Diario della caduta di un regime.

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camillobenso
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LA CALDA ESTATE DEL 2016
CRONACA DI GIORNI DI GUERRA





5 AGO 2016 09:16
1. IL CAZZONE TOSCANO RENZIZZA LA RAI E CARLO FRECCERO RIFILA LA FREDDURA AL SOLDATINO CAMPO-SANTO DALL’ORTO: “TRA DUE MESI RENZI TI CACCERÀ, E IO TI DIFENDERÒ”


2. “IL PREMIER È AZZOPPATO. ANCHE PERCHÉ SE PERDE IL REFERENDUM DEVE ANDARE A CASA. ORMAI PUÒ ANDARE SOLO A VEDERE LE OLIMPIADI, A FARE IL TIFOSO DELL'ITALIA LÌ, MA LE SUE PAROLE D'ORDINE FANNO PAURA AGLI ITALIANI: INNOVAZIONE, FUTURO, SIGNIFICANO POVERTÀ"


3. "RENZI PORTA L'ITALIA ALLA ROVINA. BERLUSCONI AVEVA CONTRO AVVERSARI DURI COME SANTORO, LUTTAZZI. ADESSO BASTA PENSARLA APPENA DIVERSAMENTE DAL CAPO PERCHÉ TI FACCIANO FUORI. ANZALDI SI ARRABBIA SE NON SI DÀ RISALTO AL PREMIER CHE INAUGURA LA FALSA SALERNO-REGGIO CALABRIA. HO VISTO GLI SMS DI RENZI, C'È DA VERGOGNARSI”


^^^^^^^

1 - LA BATTUTA DI FRECCERO A CAMPO DALL’ORTO
Da “la Repubblica”
[...] La battuta fulminante di Freccero su Campo Dall’Orto: «Tra due mesi Renzi ti caccerà, e io ti difenderò…».

2 - FRECCERO: RENZI HA CANCELLATO IL DISSENSO
Anna Maria Greco per “il Giornale”


Il giorno prima, Carlo Freccero aveva previsto che le nomine Rai sarebbero saltate. Non poteva e voleva credere che si potesse fare «un monocolore, una scelta degna della vecchia Dc anni '50».


Invece, è andata diversamente e solo tre consiglieri del Cda hanno votato contro. Lei era uno di questi.

«Immaginavo che la commissione di Vigilanza Rai avrebbe trovato una trappola per impedire che si arrivasse a questo, che ci fosse un rinvio. Avevo parlato con molti contrari, come Speranza, Fratoianni, Gasparri, Brunetta, una sola volta con Fico e mi aspettavo che riuscissero a stoppare l'operazione. Prendo atto che non è avvenuto».

La considerano in quota M5S e per Gasparri Fico e la sinistra Pd hanno garantito la lottizzazione renziana.

«Ringrazio molto M5s e Sel che mi hanno voluto nel Cda, dimostrando di non essere schiavi del potere, di un clan in cui si entra chinando la testa. Certo, il Pd non mi ha mai proposto per questa poltrona. Ma su come sono andate le cose in commissione Vigilanza ho una mia idea. Fico mi ha spiegato che non poteva accogliere la richiesta di rinvio di Fornaro (della sinistra dem, ndr) per motivi procedurali. Io credo che, in realtà, i Cinque Stelle abbiano voluto far sì che si bevesse l'amaro calice, perché fosse evidente a tutti l'autoritarismo di Renzi».


Hanno fatto esplodere il problema?
«È stata una scelta politica, che si è trincerata dietro a forme procedurali. Io contavo su una soluzione diversa».

Per lei, le nomine sarebbero saltate perché «il Pd non è autoritario, non è come la vecchia Dc». Deve ricredersi ora?
«Pensavo che ci sarebbe stata la prova dell'esistenza di una sinistra Pd, che c'è a livello di dichiarazioni ma non negli atti pratici».

Fornaro e Gotor, però, si sono dimessi clamorosamente dalla commissione di Vigilanza Rai.
«Perché appunto avevano chiesto il rinvio che è stato negato. Mi sembra ormai evidente nel Pd che Renzi non è più il re assoluto, non è immortale. Mi hanno colpito molto le dichiarazioni critiche di Verducci, uno dei giovani turchi Pd. Ho letto quelle di Cuperlo. Credo si inizi a pensare al dopo-Renzi, emerge un partito con posizioni articolate, distinte, dialettiche».

