E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
Mentre la politica invece no, la parola definitiva non la dice mai, non si accorge mai di nulla, continua a nominare gli Incalza e incalza solo i magistrati: il problema non è la corruzione che ha devastato e devasta il paese, ma chi la combatte, non le cricche ma la responsabilità civile delle toghe.
E via così, fino al prossimo scandalo
iafran
Io parto sempre da questo principio.
L’Islam sostiene che:
Nell'islam, il concetto di 72 vergini (houri) si riferisce ad un aspetto del Jannah (Paradiso). Questo concetto si trova nel testo del Corano che descrive un paradiso sensuale dove gli uomini credenti sono premiati avendo in sposa[1] le vergini con dei seni "cresciuti", "gonfi" o "a forma di pera".[2][3] Al contrario, le donne avranno un solo uomo, e "saranno soddisfatte con lui".[4]
Dei teologi musulmani molto famosi, per esempio Gibril Haddad, hanno commentato la natura erotica del paradiso coranico, affermando che alcuni uomini potrebbero aver bisogno dei ghusl (abluzioni richieste dopo un incontro sessuale) solo per aver sentito certi versi.[
http://wikiislam.net/wiki/Le_72_vergini
Un Paradiso sensuale di questo tipo, può essere concepito solo da tribù primitive.
^
Allo stesso modo non mi convince il cristianesimo sul senso della vita, e sul destino futuro dell’uomo dopo la morte.
Mi risulta difficile alle religioni attuali.
^
In media, la vita di un uomo si è alzata ad 80 anni.
E questi ottant’anni a disposizione di tutti, perché per alcuni questo periodo deve trascorrere come un paradiso in terra, mentre per altri si tratta solo dell’inferno?
Queste leggi sono sempre gli uomini a metterle in atto.
Perché allora gli italiani non capiscono che dipende da loro scegliere l’inferno oppure no?
Perché quando votano, votano sempre le stesse canaglie?
Perché accettano tranquillamente la corruzione?
A cosa è servito Mani pulite, se siamo di nuovo d’accapo?
E via così, fino al prossimo scandalo
iafran
Io parto sempre da questo principio.
L’Islam sostiene che:
Nell'islam, il concetto di 72 vergini (houri) si riferisce ad un aspetto del Jannah (Paradiso). Questo concetto si trova nel testo del Corano che descrive un paradiso sensuale dove gli uomini credenti sono premiati avendo in sposa[1] le vergini con dei seni "cresciuti", "gonfi" o "a forma di pera".[2][3] Al contrario, le donne avranno un solo uomo, e "saranno soddisfatte con lui".[4]
Dei teologi musulmani molto famosi, per esempio Gibril Haddad, hanno commentato la natura erotica del paradiso coranico, affermando che alcuni uomini potrebbero aver bisogno dei ghusl (abluzioni richieste dopo un incontro sessuale) solo per aver sentito certi versi.[
http://wikiislam.net/wiki/Le_72_vergini
Un Paradiso sensuale di questo tipo, può essere concepito solo da tribù primitive.
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Allo stesso modo non mi convince il cristianesimo sul senso della vita, e sul destino futuro dell’uomo dopo la morte.
Mi risulta difficile alle religioni attuali.
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In media, la vita di un uomo si è alzata ad 80 anni.
E questi ottant’anni a disposizione di tutti, perché per alcuni questo periodo deve trascorrere come un paradiso in terra, mentre per altri si tratta solo dell’inferno?
Queste leggi sono sempre gli uomini a metterle in atto.
Perché allora gli italiani non capiscono che dipende da loro scegliere l’inferno oppure no?
Perché quando votano, votano sempre le stesse canaglie?
Perché accettano tranquillamente la corruzione?
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
Podemos, viaggio nella sinistra spagnola che fa sognare l'Italia
Oltre sinistra e destra, ma con le radici nella prima. Senza ideologie, ma con i sondaggi a gonfie vele. Così il partito di Pablo Iglesias fa sognare molti anche qui. Ecco come ha fatto. E cosa ci può insegnare
DI ALESSANDRO GILIOLI
16 marzo 2015
Se in Italia si parla molto di sinistra senza che nessuno sia capace di farla, in Spagna invece hanno fatto la sinistra senza che a nessuno sia mai venuto in mente di dirlo. Podemos, il partito che i sondaggi danno tra il primo e il secondo posto, rifiuta infatti questa definizione: e non per un vezzo mediatico, ma - sostengono loro - «per un cambio di paradigma postideologico», per una lettura della realtà lontana dai vecchi blocchi sociali. A qualcuno può sembrare un’edizione locale del Movimento 5 Stelle: e come vedremo non mancano elementi in comune. Ma le cose sono un po’ meno semplici e anche più interessanti, per la Spagna così come per l’Europa.
UN PERCORSO DI OLTRE UN DECENNIO
Calle de la Torrecilla Real, nel centro di Madrid. Qui fino al febbraio scorso aveva sede una libreria “alternativa”, La Marabunta. Oggi le saracinesche coperte di murales sono chiuse, ma una targa gialla sul muro ricorda un evento già storico: «Aqui nació Podemos». Già: è qui che è cominciato tutto, nel gennaio del 2014, con gli incontri di un gruppo di docenti dell’università Complutense di Madrid e alcuni leader dei movimenti che avevano portato in piazza centinaia di migliaia di persone nel maggio del 2011, dando vita al fenomeno degli Indignados.
Podemos, quindi, è un bambino di poco più di un anno, che però oggi ha il 23-25 per cento: sopra i socialisti, testa a testa con i popolari. Un’esplosione, dunque: il partito è talmente giovane che fino a pochi giorni fa l’unica sua sede era un ex negozio di frutta secca a calle Zurita, trenta metri quadri a pochi passi dalla Marabunta; solo quest’anno ha iniziato a traslocare in un grande ufficio di Calle de la Princesa, con finestre sulla Plaza de España
Nel cuore di Podemos
Il boom di questi mesi tuttavia ha alle spalle un lungo percorso che affonda le sue radici in tanti fattori sia esterni sia interni all’opposizione spagnola. Quelli esterni riguardano il bipartitismo che ha governato dalla fine del franchismo in poi e che Podemos chiama appunto “il regime del ’78” (quando fu approvata la Costituzione). Negli ultimi 37 anni, popolari e socialisti si sono alternati al potere garantendo in una prima fase stabilità, democrazia e benessere, ma anche costituendo sul lungo termine - secondo Podemos - un establishment di potere corrotto. Con l’esplosione della crisi, la protesta che ne è derivata si è quindi rivolta indistintamente contro entrambi i partiti “del ’78”. Questi peraltro ci hanno messo del loro per apparire un’unica cosa, rispondendo alla recessione con le stesse ricette: le riforme varate prima dai socialisti poi dai popolari sono state tutte ispirate ad austerità, precarizzazione, privatizzazioni, tagli alla sanità e alla scuola, diminuzione dei salari. Anche il pareggio di bilancio in Costituzione, introdotto nel 2011, è stato votato insieme da Psoe e Pp.
È in questo contesto che nasce l’opposizione al bipartitismo (parola ricorrente nel dibattito politico spagnolo, un po’ come da noi “larghe intese”). Il suo cuore è l’università Complutense di Madrid, un campus di cemento alla periferia nord della città dove ai tempi di Franco erano state confinate le facoltà di scienze sociali, economiche e umaniste: il dittatore voleva tenere sotto controllo quelli che già allora erano considerati possibili focolai di rivolta. Mezzo secolo dopo, la concentrazione di studenti di sociologia e politica in un unico compound di edifici ha ottenuto l’effetto opposto. Ancora oggi, i corridoi della Complutense offrono una colorata rappresentazione del fermento movimentista: ovunque striscioni, manifesti e murales con i volti degli studenti uccisi durante il franchismo; appena fuori, nelle giornate di sole, ragazzi seduti a cerchio sull’erba a discutere di politica.
In una piccola stanza al piano terra della Complutense nel 2006 si forma così un collettivo chiamato Contrapoder. Tra i suoi fondatori c’è Pablo Iglesias, classe 1978: proveniente da una famiglia anti franchista, è attivo nel movimento no-global dei primi anni Duemila; dopo la laurea in Giurisprudenza, resta alla Complutense per un secondo corso di studi in Scienze politiche, facendo anche un Erasmus a Bologna. In Italia viene in contatto con il mondo dei centri sociali e dei Disobbedienti, che costituirà poi il materiale della sua tesi di dottorato incentrata sul confronto fra i movimenti antagonisti spagnoli e italiani.
Attorno a Contrapoder, e più in generale alla Complutense, si forma tutto il futuro gruppo dirigente di Podemos: studenti di sociologia, economia e scienze politiche che si legano alle esperienze dei Forum sociali. Tra loro, oltre a Iglesias, ci sono Íñigo Errejón, oggi 32 anni; Juan Carlos Monedero, il più anziano del gruppo (è del 1963), docente di Scienze politiche; Carolina Bescansa, professoressa di Metodologia; e Luis Alegre, classe 1977, ricercatore di Filosofia sempre alla Complutense: tutti ora tra i vertici di Podemos.
Juan Carlos Monedero, fondatore e ideologo
In altre parole, al cosiddetto “movimento 15-M” (quello esploso appunto il 15 maggio 2011, contro la crisi economica e l’austerity) si arriva dopo un periodo di analisi basate sul tentativo di dare una nuova lettura alle trasformazioni sociali avvenute con la globalizzazione in Spagna e nel mondo; si tratta tuttavia di elaborazioni non rinchiuse nell’ambito intellettuale ma intrecciate con la militanza attiva nelle reti sociali che in quegli anni si vanno organizzando tra i più giovani.
Lo stesso Iglesias accompagna la sua attività di docenza all’attivismo politico e mediatico: collabora al quotidiano della nuova sinistra “Público” e scrive su siti Web di vario tipo; soprattutto, dal 2010 inizia a condurre “La Tuerka”, un talk show di interviste che viaggia sia attraverso tivù minori sia sulla Rete. È così che Iglesias si scopre efficacissimo comunicatore, dotato di eloquio rapido e argomentato. Quando scoppia il movimento del 2011 trasferisce questo talento sulla Plaza del Sol occupata dagli Indignados; subito dopo, proprio come “opinionista del 15-M”, diventa ospite fisso nel talk show di un’emittente molto più ascoltata, La Sexta, sicché la sua notorietà tracima dai media alternativi a quelli mainstream; insomma parla al grande pubblico che non ha mai fatto politica, disoccupati, casalinghe, precari, pensionati. Intanto, mantiene l’appuntamento fisso con La Tuerka, dove i suoi fan si moltiplicano proprio grazie alla presenza su La Sexta. Avviene quindi un rimpallo tra vecchi e nuovi media che ancora oggi Podemos teorizza e pratica, considerandolo fondamentale per la riconquista di quell’egemonia culturale teorizzata da Gramsci, uno dei maggiori riferimenti culturali del partito.
È chiacchierando con alcuni dirigenti di Podemos negli uffici di Calle de la Princesa che si possono ricostruire le dinamiche che hanno portato dalla piazza degli Indignati alla nascita e all’esplosione del partito. Spiega Jorge Lago, sociologo e tra i fondatori, molto vicino a Iglesias: «La crisi è stata il detonatore che ha svelato un problema strutturale della democrazia spagnola: il modo in cui in questo Paese agiva il potere politico ed economico non incontrava più il consenso della maggioranza. La diffusione della corruzione, l’esistenza di una élite di privilegiati, il sequestro della sovranità da parte di poteri extranazionali come il Fmi e la Bce: tutto questo nel 2011 ha prodotto il movimento degli Indignati e ha portato anche l’80 per cento della popolazione a condividerne le proteste, come rivelavano i sondaggi. Però poi nelle elezioni generali che si sono tenute solo pochi mesi dopo il Pp ha vinto le elezioni: nella società c’era stato quindi un divorzio tra il sentire comune e la rappresentanza politica. Ne derivava uno spazio potenziale nuovo da occupare, fuori dal vecchio schema centrosinistra-centrodestra. Ma c’era bisogno di una traduzione organizzativa».
