Re: IL REFERENDUM COSTITUZIONALE
Inviato: 23/10/2016, 17:56
il manifesto 23.10.16
Bersani: il Pd di Renzi contro la sinistra rifondata
Referendum costituzionale.
Il premier: rivogliono il governo, glielo abbiamo tolto perché non erano stati in grado di cambiare le cose. Sull'Italicum la minoranza avvisa Cuperlo: non c’è più tempo per modifiche, si cancella con il voto No. D'Alema: Votano Sì gli anziani, forse hanno più difficoltà a comprendere la riforma. Come fu con Brexit non si rendono conto che così si rovina la vita dei nipoti
di Daniela Preziosi
ROMA Il referendum costituzionale del 4 dicembre sarà – anche – il calcio d’avvio dello scontro congressuale del Pd e la prima pietra della ricostruzione della sinistra. Se vince il Sì, va detto, potrebbe essere anche l’ultima; ma se perde tutto tornerebbe in discussione, dal segretario alle regole dello statuto dem alla morte delle alleanze a sinistra. Ormai l’ex leader Bersani, scatenato a tutto No, non usa giri di parole. Nel Pd sarebbe meglio «far eleggere il segretario dagli iscritti e lasciare le primarie di coalizione per la scelta del candidato premier del centrosinistra», spiega a Repubblica. È la tesi già sconfitta allo scorso congresso, ma in politica chi perde può ritentare. Per questo il futuro scontro congressuale sarà «tra il partito di Renzi e una nuova prospettiva ulivista che rifondi la sinistra».
Ulivisti o altro, il premier sa che c’è un pezzo della politica italiana che si prepara alla ’Renxit’, ma da Palermo se la ride: «C’è una variegata alleanza di quelli che dicono No: D’Alema, Berlusconi, Monti, Fini, Dini, Cirino Pomicino», «il loro obiettivo è riprendersi il governo che gli abbiamo tolto perché non erano stati in grado di cambiare le cose. Noi vogliamo il futuro, non il passato». Ma futuro e passato sono concetti relativi a Palazzo Chigi: ieri il comitato del Sì ha rispolverato una vecchia intervista di Indro Montanelli a favore di un esecutivo più forte. La replica del No: «Si riconosce il vero obiettivo di questo referendum: cambiare la forma di governo, togliendo poteri al parlamento in favore dell’esecutivo e del suo capo. Evviva la sincerità».
Lo scontro è ruvido. Secondo Scenari politici (per Huffington Post) il No è avanti con il 52 per cento ma il Sì accorcia le distanze al 48 ed è in rimonta. Renzi è convinto che una mano a convincere gli indecisi potrebbe arrivare dall’accordo sull’Italicum fra maggioranza e minoranze Pd nella commissione dem istituita all’ultima direzione. Entro la manifestazione del Sì del 29 ottobre si capirà se la pax renziana sarà davvero firmata. Ma ieri Bersani lo ha di fatto escluso. E sulla Stampa Federico Fornaro, uno degli uomini che gli sono più vicini, ha rivelato che la disponibilità da parte della minoranza era solo tattica: «Il tempo è scaduto per farci cambiare posizione sul referendum», il tentativo di Cuperlo è «un contributo utile alla discussione e nulla più». Parole, quelle di Bersani e dei suoi, definite «incendiarie» dal presidente Orfini, che nella commissione è uno dei più determinati a portare a casa un accordo con Cuperlo. E poi magari godersi lo spettacolo della rottura fra la componente cuperliana – ridotta ormai ai minimi – e quella bersaniana. Anche Cuperlo non apprezza le parole dei suoi compagni: «Proviamoci», insiste, «da parte di tutti servono gli estintori perché alimentare l’incendio non aiuta». Se la commissione fallisse «salterebbe la stessa unità politica del Pd in vista del referendum costituzionale», avverte Giorgio Merlo. Ma Bersani ormai è scatenato per il No. E anche Massimo D’Alema manda a dire al suo ex pupillo che sul fronte della legge elettorale non c’è più niente da fare: «Ho grande rispetto e stima per Cuperlo, ma è evidente che nessuna commissione potrà mai cambiare l’Italicum prima del referendum, anche perché l’Italicum è oggetto del referendum. Quindi chi è contro l’Italicum deve votare No».
