Podemos, viaggio nella sinistra spagnola che fa sognare l'Italia
Oltre sinistra e destra, ma con le radici nella prima. Senza ideologie, ma con i
sondaggi a gonfie vele. Così il partito di Pablo Iglesias fa sognare molti anche qui. Ecco come ha fatto. E cosa ci può insegnare
DI ALESSANDRO GILIOLI
16 marzo 2015
Se in Italia si parla molto di sinistra senza che nessuno sia capace di farla, in Spagna invece hanno fatto la sinistra senza che a nessuno sia mai venuto in mente di dirlo. Podemos, il partito che i sondaggi danno tra il primo e il secondo posto, rifiuta infatti questa definizione: e non per un vezzo mediatico, ma - sostengono loro - «per un cambio di paradigma postideologico», per una lettura della realtà lontana dai vecchi blocchi sociali. A qualcuno può sembrare un’edizione locale del Movimento 5 Stelle: e come vedremo non mancano elementi in comune. Ma le cose sono un po’ meno semplici e anche più interessanti, per la Spagna così come per l’Europa.
UN PERCORSO DI OLTRE UN DECENNIO
Calle de la Torrecilla Real, nel centro di Madrid. Qui fino al febbraio scorso aveva sede una libreria “alternativa”, La Marabunta. Oggi le saracinesche coperte di murales sono chiuse, ma una targa gialla sul muro ricorda un evento già storico: «Aqui nació Podemos». Già: è qui che è cominciato tutto, nel gennaio del 2014, con gli incontri di un gruppo di docenti dell’università Complutense di Madrid e alcuni leader dei movimenti che avevano portato in piazza centinaia di migliaia di persone nel maggio del 2011, dando vita al fenomeno degli Indignados.
Podemos, quindi, è un bambino di poco più di un anno, che però oggi ha il 23-25 per cento: sopra i socialisti, testa a testa con i popolari. Un’esplosione, dunque: il partito è talmente giovane che fino a pochi giorni fa l’unica sua sede era un ex negozio di frutta secca a calle Zurita, trenta metri quadri a pochi passi dalla Marabunta; solo quest’anno ha iniziato a traslocare in un grande ufficio di Calle de la Princesa, con finestre sulla Plaza de España
Nel cuore di Podemos
Il boom di questi mesi tuttavia ha alle spalle un lungo percorso che affonda le sue radici in tanti fattori sia esterni sia interni all’opposizione spagnola. Quelli esterni riguardano il bipartitismo che ha governato dalla fine del franchismo in poi e che Podemos chiama appunto “il regime del ’78” (quando fu approvata la Costituzione). Negli ultimi 37 anni, popolari e socialisti si sono alternati al potere garantendo in una prima fase stabilità, democrazia e benessere, ma anche costituendo sul lungo termine - secondo Podemos - un establishment di potere corrotto. Con l’esplosione della crisi, la protesta che ne è derivata si è quindi rivolta indistintamente contro entrambi i partiti “del ’78”. Questi peraltro ci hanno messo del loro per apparire un’unica cosa, rispondendo alla recessione con le stesse ricette: le riforme varate prima dai socialisti poi dai popolari sono state tutte ispirate ad austerità, precarizzazione, privatizzazioni, tagli alla sanità e alla scuola, diminuzione dei salari. Anche il pareggio di bilancio in Costituzione, introdotto nel 2011, è stato votato insieme da Psoe e Pp.
È in questo contesto che nasce l’opposizione al bipartitismo (parola ricorrente nel dibattito politico spagnolo, un po’ come da noi “larghe intese”). Il suo cuore è l’università Complutense di Madrid, un campus di cemento alla periferia nord della città dove ai tempi di Franco erano state confinate le facoltà di scienze sociali, economiche e umaniste: il dittatore voleva tenere sotto controllo quelli che già allora erano considerati possibili focolai di rivolta. Mezzo secolo dopo, la concentrazione di studenti di sociologia e politica in un unico compound di edifici ha ottenuto l’effetto opposto. Ancora oggi, i corridoi della Complutense offrono una colorata rappresentazione del fermento movimentista: ovunque striscioni, manifesti e murales con i volti degli studenti uccisi durante il franchismo; appena fuori, nelle giornate di sole, ragazzi seduti a cerchio sull’erba a discutere di politica.