È così che Pablo Iglesias e i suoi compagni iniziano a pensare a questa “traduzione” della protesta in un partito. Racconta Carolina Bescansa, una dei cinque intellettuali-attivisti che hanno costituito il nucleo originario di Podemos: «Quando Pablo e Luis Alegre mi hanno chiamato, io ero tra i meno ottimisti. Tutti i manuali di scienza politica spiegano che per dare vita a un partito oggi c’è bisogno prima di tutto di soldi, di cui noi non disponevamo. Confrontandoci in quelle settimane, alla Marabunta, mi sono però convinta che in assenza di un capitale economico potevamo far leva su un capitale mediatico: e quello invece lo possedevamo, grazie alla popolarità televisiva di Iglesias. Allora ci siamo detti: proviamo».
Utilizzando i suoi palcoscenici sui media, Iglesias lancia quindi la sfida, con un appello per la costruzione di un nuovo partito in vista delle europee: l’obiettivo delle 50 mila firme da raccogliere on line viene superato in meno di 48 ore. E nei giorni successivi le adesioni diventano una marea: «Il Paese era pronto a un cambiamento», dice Bescansa. «Con il crowdfunding via Internet, abbiamo raccolto i fondi necessari per presentarci alle europee, circa 140 mila euro. Così è arrivato il nostro 8 per cento: un risultato che ha sorpreso tutti e ha acceso l’interesse dei mezzi di comunicazione verso di noi». Di nuovo, avviene un rimpallo tra vecchi e nuovi media: tg e talk show parlano di Podemos, così il sito e la pagina Facebook del partito di Iglesias decollano; si moltiplicano quindi anche le donazioni su PayPal e le casse del partito si riempiono. E il circolo virtuoso fa decollare i consensi nei sondaggi.
DESTRA E SINISTRA, ALTO E BASSO
Com’è avvenuto tutto questo? Uno dei leader e fondatori, Juan Carlos Monedero, risponde dicendo che «c’era bisogno di un catalizzatore» e questo è stato Podemos. «Noi avevamo tre elementi», aggiunge: «Il primo è il rapporto con le persone creato negli anni, percorrendo la Spagna, lavorando nei movimenti, presentando libri, quindi creando un’alleanza sociale con la cittadinanza non rappresentata e arrabbiata; secondo, la notorietà mediatica di Pablo Iglesias, un giovane che parla in modo diverso e sa mettersi in sintonia con ampie fasce del Paese; terzo, la nostra formazione culturale che ci mette in grado di fare una diagnosi corretta della situazione sociale, della necessità di un reincontro al di sopra delle ideologie».
E qui riappare la questione di Podemos “né di destra né di sinistra”, sempre sottolineata dai suoi dirigenti e attivisti: «È un binomio ormai ingannevole», dice Monedero: «Oggi serve solo a consolidare due partiti molto simili tra loro e a obbligare gli altri a situarsi agli estremi. Noi invece non vogliamo stare agli estremi, anzi ci appelliamo all’idea della centralità. Che non è “il centro” politico: questo, come spiegava Norberto Bobbio, si caratterizza infatti per l’assenza del conflitto, mentre noi vogliamo occupare la centralità sociale impostata proprio sul conflitto. Quello della grande maggioranza della cittadinanza contro i pochi privilegiati dell’economia e della politica: ecco perché alla diade “sinistra contro destra” contrapponiamo quella di “basso contro alto”».
In questo senso, di nuovo, c’è il recupero dell’insegnamento gramsciano sull’egemonia culturale, come spiega Monedero: «Veniamo da quasi mezzo secolo di egemonia neoliberista con cui è stato cambiato il nostro modo di pensare; ci hanno convinti che l’unica società possibile è quella basata sull’egoismo e sulla competizione, ci hanno persuasi che il privato è meglio del pubblico, che esiste solo il modello di vita fondato sul desiderio di consumo. E la sinistra non è stata capace di costruire un modello antropologico diverso: così ha passato cinquant’anni sulla difensiva».
Anche per questo, continua Monedero, il terzo grande troncone a cui guarda Podemos, (accanto alle elaborazioni e alle lotte dei Forum sociali e a pensatori italiani come Gramsci, Spinelli, Pasolini e Bobbio), è costituito dalle esperienze nell’ultimo decennio in America latina, dalla Bolivia di Morales all’Ecuador di Correa. Più imbarazzante è il rapporto con il Venezuela: infatti sia Iglesias sia diversi suoi luogotenenti in passato hanno esaltato la “rivoluzione” del governo di Caracas, vista come risposta popolare alle imposizioni del Fmi. Sicché da quando quel Paese è entrato nella sua attuale gravissima crisi a cui Maduro non sembra in grado di dare alcuna risposta, i grandi media non fanno che parlare del Venezuela mentre i dirigenti di Podemos non lo nominano più neanche sotto tortura. Inoltre “El Mundo” ha accusato Monedero di avere ricevuto dal Venezuela un milione di euro, che poi si sono rilevati 425 mila fatturati ai governi di Bolivia, Nicaragua, Venezuela ed Ecuador per una consulenza sull’ipotesi di una moneta unica tra questi Paesi. Monedero avrebbe ottenuto una riduzione di imposte su questo compenso dichiarandolo attraverso una fondazione anziché come persona fisica: il tutto era legale, ma è stato occasione di un’aspra polemica che ha monopolizzato i titoli dei quotidiani e dei tg per settimane.
Dal punto di vista teorico, invece, in Spagna si parla molto dell’influenza su Podemos del filosofo argentino Ernesto Laclau e del suo libro “La ragione populista”, un tentativo di superamento del determinismo di Marx. «Ma non siamo un partito che si ispira al pensiero di uno solo, la nostra è più una playlist», dice Lago: «E soprattutto è una continua lettura della congiuntura e delle sue trasformazioni». Anche perché, aggiunge Bescansa, «i vecchi blocchi sociali si sono frantumati e non si può oggi pensare a un partito come espressione di una classe». In Podemos però l’interclassismo è inteso più esattamente come trasversalità, nel contesto di una contrapposizione tra la maggioranza dei non privilegiati e la minoranza dei privilegiati. Così anche in Spagna si usa molto la parola “casta”, ma con un significato un po’ diverso rispetto all’Italia: non s’intende tanto il ceto politico in sé, quanto il mix di politici, banchieri, grandi imprenditori e alti funzionari che detengono il controllo dell’economia, della ricchezza, dei media.
TRA PARTITO E MOVIMENTO
Intanto Podemos ha di fronte anche un’altra sfida in vista delle politiche: quella di strutturarsi al suo interno. «il nostro è un partito, ma pensato con una logica di movimento», dice Lago. Cioè tutto il potere decisionale appartiene agli iscritti e chiunque può iscriversi on line, anche se non svolge attivismo nei circoli. Gli stessi iscritti eleggono via web le cariche interne, con un segretario generale (Iglesias), un numero due e così via. Gli europarlamentari (finora unica rappresentanza istituzionale di Podemos) tengono per sé 2.000 euro al mese e ne versano altrettanti al partito; il resto viene devoluto a associazioni e collettivi che operano sui territori (per il diritto alla casa, per sostegno legale ai lavoratori licenziati etc). I circoli, che si riuniscono fisicamente, non hanno potere decisionale ma elaborano le proposte (di solito di carattere locale) che vengono poi condivise con gli iscritti, on line. Quasi nessun circolo ha a disposizione una sede, quindi le riunioni avvengono in luoghi pubblici. Il gruppo di Fuencarral, a nord della capitale, si ritrova ad esempio attorno ai tavoli di un bar, il “Tapas y copas”, il che ha come effetto collaterale il consumo di diverse birre; quello di Arganzuela, dal lato opposto della città, approfitta degli spazi del matadero, un ex mattatoio ristrutturato.
VERSO IL VOTO DI NOVEMBRE
È attraverso un sistema collaborativo, votato on line dagli iscritti, che si è arrivati al programma per le europee e ora si sta preparando quello per le politiche. Il percorso per il “documento finale” viaggia su un binario doppio: da un lato la consultazione e gli approfondimenti di studiosi ed esperti (da Joseph Stiglitz per l’economia a Hervé Falciani per il fisco, ad esempio), d’altro lato la produzione di proposte che vengono dai circoli e dagli iscritti, via Web. Tra i punti fermi, il sussidio universale per disoccupati, lo stop alle privatizzazioni, l’inversione del processo di precarizzazione, la revoca di alcuni accordi di libero scambio europeo, l’opposizione al trattato Ttip, l’ambiente, la riduzione dei super stipendi ai vertici dello Stato, incentivi alla piccola impresa e al trasporto pubblico.Prima delle politiche, peraltro, in Spagna sono previsti diversi altri appuntamenti elettorali locali, dalle regionali in Andalusia alle comunali e provinciali in quasi tutto il Paese. Per queste ultime Podemos ha deciso di non presentarsi con il proprio simbolo ma di attivare e sostenere liste civiche locali concordate con i movimenti. In generale, a livello locale Podemos è meno forte e organizzato in vista del voto.
Cinque stelle, affinità e differenze
Le somiglianze tra Podemos e Movimento 5 Stelle, lo si è visto, non mancano: la partecipazione dal basso, l’approccio postideologico, il superamento del dualismo destra-sinistra, l’ambientalismo, l’uso della Rete per scegliere i candidati, l’autoriduzione degli stipendi, la lotta contro la corruzione etc. Tuttavia, anche le differenze non mancano: «In Italia, il movimento di Grillo è stato molto positivo nella fase destitutiva del vecchio regime, ma si è rivelato insufficiente nella fase costitutiva», dice Monedero. «Questa esige un’approfondita diagnosi sociale, una lettura economica del passato recente e del presente: il che manca al M5S. E poi noi proveniamo dal troncone della emancipazione sociale spagnola e internazionale, loro no». Aggiunge Guillermo Zapata, uno dei leader del centro sociale Patio Maravilla, luogo di ritrovo di tutti i movimenti che ruotano attorno a Podemos: «Il 5 Stelle ha offerto una soluzione solo tecnica a una questione politica e sociale. Offre un protocollo - la partecipazione dal basso - ma non una risposta politica da metterci dentro. L’idea di aprire l’architettura del potere ai cittadini è giusta, tuttavia senza un proposta precisa e completa, resta vuota».