Quanto a D’Alema, ieri ha spiegato che il referendum italiano è paragonabile quello inglese sull’uscita dall’Europa, ma non nel senso sostenuto dal governo: «Renzi parla a nome di una gioventù che non lo segue. I giovani votano No. Votano Sì solo le persone molto anziane forse anche perché hanno maggiore difficoltà a comprendere questa riforma sbagliata», insomma proprio come fu con la vittoria di Brexit «gli anziani non si rendono conto che approvando la riforma renziana si rovina la vita dei nipoti». Bordate dal fronte del Sì: «Da una persona di 67 anni credo che sia un autogol dire una cosa del genere», attacca ancora Orfini, altro suo ex pupillo.
Ma a poco più di un mese dal voto ormai la battaglia è senza esclusione di colpi. Così nel corso di un comizio a Palermo ieri Renzi è inciampato in una battuta alla Salvini commentando la gigantografia delle facce del No che gli venivano proiettate alle spalle (D’Alema era la più visibile, al centro dello schermo): «Metti via», ha ordinato al tecnico delle immagini, «magari qualcuno ha mangiato».
il manifesto 23.10.16
Il peso di una scheda bianca
di Michele Prospero
A sinistra, dove la creatività è infinita, c’è chi ha lanciato l’idea assurda di un astensionismo critico o di una scheda bianca in un referendum costituzionale che non prevede alcun quorum. Ci sono però schede bianche e schede bianche. Quella annunciata da Fabrizio Barca somiglia molto all’esito di una argomentazione acrobatica: non partecipare alla battaglia per conservare le aspettative di una possibile ricomposizione. Quella evocata da Emanuele Macaluso è invece la conseguenza di un gesto di sofferta rottura che merita alcune considerazioni.
La riforma costituzionale è stata più volte raffigurata da Renzi e da Boschi come la riforma di Napolitano. Con il rifiuto di Macaluso di votarla nel referendum si lancia un segnale pesante di dissenso. Il testo, la cui paternità viene dal governo ricondotta strumentalmente al presidente emerito, non raccoglie neanche il consenso del politico a lui più vicino per una antica consuetudine ideale.
Del resto, dopo gli interventi nitidi di Alfredo Reichlin a supporto del no, le acque di ciò che rimaneva della tradizione comunista si sono agitate di molto. Che tutti gli intellettuali marxisti degli anni settanta (ad eccezione di Alberto Asor Rosa) siano schierati per il sì al quesito populista non stupisce. L’egemonia marxista poggiava su fragili basi di conformismo e gli intellettuali entrati nel Pci dopo il ’68 orientavano il loro pensiero secondo il vento passeggero delle mode. Già nei primi anni ottanta cominciò per molti il precipitoso addio alle armi.
La confluenza dei filosofi comunisti di allora nelle agguerrite schiere della de-formazione costituzionale di oggi ha anche degli appigli nella loro opera. Avevano qualche ragione Amato e Cafagna a prendere di petto le produzioni di De Giovanni e Vacca rimarcandone i tratti di un organicismo refrattario alle libertà negative, al pluralismo dei conflitti, alle garanzie. L’organicismo di una cattiva tradizione comunista può benissimo convivere con il volto arbitrario del renzismo e con le sue velleità di costituzionalizzare il partito della nazione con strappi alla carta ed elargizioni di bonus.
Che un acerrimo nemico della democrazia discutidora, come Massimo Cacciari, oggi non trovi nulla di strano nel votare a favore di una riforma che egli stesso giudica una immensa schifezza non desta scandalo: nella sterilità assiologica che condisce le varianti del nichilismo politico-giuridico ogni decidere qualcosa conta più della qualità della decisione.