In una piccola stanza al piano terra della Complutense nel 2006 si forma così un collettivo chiamato Contrapoder. Tra i suoi fondatori c’è Pablo Iglesias, classe 1978: proveniente da una famiglia anti franchista, è attivo nel movimento no-global dei primi anni Duemila; dopo la laurea in Giurisprudenza, resta alla Complutense per un secondo corso di studi in Scienze politiche, facendo anche un Erasmus a Bologna. In Italia viene in contatto con il mondo dei centri sociali e dei Disobbedienti, che costituirà poi il materiale della sua tesi di dottorato incentrata sul confronto fra i movimenti antagonisti spagnoli e italiani.
Attorno a Contrapoder, e più in generale alla Complutense, si forma tutto il futuro gruppo dirigente di Podemos: studenti di sociologia, economia e scienze politiche che si legano alle esperienze dei Forum sociali. Tra loro, oltre a Iglesias, ci sono Íñigo Errejón, oggi 32 anni; Juan Carlos Monedero, il più anziano del gruppo (è del 1963), docente di Scienze politiche; Carolina Bescansa, professoressa di Metodologia; e Luis Alegre, classe 1977, ricercatore di Filosofia sempre alla Complutense: tutti ora tra i vertici di Podemos.
Juan Carlos Monedero, fondatore e ideologo
In altre parole, al cosiddetto “movimento 15-M” (quello esploso appunto il 15 maggio 2011, contro la crisi economica e l’austerity) si arriva dopo un periodo di analisi basate sul tentativo di dare una nuova lettura alle trasformazioni sociali avvenute con la globalizzazione in Spagna e nel mondo; si tratta tuttavia di elaborazioni non rinchiuse nell’ambito intellettuale ma intrecciate con la militanza attiva nelle reti sociali che in quegli anni si vanno organizzando tra i più giovani.
Lo stesso Iglesias accompagna la sua attività di docenza all’attivismo politico e mediatico: collabora al quotidiano della nuova sinistra “Público” e scrive su siti Web di vario tipo; soprattutto, dal 2010 inizia a condurre “La Tuerka”, un talk show di interviste che viaggia sia attraverso tivù minori sia sulla Rete. È così che Iglesias si scopre efficacissimo comunicatore, dotato di eloquio rapido e argomentato. Quando scoppia il movimento del 2011 trasferisce questo talento sulla Plaza del Sol occupata dagli Indignados; subito dopo, proprio come “opinionista del 15-M”, diventa ospite fisso nel talk show di un’emittente molto più ascoltata, La Sexta, sicché la sua notorietà tracima dai media alternativi a quelli mainstream; insomma parla al grande pubblico che non ha mai fatto politica, disoccupati, casalinghe, precari, pensionati. Intanto, mantiene l’appuntamento fisso con La Tuerka, dove i suoi fan si moltiplicano proprio grazie alla presenza su La Sexta. Avviene quindi un rimpallo tra vecchi e nuovi media che ancora oggi Podemos teorizza e pratica, considerandolo fondamentale per la riconquista di quell’egemonia culturale teorizzata da Gramsci, uno dei maggiori riferimenti culturali del partito.