Ciò nonostante, le occasioni di collaborazione al Parlamento europeo non mancano: «Lavoro bene con alcuni di loro», dice l’eurodeputata Tania González, 32 anni, ex prof precaria di liceo, anche lei uscita dal collettivo Contrapoder, «e ci troviamo d’accordo su molte cose, specie economiche e ambientali». Tuttavia, aggiunge, «su altre invece siamo lontani, come l’immigrazione, che per noi è questione dirimente». Inoltre, dice González, Podemos non condivide l’euroscetticismo di Grillo e pensa anzi che l’Europa sia l’unica strada attraverso la quale possa passare il recupero della sovranità da parte dei cittadini. Il partito spagnolo, per inciso, non parla di uscire dall’euro, neanche per ipotesi. Ci sono poi differenze tra i due movimenti anche per quanto riguarda le prassi: ad esempio, per la certificazione delle sue consultazioni on line Podemos utilizza tre diverse società esterne, mentre in Italia il voto elettronico è gestito da Casaleggio. Il modello organizzativo di Podemos prevede inoltre l’elezione dei vertici del partito, cosa che il M5S esclude. E se è vero che anche Podemos fa un uso robusto della Rete come strumento di comunicazione, questo non viene visto come alternativo bensì del tutto complementare ai talk-show e alla tv in genere: anzi, è considerato essenziale esserci nei mezzi che entrano nelle case di quella fascia di popolazione non raggiunta dall’informazione Web. Infine, la questione delle alleanze a Podemos è vista diversamente rispetto al M5S: «Se non avremo la maggioranza assoluta dei seggi, per governare dovremo fare per forza qualche accordo con altre forze politiche», spiega Bescansa. L’importante, aggiunge, è che tutto avvenga alla luce del sole, che il grosso del programma di Podemos venga accettato e che ad accordo concluso questo sia sottoposto a un referendum tra gli iscritti.
«IN ITALIA È TROPPO TARDI»
«Il tratto distintivo della sinistra è sempre cercare ciò che la divide, mentre la centralità sociale si conquista solo cercando ciò che unisce, quindi mettendosi alle spalle le ortodossie ideologiche». Così Monedero spiega perché anche cercare un parallelo tra Podemos e la sinistra classica, compresa quella italiana, porterebbe fuori strada. Di Renzi non si parla neanche («è una creazione mediatica dell’establishment, maniche di camicie e linguaggio internettiano per nascondere il fatto che fa le politiche delle élite», dice di lui Bescansa) ma anche rispetto alla sinistra radicale italiana Podemos marca le differenze: «È rimasta ideologica e identitaria, quindi ha perso la connessione emotiva con i bisogni dei cittadini», sostiene sempre Bescansa.
A rendere lontana la prospettiva di un possibile Podemos italiano è Carlos Enrique Bayo Falcón, il direttore del sito di news “Público”, molto vicino al partito di Iglesias: è in una stanza della sua redazione, animata da ragazzi attaccati ai pc, che si registra La Tuerka, il programma Web condotto ancor oggi da Iglesias.«L’appuntamento con la storia voi l’avete avuto vent’anni fa, quando è crollata la Prima repubblica come da noi oggi sta precipitando il bipartitismo», dice Bayo Falcón. «Solo che in Italia la risposta è stata Berlusconi, con le sue tv: quindi ha vinto il populismo di destra. La nostra Tangentopoli è invece scoppiata nell’era di Internet, in un contesto di cittadinanza che si informa e si organizza autonomamente, senza farsi influenzare dai grandi media. Per questo gli spagnoli oggi hanno Podemos. Per voi, purtroppo, è troppo tardi».
Sono quindi gli stessi fondatori di Podemos a togliere l’illusione che si possa trasportare artificiosamente in Italia un’esperienza nata in un contesto diverso e con un suo percorso peculiare: «La strada non è mai quella di ripetere le esperienze di altri paesi», dice Iglesias. Del resto, già il tentativo di imitare Syriza non ha portato a risultati in termini di coalizione sociale e di consenso. Semmai ciò che l’esperienza spagnola può insegnare è un metodo, quello di cui parla Lago: la «lettura della congiuntura e delle sue trasformazioni a partire dalla realtà, senza determinismi». Forse è impossibile, in Italia. Ma, come ci ha detto Monedero in conclusione d’intervista, «la rivoluzione è proprio rendere possibile l’impossibile».
ha collaborato Carla Cremonte
http://espresso.repubblica.it/attualita ... =HEF_RULLO
Oltre sinistra e destra, ma con le radici nella prima. Senza ideologie, ma con i sondaggi a gonfie vele. Così il partito di Pablo Iglesias fa sognare molti anche qui. Ecco come ha fatto. E cosa ci può insegnare
DI ALESSANDRO GILIOLI
16 marzo 2015
Se in Italia si parla molto di sinistra senza che nessuno sia capace di farla, in Spagna invece hanno fatto la sinistra senza che a nessuno sia mai venuto in mente di dirlo. Podemos, il partito che i sondaggi danno tra il primo e il secondo posto, rifiuta infatti questa definizione: e non per un vezzo mediatico, ma - sostengono loro - «per un cambio di paradigma postideologico», per una lettura della realtà lontana dai vecchi blocchi sociali. A qualcuno può sembrare un’edizione locale del Movimento 5 Stelle: e come vedremo non mancano elementi in comune. Ma le cose sono un po’ meno semplici e anche più interessanti, per la Spagna così come per l’Europa.
UN PERCORSO DI OLTRE UN DECENNIO
Calle de la Torrecilla Real, nel centro di Madrid. Qui fino al febbraio scorso aveva sede una libreria “alternativa”, La Marabunta. Oggi le saracinesche coperte di murales sono chiuse, ma una targa gialla sul muro ricorda un evento già storico: «Aqui nació Podemos». Già: è qui che è cominciato tutto, nel gennaio del 2014, con gli incontri di un gruppo di docenti dell’università Complutense di Madrid e alcuni leader dei movimenti che avevano portato in piazza centinaia di migliaia di persone nel maggio del 2011, dando vita al fenomeno degli Indignados.
Podemos, quindi, è un bambino di poco più di un anno, che però oggi ha il 23-25 per cento: sopra i socialisti, testa a testa con i popolari. Un’esplosione, dunque: il partito è talmente giovane che fino a pochi giorni fa l’unica sua sede era un ex negozio di frutta secca a calle Zurita, trenta metri quadri a pochi passi dalla Marabunta; solo quest’anno ha iniziato a traslocare in un grande ufficio di Calle de la Princesa, con finestre sulla Plaza de España
Nel cuore di Podemos
Il boom di questi mesi tuttavia ha alle spalle un lungo percorso che affonda le sue radici in tanti fattori sia esterni sia interni all’opposizione spagnola. Quelli esterni riguardano il bipartitismo che ha governato dalla fine del franchismo in poi e che Podemos chiama appunto “il regime del ’78” (quando fu approvata la Costituzione). Negli ultimi 37 anni, popolari e socialisti si sono alternati al potere garantendo in una prima fase stabilità, democrazia e benessere, ma anche costituendo sul lungo termine - secondo Podemos - un establishment di potere corrotto. Con l’esplosione della crisi, la protesta che ne è derivata si è quindi rivolta indistintamente contro entrambi i partiti “del ’78”. Questi peraltro ci hanno messo del loro per apparire un’unica cosa, rispondendo alla recessione con le stesse ricette: le riforme varate prima dai socialisti poi dai popolari sono state tutte ispirate ad austerità, precarizzazione, privatizzazioni, tagli alla sanità e alla scuola, diminuzione dei salari. Anche il pareggio di bilancio in Costituzione, introdotto nel 2011, è stato votato insieme da Psoe e Pp.
È in questo contesto che nasce l’opposizione al bipartitismo (parola ricorrente nel dibattito politico spagnolo, un po’ come da noi “larghe intese”). Il suo cuore è l’università Complutense di Madrid, un campus di cemento alla periferia nord della città dove ai tempi di Franco erano state confinate le facoltà di scienze sociali, economiche e umaniste: il dittatore voleva tenere sotto controllo quelli che già allora erano considerati possibili focolai di rivolta. Mezzo secolo dopo, la concentrazione di studenti di sociologia e politica in un unico compound di edifici ha ottenuto l’effetto opposto. Ancora oggi, i corridoi della Complutense offrono una colorata rappresentazione del fermento movimentista: ovunque striscioni, manifesti e murales con i volti degli studenti uccisi durante il franchismo; appena fuori, nelle giornate di sole, ragazzi seduti a cerchio sull’erba a discutere di politica.
In una piccola stanza al piano terra della Complutense nel 2006 si forma così un collettivo chiamato Contrapoder. Tra i suoi fondatori c’è Pablo Iglesias, classe 1978: proveniente da una famiglia anti franchista, è attivo nel movimento no-global dei primi anni Duemila; dopo la laurea in Giurisprudenza, resta alla Complutense per un secondo corso di studi in Scienze politiche, facendo anche un Erasmus a Bologna. In Italia viene in contatto con il mondo dei centri sociali e dei Disobbedienti, che costituirà poi il materiale della sua tesi di dottorato incentrata sul confronto fra i movimenti antagonisti spagnoli e italiani.
Attorno a Contrapoder, e più in generale alla Complutense, si forma tutto il futuro gruppo dirigente di Podemos: studenti di sociologia, economia e scienze politiche che si legano alle esperienze dei Forum sociali. Tra loro, oltre a Iglesias, ci sono Íñigo Errejón, oggi 32 anni; Juan Carlos Monedero, il più anziano del gruppo (è del 1963), docente di Scienze politiche; Carolina Bescansa, professoressa di Metodologia; e Luis Alegre, classe 1977, ricercatore di Filosofia sempre alla Complutense: tutti ora tra i vertici di Podemos.
Juan Carlos Monedero, fondatore e ideologo
In altre parole, al cosiddetto “movimento 15-M” (quello esploso appunto il 15 maggio 2011, contro la crisi economica e l’austerity) si arriva dopo un periodo di analisi basate sul tentativo di dare una nuova lettura alle trasformazioni sociali avvenute con la globalizzazione in Spagna e nel mondo; si tratta tuttavia di elaborazioni non rinchiuse nell’ambito intellettuale ma intrecciate con la militanza attiva nelle reti sociali che in quegli anni si vanno organizzando tra i più giovani.
Lo stesso Iglesias accompagna la sua attività di docenza all’attivismo politico e mediatico: collabora al quotidiano della nuova sinistra “Público” e scrive su siti Web di vario tipo; soprattutto, dal 2010 inizia a condurre “La Tuerka”, un talk show di interviste che viaggia sia attraverso tivù minori sia sulla Rete. È così che Iglesias si scopre efficacissimo comunicatore, dotato di eloquio rapido e argomentato. Quando scoppia il movimento del 2011 trasferisce questo talento sulla Plaza del Sol occupata dagli Indignados; subito dopo, proprio come “opinionista del 15-M”, diventa ospite fisso nel talk show di un’emittente molto più ascoltata, La Sexta, sicché la sua notorietà tracima dai media alternativi a quelli mainstream; insomma parla al grande pubblico che non ha mai fatto politica, disoccupati, casalinghe, precari, pensionati. Intanto, mantiene l’appuntamento fisso con La Tuerka, dove i suoi fan si moltiplicano proprio grazie alla presenza su La Sexta. Avviene quindi un rimpallo tra vecchi e nuovi media che ancora oggi Podemos teorizza e pratica, considerandolo fondamentale per la riconquista di quell’egemonia culturale teorizzata da Gramsci, uno dei maggiori riferimenti culturali del partito.
È chiacchierando con alcuni dirigenti di Podemos negli uffici di Calle de la Princesa che si possono ricostruire le dinamiche che hanno portato dalla piazza degli Indignati alla nascita e all’esplosione del partito. Spiega Jorge Lago, sociologo e tra i fondatori, molto vicino a Iglesias: «La crisi è stata il detonatore che ha svelato un problema strutturale della democrazia spagnola: il modo in cui in questo Paese agiva il potere politico ed economico non incontrava più il consenso della maggioranza. La diffusione della corruzione, l’esistenza di una élite di privilegiati, il sequestro della sovranità da parte di poteri extranazionali come il Fmi e la Bce: tutto questo nel 2011 ha prodotto il movimento degli Indignati e ha portato anche l’80 per cento della popolazione a condividerne le proteste, come rivelavano i sondaggi. Però poi nelle elezioni generali che si sono tenute solo pochi mesi dopo il Pp ha vinto le elezioni: nella società c’era stato quindi un divorzio tra il sentire comune e la rappresentanza politica. Ne derivava uno spazio potenziale nuovo da occupare, fuori dal vecchio schema centrosinistra-centrodestra. Ma c’era bisogno di una traduzione organizzativa».