Il re è nudo?
«Proprio così, è azzoppato. Anche perché se perde il referendum, sia chiaro, deve andare a casa».

Ultimamente il premier non insiste più a personalizzare il voto, fa retromarcia.
«Può dire quello che vuole, sul referendum si gioca tutto. Ormai può andare solo a vedere le Olimpiadi, a fare il tifoso dell'Italia lì, ma le sue parole d'ordine fanno paura agli italiani: innovazione, futuro, vogliono dire povertà, pattumiera. Renzi è arrivato al capolinea, porta l'Italia alla rovina».

Molti pensano che il problema per Renzi sia proprio l'informazione in vista del referendum costituzionale d'autunno. E così spiegano le nuove nomine.
«Sì lo credo anch'io. Io ho vissuto l'epoca dell'editto bulgaro di Berlusconi, ma lui aveva contro avversari duri come Santoro, Luttazzi... Aveva qualche motivo. Adesso, invece, basta pensarla appena diversamente dal capo perché ti facciano fuori».


Per questo l'informazione Rai dev'essere controllata?
«Questi non vogliono che nemmeno si appaia in video se non si è d'accordo con loro. Michele Anzaldi si arrabbia se solo interviene uno dell'opposizione, se non si dà risalto al premier che inaugura la falsa Salerno-Reggio Calabria. Ho visto gli sms di Renzi, c'è da vergognarsi. Ma c'è chi non ce la fa più di fronte alle imposizioni in Rai di Anzaldi, che fanno perdere voti al Pd».


La Berlinguer dava molto fastidio?
«Pensa un po'... Dava solo spazio a tutti, ma il fatto di dare la parola anche agli oppositori di Renzi evidentemente appariva intollerabile».

Quest'estate, ha scritto il direttore Sallusti nell'editoriale di giovedì, cambia la faccia dell'informazione, con la fusione tra Repubblica, Stampa e Secolo XIX nel polo editoriale di De Benedetti, il cambio di guardia al Corriere della Sera con l'ingresso di Cairo e le nuove nomine Rai. È d'accordo?
«Credo che in quest'agosto 2016 si chiuda l'epoca del conflitto d'interessi berlusconiano e si ridisegni la mappa dell'informazione che si assoggetta al potere dei grandi gruppi multinazionali sulla rete. Il potere si accentra, vedi Murdoch, Bollorè. Prevale il mainstream, la tendenza dominante. A livello giornalistico da noi s'impone il pensiero unico e politicamente corretto di cui De Benedetti è il centro di gravità permanente. Bisognerà vedere che cosa farà Cairo, ma intanto nella televisione Rai prevale il renzismo».

Se è così che cosa rimane della libertà di stampa?
«La vedo totalmente a rischio. Chi non è d'accordo viene cancellato. É un momento molto pericoloso. In questa nuova epoca tutti gli scontri sul conflitto d'interessi di Berlusconi appariranno come qualcosa di leggero, quasi di tenero. Mi viene in mente la palla di neve che si disfa nella mano del magnate della stampa del film Quarto potere, di Orson Wells».
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L'Italia è fatta così:

Che facciamo??? Ce la teniamo????





“Ti vogliono votare ma devi passare da loro”

Lo spin doctor di Caridi? Era l’uomo delle ‘ndrine
“Dobbiamo fissare gli appuntamenti”. “Sei grandioso, fortunato ad averti come amico” – Audio esclusivo
Così Jimmy Giovinazzo, per i pm affiliato alla cosca Raso, organizzava l’agenda elettorale del senatore
caridi-intercettazioni-pp
FattoTv
Alcune intercettazioni finite nel fascicolo dell’indagine Alchemia raccontano il ruolo della ‘ndrangheta nella campagna elettorale del futuro senatore Antonio Caridi che, nel marzo del 2010, era candidato alle regionali ed eletto a furor di popolo con oltre 11mila voti. Un risultato del quale deve dire mille grazie a Jimmy Giovinazzo che secondo la dda è affiliato alla cosca Raso-Gullace-Albanese. È lui che durante la campagna elettorale lo tampina per organizzare gli incontri con i compari della cosca di Enrico Fierro e Lucio Musolino

VEDI:

http://tv.ilfattoquotidiano.it/2016/08/ ... re/550147/
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Salvini: 'Boldrini sei una minorata mentale'


FONDAMENTALISTI NOSTRANI O FONDAMENTALISTI ISLAMICI, .........POCO CAMBIA.

