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Re: Top News
Mondo
Giulio Regeni: scusaci, avrai solo omertà
di Guido Rampoldi | 6 febbraio 2016
Commenti (28)
Tutto come prevedibile.
Il regime egiziano, et voilà, arresta in un battibaleno gli assassini di Giulio Regeni, lo studente della Cambridge university prima torturato e poi ucciso al Cairo nell’anniversario del golpe.
Trattasi, ovviamente, di malavitosi che nulla hanno a che fare con gli svariati centri della repressione, i quali, manco a dirlo, mai si sono serviti di criminali comuni.
Esaurite le 24 ore del Facite la faccia feroce il governo italiano smorza i toni e ritrae quel tono esigente e imperativo che aveva puntato sulle autorità del Cairo nelle prime ore.
I siti informano che Renzi “chiede chiarezza”, e nessuno, giornalista o politico, chiede a lui di fare chiarezza sulle dichiarazioni di fraterna amicizia rivolte in varie occasioni al generale al Sisi, parole smodate che hanno impressionato giornalisti di quotidiani autorevoli come il Guardian ma non i giornalisti italiani, di destra o di sinistra.
Oggi si chiude.
Stamane leggeremo le oneste prose di qualche opinionista ancora dotato di senso dell’onore e di rispetto per se stesso: e con queste foglie di fico sulle proprie vergogne il circo dei media riprenderà lo spettacolo.
Verrebbe da dire: perdonaci Giulio. Perdona questo Paese cui non assomigliavi affatto.
A Giulio vorremmo promettere questo: noi non dimenticheremo.
Innanzitutto non dimenticheremo il tuo coraggio.
Eri dentro un percorso universitario di grande prestigio, un itinerario accademico che porta lontano, che schiude carriere e accessi privilegiati.
Eppure la curiosità o la passione civile, o entrambe, ti hanno condotto a misurare sul terreno le teorie apprese in una tra le migliori università del mondo.
Per condividere le tue scoperte hai fatto quel che i giornalisti italiani spesso non fanno: hai fatto giornalismo.
Al livello più alto: eri nel posto dove bisognava essere e avevi gli strumenti concettuali per capire.
Se avessimo un’informazione capace di altrettanto, forse non saremmo un Paese così sgangherato.
Probabilmente non sapremo mai con certezza chi abbia deciso la tua morte.
Sappiamo però che quel che dirà in proposito il regime avrà un’attendibilità pari a zero.
I centri della repressione sono diversi e scollegati, ma tutti mentono per riflesso condizionato.
In settembre in un appartamento del Cairo una qualche unità di polizia ha arrestato e liquidato sul posto nove notabili dei Fratelli musulmani, tra i quali un noto legale; e malgrado le ferite rivelassero che i colpi erano stati sparati a brevissima distanza, la versione ufficiale li ha dichiarati morti in un conflitto a fuoco.
Nessuno ha contestato queste bugie: chi osa rischia la vita, non solo la galera.
Malgrado la menzogna sia sistematica, non v’è giornalista o politico italiano cui sia difficile conoscere la verità.
Basta affacciarsi nel web e leggere quel che Sarah Leah Whitson, direttore per il Medio Oriente di Human Right Watch, ha detto al Congresso americano nel novembre scorso (ecco una cosa su cui riflettere: il Congresso l’ha convocata per sapere cosa sta accadendo in un Paese per gli Stati Uniti remoto; non risulta che il nostro Parlamento abbia di queste curiosità, malgrado l’Egitto sia vicino).
Non meno istruttiva è la relazione della Federazione internazionale per i Diritti Umani, dove si afferma che il regime usa sistematicamente lo stupro (“La diffusione delle violenze sessuali durante l’arresto o la detenzione, la somiglianza tra i metodi usati e l’impunità di cui godono i colpevoli indicano una cinica strategia politica per paralizzare la società civile e ridurre al silenzio l’intera opposizione”).
Malgrado questa facilità di accesso alle fonti, in Italia la gran parte dell’informazione non ha mai considerato rilevante quel che sta avvenendo nel Paese di cui siamo il primo partner commerciale.
Quasi si potesse liquidare il massacro come “cose tra arabi”.
La Whitson ha concluso così la sua relazione al Congresso: è sorprendente che Paesi occidentali che si dichiarano campioni dei diritti umani non sentano alcun disagio per quel che sta accadendo in Egitto.
Che questa fosse o no la sua intenzione Giulio Regeni rappresentò un Occidente diverso.
Il Fatto Quotidiano, 6 febbraio 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02 ... a/2438767/
Giulio Regeni: scusaci, avrai solo omertà
di Guido Rampoldi | 6 febbraio 2016
Commenti (28)
Tutto come prevedibile.
Il regime egiziano, et voilà, arresta in un battibaleno gli assassini di Giulio Regeni, lo studente della Cambridge university prima torturato e poi ucciso al Cairo nell’anniversario del golpe.
Trattasi, ovviamente, di malavitosi che nulla hanno a che fare con gli svariati centri della repressione, i quali, manco a dirlo, mai si sono serviti di criminali comuni.
Esaurite le 24 ore del Facite la faccia feroce il governo italiano smorza i toni e ritrae quel tono esigente e imperativo che aveva puntato sulle autorità del Cairo nelle prime ore.
I siti informano che Renzi “chiede chiarezza”, e nessuno, giornalista o politico, chiede a lui di fare chiarezza sulle dichiarazioni di fraterna amicizia rivolte in varie occasioni al generale al Sisi, parole smodate che hanno impressionato giornalisti di quotidiani autorevoli come il Guardian ma non i giornalisti italiani, di destra o di sinistra.
Oggi si chiude.
Stamane leggeremo le oneste prose di qualche opinionista ancora dotato di senso dell’onore e di rispetto per se stesso: e con queste foglie di fico sulle proprie vergogne il circo dei media riprenderà lo spettacolo.
Verrebbe da dire: perdonaci Giulio. Perdona questo Paese cui non assomigliavi affatto.
A Giulio vorremmo promettere questo: noi non dimenticheremo.
Innanzitutto non dimenticheremo il tuo coraggio.
Eri dentro un percorso universitario di grande prestigio, un itinerario accademico che porta lontano, che schiude carriere e accessi privilegiati.
Eppure la curiosità o la passione civile, o entrambe, ti hanno condotto a misurare sul terreno le teorie apprese in una tra le migliori università del mondo.
Per condividere le tue scoperte hai fatto quel che i giornalisti italiani spesso non fanno: hai fatto giornalismo.
Al livello più alto: eri nel posto dove bisognava essere e avevi gli strumenti concettuali per capire.
Se avessimo un’informazione capace di altrettanto, forse non saremmo un Paese così sgangherato.
Probabilmente non sapremo mai con certezza chi abbia deciso la tua morte.
Sappiamo però che quel che dirà in proposito il regime avrà un’attendibilità pari a zero.
I centri della repressione sono diversi e scollegati, ma tutti mentono per riflesso condizionato.
In settembre in un appartamento del Cairo una qualche unità di polizia ha arrestato e liquidato sul posto nove notabili dei Fratelli musulmani, tra i quali un noto legale; e malgrado le ferite rivelassero che i colpi erano stati sparati a brevissima distanza, la versione ufficiale li ha dichiarati morti in un conflitto a fuoco.
Nessuno ha contestato queste bugie: chi osa rischia la vita, non solo la galera.
Malgrado la menzogna sia sistematica, non v’è giornalista o politico italiano cui sia difficile conoscere la verità.
Basta affacciarsi nel web e leggere quel che Sarah Leah Whitson, direttore per il Medio Oriente di Human Right Watch, ha detto al Congresso americano nel novembre scorso (ecco una cosa su cui riflettere: il Congresso l’ha convocata per sapere cosa sta accadendo in un Paese per gli Stati Uniti remoto; non risulta che il nostro Parlamento abbia di queste curiosità, malgrado l’Egitto sia vicino).
Non meno istruttiva è la relazione della Federazione internazionale per i Diritti Umani, dove si afferma che il regime usa sistematicamente lo stupro (“La diffusione delle violenze sessuali durante l’arresto o la detenzione, la somiglianza tra i metodi usati e l’impunità di cui godono i colpevoli indicano una cinica strategia politica per paralizzare la società civile e ridurre al silenzio l’intera opposizione”).
Malgrado questa facilità di accesso alle fonti, in Italia la gran parte dell’informazione non ha mai considerato rilevante quel che sta avvenendo nel Paese di cui siamo il primo partner commerciale.
Quasi si potesse liquidare il massacro come “cose tra arabi”.
La Whitson ha concluso così la sua relazione al Congresso: è sorprendente che Paesi occidentali che si dichiarano campioni dei diritti umani non sentano alcun disagio per quel che sta accadendo in Egitto.
Che questa fosse o no la sua intenzione Giulio Regeni rappresentò un Occidente diverso.
Il Fatto Quotidiano, 6 febbraio 2016
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02 ... a/2438767/
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Giulio Regeni: al Sisi, l”alleato’ con la coscienza sporca
di Fabio Marcelli | 6 febbraio 2016
Commenti (3)
Dubbi sulle circostanze della morte al Cairo del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni ce ne possono essere davvero pochi. Giulio è stato con ogni evidenza ucciso, mediante tortura efferata, da qualche organo di polizia agli ordini del dittatore del Paese, generale Sisi.
Quest’ultimo fa del resto fin dalla sua instaurazione, aperto ricorso a instrumenta regni come torture e sparizioni. Secondo l’organizzazione Egytpian Commission for Rights and Fredoms sono stati solo nel 2015, oltre 1.500 i casi di sparizioni di oppositori imputabili agli organi di “sicurezza”. Il giorno della sparizione di Giulio erano in corso manifestazioni nell’anniversario della rivolta del 2011 e non mancano testimoni oculari che affermano di aver assistito al fermo di uno straniero in quelle ore. Il fatto che stavolta ci sia andato di mezzo un cittadino italiano dipende da un lato dalla rozzezza degli apparati repressivi del regime e dall’altro dall’arroganza dello stesso, convinto della sostanziale impunità garantita dai suoi cospicui appoggi internazionali a partire dall’Arabia Saudita, perno di ogni politica reazionaria nella regione.