È chiacchierando con alcuni dirigenti di Podemos negli uffici di Calle de la Princesa che si possono ricostruire le dinamiche che hanno portato dalla piazza degli Indignati alla nascita e all’esplosione del partito. Spiega Jorge Lago, sociologo e tra i fondatori, molto vicino a Iglesias: «La crisi è stata il detonatore che ha svelato un problema strutturale della democrazia spagnola: il modo in cui in questo Paese agiva il potere politico ed economico non incontrava più il consenso della maggioranza. La diffusione della corruzione, l’esistenza di una élite di privilegiati, il sequestro della sovranità da parte di poteri extranazionali come il Fmi e la Bce: tutto questo nel 2011 ha prodotto il movimento degli Indignati e ha portato anche l’80 per cento della popolazione a condividerne le proteste, come rivelavano i sondaggi. Però poi nelle elezioni generali che si sono tenute solo pochi mesi dopo il Pp ha vinto le elezioni: nella società c’era stato quindi un divorzio tra il sentire comune e la rappresentanza politica. Ne derivava uno spazio potenziale nuovo da occupare, fuori dal vecchio schema centrosinistra-centrodestra. Ma c’era bisogno di una traduzione organizzativa».
È così che Pablo Iglesias e i suoi compagni iniziano a pensare a questa “traduzione” della protesta in un partito. Racconta Carolina Bescansa, una dei cinque intellettuali-attivisti che hanno costituito il nucleo originario di Podemos: «Quando Pablo e Luis Alegre mi hanno chiamato, io ero tra i meno ottimisti. Tutti i manuali di scienza politica spiegano che per dare vita a un partito oggi c’è bisogno prima di tutto di soldi, di cui noi non disponevamo. Confrontandoci in quelle settimane, alla Marabunta, mi sono però convinta che in assenza di un capitale economico potevamo far leva su un capitale mediatico: e quello invece lo possedevamo, grazie alla popolarità televisiva di Iglesias. Allora ci siamo detti: proviamo».
Utilizzando i suoi palcoscenici sui media, Iglesias lancia quindi la sfida, con un appello per la costruzione di un nuovo partito in vista delle europee: l’obiettivo delle 50 mila firme da raccogliere on line viene superato in meno di 48 ore. E nei giorni successivi le adesioni diventano una marea: «Il Paese era pronto a un cambiamento», dice Bescansa. «Con il crowdfunding via Internet, abbiamo raccolto i fondi necessari per presentarci alle europee, circa 140 mila euro. Così è arrivato il nostro 8 per cento: un risultato che ha sorpreso tutti e ha acceso l’interesse dei mezzi di comunicazione verso di noi». Di nuovo, avviene un rimpallo tra vecchi e nuovi media: tg e talk show parlano di Podemos, così il sito e la pagina Facebook del partito di Iglesias decollano; si moltiplicano quindi anche le donazioni su PayPal e le casse del partito si riempiono. E il circolo virtuoso fa decollare i consensi nei sondaggi.
DESTRA E SINISTRA, ALTO E BASSO
Com’è avvenuto tutto questo? Uno dei leader e fondatori, Juan Carlos Monedero, risponde dicendo che «c’era bisogno di un catalizzatore» e questo è stato Podemos. «Noi avevamo tre elementi», aggiunge: «Il primo è il rapporto con le persone creato negli anni, percorrendo la Spagna, lavorando nei movimenti, presentando libri, quindi creando un’alleanza sociale con la cittadinanza non rappresentata e arrabbiata; secondo, la notorietà mediatica di Pablo Iglesias, un giovane che parla in modo diverso e sa mettersi in sintonia con ampie fasce del Paese; terzo, la nostra formazione culturale che ci mette in grado di fare una diagnosi corretta della situazione sociale, della necessità di un reincontro al di sopra delle ideologie».
E qui riappare la questione di Podemos “né di destra né di sinistra”, sempre sottolineata dai suoi dirigenti e attivisti: «È un binomio ormai ingannevole», dice Monedero: «Oggi serve solo a consolidare due partiti molto simili tra loro e a obbligare gli altri a situarsi agli estremi. Noi invece non vogliamo stare agli estremi, anzi ci appelliamo all’idea della centralità. Che non è “il centro” politico: questo, come spiegava Norberto Bobbio, si caratterizza infatti per l’assenza del conflitto, mentre noi vogliamo occupare la centralità sociale impostata proprio sul conflitto. Quello della grande maggioranza della cittadinanza contro i pochi privilegiati dell’economia e della politica: ecco perché alla diade “sinistra contro destra” contrapponiamo quella di “basso contro alto”».
