Governo Renzi? No, governo Alfano
Così Angelino prova a prendersi i meriti
Il ministro dell'Interno, invece di concentrarsi sulle proprie materie, adora spiegare che il premier sta in realtà realizzando il programma dell'Ncd. Nell'elenco mette di tutto: dalla legge contro la violenza di genere alla scuola pubblica e l'ultimo annuncio sulle tasse. Ma non dovrebbe invece provare a distinguersii?
di Susanna Turco
20 luglio 2015
Fatti i dovuti conti, manca giusto rivendichi di aver chiesto "prima lui” le dimissioni di Maurizio Lupi da ministro dei Trasporti. Per il resto, a sentire Angelino Alfano, ministro dell’Interno e leader dell’Ncd, pare che il governo sia in mano a lui, non a Renzi. Nel bene, soprattutto, vale a dire per le cose fatte: tutti temi che erano "nostri”, "già nel nostro programma”, o al massimo che "vanno a completarlo”. Quasi che, a dispetto dell’apparenza, il premier sia un burattino nelle mani di Angelino.
Strepitosa, in questo senso, l’affermazione fatta da Alfano alla Stampa:
"Il taglio delle tasse contribuisce al completamento del programma di centrodestra”, spiega. Laddove "centrodestra” non è un lapsus, è una convinzione. Perché "quel taglio va ad aggiungersi all’eliminazione dell’articolo 18, alla responsabilità civile dei magistrati, al taglio di sei miliardi dell’Irap, al sostegno alla natalità e agli investimenti sulla sicurezza. Avevamo chiesto un intervento sulla tassazione della prima casa. E lo vogliamo anche sull’Imu agricola”, aggiunge Alfano perentorio, a spiegare che il suo programma è ben avanti, ma non è ancora concluso.
Ora, la sindrome de "l’avevo detto prima io”, in un partito che ha dovuto pretendere l’abbassamento della soglia di sbarramento dell’Italicum per il timore altrimenti di non superarlo, è comprensibile. Così come è ontologicamente necessario, essenziale, per la persona di Alfano, il tentativo di liberarsi da quella tenaglia da figlio di un dio minore, che lo stringe su qualsiasi tema tra Renzi da un lato, e Berlusconi dall’altro. Altrimenti detto con le parole perfide del leader leghista Salvini: "Alfano è il nulla, quindi il nulla può dichiarare quel che vuole”.
Ad andare a ritroso nel tempo, tuttavia, stupisce la pervicacia con la quale Alfano ha sostenuto che "il governo non è un monocolore Pd”, salvo poi accreditare lui stesso l’impressione del "monocolore” allineandosi in tutto e per tutto – con la pretesa appunto che fossero solo suoi – agli obiettivi che nel bene e nel male il governo Renzi ha raggiunto. Dovrebbe infatti sapere Alfano, per averlo imparato durante i precedenti anni di governo, che il ruolo dell’alleato di minoranza di un qualsiasi governo è uno solo: distinguersi. Il valore – come un tempo facevano l’Udc di Casini e l’An di Fini – non è sottolineare il 90 per cento dei provvedimenti sui quali si è d’accordo: ma, al contrario, fare la voce grossa su quel 5-10 per cento di disaccordo. Ciò che consente cioè al partito piccolo di conquistare visibilità, voti, potere di contrattazione.
Niente di tutto ciò. Saranno forse i molti anni trascorsi alla corte berlusconiana. Oppure quell’indole per la quale Angelino, prima, era soprannominato nel Pdl con disprezzo il "cameriere” e, poi, una volta divenuto "segretario” del Pdl, obbligava tutti a precisare "segretario politico” per togliere quell’impressione da passacarte e passa-telefonate che altrimenti gli restava appiccicata addosso.
Ma comunque, anche adesso che non è più il delfino di Berlusconi, Alfano non può e non riesce a mettersi contro al suo superiore: al massimo può dire essere farina del proprio sacco ciò che quell'altro fa. "Provvedimenti scritti con la mano destra”, è il suo modo di definirli: cioè attuati da Renzi, ma scritti da lui ("Renzi usa le nostre ricette”, è un altro tormentone”). "Al governo stiamo realizzando tutte cose non di sinistra”, proclamava ad Ancona a metà maggio, includendo nell’elenco persino "la difesa della scuola pubblica” e "il bonus di mezzo miliardo per le neo mamme”.
Latita al contrario, Alfano, non rivendica la sua impronta su tutto ciò che lo riguarda direttamente in quanto ministro: come l’immigrazione, per dire. Il rapporto con le procure. Le manganellate in piazza. Il caso Shalabayeva, destinato a restare nella memoria comune come un caso di scuola del non c’ero e se c’ero dormivo.
Ma di tutto il resto si vanta moltissimo: "C’è voluto un anno per dimostrare quanto la nostra presenza sia in grado di realizzare le ambizioni e le aspirazioni dei moderati italiani”, scriveva ispirato su Facebook il 22 febbraio, a un anno dalla nascita del governo Renzi, elencando fra l’altro "la legge contro la violenza di genere”, quella "contro la violenza negli stadi”, ma pure le liberalizzazioni, il rinnovo dell’eco bonus, il decreto contro il terrorismo internazionale, le "maggiori risorse per chi combatte la criminalità” e le facilitazioni per le ristrutturazioni. Tutte cose notoriamente di destra.
A novembre 2014, era lo stesso: "Nella legge di stabilità che sarà approvata c’è tanto di centrodestra, anzi posso dire che abbiamo realizzato molti punti del programma del Pdl, il partito per il quale siamo stati eletti”: e giù una nuova lista. Urrà. Ma ecco, il punto. Alfano vuole a tutti i costi dimostrare di non essere un traditore. Pare importargli più questo che non, per esempio, dare al proprio partito un afflato politico che superi il renzismo, che faccia guardare oltre. Non s’accorge che dell’accusa di traditore non importa più a nessuno: è passata in giudicato. Mentre serve nuova benzina per decidere dove portare l’Ncd, anziché plaudire ad esempio a una riforma della giustizia che lui, da Guardasigilli, non fu nemmeno capace di cominciare.
http://espresso.repubblica.it/palazzo/2 ... =HEF_RULLO