Sarà interessante verificare quale sarà la risposta di Renzi e Gentiloni a questo crimine tremendo, che ha soppresso la giovane vita di un brillante e coraggioso ricercatore italiano che abbinava, com’è sempre giusto, anzi doveroso fare, impegno scientifico e militanza per i diritti umani, soprattutto quelli dei lavoratori.
Diritti che al Sisi ha violato e continua a violare evidenziando la brutale natura di classe del suo regime. Nell’articolo pubblicato ieri dal manifesto, giornale con cui collaborava sotto pseudonimo, Giulio Regeni racconta con precisione ed entusiasmo lo svolgimento di un’assemblea sindacale nazionale, il vero pericolo, molto più degli islamisti, della dittatura repressiva e neoliberista al potere in Egitto. Come scrive oggi sempre sul manifesto l’ottimo Acconcia “le rivolte del 2011 sono state una rivoluzione proletaria che poteva mettere in discussione l’assetto del capitalismo egiziano fondato sulla proprietà delle fabbriche da parte dell’élite militare”.
Con la superficialità e mancanza di conoscenze e sensibilità che lo contraddistingue Renzi ebbe a definirlo “un grande statista”. Un atteggiamento del resto comune all’insieme dell’Unione europea e dell’Occidente più in generale, che oscillano costantemente fra l’appoggio ai peggiori dittatori, da Erdogan al regime oscurantista saudita al sistema israeliano dell’apartheid, ad, appunto, al Sisi e promozione delle guerre civili come in Siria e in Libia. Una politica destabilizzatrice e schizofrenica che causa enormi sofferenze per le popolazioni vittima di guerra e repressione e rischi crescenti per la pace.
Accogliendo il lascito intellettuale di Giulio, bisognerebbe invece puntare su di una terza via, quella del rafforzamento delle società civili e dei movimenti popolari. Tale scelta richiede evidentemente un fermo atteggiamento di riprovazione e condanna e il blocco immediato quantomeno dei rapporti relativi alla vendita di armi, alla cooperazione militare e a quella fra organi di polizia, in mancanza del quale i governi occidentali continuerebbero a rendersi complici dei crimini commessi da tali regimi. La questione della lotta al terrorismo, che essi invocano pretestuosamente per legittimare le loro sanguinose repressioni, va affrontata su ben altre basi, abbinando l’intervento militare concertato in sede internazionale per debellare Isis e simili alla promozione della democrazia, che non può essere esportata ma deve essere agevolata in primo luogo non collaborando con chi, come i terroristi, gli spietati dittatori o i regimi razzisti come quello israeliano, la soffoca ogni giorno nel sangue insieme alla vita e alla libertà dei popoli.
L’illusione tragica dei governanti occidentali è come sempre quella di avvalersi di questi impresentabili regimi autoritari per controllare i popoli e continuare a conservare le proprie posizioni di predominio. Per questo hanno fatto di tutto per fermare le rivoluzioni arabe negando ogni più elementare richiesta di libertà e giustizia proveniente da quei popoli, trattati alla stregua di eterni immaturi e sottosviluppati da affidare a qualche spietato dittatore pur di salvaguardare gli interessi commerciali e di altro genere. Per non parlare della lotta al terrorismo che questi regimi, anziché sconfiggere, alimentano con la loro odiosa e indiscriminata repressione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ora le mani del generale Sisi e dei suoi complici occidentali sono sporche, oltre che del sangue di decine di migliaia di egiziani, anche di quello di un nostro giovane e valoroso concittadino.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02 ... a/2435029/
Giulio Regeni: al Sisi, l”alleato’ con la coscienza sporca
di Fabio Marcelli | 6 febbraio 2016
Commenti (3)
Dubbi sulle circostanze della morte al Cairo del giovane ricercatore italiano Giulio Regeni ce ne possono essere davvero pochi. Giulio è stato con ogni evidenza ucciso, mediante tortura efferata, da qualche organo di polizia agli ordini del dittatore del Paese, generale Sisi.
Quest’ultimo fa del resto fin dalla sua instaurazione, aperto ricorso a instrumenta regni come torture e sparizioni. Secondo l’organizzazione Egytpian Commission for Rights and Fredoms sono stati solo nel 2015, oltre 1.500 i casi di sparizioni di oppositori imputabili agli organi di “sicurezza”. Il giorno della sparizione di Giulio erano in corso manifestazioni nell’anniversario della rivolta del 2011 e non mancano testimoni oculari che affermano di aver assistito al fermo di uno straniero in quelle ore. Il fatto che stavolta ci sia andato di mezzo un cittadino italiano dipende da un lato dalla rozzezza degli apparati repressivi del regime e dall’altro dall’arroganza dello stesso, convinto della sostanziale impunità garantita dai suoi cospicui appoggi internazionali a partire dall’Arabia Saudita, perno di ogni politica reazionaria nella regione.
Sarà interessante verificare quale sarà la risposta di Renzi e Gentiloni a questo crimine tremendo, che ha soppresso la giovane vita di un brillante e coraggioso ricercatore italiano che abbinava, com’è sempre giusto, anzi doveroso fare, impegno scientifico e militanza per i diritti umani, soprattutto quelli dei lavoratori.
Diritti che al Sisi ha violato e continua a violare evidenziando la brutale natura di classe del suo regime. Nell’articolo pubblicato ieri dal manifesto, giornale con cui collaborava sotto pseudonimo, Giulio Regeni racconta con precisione ed entusiasmo lo svolgimento di un’assemblea sindacale nazionale, il vero pericolo, molto più degli islamisti, della dittatura repressiva e neoliberista al potere in Egitto. Come scrive oggi sempre sul manifesto l’ottimo Acconcia “le rivolte del 2011 sono state una rivoluzione proletaria che poteva mettere in discussione l’assetto del capitalismo egiziano fondato sulla proprietà delle fabbriche da parte dell’élite militare”.
Con la superficialità e mancanza di conoscenze e sensibilità che lo contraddistingue Renzi ebbe a definirlo “un grande statista”. Un atteggiamento del resto comune all’insieme dell’Unione europea e dell’Occidente più in generale, che oscillano costantemente fra l’appoggio ai peggiori dittatori, da Erdogan al regime oscurantista saudita al sistema israeliano dell’apartheid, ad, appunto, al Sisi e promozione delle guerre civili come in Siria e in Libia. Una politica destabilizzatrice e schizofrenica che causa enormi sofferenze per le popolazioni vittima di guerra e repressione e rischi crescenti per la pace.
Accogliendo il lascito intellettuale di Giulio, bisognerebbe invece puntare su di una terza via, quella del rafforzamento delle società civili e dei movimenti popolari. Tale scelta richiede evidentemente un fermo atteggiamento di riprovazione e condanna e il blocco immediato quantomeno dei rapporti relativi alla vendita di armi, alla cooperazione militare e a quella fra organi di polizia, in mancanza del quale i governi occidentali continuerebbero a rendersi complici dei crimini commessi da tali regimi. La questione della lotta al terrorismo, che essi invocano pretestuosamente per legittimare le loro sanguinose repressioni, va affrontata su ben altre basi, abbinando l’intervento militare concertato in sede internazionale per debellare Isis e simili alla promozione della democrazia, che non può essere esportata ma deve essere agevolata in primo luogo non collaborando con chi, come i terroristi, gli spietati dittatori o i regimi razzisti come quello israeliano, la soffoca ogni giorno nel sangue insieme alla vita e alla libertà dei popoli.
L’illusione tragica dei governanti occidentali è come sempre quella di avvalersi di questi impresentabili regimi autoritari per controllare i popoli e continuare a conservare le proprie posizioni di predominio. Per questo hanno fatto di tutto per fermare le rivoluzioni arabe negando ogni più elementare richiesta di libertà e giustizia proveniente da quei popoli, trattati alla stregua di eterni immaturi e sottosviluppati da affidare a qualche spietato dittatore pur di salvaguardare gli interessi commerciali e di altro genere. Per non parlare della lotta al terrorismo che questi regimi, anziché sconfiggere, alimentano con la loro odiosa e indiscriminata repressione. I risultati sono sotto gli occhi di tutti. Ora le mani del generale Sisi e dei suoi complici occidentali sono sporche, oltre che del sangue di decine di migliaia di egiziani, anche di quello di un nostro giovane e valoroso concittadino.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02 ... a/2435029/
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Media & Regime
Regeni e ‘gli sciacalli del Fatto': anti-italiani d’Italia, uniamoci
di Guido Rampoldi | 8 febbraio 2016
Commenti (17)
Non avrei dedicato una riga alle contumelie che l’Unità mi rivolge in un articolo lungo una pagina, se non fosse per quell’aggettivo carico di storia e di presagi: Anti-italiano.
I motivi per i quali sarei anti-italiano sono questi: considero indecenti sia le dichiarazioni di stima e di amicizia che Renzi rivolse al generale al-Sisi, il Pinochet egiziano, sia il tenace silenzio dell’informazione italiana su quelle dichiarazioni e, fino a ieri, sui massacri di cui al-Sisi è il principale responsabile.
Con l’aggravante che do per scontata l’indisponibilità di al-Sisi a confessare ai nostri investigatori che Giulio Regeni, lo studente italiano torturato e ucciso al Cairo, è una vittima del Terrore col quale il regime di al-Sisi governa.
Nel riconoscermi colpevole, vorrei tuttavia fare un paio di osservazioni.
Spacciare la critica al potere per un pugnalare la patria è una pratica tipica dei nazionalismi e dei regimi autoritari.