È così che Pablo Iglesias e i suoi compagni iniziano a pensare a questa “traduzione” della protesta in un partito. Racconta Carolina Bescansa, una dei cinque intellettuali-attivisti che hanno costituito il nucleo originario di Podemos: «Quando Pablo e Luis Alegre mi hanno chiamato, io ero tra i meno ottimisti. Tutti i manuali di scienza politica spiegano che per dare vita a un partito oggi c’è bisogno prima di tutto di soldi, di cui noi non disponevamo. Confrontandoci in quelle settimane, alla Marabunta, mi sono però convinta che in assenza di un capitale economico potevamo far leva su un capitale mediatico: e quello invece lo possedevamo, grazie alla popolarità televisiva di Iglesias. Allora ci siamo detti: proviamo».
Utilizzando i suoi palcoscenici sui media, Iglesias lancia quindi la sfida, con un appello per la costruzione di un nuovo partito in vista delle europee: l’obiettivo delle 50 mila firme da raccogliere on line viene superato in meno di 48 ore. E nei giorni successivi le adesioni diventano una marea: «Il Paese era pronto a un cambiamento», dice Bescansa. «Con il crowdfunding via Internet, abbiamo raccolto i fondi necessari per presentarci alle europee, circa 140 mila euro. Così è arrivato il nostro 8 per cento: un risultato che ha sorpreso tutti e ha acceso l’interesse dei mezzi di comunicazione verso di noi». Di nuovo, avviene un rimpallo tra vecchi e nuovi media: tg e talk show parlano di Podemos, così il sito e la pagina Facebook del partito di Iglesias decollano; si moltiplicano quindi anche le donazioni su PayPal e le casse del partito si riempiono. E il circolo virtuoso fa decollare i consensi nei sondaggi.
DESTRA E SINISTRA, ALTO E BASSO
Com’è avvenuto tutto questo? Uno dei leader e fondatori, Juan Carlos Monedero, risponde dicendo che «c’era bisogno di un catalizzatore» e questo è stato Podemos. «Noi avevamo tre elementi», aggiunge: «Il primo è il rapporto con le persone creato negli anni, percorrendo la Spagna, lavorando nei movimenti, presentando libri, quindi creando un’alleanza sociale con la cittadinanza non rappresentata e arrabbiata; secondo, la notorietà mediatica di Pablo Iglesias, un giovane che parla in modo diverso e sa mettersi in sintonia con ampie fasce del Paese; terzo, la nostra formazione culturale che ci mette in grado di fare una diagnosi corretta della situazione sociale, della necessità di un reincontro al di sopra delle ideologie».
E qui riappare la questione di Podemos “né di destra né di sinistra”, sempre sottolineata dai suoi dirigenti e attivisti: «È un binomio ormai ingannevole», dice Monedero: «Oggi serve solo a consolidare due partiti molto simili tra loro e a obbligare gli altri a situarsi agli estremi. Noi invece non vogliamo stare agli estremi, anzi ci appelliamo all’idea della centralità. Che non è “il centro” politico: questo, come spiegava Norberto Bobbio, si caratterizza infatti per l’assenza del conflitto, mentre noi vogliamo occupare la centralità sociale impostata proprio sul conflitto. Quello della grande maggioranza della cittadinanza contro i pochi privilegiati dell’economia e della politica: ecco perché alla diade “sinistra contro destra” contrapponiamo quella di “basso contro alto”».
In questo senso, di nuovo, c’è il recupero dell’insegnamento gramsciano sull’egemonia culturale, come spiega Monedero: «Veniamo da quasi mezzo secolo di egemonia neoliberista con cui è stato cambiato il nostro modo di pensare; ci hanno convinti che l’unica società possibile è quella basata sull’egoismo e sulla competizione, ci hanno persuasi che il privato è meglio del pubblico, che esiste solo il modello di vita fondato sul desiderio di consumo. E la sinistra non è stata capace di costruire un modello antropologico diverso: così ha passato cinquant’anni sulla difensiva».
Anche per questo, continua Monedero, il terzo grande troncone a cui guarda Podemos, (accanto alle elaborazioni e alle lotte dei Forum sociali e a pensatori italiani come Gramsci, Spinelli, Pasolini e Bobbio), è costituito dalle esperienze nell’ultimo decennio in America latina, dalla Bolivia di Morales all’Ecuador di Correa. Più imbarazzante è il rapporto con il Venezuela: infatti sia Iglesias sia diversi suoi luogotenenti in passato hanno esaltato la “rivoluzione” del governo di Caracas, vista come risposta popolare alle imposizioni del Fmi. Sicché da quando quel Paese è entrato nella sua attuale gravissima crisi a cui Maduro non sembra in grado di dare alcuna risposta, i grandi media non fanno che parlare del Venezuela mentre i dirigenti di Podemos non lo nominano più neanche sotto tortura. Inoltre “El Mundo” ha accusato Monedero di avere ricevuto dal Venezuela un milione di euro, che poi si sono rilevati 425 mila fatturati ai governi di Bolivia, Nicaragua, Venezuela ed Ecuador per una consulenza sull’ipotesi di una moneta unica tra questi Paesi. Monedero avrebbe ottenuto una riduzione di imposte su questo compenso dichiarandolo attraverso una fondazione anziché come persona fisica: il tutto era legale, ma è stato occasione di un’aspra polemica che ha monopolizzato i titoli dei quotidiani e dei tg per settimane.
Dal punto di vista teorico, invece, in Spagna si parla molto dell’influenza su Podemos del filosofo argentino Ernesto Laclau e del suo libro “La ragione populista”, un tentativo di superamento del determinismo di Marx. «Ma non siamo un partito che si ispira al pensiero di uno solo, la nostra è più una playlist», dice Lago: «E soprattutto è una continua lettura della congiuntura e delle sue trasformazioni». Anche perché, aggiunge Bescansa, «i vecchi blocchi sociali si sono frantumati e non si può oggi pensare a un partito come espressione di una classe». In Podemos però l’interclassismo è inteso più esattamente come trasversalità, nel contesto di una contrapposizione tra la maggioranza dei non privilegiati e la minoranza dei privilegiati. Così anche in Spagna si usa molto la parola “casta”, ma con un significato un po’ diverso rispetto all’Italia: non s’intende tanto il ceto politico in sé, quanto il mix di politici, banchieri, grandi imprenditori e alti funzionari che detengono il controllo dell’economia, della ricchezza, dei media.
TRA PARTITO E MOVIMENTO
Intanto Podemos ha di fronte anche un’altra sfida in vista delle politiche: quella di strutturarsi al suo interno. «il nostro è un partito, ma pensato con una logica di movimento», dice Lago. Cioè tutto il potere decisionale appartiene agli iscritti e chiunque può iscriversi on line, anche se non svolge attivismo nei circoli. Gli stessi iscritti eleggono via web le cariche interne, con un segretario generale (Iglesias), un numero due e così via. Gli europarlamentari (finora unica rappresentanza istituzionale di Podemos) tengono per sé 2.000 euro al mese e ne versano altrettanti al partito; il resto viene devoluto a associazioni e collettivi che operano sui territori (per il diritto alla casa, per sostegno legale ai lavoratori licenziati etc). I circoli, che si riuniscono fisicamente, non hanno potere decisionale ma elaborano le proposte (di solito di carattere locale) che vengono poi condivise con gli iscritti, on line. Quasi nessun circolo ha a disposizione una sede, quindi le riunioni avvengono in luoghi pubblici. Il gruppo di Fuencarral, a nord della capitale, si ritrova ad esempio attorno ai tavoli di un bar, il “Tapas y copas”, il che ha come effetto collaterale il consumo di diverse birre; quello di Arganzuela, dal lato opposto della città, approfitta degli spazi del matadero, un ex mattatoio ristrutturato.
VERSO IL VOTO DI NOVEMBRE
È attraverso un sistema collaborativo, votato on line dagli iscritti, che si è arrivati al programma per le europee e ora si sta preparando quello per le politiche. Il percorso per il “documento finale” viaggia su un binario doppio: da un lato la consultazione e gli approfondimenti di studiosi ed esperti (da Joseph Stiglitz per l’economia a Hervé Falciani per il fisco, ad esempio), d’altro lato la produzione di proposte che vengono dai circoli e dagli iscritti, via Web. Tra i punti fermi, il sussidio universale per disoccupati, lo stop alle privatizzazioni, l’inversione del processo di precarizzazione, la revoca di alcuni accordi di libero scambio europeo, l’opposizione al trattato Ttip, l’ambiente, la riduzione dei super stipendi ai vertici dello Stato, incentivi alla piccola impresa e al trasporto pubblico.Prima delle politiche, peraltro, in Spagna sono previsti diversi altri appuntamenti elettorali locali, dalle regionali in Andalusia alle comunali e provinciali in quasi tutto il Paese. Per queste ultime Podemos ha deciso di non presentarsi con il proprio simbolo ma di attivare e sostenere liste civiche locali concordate con i movimenti. In generale, a livello locale Podemos è meno forte e organizzato in vista del voto.
Cinque stelle, affinità e differenze
Le somiglianze tra Podemos e Movimento 5 Stelle, lo si è visto, non mancano: la partecipazione dal basso, l’approccio postideologico, il superamento del dualismo destra-sinistra, l’ambientalismo, l’uso della Rete per scegliere i candidati, l’autoriduzione degli stipendi, la lotta contro la corruzione etc. Tuttavia, anche le differenze non mancano: «In Italia, il movimento di Grillo è stato molto positivo nella fase destitutiva del vecchio regime, ma si è rivelato insufficiente nella fase costitutiva», dice Monedero. «Questa esige un’approfondita diagnosi sociale, una lettura economica del passato recente e del presente: il che manca al M5S. E poi noi proveniamo dal troncone della emancipazione sociale spagnola e internazionale, loro no». Aggiunge Guillermo Zapata, uno dei leader del centro sociale Patio Maravilla, luogo di ritrovo di tutti i movimenti che ruotano attorno a Podemos: «Il 5 Stelle ha offerto una soluzione solo tecnica a una questione politica e sociale. Offre un protocollo - la partecipazione dal basso - ma non una risposta politica da metterci dentro. L’idea di aprire l’architettura del potere ai cittadini è giusta, tuttavia senza un proposta precisa e completa, resta vuota».