In questo senso, di nuovo, c’è il recupero dell’insegnamento gramsciano sull’egemonia culturale, come spiega Monedero: «Veniamo da quasi mezzo secolo di egemonia neoliberista con cui è stato cambiato il nostro modo di pensare; ci hanno convinti che l’unica società possibile è quella basata sull’egoismo e sulla competizione, ci hanno persuasi che il privato è meglio del pubblico, che esiste solo il modello di vita fondato sul desiderio di consumo. E la sinistra non è stata capace di costruire un modello antropologico diverso: così ha passato cinquant’anni sulla difensiva».
Anche per questo, continua Monedero, il terzo grande troncone a cui guarda Podemos, (accanto alle elaborazioni e alle lotte dei Forum sociali e a pensatori italiani come Gramsci, Spinelli, Pasolini e Bobbio), è costituito dalle esperienze nell’ultimo decennio in America latina, dalla Bolivia di Morales all’Ecuador di Correa. Più imbarazzante è il rapporto con il Venezuela: infatti sia Iglesias sia diversi suoi luogotenenti in passato hanno esaltato la “rivoluzione” del governo di Caracas, vista come risposta popolare alle imposizioni del Fmi. Sicché da quando quel Paese è entrato nella sua attuale gravissima crisi a cui Maduro non sembra in grado di dare alcuna risposta, i grandi media non fanno che parlare del Venezuela mentre i dirigenti di Podemos non lo nominano più neanche sotto tortura. Inoltre “El Mundo” ha accusato Monedero di avere ricevuto dal Venezuela un milione di euro, che poi si sono rilevati 425 mila fatturati ai governi di Bolivia, Nicaragua, Venezuela ed Ecuador per una consulenza sull’ipotesi di una moneta unica tra questi Paesi. Monedero avrebbe ottenuto una riduzione di imposte su questo compenso dichiarandolo attraverso una fondazione anziché come persona fisica: il tutto era legale, ma è stato occasione di un’aspra polemica che ha monopolizzato i titoli dei quotidiani e dei tg per settimane.
Dal punto di vista teorico, invece, in Spagna si parla molto dell’influenza su Podemos del filosofo argentino Ernesto Laclau e del suo libro “La ragione populista”, un tentativo di superamento del determinismo di Marx. «Ma non siamo un partito che si ispira al pensiero di uno solo, la nostra è più una playlist», dice Lago: «E soprattutto è una continua lettura della congiuntura e delle sue trasformazioni». Anche perché, aggiunge Bescansa, «i vecchi blocchi sociali si sono frantumati e non si può oggi pensare a un partito come espressione di una classe». In Podemos però l’interclassismo è inteso più esattamente come trasversalità, nel contesto di una contrapposizione tra la maggioranza dei non privilegiati e la minoranza dei privilegiati. Così anche in Spagna si usa molto la parola “casta”, ma con un significato un po’ diverso rispetto all’Italia: non s’intende tanto il ceto politico in sé, quanto il mix di politici, banchieri, grandi imprenditori e alti funzionari che detengono il controllo dell’economia, della ricchezza, dei media.