All’Unità certamente ricorderanno il crimine di ‘attività anti-sovietiche’ che il Kgb abbatteva sulla dissidenza.
Anche la stampa di al-Sisi spesso scaglia contro gli oppositori l’accusa di essere al servizio del nemico.
Qui non voglio fare battute facili su al-Renzi, l’Italia non è una dittatura e beccarsi una raffica di insulti è cosa assai diversa dal beccarsi una pallottola.
Però segnalo che la retorica dell’anti-patria non appartiene alla tradizione del liberalismo.
Nello specifico l’accusa di ‘anti-italiano’ non è di semplice utilizzo e l’imperizia può produrre effetti-boomerang.
In Italia è perfettamente congrua al Partito della Nazione e all’ideologia che trascina, confusa e vaghissima se non per l’obbligo patriottico di non infastidire il manovratore.
Scrive infatti l’Unità nel pezzo di cui sopra: in seguito all’uccisione di Giulio Regeni “la richiesta di verità e di giustizia unisce la comunità nazionale e cementa l’opinione pubblica, che a sua volta si stringe intorno al governo e alle istituzioni in uno sforzo corale, determinato, fermo e solidale”. E chi non si stringe intorno al governo nello sforzo corale, determinato, fermo e solidale, è chiaramente un anti-italiano. Qui potremmo notare un certo stile Mininculpop, ed avere così la conferma non che il renzismo sia un nuovo fascismo, certamente non lo è, ma che in Italia le tragedie si ripetono sempre in farsa (dopotutto è un po’ farsesco ritrovare sul giornale fondato da Antonio Gramsci un fraseggio da cinegiornale Luce).
Ma la questione è un altra. Come dimostra un saggio di Andrea Borghesi che qui interpreto liberamente, da De Santis in poi i patrioti che hanno denunciato il declino dell’Italia e incitato al riscatto lo hanno sempre fatto ricorrendo ad una denuncia impietosa dei vizi degli italiani, l’opposto dello stringersi attorno al sovrano.
Che poi la passione civile spesso finisse per imprigionarsi dentro forme di elitismo, non toglie che nella nostra storia il patriota autentico di solito nasce ‘anti-italiano’.
Patriottico e ‘anti-italiano’ fu certamente l’antifascismo, pensiamo a Piero Gobetti che giudicava il fascismo “l’autobiografia degli italiani” o al Silvio Trentin degli scritti su Leopardi (“In un’ora particolarmente buia, dove nulla di ciò che il mio Paese ha rappresentato pare sussistere ancora…”).
Non sono tra quelli che avvertono rischi di dittatura ma vedo aumentare la tensione tra i due poli dell’antropologia italiana, l’Anti-italiano e l’Arci-italiano.
Dove gli ‘anti-italiani’ sono minoranza, un arcipelago di gruppi sparsi, piccoli, gelosi delle proprie identità, poco solidali.
Anche per questo la predominanza dell’Arci-italiano è destinata ad aumentare.
Ma allora non sarebbe il caso, fratelli anti-italiani, di costruire reti e culture per unire le nostre deboli forze?
Per smascherare l’anima furba degli Arci-italiani, per incendiare con la verità i loro palazzi di carta stampata prima di ritrovarci inquadrati nello sforzo corale, determinato, fermo e solidale?
Regeni e ‘gli sciacalli del Fatto': anti-italiani d’Italia, uniamoci
di Guido Rampoldi | 8 febbraio 2016
Commenti (17)
Non avrei dedicato una riga alle contumelie che l’Unità mi rivolge in un articolo lungo una pagina, se non fosse per quell’aggettivo carico di storia e di presagi: Anti-italiano.
I motivi per i quali sarei anti-italiano sono questi: considero indecenti sia le dichiarazioni di stima e di amicizia che Renzi rivolse al generale al-Sisi, il Pinochet egiziano, sia il tenace silenzio dell’informazione italiana su quelle dichiarazioni e, fino a ieri, sui massacri di cui al-Sisi è il principale responsabile.
Con l’aggravante che do per scontata l’indisponibilità di al-Sisi a confessare ai nostri investigatori che Giulio Regeni, lo studente italiano torturato e ucciso al Cairo, è una vittima del Terrore col quale il regime di al-Sisi governa.
Nel riconoscermi colpevole, vorrei tuttavia fare un paio di osservazioni.
Spacciare la critica al potere per un pugnalare la patria è una pratica tipica dei nazionalismi e dei regimi autoritari.
All’Unità certamente ricorderanno il crimine di ‘attività anti-sovietiche’ che il Kgb abbatteva sulla dissidenza.
Anche la stampa di al-Sisi spesso scaglia contro gli oppositori l’accusa di essere al servizio del nemico.
Qui non voglio fare battute facili su al-Renzi, l’Italia non è una dittatura e beccarsi una raffica di insulti è cosa assai diversa dal beccarsi una pallottola.
Però segnalo che la retorica dell’anti-patria non appartiene alla tradizione del liberalismo.
Nello specifico l’accusa di ‘anti-italiano’ non è di semplice utilizzo e l’imperizia può produrre effetti-boomerang.
In Italia è perfettamente congrua al Partito della Nazione e all’ideologia che trascina, confusa e vaghissima se non per l’obbligo patriottico di non infastidire il manovratore.
Scrive infatti l’Unità nel pezzo di cui sopra: in seguito all’uccisione di Giulio Regeni “la richiesta di verità e di giustizia unisce la comunità nazionale e cementa l’opinione pubblica, che a sua volta si stringe intorno al governo e alle istituzioni in uno sforzo corale, determinato, fermo e solidale”. E chi non si stringe intorno al governo nello sforzo corale, determinato, fermo e solidale, è chiaramente un anti-italiano. Qui potremmo notare un certo stile Mininculpop, ed avere così la conferma non che il renzismo sia un nuovo fascismo, certamente non lo è, ma che in Italia le tragedie si ripetono sempre in farsa (dopotutto è un po’ farsesco ritrovare sul giornale fondato da Antonio Gramsci un fraseggio da cinegiornale Luce).
Ma la questione è un altra. Come dimostra un saggio di Andrea Borghesi che qui interpreto liberamente, da De Santis in poi i patrioti che hanno denunciato il declino dell’Italia e incitato al riscatto lo hanno sempre fatto ricorrendo ad una denuncia impietosa dei vizi degli italiani, l’opposto dello stringersi attorno al sovrano.
Che poi la passione civile spesso finisse per imprigionarsi dentro forme di elitismo, non toglie che nella nostra storia il patriota autentico di solito nasce ‘anti-italiano’.
Patriottico e ‘anti-italiano’ fu certamente l’antifascismo, pensiamo a Piero Gobetti che giudicava il fascismo “l’autobiografia degli italiani” o al Silvio Trentin degli scritti su Leopardi (“In un’ora particolarmente buia, dove nulla di ciò che il mio Paese ha rappresentato pare sussistere ancora…”).
Non sono tra quelli che avvertono rischi di dittatura ma vedo aumentare la tensione tra i due poli dell’antropologia italiana, l’Anti-italiano e l’Arci-italiano.
Dove gli ‘anti-italiani’ sono minoranza, un arcipelago di gruppi sparsi, piccoli, gelosi delle proprie identità, poco solidali.
Anche per questo la predominanza dell’Arci-italiano è destinata ad aumentare.
Ma allora non sarebbe il caso, fratelli anti-italiani, di costruire reti e culture per unire le nostre deboli forze?
Per smascherare l’anima furba degli Arci-italiani, per incendiare con la verità i loro palazzi di carta stampata prima di ritrovarci inquadrati nello sforzo corale, determinato, fermo e solidale?
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Re: Top News
La Stampa 10.2.16
La meningite dilaga
In Toscana vaccinate 258mila persone
Ma per immunizzare gli over 45 mancano dosi e soldi
di Paolo Russo
La meningite in Toscana continua a seminare il panico, con i casi saliti oramai a quota 50. Così, per evitare un’epidemia che potrebbe sconfinare anche al di là della regione, da Roma è arrivato il via libera alla campagna di vaccinazione di massa, adulti compresi. La decisione è giunta al termine del vertice tra il ministro della salute Beatrice Lorenzin, l’assessore alla sanità toscano Stefania Saccardi, il direttore dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) Luca Pani e il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Walter Ricciardi.
Il meningococco di ceppo C ultimamente ha attaccato in modo anomalo. Non più solo adolescenti e giovani ma anche adulti e anziani. Per non correre rischi gli esperti hanno allora suggerito di alzare l’asticella: il vaccino, già somministrato gratuitamente per gli under 45 delle zone più colpite dalla meningite, sarà ora disponibile gratis anche per chi supera quella soglia di età. Questo per l’area della «Asl Toscana centro», che comprende Firenze, Empoli, Prato e Pistoia. Nelle altre zone sopra i 45 anni si pagherà il ticket ma in formato ridotto, 40 anziché 58 euro.
La carenza dei vaccini
Sempre che le Asl riescano a rifornirsi dei vaccini. Un’operazione mica da poco, perché se fino ad oggi sono state immunizzate oltre 258mila persone, vaccinando anche gli over 45 si arriverebbe a circa un milione. Già così si deve attendere oltre un mese per farsi somministrare il vaccino in un ambulatorio pubblico tanto che molti toscani hanno preferito comprarselo e farselo iniettare privatamente spendendo circa cento euro. Estendendo la campagna agli adulti la situazione potrebbe peggiorare, anche se sia la Regione che l’Aifa si sono mosse per rastrellare dosi all’estero.
«Continuiamo a lavorare per risolvere una situazione grave e unica nel panorama nazionale e non solo. Proprio per questo stiamo rastrellando vaccini ovunque sia possibile reperirli, senza badare a spese e senza indugi» assicura l’assessore Saccardi. Entro fine settimana arriveranno altre 140mila dosi, buone per andare avanti per una decina di giorni. Poi si vedrà.