SONO SEMPRE INTEGRALISTI PRIVI DI RAGIONE.
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C'era una volta il centrodestra


salut'm a soreta
https://www.youtube.com/watch?v=JSKfAbEszXI


L’INTERVISTA
di Daria Gorodisky

«Con Parisi ho una buona sintonia
Salvini premier? Non ha preso voti»

Bossi: apre al Sud senza un programma e i consensi non arrivano

ROMA Forse per provare a rimettere
un po’ di ordine in
quella che molti leghisti avvertono
come «una grande confusione
», Umberto Bossi — presidente
del Carroccio — non
intende perdere neppure una
delle feste agostane della Lega.
E ieri, mentre si dirigeva a
quella di Arcore, ha annunciato
battaglia: bocciando Matteo
Salvini, aprendo a Stefano Parisi
e impallinando Matteo
Renzi.
Per scegliere il prossimo
candidato alla presidenza del
Consiglio del centrodestra,
Roberto Maroni dice che ser-
vono le primarie.
«Non ha senso. I dirigenti
devono avere la capacità di decidere.
Non possono delegare
alla gente questa responsabilità.
Poi, se non sono capaci...».
Crede che Parisi possa rap-
presentare la scelta giusta?
«Gli amici di Berlusconi sono
nostri amici. Però Salvini
voleva fare il premier, quindi
bisogna chiedere a lui se sarebbe
d’accordo. Io non gli ho
ancora parlato. La Lega non ha
ancora deciso niente, ma deve
trovare alleanze».
Poco prima delle ultime
Amministrative lei ha incon-
trato Parisi a Milano per un
pranzo in un ristorante;
c’erano anche Giulio Tre-
monti, Maurizio Lupi e Ga-
briele Albertini. C’è una buo-
na sintonia con lui?
«Sì».
Parisi sta rilanciando il fe-
deralismo fiscale, un tema
che vi è molto caro.
«Il suo è un messaggio alla
Lega. Va data finalmente al Paese
quella legge che il Parlamento
voleva e che Giorgio Napolitano
non ha firmato».
Vedrebbe anche la possibi-
lità di candidare Salvini pre-
mier?
«Non penso. Ha ritardato
troppo a fare delle scelte. Alle
ultime Amministrative ha
puntato su Roma come porta
verso il Sud: se avesse preso voti,
si sarebbe potuto proporre
come premier. Invece...»
Ma Salvini torna di nuovo a
parlare di apertura al Sud.
«E con quale programma? Io
non l’ho mai visto. La gente
chiede: per che cosa dovrei votare?
E la risposta, appunto, si
chiama programma. Pensare
di raccogliere consensi senza
dare niente in cambio è un’illusione
».
Tornando a Silvio Berlu-
sconi, gli ha parlato recente-
mente?
«No. L’ho sentito un mese
fa. Ma penso che lo vedrò presto
per capire bene che programma
comune si può fare,
fino a quali limiti possiamo
spingerci».
Come base di partenza ci
sono modifica della legge
elettorale e no alla riforma
costituzionale.
«Ovvio. Al referendum la
gente massacrerà Renzi, che
dopo anni di federalismo prova
a fare l’esatto contrario, cercando
di ottenere un centralismo
assoluto, un supercentralismo
con cui il premier può
decidere tutto sulle Regioni. È
peggio di Mussolini. E poi
Renzi presenta un bilancio fallimentare
su tutto, a partire
dalle sue promesse sul lavoro:
abbiamo 3 milioni di disoccupati
e 14 milioni di lavoratori in
nero. Bastano questi numeri a
testimoniare il suo fallimento
».
Se al referendum vinceran-
no i No e Renzi perderà, si po-
trebbe andare a un governo
di scopo.
«E speriamo che faccia cose
utili: cambiare l’Italicum e cancellare
definitivamente la riforma
costituzionale proposta
da Renzi».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
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La madre di tutti i danni

Napolitano è ancora presente. Quanti danni riuscirà ancora a fare, nonostante la veneranda età, prima che si riesca a toglierlo di mezzo?