Ciò nonostante, le occasioni di collaborazione al Parlamento europeo non mancano: «Lavoro bene con alcuni di loro», dice l’eurodeputata Tania González, 32 anni, ex prof precaria di liceo, anche lei uscita dal collettivo Contrapoder, «e ci troviamo d’accordo su molte cose, specie economiche e ambientali». Tuttavia, aggiunge, «su altre invece siamo lontani, come l’immigrazione, che per noi è questione dirimente». Inoltre, dice González, Podemos non condivide l’euroscetticismo di Grillo e pensa anzi che l’Europa sia l’unica strada attraverso la quale possa passare il recupero della sovranità da parte dei cittadini. Il partito spagnolo, per inciso, non parla di uscire dall’euro, neanche per ipotesi. Ci sono poi differenze tra i due movimenti anche per quanto riguarda le prassi: ad esempio, per la certificazione delle sue consultazioni on line Podemos utilizza tre diverse società esterne, mentre in Italia il voto elettronico è gestito da Casaleggio. Il modello organizzativo di Podemos prevede inoltre l’elezione dei vertici del partito, cosa che il M5S esclude. E se è vero che anche Podemos fa un uso robusto della Rete come strumento di comunicazione, questo non viene visto come alternativo bensì del tutto complementare ai talk-show e alla tv in genere: anzi, è considerato essenziale esserci nei mezzi che entrano nelle case di quella fascia di popolazione non raggiunta dall’informazione Web. Infine, la questione delle alleanze a Podemos è vista diversamente rispetto al M5S: «Se non avremo la maggioranza assoluta dei seggi, per governare dovremo fare per forza qualche accordo con altre forze politiche», spiega Bescansa. L’importante, aggiunge, è che tutto avvenga alla luce del sole, che il grosso del programma di Podemos venga accettato e che ad accordo concluso questo sia sottoposto a un referendum tra gli iscritti.
«IN ITALIA È TROPPO TARDI»
«Il tratto distintivo della sinistra è sempre cercare ciò che la divide, mentre la centralità sociale si conquista solo cercando ciò che unisce, quindi mettendosi alle spalle le ortodossie ideologiche». Così Monedero spiega perché anche cercare un parallelo tra Podemos e la sinistra classica, compresa quella italiana, porterebbe fuori strada. Di Renzi non si parla neanche («è una creazione mediatica dell’establishment, maniche di camicie e linguaggio internettiano per nascondere il fatto che fa le politiche delle élite», dice di lui Bescansa) ma anche rispetto alla sinistra radicale italiana Podemos marca le differenze: «È rimasta ideologica e identitaria, quindi ha perso la connessione emotiva con i bisogni dei cittadini», sostiene sempre Bescansa.
A rendere lontana la prospettiva di un possibile Podemos italiano è Carlos Enrique Bayo Falcón, il direttore del sito di news “Público”, molto vicino al partito di Iglesias: è in una stanza della sua redazione, animata da ragazzi attaccati ai pc, che si registra La Tuerka, il programma Web condotto ancor oggi da Iglesias.«L’appuntamento con la storia voi l’avete avuto vent’anni fa, quando è crollata la Prima repubblica come da noi oggi sta precipitando il bipartitismo», dice Bayo Falcón. «Solo che in Italia la risposta è stata Berlusconi, con le sue tv: quindi ha vinto il populismo di destra. La nostra Tangentopoli è invece scoppiata nell’era di Internet, in un contesto di cittadinanza che si informa e si organizza autonomamente, senza farsi influenzare dai grandi media. Per questo gli spagnoli oggi hanno Podemos. Per voi, purtroppo, è troppo tardi».
Sono quindi gli stessi fondatori di Podemos a togliere l’illusione che si possa trasportare artificiosamente in Italia un’esperienza nata in un contesto diverso e con un suo percorso peculiare: «La strada non è mai quella di ripetere le esperienze di altri paesi», dice Iglesias. Del resto, già il tentativo di imitare Syriza non ha portato a risultati in termini di coalizione sociale e di consenso. Semmai ciò che l’esperienza spagnola può insegnare è un metodo, quello di cui parla Lago: la «lettura della congiuntura e delle sue trasformazioni a partire dalla realtà, senza determinismi». Forse è impossibile, in Italia. Ma, come ci ha detto Monedero in conclusione d’intervista, «la rivoluzione è proprio rendere possibile l’impossibile».
ha collaborato Carla Cremonte
http://espresso.repubblica.it/attualita ... =HEF_RULLO
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
eccoli di nuovo da renato panzieri a riccardo lombardi a vittorio foa
ritornano la sinistra socialista sempre piu marxista sempre piu per le riforme di struttura
sempre piu per una europa dei lavoratori dipendenti e indipendenti contro questa europaneoliberista basata sull ' euro
bentornata italia socialista
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I Lavori verranno introdotti dalla relazione del compagno Franco BARTOLOMEI della segreteria nazionale del PSI , e segretario della Lega dei Socialisti , sul tema:
" Ricostruire il Socialismo Italiano per rendere possibile la nascita di una nuova Sinistra nel nostro paese. "
,
e dalla relazione del compagno Giovanni REBECHI , segretario della Federazione per il Socialismo, sul tema:
" Il ruolo ed i compiti della riunificazione dell'Associazionismo Socialista" .
Vedranno poi' lo svolgimento di tre relazioni tematiche svolte dal compagno Renato GATTI , economista , sul tema:" Un programma della sinistra per uscire dalla crisi economica , ed i linementi di un nuovo modello di sviluppo " ,
del compagno Maurizio MAZZANTI , candidato civico alla presidenza della regione Emilia Romagna, sul tema :
"crisi del sistema politico e della sua capacita' di rappresentanza e nuove forme della politica ",
e del compagno Guglielmo LOY- Segretario nazionale della UIL sul tema:
" Rapporti di Lavoro , Mercato del Lavoro e Politiche occupazionali " .
Prima dell'apetura del dibattito verra' data lettura ai Messaggi dei compagni Michele FERRO e Rino FORMICA
Seguira' un dibattito generale in cui potranno intervenire a richiesta i compagni partecipanti , Il dibattito verra' aperto dall'intervento del compagno Alberto BENZONI ,del comitato organizzatore dell'assemblea .
I lavori verranno conclusi dal compagno Felice BESOSTRI presidente della Rete Socialista .
Il 29 Marzo al termine del dibattito dell'assemblea proporremo ai compagni, sulla base del Documento proposto dai compagni Benzoni ,Bartolomei , Besostri e Rebechi , di dare vita per adesioni volontarie ad un grande organismo politico permanente , una grande "Assemblea Costituente per il Risorgimento Socialista " , che sia il momento di rappresentanza e di collegamento di una vera grande rete di riferimenti diffusi nel territorio , che costituira' la base delle iniziative sui territori , ed il complessivo riferimento politico ed organizzativo della nostra azione futura .
Questa nostra grande "Assemblea Costituente per il Risorgimento Socialista" , verra' riconvocata da subito a Roma per il 27 Giugno , per decidere sulla base della evoluzione della situazione, e sulla base degli esiti del lavoro di radicamento e diffusione nel territorio compiuto in questi tre mesi ,, come a partire da questa rete di riferimento vogliamo dare ulteriore corso al nostro progetto .
ritornano la sinistra socialista sempre piu marxista sempre piu per le riforme di struttura
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,
e dalla relazione del compagno Giovanni REBECHI , segretario della Federazione per il Socialismo, sul tema:
" Il ruolo ed i compiti della riunificazione dell'Associazionismo Socialista" .
Vedranno poi' lo svolgimento di tre relazioni tematiche svolte dal compagno Renato GATTI , economista , sul tema:" Un programma della sinistra per uscire dalla crisi economica , ed i linementi di un nuovo modello di sviluppo " ,
del compagno Maurizio MAZZANTI , candidato civico alla presidenza della regione Emilia Romagna, sul tema :
"crisi del sistema politico e della sua capacita' di rappresentanza e nuove forme della politica ",
e del compagno Guglielmo LOY- Segretario nazionale della UIL sul tema:
" Rapporti di Lavoro , Mercato del Lavoro e Politiche occupazionali " .
Prima dell'apetura del dibattito verra' data lettura ai Messaggi dei compagni Michele FERRO e Rino FORMICA
Seguira' un dibattito generale in cui potranno intervenire a richiesta i compagni partecipanti , Il dibattito verra' aperto dall'intervento del compagno Alberto BENZONI ,del comitato organizzatore dell'assemblea .
I lavori verranno conclusi dal compagno Felice BESOSTRI presidente della Rete Socialista .
Il 29 Marzo al termine del dibattito dell'assemblea proporremo ai compagni, sulla base del Documento proposto dai compagni Benzoni ,Bartolomei , Besostri e Rebechi , di dare vita per adesioni volontarie ad un grande organismo politico permanente , una grande "Assemblea Costituente per il Risorgimento Socialista " , che sia il momento di rappresentanza e di collegamento di una vera grande rete di riferimenti diffusi nel territorio , che costituira' la base delle iniziative sui territori , ed il complessivo riferimento politico ed organizzativo della nostra azione futura .
Questa nostra grande "Assemblea Costituente per il Risorgimento Socialista" , verra' riconvocata da subito a Roma per il 27 Giugno , per decidere sulla base della evoluzione della situazione, e sulla base degli esiti del lavoro di radicamento e diffusione nel territorio compiuto in questi tre mesi ,, come a partire da questa rete di riferimento vogliamo dare ulteriore corso al nostro progetto .
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
RIPORTO UNO STRALCIO DA
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Samuele Mazzolini
Coalizione sociale, perché con Landini non Podemos
La discesa in campo di Landini registra per l’ennesima volta la tragica inattualità della sinistra italiana, della sua incapacità di ripensarsi come progetto politico che aspiri alla dignità dell’essere umano. Questa presa di posizione non equivale a manifestare arrendevolezza e connivenza nei confronti di un sistema economico e politico ingiusto, così come hanno fatto la dirigenza Pci-Pds-Ds-Pd prima, e Renzi poi, in modo parossistico. Piuttosto, la consapevolezza dell’inattualità della sinistra italiana getta luce sull’impopolarità del repertorio semiotico lasciato in eredità dal Novecento e sull’incapacità di agglutinare i veri soggetti sfruttati della nostra epoca (precari, “neet”, lavoratori autonomi, disoccupati, pensionati sul lastrico), che sfuggono a teorie ormai datate ed esprimono il proprio disagio attraverso forme, simboli ed organizzazioni estranee alla sinistra.
Non condivido del tutto perché la coalizione sociale di Landini vorrebbe proprio rappresentare tutti precari, “neet”, lavoratori autonomi, disoccupati, pensionati sul lastrico, ma credo che non sia semplice in
quanto sono sparsi un po' dappertutto ed è difficile unire un mondo così variegato.
Non per niente avevo posto a Landini su Repubblica questa domanda che non ha avuto risposta, cioè
" Solo azzerando il denaro contante e passando tutti alle carte elettroniche sarebbe possibile avere lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi ecc... nudi di fronte al Fisco e solo in questo modo sarebbe possibile partire insieme per rivendicare un ruolo e una dignità di chi lavora , avere un abbassamento generale delle tasse , garantire una sicurezza sociale con un reddito minimo garantito, eliminare il lavoro nero e l'evasione di massa .
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Coalizione sociale, perché con Landini non Podemos
La discesa in campo di Landini registra per l’ennesima volta la tragica inattualità della sinistra italiana, della sua incapacità di ripensarsi come progetto politico che aspiri alla dignità dell’essere umano. Questa presa di posizione non equivale a manifestare arrendevolezza e connivenza nei confronti di un sistema economico e politico ingiusto, così come hanno fatto la dirigenza Pci-Pds-Ds-Pd prima, e Renzi poi, in modo parossistico. Piuttosto, la consapevolezza dell’inattualità della sinistra italiana getta luce sull’impopolarità del repertorio semiotico lasciato in eredità dal Novecento e sull’incapacità di agglutinare i veri soggetti sfruttati della nostra epoca (precari, “neet”, lavoratori autonomi, disoccupati, pensionati sul lastrico), che sfuggono a teorie ormai datate ed esprimono il proprio disagio attraverso forme, simboli ed organizzazioni estranee alla sinistra.
Non condivido del tutto perché la coalizione sociale di Landini vorrebbe proprio rappresentare tutti precari, “neet”, lavoratori autonomi, disoccupati, pensionati sul lastrico, ma credo che non sia semplice in
quanto sono sparsi un po' dappertutto ed è difficile unire un mondo così variegato.