Il conformismo dei chierici non è però una novità nella cultura italiana. Invece poco comprensibile era l’oscillazione dei politici comunisti eredi della grande lezione costituzionale di Togliatti e quindi poco inclini alle chiacchiere sulla democrazia decidente. Con Tortorella e Reichlin non c’è stata esitazione a prendere la giusta posizione in un conflitto che comunque muterà l’ossatura della repubblica. Ora anche Macaluso recupera un filo rosso della cultura costituzionale del Pci (ma anche dei partiti storici oggi riesumati da De Mita e da Formica) e nega il sostegno a un plebiscito manipolatorio e quindi profondamente illiberale.
Gli scritti incalzanti di Reichlin e i dubbi onesti di Macaluso su un plebiscito che sfigurerà la repubblica non possono non turbare la coscienza politica di Napolitano. Le categorie politiche e le preferenze nei modelli istituzionali risalgono a un medesimo ceppo, da cui non possono che scaturire anche gli stessi angoscianti interrogativi sul senso stesso di un referendum personalizzato come avventura irresponsabile entro una democrazia occidentale.
In un quadro di torsione plebiscitaria della consultazione le carezze di Renzi e Boschi sono urticanti per il capo dello Stato emerito perché cercano di tramutarlo maldestramente nel Coty italiano, con la differenza che mentre il presidente francese concedeva la carrozza del commissario al generale di Lilla a lui tocca consegnarla al caporale di Rignano.
Perciò Napolitano lamenta a ragione gli eccessi della personalizzazione dello scontro referendario. Ma proprio la personalizzazione della contesa è l’essenza della fuga plebiscitaria di un capo di governo che maledice le procedure e insegue l’unzione mistica del popolo. Alle prove di democrazia plebiscitaria un cittadino libero risponde necessariamente con il no, a prescindere dagli stessi contenuti tecnici della riforma. Che la scheda bianca di Macaluso prefiguri un’altra e clamorosa censura dell’avventurismo del mediocre potere toscano?
Bersani: il Pd di Renzi contro la sinistra rifondata
Referendum costituzionale.
Il premier: rivogliono il governo, glielo abbiamo tolto perché non erano stati in grado di cambiare le cose. Sull'Italicum la minoranza avvisa Cuperlo: non c’è più tempo per modifiche, si cancella con il voto No. D'Alema: Votano Sì gli anziani, forse hanno più difficoltà a comprendere la riforma. Come fu con Brexit non si rendono conto che così si rovina la vita dei nipoti
di Daniela Preziosi
ROMA Il referendum costituzionale del 4 dicembre sarà – anche – il calcio d’avvio dello scontro congressuale del Pd e la prima pietra della ricostruzione della sinistra. Se vince il Sì, va detto, potrebbe essere anche l’ultima; ma se perde tutto tornerebbe in discussione, dal segretario alle regole dello statuto dem alla morte delle alleanze a sinistra. Ormai l’ex leader Bersani, scatenato a tutto No, non usa giri di parole. Nel Pd sarebbe meglio «far eleggere il segretario dagli iscritti e lasciare le primarie di coalizione per la scelta del candidato premier del centrosinistra», spiega a Repubblica. È la tesi già sconfitta allo scorso congresso, ma in politica chi perde può ritentare. Per questo il futuro scontro congressuale sarà «tra il partito di Renzi e una nuova prospettiva ulivista che rifondi la sinistra».
Ulivisti o altro, il premier sa che c’è un pezzo della politica italiana che si prepara alla ’Renxit’, ma da Palermo se la ride: «C’è una variegata alleanza di quelli che dicono No: D’Alema, Berlusconi, Monti, Fini, Dini, Cirino Pomicino», «il loro obiettivo è riprendersi il governo che gli abbiamo tolto perché non erano stati in grado di cambiare le cose. Noi vogliamo il futuro, non il passato». Ma futuro e passato sono concetti relativi a Palazzo Chigi: ieri il comitato del Sì ha rispolverato una vecchia intervista di Indro Montanelli a favore di un esecutivo più forte. La replica del No: «Si riconosce il vero obiettivo di questo referendum: cambiare la forma di governo, togliendo poteri al parlamento in favore dell’esecutivo e del suo capo. Evviva la sincerità».