Alessandro Sallusti - Ven, 05/08/2016 - 15:29
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La Corte dei conti ha chiesto all'agenzia finanziaria Morgan Stanley di restituire tre miliardi di euro che il governo Monti versò per chiudere il controverso caso dei derivati, quei titoli tossici che inquinarono il sistema bancario.


La somma, non irrilevante, si va ad aggiungere al conto già salato che abbiamo pagato per poco più di un anno di quella sciagurata avventura del professore bocconiano proiettato a Palazzo Chigi da Giorgio Napolitano per disarcionare Silvio Berlusconi. Matteo Renzi, nei giorni scorsi, ha indicato in Monti e nella sua ricetta recessiva il cancro che sta divorando il sistema bancario. E noti sono gli effetti devastanti della reintroduzione della tassa sulla casa - poi varata definitivamente da Letta - e dell'intervento sulle pensioni che ha messo sul lastrico migliaia di esodati. Per non parlare delle tasse sul lusso che hanno messo in ginocchio settori strategici come l'auto e la nautica.

Il tempo, purtroppo, ci sta dando ragione. Il governo Monti non solo fu una truffa politica che rasentò il colpo di Stato, ma la sua incapacità andò oltre la sua illegittimità. Il responsabile di tutto questo ha un nome, Giorgio Napolitano, il peggior presidente - insieme a Oscar Luigi Scalfaro - della storia della Repubblica. Gli hanno fatto un monumento quando invece andrebbe processato per alto tradimento. La sua smania, da buon comunista mai pentito, di fare fuori Berlusconi l'abbiamo pagata in euro contanti, ma continuiamo a scontarla oggi in termini di disoccupazione, recessione e tutto quello che purtroppo ben conosciamo.

Non stiamo parlando di storia passata. Napolitano è purtroppo il presente. Dopo Monti, il presidente ha generato Letta e poi Renzi, ovviamente senza mai passare dalle elezioni. L'Italia di oggi, il governo di oggi, è Giorgio Napolitano che, come tutti i padri, mantiene una grossa influenza sui figli. Quanti danni riuscirà ancora a fare, nonostante la veneranda età, prima che si riesca a toglierlo di mezzo? Uno di quelli passati, ahimè, ce lo porteremo dietro tutta la vita, o meglio per tutta la vita di Mario Monti, a cui Napolitano concesse lo stipendio perpetuo di senatore. Altro che Morgan Stanley, i danni la Corte dei conti dovrebbe chiederli a questi due signori che hanno manipolato la politica e devastato le finanze dello Stato e, quel che più conta, delle famiglie e delle aziende italiane.
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5 AGO 2016 15:59
FUGA DAL TESORO

– PADOAN SPERA IN UN RIMPASTO DELLA COMMISSIONE JUNCKER PER SCAPPARE A BRUXELLES: NON GLI VA DI LEGARE LE SUE SORTI AL DUCETTO DI RIGNANO IN CASO DI SCONFITTA AL REFERENDUM

– TANTOMENO DI DIVENTARE IL CAPRO ESPIATORIO DEL PD PER LA CRISI BANCARIA E DEL “BUCO” DI FINANZA PUBBLICA



Dagonota


Piercarlo Padoan, sherpa da una vita, ha affinato un fiuto politico sensibilissimo. Ed ha capito che l’aria che tira non è tra le più salubri per il governo. La circostanza che la Commissione Ue abbia salvato Spagna e Portogallo dalle sanzioni potrebbe portare gli euroburocrati a consumare la propria vendetta nei confronti dell’Italia, pur di dimostrare la loro esistenza in vita.

Questa possibilità Piercarlo l’ha intercettata nei conciliaboli di Bruxelles. Ma non l’ha ancora detta al premier, impegnato a fare il piacione a Rio. Il ministro dell’Economia, però, avrebbe intercettato un’altra possibilità. Quella che Juncker, con la scusa che si è dimesso il commissario inglese, potrebbe dare nuova linfa alla “sua” Commissione avviando un rimpasto.