Non per niente avevo posto a Landini su Repubblica questa domanda che non ha avuto risposta, cioè
" Solo azzerando il denaro contante e passando tutti alle carte elettroniche sarebbe possibile avere lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi ecc... nudi di fronte al Fisco e solo in questo modo sarebbe possibile partire insieme per rivendicare un ruolo e una dignità di chi lavora , avere un abbassamento generale delle tasse , garantire una sicurezza sociale con un reddito minimo garantito, eliminare il lavoro nero e l'evasione di massa .
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
DALLA LISTA ELETTORALE AL SOGGETTO POLITICO EUROPEO DELLA SINISTRA E DEI DEMOCRATICI ITALIANI
Verso l’Assemblea nazionale di ROMA del 18 e 19 Aprile
(scheda di adesione)
Con il 2015 si avvia il processo costituente di un soggetto politico unitario alternativo al liberismo, alle politiche di austerità e ai governi che la interpretano. Il/la sottoscritto/a, con la presente, dichiara di aderire al processo costituente, a partire dai 10 punti del programma elettorale delle scorse elezioni europee e dal percorso unitario indicato nell’assemblea di Bologna dello scorso gennaio, e di voler partecipare al confronto politico e alle decisioni che si assumeranno nella prossima assemblea nazionale de L’ALTRA EUROPA con TSIPRAS che si terrà a ROMA il 18 e 19 aprile 2015.
Vedi anche
http://listatsipras.eu/manifesto-siamo-ad-un-bivio.html
Verso l’Assemblea nazionale di ROMA del 18 e 19 Aprile
(scheda di adesione)
Con il 2015 si avvia il processo costituente di un soggetto politico unitario alternativo al liberismo, alle politiche di austerità e ai governi che la interpretano. Il/la sottoscritto/a, con la presente, dichiara di aderire al processo costituente, a partire dai 10 punti del programma elettorale delle scorse elezioni europee e dal percorso unitario indicato nell’assemblea di Bologna dello scorso gennaio, e di voler partecipare al confronto politico e alle decisioni che si assumeranno nella prossima assemblea nazionale de L’ALTRA EUROPA con TSIPRAS che si terrà a ROMA il 18 e 19 aprile 2015.
Vedi anche
http://listatsipras.eu/manifesto-siamo-ad-un-bivio.html
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
iospero ha scritto:RIPORTO UNO STRALCIO DA
IlFattoQuotidiano.it / BLOG / di Samuele Mazzolini
Coalizione sociale, perché con Landini non Podemos
La discesa in campo di Landini registra per l’ennesima volta la tragica inattualità della sinistra italiana, della sua incapacità di ripensarsi come progetto politico che aspiri alla dignità dell’essere umano. Questa presa di posizione non equivale a manifestare arrendevolezza e connivenza nei confronti di un sistema economico e politico ingiusto, così come hanno fatto la dirigenza Pci-Pds-Ds-Pd prima, e Renzi poi, in modo parossistico. Piuttosto, la consapevolezza dell’inattualità della sinistra italiana getta luce sull’impopolarità del repertorio semiotico lasciato in eredità dal Novecento e sull’incapacità di agglutinare i veri soggetti sfruttati della nostra epoca (precari, “neet”, lavoratori autonomi, disoccupati, pensionati sul lastrico), che sfuggono a teorie ormai datate ed esprimono il proprio disagio attraverso forme, simboli ed organizzazioni estranee alla sinistra.
Non condivido del tutto perché la coalizione sociale di Landini vorrebbe proprio rappresentare tutti precari, “neet”, lavoratori autonomi, disoccupati, pensionati sul lastrico, ma credo che non sia semplice in
quanto sono sparsi un po' dappertutto ed è difficile unire un mondo così variegato.
Non per niente avevo posto a Landini su Repubblica questa domanda che non ha avuto risposta, cioè
" Solo azzerando il denaro contante e passando tutti alle carte elettroniche sarebbe possibile avere lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi ecc... nudi di fronte al Fisco e solo in questo modo sarebbe possibile partire insieme per rivendicare un ruolo e una dignità di chi lavora , avere un abbassamento generale delle tasse , garantire una sicurezza sociale con un reddito minimo garantito, eliminare il lavoro nero e l'evasione di massa .
Una cosa è chiara a sinistra. Non esiste chi sappia parlare in modo semplice agli italiani.
Dal punto della comunicazione in questo momento domina Salvini.
Ha una comunicazione efficace? Assolutamente NO.
Nella prima fase della crescita ha sfruttato l’idea dell’uscita dall’eurozona. I leghisti non ci hanno mai capito niente, ma il far credere che saremmo stati meglio gli è bastato. Una balla assoluta.
Poi, Salvini si è trovato servito su di un piatto d’argento la manna dell’immigrazione. Un vuoto legislativo dei precedenti governi e del silenzio assoluto del PAV Nembo Kid (Superman, nelle versioni più recenti).
Questo vuoto lo ha riempito Salvini facendo leva su un certo razzismo di fondo di alcuni italiani, e sulla crisi che ha messo in ginocchio le classi più povere italiane dando il via alla classica guerra dei poveri.
Dopo Salvini nella comunicazione viene Nembo Kid Super Star Renzi. Un bufaliere di prima categoria che riesce ad attrarre la sua fetta di italiani.
Per il momento a ricoprire quel ruolo di anti Renzi, anti Salvini, anti Grillo, la star degli ultimi 4 anni anni nel campo della comunicazione, sul mercato esiste solo Landini. A meno che qualcuno abbia individuato un altro personaggio.
Io non sono d’accordo con Marc Lazar, perché vede le cose da lontano.
Non esisto tre sinistre.
Quella di Renzie non è affatto una sinistra. Lui lo fa credere come l’altro venditore di tappeti volanti taroccati di Hardcore.
Landini non è il massimo ma per il momento ha grinta per tener testa ai 3 pifferai + quello che ormai è sul viale del tramonto che ogni tanto risorge perché serve a qualcuno.
La sinistra dell'Armata Brancaleone ha paura della sua ombra.
Oggi leggiamo che Fassina ha risposto a Renzie che li vuole cacciare se li vuole coartare sul voto dell'Italicus anticipato.
I brancaleonesi non si vogliono rendere conto che in un modo o nell'altro non hanno via di scampo.
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
aaaa42 ha scritto:eccoli di nuovo da renato panzieri a riccardo lombardi a vittorio foa
ritornano la sinistra socialista sempre piu marxista sempre piu per le riforme di struttura
sempre piu per una europa dei lavoratori dipendenti e indipendenti contro questa europaneoliberista basata sull ' euro
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I Lavori verranno introdotti dalla relazione del compagno Franco BARTOLOMEI della segreteria nazionale del PSI , e segretario della Lega dei Socialisti , sul tema:
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Vedranno poi' lo svolgimento di tre relazioni tematiche svolte dal compagno Renato GATTI , economista , sul tema:" Un programma della sinistra per uscire dalla crisi economica , ed i linementi di un nuovo modello di sviluppo " ,
del compagno Maurizio MAZZANTI , candidato civico alla presidenza della regione Emilia Romagna, sul tema :
"crisi del sistema politico e della sua capacita' di rappresentanza e nuove forme della politica ",
e del compagno Guglielmo LOY- Segretario nazionale della UIL sul tema:
" Rapporti di Lavoro , Mercato del Lavoro e Politiche occupazionali " .
Prima dell'apetura del dibattito verra' data lettura ai Messaggi dei compagni Michele FERRO e Rino FORMICA
Seguira' un dibattito generale in cui potranno intervenire a richiesta i compagni partecipanti , Il dibattito verra' aperto dall'intervento del compagno Alberto BENZONI ,del comitato organizzatore dell'assemblea .
I lavori verranno conclusi dal compagno Felice BESOSTRI presidente della Rete Socialista .
Il 29 Marzo al termine del dibattito dell'assemblea proporremo ai compagni, sulla base del Documento proposto dai compagni Benzoni ,Bartolomei , Besostri e Rebechi , di dare vita per adesioni volontarie ad un grande organismo politico permanente , una grande "Assemblea Costituente per il Risorgimento Socialista " , che sia il momento di rappresentanza e di collegamento di una vera grande rete di riferimenti diffusi nel territorio , che costituira' la base delle iniziative sui territori , ed il complessivo riferimento politico ed organizzativo della nostra azione futura .
Questa nostra grande "Assemblea Costituente per il Risorgimento Socialista" , verra' riconvocata da subito a Roma per il 27 Giugno , per decidere sulla base della evoluzione della situazione, e sulla base degli esiti del lavoro di radicamento e diffusione nel territorio compiuto in questi tre mesi ,, come a partire da questa rete di riferimento vogliamo dare ulteriore corso al nostro progetto .
Caro antonio,
non per essere polemico o dissacrante, ma i marchi Socialista e Comunista non tirano più.
Ricordare il marchio Socialista, può andare bene come memoria del passato per dinosauri come noi. Ma è stato bruciato sull'altare dei succhialisti di Bettino & Co. e ricorda la mangiatoia. Devono passare decenni perché quel nefasto ricordo si stemperi.
Lo stesso per i comunisti, perché ricordano baffone e i gulag.
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
Ma quanti sono i partiti a sinistra del Pd?
La missione impossibile di una Syriza italiana
Ci sono i partiti comunisti storici, i Verdi, Sel, i nuovi gruppi di Civati e quelli di Fassina e la conta potrebbe andare avanti. Mentre si prova ad avviare a fatica un processo unitario, le sigle che compongono l'area radicale continuano ad aumentare e frazionarsi
Sinistra Ecologia Libertà, L’Altra Europa con Tsipras - la lista per le europee guidata e poi abbandonata da Barbara Spinelli - Rifondazione Comunista, i Verdi, l’Italia dei Valori, Azione Civile, gli arancioni di Luigi De Magistris. Poi c’è il neonato Possibile, partito di Pippo Civati, e i gruppi di Futuro a Sinistra, promossi da
Stefano Fassina. Si potrebbe notare che lanciare altre due sigle mentre si dice di voler unire la sinistra non è molto coerente, ma la replica - non del tutto insensata - è che qualcosa servirà pure «per riunire tutti quelli che sono delusi dal Partito democratico di Renzi» (spiega all’Espresso Fassina), e traghettarli verso qualcosa di nuovo e unitario.
E poi non saranno due sigle in più, si dice, a fare la differenza e allontanare un obiettivo già in origine complicato: i soggetti in campo sono comunque moltissimi. Non abbiamo citato, ad esempio, il Partito dei comunisti italiani, quello che fu di Diliberto, ora Partito Comunista d’Italia, che ha lanciato peraltro un processo unitario nel processo unitario, e il 12 luglio a Roma ha organizzato l’assemblea nazionale per la costituente comunista. L’intenzione è più che nobile, intendiamoci, anche perché a contare pure i partiti comunisti si finisce come con i sette nani. Te ne manca sempre uno
Ma quanti sono i partiti a sinistra del Pd?
La missione impossibile di una Syriza italiana
Sinistra Ecologia Libertà, L’Altra Europa con Tsipras - la lista per le europee guidata e poi abbandonata da Barbara Spinelli - Rifondazione Comunista, i Verdi, l’Italia dei Valori, Azione Civile, gli arancioni di Luigi De Magistris. Poi c’è il neonato Possibile, partito di Pippo Civati, e i gruppi di Futuro a Sinistra, promossi da Stefano Fassina. Si potrebbe notare che lanciare altre due sigle mentre si dice di voler unire la sinistra non è molto coerente, ma la replica - non del tutto insensata - è che qualcosa servirà pure «per riunire tutti quelli che sono delusi dal Partito democratico di Renzi» (spiega all’Espresso Fassina), e traghettarli verso qualcosa di nuovo e unitario.
