzone.
QUELLO che incombe dalla collina sulla fortezza assediata della Majdan. Sul tetto, sdraiati tra i tralicci che reggono l’insegna dell’hotel Ucraina, si distinguono nettamente agenti di polizia con tanto di cappuccio nero che fanno roteare sulla folla le canne dei loro fucili di precisione.
Prendono la mira, poi si fermano. Forse rispondono a cecchini ribelli che, si dice, avrebbero sparato sui poliziotti qualche ora fa. Ma il disastro è evidente. C’è pure un agente in piedi con un kalashnikov. Sta sparando anche lui, forse in aria, ma questo si capirà solo più tardi facendo la conta dei morti e dei feriti. Uccisi due giornalisti ucraini, una decina di poliziotti, tantissimi militanti. Qualcuno parla di almeno cento vittime, e probabilmente non esagera, ma è una contabilità che ha sempre meno senso in questa atmosfera fatta di paura, rabbia e preparativi frenetici per l’ultimo assalto. Né servono da consolazione le interminabili trattative del Presidente Yanukovich con i tre ministri europei che non riescono a convincerlo alle dimissioni, ma strappano solo la promessa di anticipare di qualche mese le elezioni già previste nel 2015.
Al centro del viale Kreshatik, di fronte a un caffè elegante e a una boutique di moda con surreali cartelli “chiuso per rivoluzione”, c’è un capannello di una cinquantina di persone che prega. Ai loro piedi otto cadaveri allineati l’uno accanto all’altro. Esposti alla pietà di chi passa da lì e ha abbastanza sangue freddo per fermarsi sotto il tiro dei cecchini. Sono adagiati su un letto funebre fatto di coperte da campo e vecchi sacchi a pelo a fiori da campeggio. Un ragazzo biondo di una ventina d’anni, jeans e maglione, ha un solo buco di proiettile ma proprio al cuore. Un altro, che molti riconoscono come il capo di una banda musicale di un paese qua vicino, ha un giubbotto antiproiettile sforacchiato e un sorriso stralunato. Nessuno gli ha chiuso gli occhi che restano sbarrati a fissare il cielo denso di fumo. A dieci metri di distanza, ragazzi in mimetica sfornano una zuppa calda dalla loro rudimentale cucina da campo ma l’odore dominante resta l’olezzo che viene da quattro latrine pubbliche utilizzate per mesi da troppa gente.
Tutt’attorno al cuore di Kiev circondato dalla polizia, è pieno di altre camere ardenti da strada come questa. L’effetto è angosciante ma sta cambiando ancora una volta la composizione della protesta. La gente bene, i piccolo borghesi che avevano lasciato il colore e la festa di quella che era una manifestazione pacifica per l’Europa, spaventati dalle intemperanze e dalla violenza delle frange paramilitari di estrema destra, è tornata. Almeno in parte. Terrorizzati dai comunicati della polizia che invita tutti a restare in casa, molti cittadini di Kiev stanno lasciando la città, intasando le pompe di benzina, creando ingorghi da week end di festa in autostrada pur di trovare scampo dall’altra parte del Dniepr. Ma molti hanno deciso invece di andare a dar man forte a “quelli della Majdan” proprio ora, nelle ore di maggior
pericolo. La spiegazione te la dà Ivan, pensionato delle Poste che guarda i cadaveri allineati e non trattiene le lacrime: «Non credevo di essere governato da una banda di assassini. Da oggi ci sono anch’io e loro hanno un nemico in più». In sintesi, sono le stesse parole del sindaco di Kiev che ieri si è clamorosamente dimesso dal partito di Yanukovich dicendo: «Nessun potere vale un bagno di sangue».
Il resto lo vedi lungo il viale con i nuovi aiuti arrivati in soccorso dei manifestanti di professione. Una donna sulla cinquantina, che indossa un piumino firmato con collo di pelliccia, prova a dare una mano ai giovani picconatori che stanno smattonando un chilometro quadrato di pavimento stradale per farne munizioni contro la polizia. Chiede scusa: «Non sono pratica ». Maneggia i mattoni con difficoltà, qualcuno le cade e lei si dispera. La consola una vecchietta in tuta da ginnastica che sembra più pratica di lavori pesanti e la ringrazia con un bacio sulla guancia.
Nuova della piazza è anche Maryssja che non avrà quarant’anni e porta stivali con il tacco troppo alto. Chiede a tutti se hanno visto sua figlia: «E’ qui da tre mesi. Aveva ragione lei. Non sono una madre preoccupata. Sono venuta anch’io a combattere contro questi macellai ».
E i “macellai” sono sempre più nervosi. Qualche agente comincerebbe ad avere paura ad essere tentato di passare dall’altra parte. Molti lo hanno fatto già nelle provincie occidentali, quelle dove la rivolta sta dilagando in tutte le città sfruttando un antico sentimento antirusso e i tanti interessi commerciali con l’Europa. Nella città di Uzhgorod addirittura il capo della polizia e quello delle truppe speciali, i Berkut, si è fatto riprendere mentre consegnava le armi ai ribelli e giurava fedeltà al popolo.
Altri sono invece carichi di rabbia a loro volta per le provocazioni dei neonazisti che negli ultimi giorni hanno messo a segno violenze, sparato con revolver e fucili da caccia sugli agenti, rintracciato alcuni di loro fin nei dormitori della polizia per picchiarli a morte.
E abbiamo visto i super attrezzati militanti di “Pravyj Sektor”, il gruppo di destra più organizzato militarmente, scortare un gruppo di giovanotti spauriti con indosso i resti di una divisa, verso una destinazione segreta. Forse uno dei tanti palazzi pubblici occupati. «Non li uccideremo — dicono con aria indulgente — Sono giovani mandati contro di noi. Li convinceremo a stare dalla parte giusta». Secondo la polizia sarebbero almeno 60 gli agenti catturati. L’operazione per liberarli e per spazzare via la protesta dalla Majdan viene minacciata da un momento all’altro. Yanukovich continua a prendere tempo. Sa di essere bruciato politicamente e forse anche di aver perduto il rispetto di Mosca. Il suo finanziatore principe, l’oligarca russofono Akhmetov, noto al mondo come presidente dello Shaktar calcio di Donetsk, se ne sarebbe andato prudentemente a Londra, lasciandolo solo. Promette concessioni, rassicura la Ue ma non convince più nessuno. Per la piazza ormai è “l’assassino”. Se provocazioni ci sono state hanno raggiunto l’obiettivo, la rivolta continua fino all’ultimo
scontro.
Da La Repubblica del 21/02/2014.