Lo scontro è ruvido. Secondo Scenari politici (per Huffington Post) il No è avanti con il 52 per cento ma il Sì accorcia le distanze al 48 ed è in rimonta. Renzi è convinto che una mano a convincere gli indecisi potrebbe arrivare dall’accordo sull’Italicum fra maggioranza e minoranze Pd nella commissione dem istituita all’ultima direzione. Entro la manifestazione del Sì del 29 ottobre si capirà se la pax renziana sarà davvero firmata. Ma ieri Bersani lo ha di fatto escluso. E sulla Stampa Federico Fornaro, uno degli uomini che gli sono più vicini, ha rivelato che la disponibilità da parte della minoranza era solo tattica: «Il tempo è scaduto per farci cambiare posizione sul referendum», il tentativo di Cuperlo è «un contributo utile alla discussione e nulla più». Parole, quelle di Bersani e dei suoi, definite «incendiarie» dal presidente Orfini, che nella commissione è uno dei più determinati a portare a casa un accordo con Cuperlo. E poi magari godersi lo spettacolo della rottura fra la componente cuperliana – ridotta ormai ai minimi – e quella bersaniana. Anche Cuperlo non apprezza le parole dei suoi compagni: «Proviamoci», insiste, «da parte di tutti servono gli estintori perché alimentare l’incendio non aiuta». Se la commissione fallisse «salterebbe la stessa unità politica del Pd in vista del referendum costituzionale», avverte Giorgio Merlo. Ma Bersani ormai è scatenato per il No. E anche Massimo D’Alema manda a dire al suo ex pupillo che sul fronte della legge elettorale non c’è più niente da fare: «Ho grande rispetto e stima per Cuperlo, ma è evidente che nessuna commissione potrà mai cambiare l’Italicum prima del referendum, anche perché l’Italicum è oggetto del referendum. Quindi chi è contro l’Italicum deve votare No».
Quanto a D’Alema, ieri ha spiegato che il referendum italiano è paragonabile quello inglese sull’uscita dall’Europa, ma non nel senso sostenuto dal governo: «Renzi parla a nome di una gioventù che non lo segue. I giovani votano No. Votano Sì solo le persone molto anziane forse anche perché hanno maggiore difficoltà a comprendere questa riforma sbagliata», insomma proprio come fu con la vittoria di Brexit «gli anziani non si rendono conto che approvando la riforma renziana si rovina la vita dei nipoti». Bordate dal fronte del Sì: «Da una persona di 67 anni credo che sia un autogol dire una cosa del genere», attacca ancora Orfini, altro suo ex pupillo.
Ma a poco più di un mese dal voto ormai la battaglia è senza esclusione di colpi. Così nel corso di un comizio a Palermo ieri Renzi è inciampato in una battuta alla Salvini commentando la gigantografia delle facce del No che gli venivano proiettate alle spalle (D’Alema era la più visibile, al centro dello schermo): «Metti via», ha ordinato al tecnico delle immagini, «magari qualcuno ha mangiato».
il manifesto 23.10.16
Il peso di una scheda bianca
di Michele Prospero
A sinistra, dove la creatività è infinita, c’è chi ha lanciato l’idea assurda di un astensionismo critico o di una scheda bianca in un referendum costituzionale che non prevede alcun quorum. Ci sono però schede bianche e schede bianche. Quella annunciata da Fabrizio Barca somiglia molto all’esito di una argomentazione acrobatica: non partecipare alla battaglia per conservare le aspettative di una possibile ricomposizione. Quella evocata da Emanuele Macaluso è invece la conseguenza di un gesto di sofferta rottura che merita alcune considerazioni.