TRA PARTITO E MOVIMENTO
Intanto Podemos ha di fronte anche un’altra sfida in vista delle politiche: quella di strutturarsi al suo interno. «il nostro è un partito, ma pensato con una logica di movimento», dice Lago. Cioè tutto il potere decisionale appartiene agli iscritti e chiunque può iscriversi on line, anche se non svolge attivismo nei circoli. Gli stessi iscritti eleggono via web le cariche interne, con un segretario generale (Iglesias), un numero due e così via. Gli europarlamentari (finora unica rappresentanza istituzionale di Podemos) tengono per sé 2.000 euro al mese e ne versano altrettanti al partito; il resto viene devoluto a associazioni e collettivi che operano sui territori (per il diritto alla casa, per sostegno legale ai lavoratori licenziati etc). I circoli, che si riuniscono fisicamente, non hanno potere decisionale ma elaborano le proposte (di solito di carattere locale) che vengono poi condivise con gli iscritti, on line. Quasi nessun circolo ha a disposizione una sede, quindi le riunioni avvengono in luoghi pubblici. Il gruppo di Fuencarral, a nord della capitale, si ritrova ad esempio attorno ai tavoli di un bar, il “Tapas y copas”, il che ha come effetto collaterale il consumo di diverse birre; quello di Arganzuela, dal lato opposto della città, approfitta degli spazi del matadero, un ex mattatoio ristrutturato.
VERSO IL VOTO DI NOVEMBRE
È attraverso un sistema collaborativo, votato on line dagli iscritti, che si è arrivati al programma per le europee e ora si sta preparando quello per le politiche. Il percorso per il “documento finale” viaggia su un binario doppio: da un lato la consultazione e gli approfondimenti di studiosi ed esperti (da Joseph Stiglitz per l’economia a Hervé Falciani per il fisco, ad esempio), d’altro lato la produzione di proposte che vengono dai circoli e dagli iscritti, via Web. Tra i punti fermi, il sussidio universale per disoccupati, lo stop alle privatizzazioni, l’inversione del processo di precarizzazione, la revoca di alcuni accordi di libero scambio europeo, l’opposizione al trattato Ttip, l’ambiente, la riduzione dei super stipendi ai vertici dello Stato, incentivi alla piccola impresa e al trasporto pubblico.Prima delle politiche, peraltro, in Spagna sono previsti diversi altri appuntamenti elettorali locali, dalle regionali in Andalusia alle comunali e provinciali in quasi tutto il Paese. Per queste ultime Podemos ha deciso di non presentarsi con il proprio simbolo ma di attivare e sostenere liste civiche locali concordate con i movimenti. In generale, a livello locale Podemos è meno forte e organizzato in vista del voto.
Cinque stelle, affinità e differenze
Le somiglianze tra Podemos e Movimento 5 Stelle, lo si è visto, non mancano: la partecipazione dal basso, l’approccio postideologico, il superamento del dualismo destra-sinistra, l’ambientalismo, l’uso della Rete per scegliere i candidati, l’autoriduzione degli stipendi, la lotta contro la corruzione etc. Tuttavia, anche le differenze non mancano: «In Italia, il movimento di Grillo è stato molto positivo nella fase destitutiva del vecchio regime, ma si è rivelato insufficiente nella fase costitutiva», dice Monedero. «Questa esige un’approfondita diagnosi sociale, una lettura economica del passato recente e del presente: il che manca al M5S. E poi noi proveniamo dal troncone della emancipazione sociale spagnola e internazionale, loro no». Aggiunge Guillermo Zapata, uno dei leader del centro sociale Patio Maravilla, luogo di ritrovo di tutti i movimenti che ruotano attorno a Podemos: «Il 5 Stelle ha offerto una soluzione solo tecnica a una questione politica e sociale. Offre un protocollo - la partecipazione dal basso - ma non una risposta politica da metterci dentro. L’idea di aprire l’architettura del potere ai cittadini è giusta, tuttavia senza un proposta precisa e completa, resta vuota».