E poi non saranno due sigle in più, si dice, a fare la differenza e allontanare un obiettivo già in origine complicato: i soggetti in campo sono comunque moltissimi. Non abbiamo citato, ad esempio, il Partito dei comunisti italiani, quello che fu di Diliberto, ora Partito Comunista d’Italia, che ha lanciato peraltro un processo unitario nel processo unitario, e il 12 luglio a Roma ha organizzato l’assemblea nazionale per la costituente comunista. L’intenzione è più che nobile, intendiamoci, anche perché a contare pure i partiti comunisti si finisce come con i sette nani. Te ne manca sempre uno.
un recente comunicato pubblicato sul sito, si scaglia contro i referendum antirenziani lanciati da Pippo Civati: «I referendum non possono sostituire la lotta di classe», tuona, «i referendum non sono la strada giusta da seguire per opporsi adeguatamente all'offensiva proterva e ducesca di Renzi. Non tanto e non solo perché, come si è visto, appaiono di difficile fattibilità e scarsamente efficaci anche ai loro propositori, che infatti non ne sembrano molto convinti essi stessi».
E non hanno tutti i torti, i compagni fiorentini: i referendum sono un’incognita - una delle - nel percorso della Syriza italiana.
Civati ha cominciato questo week end a raccogliere le firme (la prima è arrivata da Finale Ligure), ma non è che abbia raccolto un particolare entusiasmo dei suoi vicini, partiti e movimenti. Anzi. Il movimento della scuola, ad esempio, ha proprio provato a fermarlo - inutilmente - sul quesito sulla Buona Scuola. Docenti e studenti non vogliono raccogliere le firme ad agosto, a scuole chiuse, e vogliono far precedere all’eventuale battaglia referendaria un dibattito nel mondo della scuola, a scuole aperte, dunque, e senza che Civati si presenti con quesito già bello e pronto.
La conta diventa impossibile se ci mettiamo a enumerare quelli che al processo unitario non sono molto interessati, né coinvolti. Andiamo nel vintage. Viene ancora stampata Lotta Comunista. C’è Sinistra Critica, il Partito Comunista di Marco Rizzo, col simbolo quadrato così che non possa esser messo sulle schede elettorali, e il Partito Comunista dei Lavoratori, quello di Marco Ferrando, che almeno si presenta alle elezioni, raccogliendo - nel 2013 - poco più di 100mila voti al Senato.
Si batte ancora poi, il Partito Comunista d'Italia marxista-leninista: sul loro sito ti accoglie Bandiera rossa; segretario è da sempre Domenico Savio, di Forio, Ischia. Non va confuso però con il Partito Marxista-Leninista che ha sede a Firenze, e da lì, con
Si batte ancora poi, il Partito Comunista d'Italia marxista-leninista: sul loro sito ti accoglie Bandiera rossa; segretario è da sempre Domenico Savio, di Forio, Ischia. Non va confuso però con il Partito Marxista-Leninista che ha sede a Firenze, e da lì, con un recente comunicato pubblicato sul sito, si scaglia contro i referendum antirenziani lanciati da Pippo Civati: «I referendum non possono sostituire la lotta di classe», tuona, «i referendum non sono la strada giusta da seguire per opporsi adeguatamente all'offensiva proterva e ducesca di Renzi. Non tanto e non solo perché, come si è visto, appaiono di difficile fattibilità e scarsamente efficaci anche ai loro propositori, che infatti non ne sembrano molto convinti essi stessi».
E non hanno tutti i torti, i compagni fiorentini: i referendum sono un’incognita - una delle - nel percorso della Syriza italiana.
Civati ha cominciato questo week end a raccogliere le firme (la prima è arrivata da Finale Ligure), ma non è che abbia raccolto un particolare entusiasmo dei suoi vicini, partiti e movimenti. Anzi. Il movimento della scuola, ad esempio, ha proprio provato a fermarlo - inutilmente - sul quesito sulla Buona Scuola. Docenti e studenti non vogliono raccogliere le firme ad agosto, a scuole chiuse, e vogliono far precedere all’eventuale battaglia referendaria un dibattito nel mondo della scuola, a scuole aperte, dunque, e senza che Civati si presenti con quesito già bello e pronto.
Sul suo blog Civati ha dovuto scrivere un lungo post per spiegare che la sua non è una mossa per mettere il cappello, né sul mondo della scuola, né sulla sinistra: «Nostra intenzione non è quella di raccogliere le firme sui nostri referendum», ha scritto, «ma spiegare ai cittadini che i referendum sono loro e così sono stati da noi pensati fin dall'inizio». Non è raro, però, sentire qualcuno scommettere sul flop dell’iniziativa, senza troppo dispiacersene, peraltro, convinti che l’unità sarebbe a quel punto inevitabile.
Già. Perché se incontri nei territori, dibattiti alle feste estive e interviste dialoganti si susseguono, a sinistra di Possibile (c’è sempre qualcosa a sinistra di qualcosa) non sono ancora convinti che siano sopite le tentazioni autonome dei civatiani che - soprattutto all’esordio - presentavano Possibile come il partito della nuova sinistra. Il partito. Ed è vero che anche Sel ha discusso per giorni sulle sfumature della frase con cui Vendola ha annunciato che «Sel non si scioglie ma è pronta per qualcosa di più grande», ma il documento approvato all’ultima assemblea nazionale, l’11 luglio, dice abbastanza chiaramente che «il tema non è allargare i soggetti esistenti». E Nicola Fratoianni, che di Sel è il coordinatore, lavora per una costituente in autunno, ed è ottimista: «L’unità non basta ma divisi non andiamo da nessuna parte», dice, raccontando il processo come inevitabile.
Fassina condivide: «Dobbiamo stare insieme noi e tutti quelli che oggi non votano». Entrambi pensano che già alle prossime amministrative si dovrà avere un simbolo unico, e un’unica strategia. Andrà anche discussa, quindi, l’alleanza con il partito democratico: «Dobbiamo fare come in Liguria alle ultime regionali», spiega Fratoianni, «dove non abbiamo partecipato alle primarie ma dove se avesse vinto Cofferati e quindi il Pd avesse proposto una piattaforma opposta a quella della Paita e di Renzi tutto sarebbe stato diverso». Ma proprio qui si inserisce un’altra polemica con Civati che, uscito da poco dal Pd, con gli ex colleghi non vuole proprio più averci nulla a che fare: «Se ti allei col Pd fai una corrente del Pd, io ve lo dico», ha detto chiudendo il suo Politicamp a Firenze, «c’è il doppio turno, semmai, ma il tema non può essere trovare uno decente nel Pd».
Bologna e Milano sono due nodi da sciogliere. Non facilissimi. E poi c’è Cagliari, ad esempio, dove per Civati pure il sostegno all’uscente Massimo Zedda, di Sel, è in dubbio: «Non vogliamo più allearci con il Pd, e se Massimo Zedda sarà il candidato del Pd dovremo pensare attentamente e ragionare sulla sua candidatura», ha detto durante uno dei molti dibattiti sull’unità della sinistra.
La posizione di Civati è dunque lontanissima, per dire, da quella di Laura Boldrini che, intervistata dall’Unità, ha detto: «Non credo che Sel possa considerare il Pd un avversario e non credo neanche che il Pd debba mettere Sel accanto a Salvini e Grillo». «Il polo progressista non può essere diviso», è il punto della presidente della Camera, che non è l’unica a rimpiangere il centrosinistra. «Non mi sento sola in questa visione unitaria», ha infatti continuato, citando proprio il sindaco di Milano: «Penso a Pisapia che sta adoperandosi per costruire ponti, per favorire il dialogo».
Ecco allora che l’idea di lanciare a settembre - a fine settembre - un processo, una costituente è ancora tutta nelle dichiarazioni concilianti, anche se nella direzione di Sel c’è chi ha ricevuto espressamente l’incarico di studiare una piattaforma web utile allo scopo, per decidere dal basso la linea politica, il simbolo, il nome. Non c’è una data, non c’è un luogo, non c’è l’accordo, ancora. Forse, a giorni, ci sarà un appello. Di un unico gruppo parlamentare non se ne parla: «Sembrerebbe un’operazione di cambio di poltrone», ha detto ancora Civati, che pure parteciperà alla prima riunione di un coordinamento dei parlamentari a sinistra del Pd, quelli di Sel, gli ex dem, e gli ex 5 stelle che da poco si sono organizzati in una componente del gruppo misto che ripesca il nome della lista delle europee: l’Altra Europa con Tsipras.
E devono quindi accontentarsi i movimenti d’area e i singoli elettori spaesati la cui richiesta è ben sintetizza da Act che, per spiegarsi meglio, ha fatto anche un videotutorial. «Per una volta», dicono, «evitiamoci l’ennesima assemblea sull’unità della sinistra. Non ci importa di unire ciò che è già organizzato. Proviamo, stavolta, a organizzare ciò che può essere unito, chi ha smesso di impegnarsi ma sente ancora il bisogno di lottare. Facciamo che invece di fare la gara a chi lancia il percorso più bello, più figo, più unitario, apriamo uno spazio di discussione che non sia “proprietà” di nessuno, in cui non ci siano ospiti e tutti si possano sentire a casa».
La missione impossibile di una Syriza italiana
Ci sono i partiti comunisti storici, i Verdi, Sel, i nuovi gruppi di Civati e quelli di Fassina e la conta potrebbe andare avanti. Mentre si prova ad avviare a fatica un processo unitario, le sigle che compongono l'area radicale continuano ad aumentare e frazionarsi
Sinistra Ecologia Libertà, L’Altra Europa con Tsipras - la lista per le europee guidata e poi abbandonata da Barbara Spinelli - Rifondazione Comunista, i Verdi, l’Italia dei Valori, Azione Civile, gli arancioni di Luigi De Magistris. Poi c’è il neonato Possibile, partito di Pippo Civati, e i gruppi di Futuro a Sinistra, promossi da
Stefano Fassina. Si potrebbe notare che lanciare altre due sigle mentre si dice di voler unire la sinistra non è molto coerente, ma la replica - non del tutto insensata - è che qualcosa servirà pure «per riunire tutti quelli che sono delusi dal Partito democratico di Renzi» (spiega all’Espresso Fassina), e traghettarli verso qualcosa di nuovo e unitario.
E poi non saranno due sigle in più, si dice, a fare la differenza e allontanare un obiettivo già in origine complicato: i soggetti in campo sono comunque moltissimi. Non abbiamo citato, ad esempio, il Partito dei comunisti italiani, quello che fu di Diliberto, ora Partito Comunista d’Italia, che ha lanciato peraltro un processo unitario nel processo unitario, e il 12 luglio a Roma ha organizzato l’assemblea nazionale per la costituente comunista. L’intenzione è più che nobile, intendiamoci, anche perché a contare pure i partiti comunisti si finisce come con i sette nani. Te ne manca sempre uno
Ma quanti sono i partiti a sinistra del Pd?