Mancano 40 milioni
Il problema dei costi però rimane. Per vaccinare oltre 240mila persone fino ad oggi la Toscana ha speso 10 milioni. Per arrivare a un milione ne occorrerebbero altri 40, forse 30 se l’Aifa riuscirà a spuntare prezzi più bassi dai fornitori, come si è impegnata a fare. Ma chi sperava che fosse il governo ad aprire i cordoni della borsa è rimasto deluso. «Sarà richiesta una solidarietà interregionale per l’acquisto dei vaccini» ha messo in chiaro al termine dell’incontro il presidente dell’Iss, Ricciardi. Come dire che i soldi verranno prelevati dal bancomat del fondo sanitario nazionale che per le Regioni è già in via di esaurimento.
Dal vertice romano si è deciso anche di far avviare all’Iss uno studio epidemiologico, prelevando tamponi dalla popolazione per cercare di capire in quali fasce di età si nasconda il maggior numero di portatori. Un modo per puntare meglio le armi contro il batterio prima che scavalli i confini toscani.
La meningite dilaga
In Toscana vaccinate 258mila persone
Ma per immunizzare gli over 45 mancano dosi e soldi
di Paolo Russo
La meningite in Toscana continua a seminare il panico, con i casi saliti oramai a quota 50. Così, per evitare un’epidemia che potrebbe sconfinare anche al di là della regione, da Roma è arrivato il via libera alla campagna di vaccinazione di massa, adulti compresi. La decisione è giunta al termine del vertice tra il ministro della salute Beatrice Lorenzin, l’assessore alla sanità toscano Stefania Saccardi, il direttore dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) Luca Pani e il presidente dell’Istituto superiore di sanità, Walter Ricciardi.
Il meningococco di ceppo C ultimamente ha attaccato in modo anomalo. Non più solo adolescenti e giovani ma anche adulti e anziani. Per non correre rischi gli esperti hanno allora suggerito di alzare l’asticella: il vaccino, già somministrato gratuitamente per gli under 45 delle zone più colpite dalla meningite, sarà ora disponibile gratis anche per chi supera quella soglia di età. Questo per l’area della «Asl Toscana centro», che comprende Firenze, Empoli, Prato e Pistoia. Nelle altre zone sopra i 45 anni si pagherà il ticket ma in formato ridotto, 40 anziché 58 euro.
La carenza dei vaccini
Sempre che le Asl riescano a rifornirsi dei vaccini. Un’operazione mica da poco, perché se fino ad oggi sono state immunizzate oltre 258mila persone, vaccinando anche gli over 45 si arriverebbe a circa un milione. Già così si deve attendere oltre un mese per farsi somministrare il vaccino in un ambulatorio pubblico tanto che molti toscani hanno preferito comprarselo e farselo iniettare privatamente spendendo circa cento euro. Estendendo la campagna agli adulti la situazione potrebbe peggiorare, anche se sia la Regione che l’Aifa si sono mosse per rastrellare dosi all’estero.
«Continuiamo a lavorare per risolvere una situazione grave e unica nel panorama nazionale e non solo. Proprio per questo stiamo rastrellando vaccini ovunque sia possibile reperirli, senza badare a spese e senza indugi» assicura l’assessore Saccardi. Entro fine settimana arriveranno altre 140mila dosi, buone per andare avanti per una decina di giorni. Poi si vedrà.
Mancano 40 milioni
Il problema dei costi però rimane. Per vaccinare oltre 240mila persone fino ad oggi la Toscana ha speso 10 milioni. Per arrivare a un milione ne occorrerebbero altri 40, forse 30 se l’Aifa riuscirà a spuntare prezzi più bassi dai fornitori, come si è impegnata a fare. Ma chi sperava che fosse il governo ad aprire i cordoni della borsa è rimasto deluso. «Sarà richiesta una solidarietà interregionale per l’acquisto dei vaccini» ha messo in chiaro al termine dell’incontro il presidente dell’Iss, Ricciardi. Come dire che i soldi verranno prelevati dal bancomat del fondo sanitario nazionale che per le Regioni è già in via di esaurimento.
Dal vertice romano si è deciso anche di far avviare all’Iss uno studio epidemiologico, prelevando tamponi dalla popolazione per cercare di capire in quali fasce di età si nasconda il maggior numero di portatori. Un modo per puntare meglio le armi contro il batterio prima che scavalli i confini toscani.
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Re: Top News
IL LUPO PERDE IL PELO MA NON IL VIZIO
FANTOZZI GLI RISPONDEREBBE: MA COME E' UMANO LEI!!!!!
12 feb 2016 17:15
COSI' LUTTWAK DA' LA SUA PARTECIPAZIONE AI FUNERALI DI GIULIO REGENI
- "L’ITALIA NON DEVE DIRE NIENTE, AL SISI È UN BALUARDO CONTRO IL TERRORISMO
- POI SE UNO FA COSE PERICOLOSE SI ASSUME DEI RISCHI. MAGARI LO HA UCCISO UN AMANTE...”
“Quando io prendo un rischio non chiedo a un intero governo di compromettere i suoi interessi per quello che succede a me. Non chiedo al governo di prendersi delle responsabilità se muoio. Il governo egiziano ci sta proteggendo, è l’unica barriera fra noi e un’anarchia libica. Spero che l’Italia non dica nulla e non faccia nulla”… -
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 118446.htm
FANTOZZI GLI RISPONDEREBBE: MA COME E' UMANO LEI!!!!!
12 feb 2016 17:15
COSI' LUTTWAK DA' LA SUA PARTECIPAZIONE AI FUNERALI DI GIULIO REGENI
- "L’ITALIA NON DEVE DIRE NIENTE, AL SISI È UN BALUARDO CONTRO IL TERRORISMO
- POI SE UNO FA COSE PERICOLOSE SI ASSUME DEI RISCHI. MAGARI LO HA UCCISO UN AMANTE...”
“Quando io prendo un rischio non chiedo a un intero governo di compromettere i suoi interessi per quello che succede a me. Non chiedo al governo di prendersi delle responsabilità se muoio. Il governo egiziano ci sta proteggendo, è l’unica barriera fra noi e un’anarchia libica. Spero che l’Italia non dica nulla e non faccia nulla”… -
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 118446.htm
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Re: Top News
Il New York Times, smetisce quel "Gras de rost"(http://www.scienafregia.it/parole/?ID=618) di Luttwak.
Ansa
FONTI EGIZIANE Al new york times
Regeni 'preso dalla polizia'
A gennaio 66 desaparecidos
Mondo.
Il ragazzo "ha reagito bruscamente, si è comportato come un duro". Avrebbero destato sospetti, secondo le fonti, i contatti sul telefono di persone vicine ai Fratelli Musulmani. 'Pensavano fosse una spia'. Attivisti denunciano decine di scomparsi
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2 ... 23b29.html
Ansa
FONTI EGIZIANE Al new york times
Regeni 'preso dalla polizia'
A gennaio 66 desaparecidos
Mondo.
Il ragazzo "ha reagito bruscamente, si è comportato come un duro". Avrebbero destato sospetti, secondo le fonti, i contatti sul telefono di persone vicine ai Fratelli Musulmani. 'Pensavano fosse una spia'. Attivisti denunciano decine di scomparsi
http://www.ansa.it/sito/notizie/mondo/2 ... 23b29.html
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Re: Top News
15 feb 2016 09:16
1. QUALCUNO DI VOI RICORDA UNA CONDANNA DI RENZI PER L’OMICIDIO DI GIULIO REGENI?
2. NIENTE, ZERO, SILENZIO. HA CIANCIATO QUALCOSA IL POVERO GENTILONI, POI PIÙ NULLA. L’IMBARAZZO DEL BULLETTO TOSCANO E’ COMPRENSIBILE: E’ IL LEADER OCCIDENTALE CHE PIÙ SI È ESPOSTO PERSONALMENTE NEI CONFRONTI DEL GENERALE CHE COMANDA AL CAIRO
3. E POI CI SONO I DENARI, A PESARE. NEL 2014 L’INTERSCAMBIO ITALIA-EGITTO VALEVA 5,18 MILIARDI ED ERA IL PIÙ IMPORTANTE PER NOI IN AFRICA. LE PIÙ GRANDI AZIENDE DEL NOSTRO PAESE INVESTONO IN EGITTO. MA LE RELAZIONI PIÙ IMPORTANTI SONO DI ENI, CHE HA INDIVIDUATO A LARGO DELLE COSTE EGIZIANE IL PIÙ GRANDE GIACIMENTO DI GAS NATURALE DEL MEDITERRANEO. POI AL SISI DA' ANCHE UNA MANO IN LIBIA: PERCHE' DISTURBARLO, VERO RENZI?
Davide De Luca per “Libero Quotidiano”
Nel luglio del 2015, in un’intervista alla televisione del Qatar Al Jazeera, Matteo Renzi definì il presidente egiziano Abdel Fatteh al Sisi «un grande leader» e «l’unica speranza per l’Egitto». Era solo l’ultima di una serie di dichiarazioni lusinghiere che i due leader si sono scambiati da quando si sono incontrati per la prima volta al Cairo, nell’agosto del 2014.
L’ultimo colloquio tra i due di cui si è avuta notizia è avvenuto lo scorso 18 gennaio, quando Renzi e al Sisi si sono parlati al telefono per discutere della crisi libica. In quelle ore, una nota stampa del governo egiziano ha definito i rapporti tra i due paesi «eccellentissimi». Esattamente una settimana dopo, il ricercatore italiano Giulio Regeni spariva per le strade del Cairo, mentre poco lontano centinaia di attivisti venivano arrestati dalla polizia egiziana. Il corpo di Regeni sarà ritrovato soltanto il 3 febbraio, sui bordi di una strada, con i segni di prolungate torture sul corpo.