La riforma costituzionale è stata più volte raffigurata da Renzi e da Boschi come la riforma di Napolitano. Con il rifiuto di Macaluso di votarla nel referendum si lancia un segnale pesante di dissenso. Il testo, la cui paternità viene dal governo ricondotta strumentalmente al presidente emerito, non raccoglie neanche il consenso del politico a lui più vicino per una antica consuetudine ideale.
Del resto, dopo gli interventi nitidi di Alfredo Reichlin a supporto del no, le acque di ciò che rimaneva della tradizione comunista si sono agitate di molto. Che tutti gli intellettuali marxisti degli anni settanta (ad eccezione di Alberto Asor Rosa) siano schierati per il sì al quesito populista non stupisce. L’egemonia marxista poggiava su fragili basi di conformismo e gli intellettuali entrati nel Pci dopo il ’68 orientavano il loro pensiero secondo il vento passeggero delle mode. Già nei primi anni ottanta cominciò per molti il precipitoso addio alle armi.
La confluenza dei filosofi comunisti di allora nelle agguerrite schiere della de-formazione costituzionale di oggi ha anche degli appigli nella loro opera. Avevano qualche ragione Amato e Cafagna a prendere di petto le produzioni di De Giovanni e Vacca rimarcandone i tratti di un organicismo refrattario alle libertà negative, al pluralismo dei conflitti, alle garanzie. L’organicismo di una cattiva tradizione comunista può benissimo convivere con il volto arbitrario del renzismo e con le sue velleità di costituzionalizzare il partito della nazione con strappi alla carta ed elargizioni di bonus.
Che un acerrimo nemico della democrazia discutidora, come Massimo Cacciari, oggi non trovi nulla di strano nel votare a favore di una riforma che egli stesso giudica una immensa schifezza non desta scandalo: nella sterilità assiologica che condisce le varianti del nichilismo politico-giuridico ogni decidere qualcosa conta più della qualità della decisione.
Il conformismo dei chierici non è però una novità nella cultura italiana. Invece poco comprensibile era l’oscillazione dei politici comunisti eredi della grande lezione costituzionale di Togliatti e quindi poco inclini alle chiacchiere sulla democrazia decidente. Con Tortorella e Reichlin non c’è stata esitazione a prendere la giusta posizione in un conflitto che comunque muterà l’ossatura della repubblica. Ora anche Macaluso recupera un filo rosso della cultura costituzionale del Pci (ma anche dei partiti storici oggi riesumati da De Mita e da Formica) e nega il sostegno a un plebiscito manipolatorio e quindi profondamente illiberale.
Gli scritti incalzanti di Reichlin e i dubbi onesti di Macaluso su un plebiscito che sfigurerà la repubblica non possono non turbare la coscienza politica di Napolitano. Le categorie politiche e le preferenze nei modelli istituzionali risalgono a un medesimo ceppo, da cui non possono che scaturire anche gli stessi angoscianti interrogativi sul senso stesso di un referendum personalizzato come avventura irresponsabile entro una democrazia occidentale.
In un quadro di torsione plebiscitaria della consultazione le carezze di Renzi e Boschi sono urticanti per il capo dello Stato emerito perché cercano di tramutarlo maldestramente nel Coty italiano, con la differenza che mentre il presidente francese concedeva la carrozza del commissario al generale di Lilla a lui tocca consegnarla al caporale di Rignano.
Perciò Napolitano lamenta a ragione gli eccessi della personalizzazione dello scontro referendario. Ma proprio la personalizzazione della contesa è l’essenza della fuga plebiscitaria di un capo di governo che maledice le procedure e insegue l’unzione mistica del popolo. Alle prove di democrazia plebiscitaria un cittadino libero risponde necessariamente con il no, a prescindere dagli stessi contenuti tecnici della riforma. Che la scheda bianca di Macaluso prefiguri un’altra e clamorosa censura dell’avventurismo del mediocre potere toscano?