La missione impossibile di una Syriza italiana
Sinistra Ecologia Libertà, L’Altra Europa con Tsipras - la lista per le europee guidata e poi abbandonata da Barbara Spinelli - Rifondazione Comunista, i Verdi, l’Italia dei Valori, Azione Civile, gli arancioni di Luigi De Magistris. Poi c’è il neonato Possibile, partito di Pippo Civati, e i gruppi di Futuro a Sinistra, promossi da Stefano Fassina. Si potrebbe notare che lanciare altre due sigle mentre si dice di voler unire la sinistra non è molto coerente, ma la replica - non del tutto insensata - è che qualcosa servirà pure «per riunire tutti quelli che sono delusi dal Partito democratico di Renzi» (spiega all’Espresso Fassina), e traghettarli verso qualcosa di nuovo e unitario.
E poi non saranno due sigle in più, si dice, a fare la differenza e allontanare un obiettivo già in origine complicato: i soggetti in campo sono comunque moltissimi. Non abbiamo citato, ad esempio, il Partito dei comunisti italiani, quello che fu di Diliberto, ora Partito Comunista d’Italia, che ha lanciato peraltro un processo unitario nel processo unitario, e il 12 luglio a Roma ha organizzato l’assemblea nazionale per la costituente comunista. L’intenzione è più che nobile, intendiamoci, anche perché a contare pure i partiti comunisti si finisce come con i sette nani. Te ne manca sempre uno.
un recente comunicato pubblicato sul sito, si scaglia contro i referendum antirenziani lanciati da Pippo Civati: «I referendum non possono sostituire la lotta di classe», tuona, «i referendum non sono la strada giusta da seguire per opporsi adeguatamente all'offensiva proterva e ducesca di Renzi. Non tanto e non solo perché, come si è visto, appaiono di difficile fattibilità e scarsamente efficaci anche ai loro propositori, che infatti non ne sembrano molto convinti essi stessi».
E non hanno tutti i torti, i compagni fiorentini: i referendum sono un’incognita - una delle - nel percorso della Syriza italiana.
Civati ha cominciato questo week end a raccogliere le firme (la prima è arrivata da Finale Ligure), ma non è che abbia raccolto un particolare entusiasmo dei suoi vicini, partiti e movimenti. Anzi. Il movimento della scuola, ad esempio, ha proprio provato a fermarlo - inutilmente - sul quesito sulla Buona Scuola. Docenti e studenti non vogliono raccogliere le firme ad agosto, a scuole chiuse, e vogliono far precedere all’eventuale battaglia referendaria un dibattito nel mondo della scuola, a scuole aperte, dunque, e senza che Civati si presenti con quesito già bello e pronto.
La conta diventa impossibile se ci mettiamo a enumerare quelli che al processo unitario non sono molto interessati, né coinvolti. Andiamo nel vintage. Viene ancora stampata Lotta Comunista. C’è Sinistra Critica, il Partito Comunista di Marco Rizzo, col simbolo quadrato così che non possa esser messo sulle schede elettorali, e il Partito Comunista dei Lavoratori, quello di Marco Ferrando, che almeno si presenta alle elezioni, raccogliendo - nel 2013 - poco più di 100mila voti al Senato.
Si batte ancora poi, il Partito Comunista d'Italia marxista-leninista: sul loro sito ti accoglie Bandiera rossa; segretario è da sempre Domenico Savio, di Forio, Ischia. Non va confuso però con il Partito Marxista-Leninista che ha sede a Firenze, e da lì, con
Si batte ancora poi, il Partito Comunista d'Italia marxista-leninista: sul loro sito ti accoglie Bandiera rossa; segretario è da sempre Domenico Savio, di Forio, Ischia. Non va confuso però con il Partito Marxista-Leninista che ha sede a Firenze, e da lì, con un recente comunicato pubblicato sul sito, si scaglia contro i referendum antirenziani lanciati da Pippo Civati: «I referendum non possono sostituire la lotta di classe», tuona, «i referendum non sono la strada giusta da seguire per opporsi adeguatamente all'offensiva proterva e ducesca di Renzi. Non tanto e non solo perché, come si è visto, appaiono di difficile fattibilità e scarsamente efficaci anche ai loro propositori, che infatti non ne sembrano molto convinti essi stessi».
E non hanno tutti i torti, i compagni fiorentini: i referendum sono un’incognita - una delle - nel percorso della Syriza italiana.
Civati ha cominciato questo week end a raccogliere le firme (la prima è arrivata da Finale Ligure), ma non è che abbia raccolto un particolare entusiasmo dei suoi vicini, partiti e movimenti. Anzi. Il movimento della scuola, ad esempio, ha proprio provato a fermarlo - inutilmente - sul quesito sulla Buona Scuola. Docenti e studenti non vogliono raccogliere le firme ad agosto, a scuole chiuse, e vogliono far precedere all’eventuale battaglia referendaria un dibattito nel mondo della scuola, a scuole aperte, dunque, e senza che Civati si presenti con quesito già bello e pronto.
Sul suo blog Civati ha dovuto scrivere un lungo post per spiegare che la sua non è una mossa per mettere il cappello, né sul mondo della scuola, né sulla sinistra: «Nostra intenzione non è quella di raccogliere le firme sui nostri referendum», ha scritto, «ma spiegare ai cittadini che i referendum sono loro e così sono stati da noi pensati fin dall'inizio». Non è raro, però, sentire qualcuno scommettere sul flop dell’iniziativa, senza troppo dispiacersene, peraltro, convinti che l’unità sarebbe a quel punto inevitabile.
Già. Perché se incontri nei territori, dibattiti alle feste estive e interviste dialoganti si susseguono, a sinistra di Possibile (c’è sempre qualcosa a sinistra di qualcosa) non sono ancora convinti che siano sopite le tentazioni autonome dei civatiani che - soprattutto all’esordio - presentavano Possibile come il partito della nuova sinistra. Il partito. Ed è vero che anche Sel ha discusso per giorni sulle sfumature della frase con cui Vendola ha annunciato che «Sel non si scioglie ma è pronta per qualcosa di più grande», ma il documento approvato all’ultima assemblea nazionale, l’11 luglio, dice abbastanza chiaramente che «il tema non è allargare i soggetti esistenti». E Nicola Fratoianni, che di Sel è il coordinatore, lavora per una costituente in autunno, ed è ottimista: «L’unità non basta ma divisi non andiamo da nessuna parte», dice, raccontando il processo come inevitabile.
Fassina condivide: «Dobbiamo stare insieme noi e tutti quelli che oggi non votano». Entrambi pensano che già alle prossime amministrative si dovrà avere un simbolo unico, e un’unica strategia. Andrà anche discussa, quindi, l’alleanza con il partito democratico: «Dobbiamo fare come in Liguria alle ultime regionali», spiega Fratoianni, «dove non abbiamo partecipato alle primarie ma dove se avesse vinto Cofferati e quindi il Pd avesse proposto una piattaforma opposta a quella della Paita e di Renzi tutto sarebbe stato diverso». Ma proprio qui si inserisce un’altra polemica con Civati che, uscito da poco dal Pd, con gli ex colleghi non vuole proprio più averci nulla a che fare: «Se ti allei col Pd fai una corrente del Pd, io ve lo dico», ha detto chiudendo il suo Politicamp a Firenze, «c’è il doppio turno, semmai, ma il tema non può essere trovare uno decente nel Pd».
Bologna e Milano sono due nodi da sciogliere. Non facilissimi. E poi c’è Cagliari, ad esempio, dove per Civati pure il sostegno all’uscente Massimo Zedda, di Sel, è in dubbio: «Non vogliamo più allearci con il Pd, e se Massimo Zedda sarà il candidato del Pd dovremo pensare attentamente e ragionare sulla sua candidatura», ha detto durante uno dei molti dibattiti sull’unità della sinistra.
La posizione di Civati è dunque lontanissima, per dire, da quella di Laura Boldrini che, intervistata dall’Unità, ha detto: «Non credo che Sel possa considerare il Pd un avversario e non credo neanche che il Pd debba mettere Sel accanto a Salvini e Grillo». «Il polo progressista non può essere diviso», è il punto della presidente della Camera, che non è l’unica a rimpiangere il centrosinistra. «Non mi sento sola in questa visione unitaria», ha infatti continuato, citando proprio il sindaco di Milano: «Penso a Pisapia che sta adoperandosi per costruire ponti, per favorire il dialogo».
Ecco allora che l’idea di lanciare a settembre - a fine settembre - un processo, una costituente è ancora tutta nelle dichiarazioni concilianti, anche se nella direzione di Sel c’è chi ha ricevuto espressamente l’incarico di studiare una piattaforma web utile allo scopo, per decidere dal basso la linea politica, il simbolo, il nome. Non c’è una data, non c’è un luogo, non c’è l’accordo, ancora. Forse, a giorni, ci sarà un appello. Di un unico gruppo parlamentare non se ne parla: «Sembrerebbe un’operazione di cambio di poltrone», ha detto ancora Civati, che pure parteciperà alla prima riunione di un coordinamento dei parlamentari a sinistra del Pd, quelli di Sel, gli ex dem, e gli ex 5 stelle che da poco si sono organizzati in una componente del gruppo misto che ripesca il nome della lista delle europee: l’Altra Europa con Tsipras.
E devono quindi accontentarsi i movimenti d’area e i singoli elettori spaesati la cui richiesta è ben sintetizza da Act che, per spiegarsi meglio, ha fatto anche un videotutorial. «Per una volta», dicono, «evitiamoci l’ennesima assemblea sull’unità della sinistra. Non ci importa di unire ciò che è già organizzato. Proviamo, stavolta, a organizzare ciò che può essere unito, chi ha smesso di impegnarsi ma sente ancora il bisogno di lottare. Facciamo che invece di fare la gara a chi lancia il percorso più bello, più figo, più unitario, apriamo uno spazio di discussione che non sia “proprietà” di nessuno, in cui non ci siano ospiti e tutti si possano sentire a casa».
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
PER UN PROGRAMMA DI AZIONE COMUNE E L’INIZIO DI UN PROCESSO COSTITUENTE
L’altra Europa con Tsipras partecipa con convinzione all’incontro “Per un programma di azione comune” che sostanzia il cammino costituente di un nuovo soggetto politico di sinistra.
Dare vita in Parlamento a uno spazio di lavoro comune di deputati e senatori per un’iniziativa politica e legislativa per cambiare le politiche del nostro Paese. È l’obiettivo dei promotori dell’assemblea di Parlamentari che si svolgerà domani mattina, martedì 28 luglio 2015, dalle ore 10 alle 13, a Roma presso la Sala del Cenacolo della Camera dei Deputati (Vicolo Valdina) dalle ore 10.
Parlamentari di Sel, parlamentari che hanno lasciato in queste settimane il Partito Democratico, parlamentari che hanno lasciato il M5S, o che provengono da altre esperienze politiche si incontreranno per la prima volta per avviare insieme un percorso parlamentare.
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Restiamo a vedere cosa maturerà
L’altra Europa con Tsipras partecipa con convinzione all’incontro “Per un programma di azione comune” che sostanzia il cammino costituente di un nuovo soggetto politico di sinistra.
Dare vita in Parlamento a uno spazio di lavoro comune di deputati e senatori per un’iniziativa politica e legislativa per cambiare le politiche del nostro Paese. È l’obiettivo dei promotori dell’assemblea di Parlamentari che si svolgerà domani mattina, martedì 28 luglio 2015, dalle ore 10 alle 13, a Roma presso la Sala del Cenacolo della Camera dei Deputati (Vicolo Valdina) dalle ore 10.
Parlamentari di Sel, parlamentari che hanno lasciato in queste settimane il Partito Democratico, parlamentari che hanno lasciato il M5S, o che provengono da altre esperienze politiche si incontreranno per la prima volta per avviare insieme un percorso parlamentare.
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Restiamo a vedere cosa maturerà
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Re: E’ ORA DI UNA SIRYZA ITALIANA
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