Ciò nonostante, le occasioni di collaborazione al Parlamento europeo non mancano: «Lavoro bene con alcuni di loro», dice l’eurodeputata Tania González, 32 anni, ex prof precaria di liceo, anche lei uscita dal collettivo Contrapoder, «e ci troviamo d’accordo su molte cose, specie economiche e ambientali». Tuttavia, aggiunge, «su altre invece siamo lontani, come l’immigrazione, che per noi è questione dirimente». Inoltre, dice González, Podemos non condivide l’euroscetticismo di Grillo e pensa anzi che l’Europa sia l’unica strada attraverso la quale possa passare il recupero della sovranità da parte dei cittadini. Il partito spagnolo, per inciso, non parla di uscire dall’euro, neanche per ipotesi. Ci sono poi differenze tra i due movimenti anche per quanto riguarda le prassi: ad esempio, per la certificazione delle sue consultazioni on line Podemos utilizza tre diverse società esterne, mentre in Italia il voto elettronico è gestito da Casaleggio. Il modello organizzativo di Podemos prevede inoltre l’elezione dei vertici del partito, cosa che il M5S esclude. E se è vero che anche Podemos fa un uso robusto della Rete come strumento di comunicazione, questo non viene visto come alternativo bensì del tutto complementare ai talk-show e alla tv in genere: anzi, è considerato essenziale esserci nei mezzi che entrano nelle case di quella fascia di popolazione non raggiunta dall’informazione Web. Infine, la questione delle alleanze a Podemos è vista diversamente rispetto al M5S: «Se non avremo la maggioranza assoluta dei seggi, per governare dovremo fare per forza qualche accordo con altre forze politiche», spiega Bescansa. L’importante, aggiunge, è che tutto avvenga alla luce del sole, che il grosso del programma di Podemos venga accettato e che ad accordo concluso questo sia sottoposto a un referendum tra gli iscritti.
«IN ITALIA È TROPPO TARDI»
«Il tratto distintivo della sinistra è sempre cercare ciò che la divide, mentre la centralità sociale si conquista solo cercando ciò che unisce, quindi mettendosi alle spalle le ortodossie ideologiche». Così Monedero spiega perché anche cercare un parallelo tra Podemos e la sinistra classica, compresa quella italiana, porterebbe fuori strada. Di Renzi non si parla neanche («è una creazione mediatica dell’establishment, maniche di camicie e linguaggio internettiano per nascondere il fatto che fa le politiche delle élite», dice di lui Bescansa) ma anche rispetto alla sinistra radicale italiana Podemos marca le differenze: «È rimasta ideologica e identitaria, quindi ha perso la connessione emotiva con i bisogni dei cittadini», sostiene sempre Bescansa.
A rendere lontana la prospettiva di un possibile Podemos italiano è Carlos Enrique Bayo Falcón, il direttore del sito di news “Público”, molto vicino al partito di Iglesias: è in una stanza della sua redazione, animata da ragazzi attaccati ai pc, che si registra La Tuerka, il programma Web condotto ancor oggi da Iglesias.«L’appuntamento con la storia voi l’avete avuto vent’anni fa, quando è crollata la Prima repubblica come da noi oggi sta precipitando il bipartitismo», dice Bayo Falcón. «Solo che in Italia la risposta è stata Berlusconi, con le sue tv: quindi ha vinto il populismo di destra. La nostra Tangentopoli è invece scoppiata nell’era di Internet, in un contesto di cittadinanza che si informa e si organizza autonomamente, senza farsi influenzare dai grandi media. Per questo gli spagnoli oggi hanno Podemos. Per voi, purtroppo, è troppo tardi».
Sono quindi gli stessi fondatori di Podemos a togliere l’illusione che si possa trasportare artificiosamente in Italia un’esperienza nata in un contesto diverso e con un suo percorso peculiare: «La strada non è mai quella di ripetere le esperienze di altri paesi», dice Iglesias. Del resto, già il tentativo di imitare Syriza non ha portato a risultati in termini di coalizione sociale e di consenso. Semmai ciò che l’esperienza spagnola può insegnare è un metodo, quello di cui parla Lago: la «lettura della congiuntura e delle sue trasformazioni a partire dalla realtà, senza determinismi». Forse è impossibile, in Italia. Ma, come ci ha detto Monedero in conclusione d’intervista, «la rivoluzione è proprio rendere possibile l’impossibile».
ha collaborato Carla Cremonte
http://espresso.repubblica.it/attualita ... =HEF_RULLO