«L’eccellentissima relazione» è così diventata improvvisamente una fonte di imbarazzo per il presidente del Consiglio, che nei giorni successivi ha evitato accuratamente di esprimersi sulla questione. Nell’archivio dell’Ansa si trova soltanto una nota in cui fonti di palazzo Chigi riferiscono il turbamento di Renzi per il ritrovamento del corpo. Poi più nulla. È difficile immaginare un caso simile negli Stati Uniti, ad esempio, in cui dopo il rapimento e la tortura di un cittadino americano, il presidente degli Stati Uniti si rifiuti per giorni e giorni di rilasciare una dichiarazione sul caso. In Italia, invece, il ruolo di battere i pugni sul tavolo è stato affidato al ministero degli Esteri Paolo Gentiloni, che non si è risparmiato dichiarando più volte che l’Italia non si aspetta dall’Egitto nulla di meno che la verità.
L’imbarazzo di Renzi è comprensibile visto che probabilmente è il leader occidentale che più si è esposto personalmente nei confronti di Al Sisi. «Altri leader di altri paesi occidentali, che pure hanno rapporti amichevoli con l’Egitto, non si sono spinti a usare parole tanto celebrative per al-Sisi», spiega Stefano Torelli, ricercatore dell’Ispi.
Un altro caso in cui, insomma, come con il presidente iraniano, abbiamo coperto le statue nude, anche se solo metaforicamente. Renzi è stato il leader occidentale disposto a compiere gli sforzi maggiori pur di mantenere buone relazioni con l’Egitto. Nel giugno del 2014, dopo che al-Sisi ha vinto le elezioni presidenziali con il 97 per cento dei voti (elezioni fortemente sospettate di irregolarità), è stato in assoluto il primo leader occidentale a visitare l’Egitto. Pochi mesi dopo, al-Sisi ha restituito il favore, scegliendo l’Italia come prima tappa del suo viaggio in Europa.
«Le relazioni tra Italia ed Egitto sono ottime da tutti i punti di vista - spiega Torelli - e il traino di queste ottime relazioni è tutto economico ». Nel febbraio 2015, ad esempio, in Egitto è arrivata una delegazione composta, secondo l’Ansa, da circa 80 aziende, cinque associazioni imprenditoriali, cinque gruppi bancari e guidata dall’allora viceministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda.
Nel solo 2015, il viceministro ha visitato l’Egitto almeno altre due volte e mentre veniva trovato il corpo di Regeni, il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi si trovava proprio al Cairo. Sono relazioni che hanno portato ottimi frutti all’Italia.
Nel 2014 l’interscambio Italia-Egitto valeva 5,18 miliardi ed era il più importante per l’Italia in Africa insieme a quello con l’Algeria. Secondo le prime stime si tratta di un dato che nel 2015 è cresciuto molto. Tra le aziende italiane che investono in Egitto ci sono Edison, Intesa Sanpaolo,Unicredit,Pirelli, Italcementi, Ansaldo, Tecnimont, Danieli, Techint e Cementir. «Ma le relazioni più importanti sono quelle energetiche - spiega Torelli - l'Eni è la società energetica più importante in Egitto, un paese dove è arrivata negli anni Cinquanta».
Proprio nell’agosto scorso, Eni ha individuato a largo delle coste egiziane quello che ha definito il più grande giacimento di gas naturale del Mediterraneo, con una dimensione stimata di 850miliardi dimetri cubi, che potrebbe cominciare a produrre già prima del 2020. «Questa scoperta - continua Torelli - ha reso le relazioni tra Italia ed Egitto ancora più importanti».
Nei rapporti tra Italia ed Egitto, l’economia si intreccia con la geopolitica. Il paese guidato da al-Sisi fa parte di una sorta di coalizione con cui l’Italia ha ottimi rapporti. Il regime è appoggiato e finanziato da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti e i soldi che riceve vengono spesso usati dal governo per acquistare beni e servizi in Italia. L’Egitto è importante anche per l’azione diplomatica italiana in Libia. Al-Sisi appoggia e in qualche misura controlla il generale Khalifa Haftar, uno dei personaggi più controversi nell’attuale crisi libica e una delle figure ritenute più di ostacolo al processo di pace nella nazione. Buone relazioni con l’Egitto significano potenzialmente la capacità di tenere Haftar sotto controllo.
Ma su questo punto fino ad ora la diplomazia italiana ha avuto scarso successo e Haftar ed i suoi padrini egiziani continuano a ostacolare il processo di pace. Quello su cui invece il governo italiano non si è mai espresso è il pessimo rapporto del regime egiziano con i diritti umani. Il governo di al- Sisi è iniziato con un colpo di stato contro il primo presidente eletto democraticamente nella storia dell’Egitto, Mohamed Morsi, appoggiato dai Fratelli musulmani.
Il golpe è stato accolto con settimane di protesteda parte dei sostenitori del presidente deposto. Si è trattato a volte di manifestazioni violente,ma spesso l’esercito ha attaccato gruppi pacifici, composti anche da donne e anziani. In un solo giorno, il 14 agosto 2013, le forze di sicurezza egiziane hanno ucciso più di mille manifestanti. La profondità dei rapporti tra Renzi e l’Egitto fa assumere all’intera questione Regeni un doppio aspetto. Da un lato le nostre ottime relazioni in Egitto hanno consegnato al governo una potente leva per chiedere una soluzione al caso .
Se un episodio simile fosse accaduto in un paese con cui l’Italia non ha nessuna relazione, il margine di manovra sarebbe stato necessariamente molto più ridotto. Dall’altro lato, le relazioni fin troppo strette con il dittatore egiziano potrebbero spingere il presidente del Consiglio a non esporsi troppo sulla questione. L’assenza di dichiarazioni di Renzi a quasi due settimana dal ritrovamento del corpo di Regeni dimostra già in parte che il presidente del Consiglio preferisce mantenere un profilo basso sulla questione. E questo rischia di mandare il messaggio sbagliato all’Egitto.
Il caso Regeni è una grave fonte di imbarazzo per al-Sisi e lo sarà ancora di più se il governo italiano farà capire chiaramente che non intende dimenticare la questione. Perché il regime di al-Sisi trovi davvero i colpevoli c’è probabilmente bisogno di forti pressioni,ma purtroppo, la voce di un ministro degli Esteri, per quanto decisa, sarà sempre molto meno forte di quella di un capo di governo. Se Renzi continuerà a tacere è facile che l’Egitto inizi a pensare che, per noi il caso Regeni non è poi così importante.
1. QUALCUNO DI VOI RICORDA UNA CONDANNA DI RENZI PER L’OMICIDIO DI GIULIO REGENI?
2. NIENTE, ZERO, SILENZIO. HA CIANCIATO QUALCOSA IL POVERO GENTILONI, POI PIÙ NULLA. L’IMBARAZZO DEL BULLETTO TOSCANO E’ COMPRENSIBILE: E’ IL LEADER OCCIDENTALE CHE PIÙ SI È ESPOSTO PERSONALMENTE NEI CONFRONTI DEL GENERALE CHE COMANDA AL CAIRO
3. E POI CI SONO I DENARI, A PESARE. NEL 2014 L’INTERSCAMBIO ITALIA-EGITTO VALEVA 5,18 MILIARDI ED ERA IL PIÙ IMPORTANTE PER NOI IN AFRICA. LE PIÙ GRANDI AZIENDE DEL NOSTRO PAESE INVESTONO IN EGITTO. MA LE RELAZIONI PIÙ IMPORTANTI SONO DI ENI, CHE HA INDIVIDUATO A LARGO DELLE COSTE EGIZIANE IL PIÙ GRANDE GIACIMENTO DI GAS NATURALE DEL MEDITERRANEO. POI AL SISI DA' ANCHE UNA MANO IN LIBIA: PERCHE' DISTURBARLO, VERO RENZI?
Davide De Luca per “Libero Quotidiano”
Nel luglio del 2015, in un’intervista alla televisione del Qatar Al Jazeera, Matteo Renzi definì il presidente egiziano Abdel Fatteh al Sisi «un grande leader» e «l’unica speranza per l’Egitto». Era solo l’ultima di una serie di dichiarazioni lusinghiere che i due leader si sono scambiati da quando si sono incontrati per la prima volta al Cairo, nell’agosto del 2014.
L’ultimo colloquio tra i due di cui si è avuta notizia è avvenuto lo scorso 18 gennaio, quando Renzi e al Sisi si sono parlati al telefono per discutere della crisi libica. In quelle ore, una nota stampa del governo egiziano ha definito i rapporti tra i due paesi «eccellentissimi». Esattamente una settimana dopo, il ricercatore italiano Giulio Regeni spariva per le strade del Cairo, mentre poco lontano centinaia di attivisti venivano arrestati dalla polizia egiziana. Il corpo di Regeni sarà ritrovato soltanto il 3 febbraio, sui bordi di una strada, con i segni di prolungate torture sul corpo.
«L’eccellentissima relazione» è così diventata improvvisamente una fonte di imbarazzo per il presidente del Consiglio, che nei giorni successivi ha evitato accuratamente di esprimersi sulla questione. Nell’archivio dell’Ansa si trova soltanto una nota in cui fonti di palazzo Chigi riferiscono il turbamento di Renzi per il ritrovamento del corpo. Poi più nulla. È difficile immaginare un caso simile negli Stati Uniti, ad esempio, in cui dopo il rapimento e la tortura di un cittadino americano, il presidente degli Stati Uniti si rifiuti per giorni e giorni di rilasciare una dichiarazione sul caso. In Italia, invece, il ruolo di battere i pugni sul tavolo è stato affidato al ministero degli Esteri Paolo Gentiloni, che non si è risparmiato dichiarando più volte che l’Italia non si aspetta dall’Egitto nulla di meno che la verità.
L’imbarazzo di Renzi è comprensibile visto che probabilmente è il leader occidentale che più si è esposto personalmente nei confronti di Al Sisi. «Altri leader di altri paesi occidentali, che pure hanno rapporti amichevoli con l’Egitto, non si sono spinti a usare parole tanto celebrative per al-Sisi», spiega Stefano Torelli, ricercatore dell’Ispi.
Un altro caso in cui, insomma, come con il presidente iraniano, abbiamo coperto le statue nude, anche se solo metaforicamente. Renzi è stato il leader occidentale disposto a compiere gli sforzi maggiori pur di mantenere buone relazioni con l’Egitto. Nel giugno del 2014, dopo che al-Sisi ha vinto le elezioni presidenziali con il 97 per cento dei voti (elezioni fortemente sospettate di irregolarità), è stato in assoluto il primo leader occidentale a visitare l’Egitto. Pochi mesi dopo, al-Sisi ha restituito il favore, scegliendo l’Italia come prima tappa del suo viaggio in Europa.
«Le relazioni tra Italia ed Egitto sono ottime da tutti i punti di vista - spiega Torelli - e il traino di queste ottime relazioni è tutto economico ». Nel febbraio 2015, ad esempio, in Egitto è arrivata una delegazione composta, secondo l’Ansa, da circa 80 aziende, cinque associazioni imprenditoriali, cinque gruppi bancari e guidata dall’allora viceministro dello Sviluppo economico, Carlo Calenda.
Nel solo 2015, il viceministro ha visitato l’Egitto almeno altre due volte e mentre veniva trovato il corpo di Regeni, il ministro dello Sviluppo economico Federica Guidi si trovava proprio al Cairo. Sono relazioni che hanno portato ottimi frutti all’Italia.
Nel 2014 l’interscambio Italia-Egitto valeva 5,18 miliardi ed era il più importante per l’Italia in Africa insieme a quello con l’Algeria. Secondo le prime stime si tratta di un dato che nel 2015 è cresciuto molto. Tra le aziende italiane che investono in Egitto ci sono Edison, Intesa Sanpaolo,Unicredit,Pirelli, Italcementi, Ansaldo, Tecnimont, Danieli, Techint e Cementir. «Ma le relazioni più importanti sono quelle energetiche - spiega Torelli - l'Eni è la società energetica più importante in Egitto, un paese dove è arrivata negli anni Cinquanta».
Proprio nell’agosto scorso, Eni ha individuato a largo delle coste egiziane quello che ha definito il più grande giacimento di gas naturale del Mediterraneo, con una dimensione stimata di 850miliardi dimetri cubi, che potrebbe cominciare a produrre già prima del 2020. «Questa scoperta - continua Torelli - ha reso le relazioni tra Italia ed Egitto ancora più importanti».
Nei rapporti tra Italia ed Egitto, l’economia si intreccia con la geopolitica. Il paese guidato da al-Sisi fa parte di una sorta di coalizione con cui l’Italia ha ottimi rapporti. Il regime è appoggiato e finanziato da Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti e i soldi che riceve vengono spesso usati dal governo per acquistare beni e servizi in Italia. L’Egitto è importante anche per l’azione diplomatica italiana in Libia. Al-Sisi appoggia e in qualche misura controlla il generale Khalifa Haftar, uno dei personaggi più controversi nell’attuale crisi libica e una delle figure ritenute più di ostacolo al processo di pace nella nazione. Buone relazioni con l’Egitto significano potenzialmente la capacità di tenere Haftar sotto controllo.
Ma su questo punto fino ad ora la diplomazia italiana ha avuto scarso successo e Haftar ed i suoi padrini egiziani continuano a ostacolare il processo di pace. Quello su cui invece il governo italiano non si è mai espresso è il pessimo rapporto del regime egiziano con i diritti umani. Il governo di al- Sisi è iniziato con un colpo di stato contro il primo presidente eletto democraticamente nella storia dell’Egitto, Mohamed Morsi, appoggiato dai Fratelli musulmani.
Il golpe è stato accolto con settimane di protesteda parte dei sostenitori del presidente deposto. Si è trattato a volte di manifestazioni violente,ma spesso l’esercito ha attaccato gruppi pacifici, composti anche da donne e anziani. In un solo giorno, il 14 agosto 2013, le forze di sicurezza egiziane hanno ucciso più di mille manifestanti. La profondità dei rapporti tra Renzi e l’Egitto fa assumere all’intera questione Regeni un doppio aspetto. Da un lato le nostre ottime relazioni in Egitto hanno consegnato al governo una potente leva per chiedere una soluzione al caso .
Se un episodio simile fosse accaduto in un paese con cui l’Italia non ha nessuna relazione, il margine di manovra sarebbe stato necessariamente molto più ridotto. Dall’altro lato, le relazioni fin troppo strette con il dittatore egiziano potrebbero spingere il presidente del Consiglio a non esporsi troppo sulla questione. L’assenza di dichiarazioni di Renzi a quasi due settimana dal ritrovamento del corpo di Regeni dimostra già in parte che il presidente del Consiglio preferisce mantenere un profilo basso sulla questione. E questo rischia di mandare il messaggio sbagliato all’Egitto.
Il caso Regeni è una grave fonte di imbarazzo per al-Sisi e lo sarà ancora di più se il governo italiano farà capire chiaramente che non intende dimenticare la questione. Perché il regime di al-Sisi trovi davvero i colpevoli c’è probabilmente bisogno di forti pressioni,ma purtroppo, la voce di un ministro degli Esteri, per quanto decisa, sarà sempre molto meno forte di quella di un capo di governo. Se Renzi continuerà a tacere è facile che l’Egitto inizi a pensare che, per noi il caso Regeni non è poi così importante.
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Re: Top News
17 feb 2016 17:16
ITALIANI, BRAVA GENTE
- ON LINE I 900 FASCICOLI (FINORA TOP SECRET) CON I DETTAGLI DEI CRIMINI DI GUERRA COMMESSI DA ITALIANI E TEDESCHI DURANTE L’OCCUPAZIONE NAZIFASCISTA
- RITROVATI NEL ’94, SONO STATI TENUTI SEGRETO PER EVITARE PROBLEMI CON LA GERMANIA
Da oggi sono consultabili sul sito della Camera 695 fascicoli d'inchiesta e un registro contenente 2274 notizie di reato sui crimini di guerra, fra cui i più trucemente noti: eccidio di Sant' Anna di Stazzema, le Fosse Ardeatine,
http://www.dagospia.com/rubrica-29/cron ... 118778.htm
ITALIANI, BRAVA GENTE
- ON LINE I 900 FASCICOLI (FINORA TOP SECRET) CON I DETTAGLI DEI CRIMINI DI GUERRA COMMESSI DA ITALIANI E TEDESCHI DURANTE L’OCCUPAZIONE NAZIFASCISTA
- RITROVATI NEL ’94, SONO STATI TENUTI SEGRETO PER EVITARE PROBLEMI CON LA GERMANIA
Da oggi sono consultabili sul sito della Camera 695 fascicoli d'inchiesta e un registro contenente 2274 notizie di reato sui crimini di guerra, fra cui i più trucemente noti: eccidio di Sant' Anna di Stazzema, le Fosse Ardeatine,
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Re: Top News
il manifesto 19.2.16
Casson: «È Renzi a dover pretendere rispetto da al-Sisi»
L'intervista. Felice Casson, segretario del Copasir: «L’Egitto non collabora e sta violando la nostra dignità e sovranità»
di Eleonora Martini
Il senatore Pd Felice Casson, ha partecipato ieri, come segretario del Copasir, all’audizione del direttore dell’Aise Alberto Manenti che si trovava il 3 febbraio al Cairo per un’altra missione, nel giorno in cui è stato ritrovato il corpo di Giulio Regeni. Ma sui contenuti della riunione di ieri tenuta a Palazzo San Macuto «rispetto l’obbligo alla riservatezza», premette Casson.
Da magistrato, che idea si è fatta delle indagini condotte in Egitto sull’omicidio Regeni?
Sono state fatte molto male. Ho l’impressione netta che non si voglia arrivare alla verità. Ci sono ritardi chiarissimi e non c’è collaborazione con gli organi di polizia giudiziaria italiani che sono andati al Cairo. Per esempio, i controlli sulle telecamere disseminate nel quartiere dove Regeni viveva sono stati fatti molto in ritardo: i negozi e gli uffici infatti dopo alcuni giorni cancellano le immagini registrate, e in due settimane i servizi sono in grado di fare qualsiasi cosa sulle registrazioni in modo da non fare avere elementi di prova che invece sono fondamentali. Il fatto che i tabulati telefonici ancora non arrivino è una chiara prova di non mancanza di volontà. Così come è caduta nel vuoto la richiesta di interventi per verificare tramite i cellulari chi fosse presente sul posto. Insomma, a distanza di settimane non c’è stata alcuna risposta concreta nel rispetto delle linee di azione investigative e dei protocolli che di solito si rispettano in queste situazioni.
A cosa è dovuto, secondo lei?
Bisogna calarsi in quell’ambiente: l’Egitto è certamente un regime, e con uno Stato aduso a sistemi di tortura contro gli oppositori politici di qualsiasi genere. Ne abbiamo avuto anche una prova diretta nel caso di Abu Omar quando venne sequestrato a Milano da agenti dei servizi segreti italiani e dalla Cia e venne portato in Egitto dove fu sottoposto a tortura. In più, all’interno di quello Stato ci sono guerre intestine feroci tra apparati e tra fazioni.
Il suo collega Giacomo Stucchi, il presidente del Copasir, denuncia diplomaticamente la «mancanza di dialogo tra le loro forze in campo» che sono «coordinate in modo diverso da come avviene da noi». Ma secondo lei, ritardi e depistaggi sono frutto di un ordine impartito dall’alto o sono dovuti alla condizione di uno Stato senza controllo?
Le due cose non sono in contraddizione. La mancanza di dialogo è dovuta alla guerra intestina egiziana. A mio parere è soprattutto un problema interno, con risvolti ovviamente internazionali. Ma credo spetti allo Stato egiziano pretendere chiarezza, nel suo stesso interesse. Perché credo che sarebbe un problema per qualunque nazione sapere che ci sono pezzi di Stato — che si chiamino squadroni, forze speciali, intelligence, polizia o altro — che fanno quello che vogliono.
E le sembra che la pressione italiana sia sufficiente per convincere le autorità egiziane a collaborare di più?
A livello di indagini, quello che l’Italia doveva fare è stato fatto: gli esperti sono stati inviati sul posto rapidamente, ma essendo un territorio straniero non hanno mano libera o carta bianca. Ogni loro azione dipende rigidamente dalla volontà degli egiziani. Ma dal punto di vista politico si può fare di più: il nostro vertice statale deve pretendere in maniera più forte la verità. Perché qui si tratta di diritti fondamentali di una persona, ma anche di dignità di uno Stato. Non possiamo subire situazioni come quelle che si sono verificate in altri casi: penso alla vicenda dei marò, che è molto diversa ma che per certi versi è sintomatica di un’incapacità di gestire i rapporti internazionali.
In questo caso però ci sono in ballo gli interessi economici del capitalismo italiano.
Sì certo, grandi interessi, ma c’è una sproporzione molto forte tra le due cose. Credo che non ci siano al momento elementi per collegare questi forti interessi alla vicenda Regeni, che potrebbe essere anche più limitata.
Legami diretti con l’omicidio no, ce lo auguriamo almeno. Ma non si può non ricordare che il presidente del consiglio e segretario del suo partito ha detto che «l’Eni è un pezzo fondamentale della nostra politica energetica, della nostra politica estera, della nostra politica di intelligence. Cosa vuol dire intelligence? I servizi segreti».
Una frase imprudente. Ed è vero che ha detto anche che l’Egitto attuale è un esempio di democrazia. E io non sono assolutamente d’accordo. Capisco che Renzi, che gestisce i rapporti diretti ad altissimo livello, non possa dire tutto quello che pensa, però ci troviamo di fronte ad uno Stato che è ancora un regime e non possiamo farci mettere i piedi in testa. Credo che in questo modo ci stiano prendendo in giro. Non è assolutamente accettabile.
Quali armi abbiamo per poterli convincere, se non quelle economiche?
Penso che il rapporto diretto tra vertici funziona meglio dei canali indiretti diplomatici, che hanno un loro peso ma certamente inferiore. È una questione che va affrontata al più alto livello, facendo rimanere impregiudicati i rapporti economici e di lavoro tra i due Stati. Pensiamo anche ai tanti egiziani che vivono qui da noi. Non si possono agitare ritorsioni o minacce di qualsiasi genere: a livello di autorità statali è possibile pretendere il rispetto della propria dignità e della propria sovranità che in questo caso è stata violata.
Quindi sta nella capacità di Renzi di farsi valere con Al-Sisi. Ma il premier dovrebbe convincersi che il nemico del mio nemico non è necessariamente mio amico, e che qualunque sia il fine la repressione violenta che viola i diritti umani non può essere tollerata.
Questa è una questione molto complicata, perché l’Egitto certamente costituisce un fulcro e uno snodo all’interno del mondo arabo. E certamente non era pensabile che si potessero sviluppare al suo interno movimenti come quelli delle primavere arabe. È un punto di equilibrio tra mondo arabo e occidentale, come per altri versi lo è anche la Siria. Rendere instabili Stati di questo tipo può costare moltissimo. Ma non si può pensare che sia un singolo Stato a mantenere equilibri o a fare da baluardo al terrorismo jihadista: è una questione che va risolta a livello di comunità internazionale, tutta insieme. In particolare poi, i metodi repressivi egiziani che violano i diritti umani non sono utilizzati contro il terrorismo islamico ma nei confronti degli oppositori al regime, nei confronti della sinistra, dei sindacati o dei Fratelli musulmani. Al di là delle ideologie, è il metodo antidemocratico e violento che assolutamente non può essere accettato, né dall’Italia né dagli altri Paesi democratici, e non solo per l’Egitto.
Anche in Italia è prevista l’impunità per la tortura di Stato.
Infatti bisognerebbe far approvare il disegno di legge che introduce la tortura nel codice penale e che viene continuamente rimandato in commissione da tre o quatto legislature.
Casson: «È Renzi a dover pretendere rispetto da al-Sisi»
L'intervista. Felice Casson, segretario del Copasir: «L’Egitto non collabora e sta violando la nostra dignità e sovranità»
di Eleonora Martini
Il senatore Pd Felice Casson, ha partecipato ieri, come segretario del Copasir, all’audizione del direttore dell’Aise Alberto Manenti che si trovava il 3 febbraio al Cairo per un’altra missione, nel giorno in cui è stato ritrovato il corpo di Giulio Regeni. Ma sui contenuti della riunione di ieri tenuta a Palazzo San Macuto «rispetto l’obbligo alla riservatezza», premette Casson.
Da magistrato, che idea si è fatta delle indagini condotte in Egitto sull’omicidio Regeni?
Sono state fatte molto male. Ho l’impressione netta che non si voglia arrivare alla verità. Ci sono ritardi chiarissimi e non c’è collaborazione con gli organi di polizia giudiziaria italiani che sono andati al Cairo. Per esempio, i controlli sulle telecamere disseminate nel quartiere dove Regeni viveva sono stati fatti molto in ritardo: i negozi e gli uffici infatti dopo alcuni giorni cancellano le immagini registrate, e in due settimane i servizi sono in grado di fare qualsiasi cosa sulle registrazioni in modo da non fare avere elementi di prova che invece sono fondamentali. Il fatto che i tabulati telefonici ancora non arrivino è una chiara prova di non mancanza di volontà. Così come è caduta nel vuoto la richiesta di interventi per verificare tramite i cellulari chi fosse presente sul posto. Insomma, a distanza di settimane non c’è stata alcuna risposta concreta nel rispetto delle linee di azione investigative e dei protocolli che di solito si rispettano in queste situazioni.
A cosa è dovuto, secondo lei?
Bisogna calarsi in quell’ambiente: l’Egitto è certamente un regime, e con uno Stato aduso a sistemi di tortura contro gli oppositori politici di qualsiasi genere. Ne abbiamo avuto anche una prova diretta nel caso di Abu Omar quando venne sequestrato a Milano da agenti dei servizi segreti italiani e dalla Cia e venne portato in Egitto dove fu sottoposto a tortura. In più, all’interno di quello Stato ci sono guerre intestine feroci tra apparati e tra fazioni.
Il suo collega Giacomo Stucchi, il presidente del Copasir, denuncia diplomaticamente la «mancanza di dialogo tra le loro forze in campo» che sono «coordinate in modo diverso da come avviene da noi». Ma secondo lei, ritardi e depistaggi sono frutto di un ordine impartito dall’alto o sono dovuti alla condizione di uno Stato senza controllo?
Le due cose non sono in contraddizione. La mancanza di dialogo è dovuta alla guerra intestina egiziana. A mio parere è soprattutto un problema interno, con risvolti ovviamente internazionali. Ma credo spetti allo Stato egiziano pretendere chiarezza, nel suo stesso interesse. Perché credo che sarebbe un problema per qualunque nazione sapere che ci sono pezzi di Stato — che si chiamino squadroni, forze speciali, intelligence, polizia o altro — che fanno quello che vogliono.
E le sembra che la pressione italiana sia sufficiente per convincere le autorità egiziane a collaborare di più?
A livello di indagini, quello che l’Italia doveva fare è stato fatto: gli esperti sono stati inviati sul posto rapidamente, ma essendo un territorio straniero non hanno mano libera o carta bianca. Ogni loro azione dipende rigidamente dalla volontà degli egiziani. Ma dal punto di vista politico si può fare di più: il nostro vertice statale deve pretendere in maniera più forte la verità. Perché qui si tratta di diritti fondamentali di una persona, ma anche di dignità di uno Stato. Non possiamo subire situazioni come quelle che si sono verificate in altri casi: penso alla vicenda dei marò, che è molto diversa ma che per certi versi è sintomatica di un’incapacità di gestire i rapporti internazionali.
In questo caso però ci sono in ballo gli interessi economici del capitalismo italiano.
Sì certo, grandi interessi, ma c’è una sproporzione molto forte tra le due cose. Credo che non ci siano al momento elementi per collegare questi forti interessi alla vicenda Regeni, che potrebbe essere anche più limitata.
Legami diretti con l’omicidio no, ce lo auguriamo almeno. Ma non si può non ricordare che il presidente del consiglio e segretario del suo partito ha detto che «l’Eni è un pezzo fondamentale della nostra politica energetica, della nostra politica estera, della nostra politica di intelligence. Cosa vuol dire intelligence? I servizi segreti».
Una frase imprudente. Ed è vero che ha detto anche che l’Egitto attuale è un esempio di democrazia. E io non sono assolutamente d’accordo. Capisco che Renzi, che gestisce i rapporti diretti ad altissimo livello, non possa dire tutto quello che pensa, però ci troviamo di fronte ad uno Stato che è ancora un regime e non possiamo farci mettere i piedi in testa. Credo che in questo modo ci stiano prendendo in giro. Non è assolutamente accettabile.
Quali armi abbiamo per poterli convincere, se non quelle economiche?
Penso che il rapporto diretto tra vertici funziona meglio dei canali indiretti diplomatici, che hanno un loro peso ma certamente inferiore. È una questione che va affrontata al più alto livello, facendo rimanere impregiudicati i rapporti economici e di lavoro tra i due Stati. Pensiamo anche ai tanti egiziani che vivono qui da noi. Non si possono agitare ritorsioni o minacce di qualsiasi genere: a livello di autorità statali è possibile pretendere il rispetto della propria dignità e della propria sovranità che in questo caso è stata violata.
Quindi sta nella capacità di Renzi di farsi valere con Al-Sisi. Ma il premier dovrebbe convincersi che il nemico del mio nemico non è necessariamente mio amico, e che qualunque sia il fine la repressione violenta che viola i diritti umani non può essere tollerata.
Questa è una questione molto complicata, perché l’Egitto certamente costituisce un fulcro e uno snodo all’interno del mondo arabo. E certamente non era pensabile che si potessero sviluppare al suo interno movimenti come quelli delle primavere arabe. È un punto di equilibrio tra mondo arabo e occidentale, come per altri versi lo è anche la Siria. Rendere instabili Stati di questo tipo può costare moltissimo. Ma non si può pensare che sia un singolo Stato a mantenere equilibri o a fare da baluardo al terrorismo jihadista: è una questione che va risolta a livello di comunità internazionale, tutta insieme. In particolare poi, i metodi repressivi egiziani che violano i diritti umani non sono utilizzati contro il terrorismo islamico ma nei confronti degli oppositori al regime, nei confronti della sinistra, dei sindacati o dei Fratelli musulmani. Al di là delle ideologie, è il metodo antidemocratico e violento che assolutamente non può essere accettato, né dall’Italia né dagli altri Paesi democratici, e non solo per l’Egitto.
Anche in Italia è prevista l’impunità per la tortura di Stato.
Infatti bisognerebbe far approvare il disegno di legge che introduce la tortura nel codice penale e che viene continuamente rimandato in commissione da tre o quatto legislature.
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Re: Top News
Il Sole 19.2.16
Nessun aiuto all’Italia dai servizi segreti egiziani
Copasir. Audizione del direttore dell’Aise Alberto Manenti
di Marco Ludovico
ROMA I servizi segreti egiziani non hanno dato informazioni alla nostra intelligence sulla tragica morte di Giulio Regeni. In tre ore e mezza di audizione davanti al Copasir (comitato parlamentare per la sicurezza) il direttore dell’Aise (agenzia informazioni e sicurezza estera), Alberto Manenti, ha risposto alla commissione bicamerale presieduta da Giacomo Stucchi (Lega Nord). Si parla degli scenari in Libia e Siria, temi che saranno affrontati giovedì prossimo dal Consiglio supremo di difesa presieduto da Sergio Mattarella. Si affronta il tema della diga di Mosul, dove sono impegnati 450 militari italiani. Nella riunione emerge che all’Italia sono affidati i lavori di esecuzione, ma il generale contractor del progetto è la Difesa Usa.
Tutti, però, trattengono il fiato quando si affronta il tema cruciale e più delicato: la fine di Regeni dopo torture atroci. Manca del tutto una risposta al perchè il ricercatore sia stato non solo mutilato, con le orecchie tagliate e le unghie strappate - atto dal chiaro valore simbolico - e torturato, ma anche ucciso. Se si esclude l’ipotesi che chi lo stava seviziando avesse commesso un errore, resta forse una sola spiegazione plausibile: Regeni ha visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere, andava eliminato. Manenti ha reso noto che colleghi americani di Regeni, presenti al Cairo, hanno subito vicende drammatiche: tre di loro sono scomparsi e non se ne sapeva più niente, salvo ritrovarsi salvi in Usa dopo aver subito un certo numero di violenze. Gli stessi egiziani, insomma, che li avevano rapiti, hanno poi provveduto a riportarli oltreoceano. Resta tuttavia sconfortante la cronologia dei fatti ricostruiti al Copasir. Insieme alla delegazione del ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi - che poi ritornerà subito in Italia alle prime drammatiche notizie sul ricercatore italiano - c’è il vicedirettore dell’Aise, generale Giovanni Caravelli. Poi subito al Cairo arriva anche Manenti, per una missione tuttavia definita «già programmata». Fatto sta che dai servizi d’Egitto, Mukhabaràt in testa, non arriva nessuna notizia, riscontro, traccia informativa tale da aiutare l’Aise e il governo italiano per metterlo nelle condizioni di conoscere almeno una parte della dinamica dei fatti. In quelle ore, al Cairo, davanti alla richiesta di informazioni, c’è stato un rimpallo tra servizi e polizia egiziana: un gioco delle parti per coprire la verità. Per il resto, dunque, il comitato parlamentare apprende che poco o nulla si sa. I risultati dell’autopsia non sono ancora disponibili.In corso resta c’è il lavoro della procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone con i Carabinieri del Ros e lo Sco della Polizia di Stato. Ieri, però, il quotidiano filo-governativo egiziano AlYoum7 online, citando fonti vicine alla procura egiziana, ha scritto che Regeni «sarebbe stato ucciso da agenti segreti sotto copertura, molto probabilmente appartenenti alla confraternita terrorista dei Fratelli musulmani, per imbarazzare il governo egiziano». Notizia poi smentita dal procuratore egiziano di Giza, Ahmed Naji.
Sembra un epilogo già scritto. Con ipotesi fin troppo facili da formulare e già trapelate all’inizio del caso (si veda IlSole del 7 febbraio). Il Copasir ha poi disposto all’unanimità dieci giorni fa - la notizia è emersa ieri - che il Dis (Dipartimento informazioni e sicurezza) svolga un’ispezione sugli avvicendamenti all’Aise: «Alcune persone sono state tolte dai ruoli che ricoprivano ma sono state fatte scelte con motivazioni corrette» ha detto Stucchi. Decisioni, va aggiunto, dettate anche da intercettazioni che hanno coinvolto agenti, ex appartenti ai servizi, personaggi del Vaticano anche di alto livello. Dal contenuto delle conversazioni, a quanto pare alcune piuttosto imbarazzanti, sono emersi fatti che hanno determinato quella che in gergo si chiama «rottura del rapporto fiduciario» tra Manenti, responsabile del reparto Stati e un direttore di divisione.
Nessun aiuto all’Italia dai servizi segreti egiziani
Copasir. Audizione del direttore dell’Aise Alberto Manenti
di Marco Ludovico
ROMA I servizi segreti egiziani non hanno dato informazioni alla nostra intelligence sulla tragica morte di Giulio Regeni. In tre ore e mezza di audizione davanti al Copasir (comitato parlamentare per la sicurezza) il direttore dell’Aise (agenzia informazioni e sicurezza estera), Alberto Manenti, ha risposto alla commissione bicamerale presieduta da Giacomo Stucchi (Lega Nord). Si parla degli scenari in Libia e Siria, temi che saranno affrontati giovedì prossimo dal Consiglio supremo di difesa presieduto da Sergio Mattarella. Si affronta il tema della diga di Mosul, dove sono impegnati 450 militari italiani. Nella riunione emerge che all’Italia sono affidati i lavori di esecuzione, ma il generale contractor del progetto è la Difesa Usa.
Tutti, però, trattengono il fiato quando si affronta il tema cruciale e più delicato: la fine di Regeni dopo torture atroci. Manca del tutto una risposta al perchè il ricercatore sia stato non solo mutilato, con le orecchie tagliate e le unghie strappate - atto dal chiaro valore simbolico - e torturato, ma anche ucciso. Se si esclude l’ipotesi che chi lo stava seviziando avesse commesso un errore, resta forse una sola spiegazione plausibile: Regeni ha visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere, andava eliminato. Manenti ha reso noto che colleghi americani di Regeni, presenti al Cairo, hanno subito vicende drammatiche: tre di loro sono scomparsi e non se ne sapeva più niente, salvo ritrovarsi salvi in Usa dopo aver subito un certo numero di violenze. Gli stessi egiziani, insomma, che li avevano rapiti, hanno poi provveduto a riportarli oltreoceano. Resta tuttavia sconfortante la cronologia dei fatti ricostruiti al Copasir. Insieme alla delegazione del ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi - che poi ritornerà subito in Italia alle prime drammatiche notizie sul ricercatore italiano - c’è il vicedirettore dell’Aise, generale Giovanni Caravelli. Poi subito al Cairo arriva anche Manenti, per una missione tuttavia definita «già programmata». Fatto sta che dai servizi d’Egitto, Mukhabaràt in testa, non arriva nessuna notizia, riscontro, traccia informativa tale da aiutare l’Aise e il governo italiano per metterlo nelle condizioni di conoscere almeno una parte della dinamica dei fatti. In quelle ore, al Cairo, davanti alla richiesta di informazioni, c’è stato un rimpallo tra servizi e polizia egiziana: un gioco delle parti per coprire la verità. Per il resto, dunque, il comitato parlamentare apprende che poco o nulla si sa. I risultati dell’autopsia non sono ancora disponibili.In corso resta c’è il lavoro della procura di Roma guidata da Giuseppe Pignatone con i Carabinieri del Ros e lo Sco della Polizia di Stato. Ieri, però, il quotidiano filo-governativo egiziano AlYoum7 online, citando fonti vicine alla procura egiziana, ha scritto che Regeni «sarebbe stato ucciso da agenti segreti sotto copertura, molto probabilmente appartenenti alla confraternita terrorista dei Fratelli musulmani, per imbarazzare il governo egiziano». Notizia poi smentita dal procuratore egiziano di Giza, Ahmed Naji.
Sembra un epilogo già scritto. Con ipotesi fin troppo facili da formulare e già trapelate all’inizio del caso (si veda IlSole del 7 febbraio). Il Copasir ha poi disposto all’unanimità dieci giorni fa - la notizia è emersa ieri - che il Dis (Dipartimento informazioni e sicurezza) svolga un’ispezione sugli avvicendamenti all’Aise: «Alcune persone sono state tolte dai ruoli che ricoprivano ma sono state fatte scelte con motivazioni corrette» ha detto Stucchi. Decisioni, va aggiunto, dettate anche da intercettazioni che hanno coinvolto agenti, ex appartenti ai servizi, personaggi del Vaticano anche di alto livello. Dal contenuto delle conversazioni, a quanto pare alcune piuttosto imbarazzanti, sono emersi fatti che hanno determinato quella che in gergo si chiama «rottura del rapporto fiduciario» tra Manenti, responsabile del reparto Stati e un direttore di divisione.
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