In tal caso, Padoan sarebbe dell’idea di proporsi a Renzi per sostituire la sbiadita Mogherini (ma rimpianta alla Farnesina viste le performance di Gentiloni) e puntare al portafoglio degli Affari economici, oggi gestito da Pierre Moscovici.

Juncker ormai non gestisce più la Commissione. I funzionari rispondono agli Stati d’appartenenza. E c’è il rischio che, in assenza di indicazioni politiche europee, possano consumare – in punta di dottrina – le più feroci vendette.

Padoan l’ha capito. E per questo non vede l’ora di mollare la scrivania di Quintino Sella, prima che la vicenda bancaria e quella dei conti pubblici lo travolga.

Sul salvataggio del Montepaschi ha dovuto piegare la testa agli ordini di Renzi, ben sapendo che l’operazione Jp Morgan ha futuri foschi. Si vedrà a settembre se l’aumento di capitale andrà o meno in porto. Ma in quei giorni il ministro vorrebbe essere in qualunque luogo, tranne che in Via Venti settembre.

La situazione dei conti pubblici è tutt’altro che rosea. Deve predisporre una manovra da 20/30 miliardi. E non sa da dove iniziare. Il premier non gli ha ancora dato indicazioni sui conti: vuole o no introdurre lo sconto fiscale? Vuole o no introdurre la 14° ai pensionati? Ma soprattutto, vuole o no rispettare gli impegni europei di riduzione del deficit?


Un primo incontro dovrebbe esserci al ritorno da Rio. Semprechè Matteuccio trovi il tempo. Padoan ha capito – perché lo ha sentito – che dal Pd nessuno si straccerà le vesti per difenderlo. Anzi, gli hanno riferito che sarà il capro espiatorio di Renzi (come ogni ministro dell’Economia). Non ha voglia di esserlo. E tantomeno ha intenzione di restare agganciato al Ducetto di Rignano se vincesse il “no” al referendum.


Anche per questo non vede l’ora di scappare da Roma e rifugiarsi a Bruxelles. In fin dei conti l’Italia guadagnerebbe una posizione che non ha mai ottenuta. E chissà che il tema non venga affrontato a quattr’occhi da Renzi e dalla Merkel nell’incontro bilaterale che avranno a fine mese. Padoan sta lavorando per inserire l’argomento nell’agenda riservata del premier.
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CRONACA DI GIORNI DI GUERRA




SPERIAMO CHE IL SACRIFICIO DI BIANCA BERLINGUER, FACCIA RINSAVIRE IN EXTREMIS, COLORO CHE CREDEVANO DI ESSERE DI SINISTRA AI TEMPI DI SUO PADRE.

SE NON SARA' COSI', PAZIENZA. VUOL DIRE CHE NON ERANO DI SINISTRA, MA SOLO I SOLITI OPPORTUNISTI ALL'ITALIANA, CHE ASPETTANO DI VEDERE DA CHE PARTE TIRA IL VENTO E POI SCHIERARSI.

E' UN FENOMENO CHE CONOSCIAMO MOLTO BENE DA DOPO IL 25 APRILE DEL 1945.

PRIMA ERANO FASISTI, MAGARI TIEPIDAMENTE, PER POI DIVENTARE COMUNISTI.

CON L'APPARIRE DI MUSSOLONI, IL FENOMENO SI E' SVOLTO IN SENSO OPPOSTO.

ATTENDIAMO L'ESITO DELLA LEGGE "ACERBO 2.0", CON LA SPERANZA DI TUTTI GLI ANTI FASCISTI CHE NON PASSI MAI.




Bianca Berlinguer dà l’addio al Tg3: “Pressioni e attacchi sguaiati da parte della classe politica”
Media & Regime
La giornalista è rimasta alla direzione del telegiornale per sette anni. Si congeda augurando al Tg3 di "rimanere saggio e irriverente come è sempre stato"
di F. Q. | 5 agosto 2016
COMMENTI (85)

“Sette anni fa quando ho assunto la direzione del Tg3 dissi in un editoriale che avrei voluto un Tg3 corsaro e evidentemente questo non poteva piacere a tutti. Negli ultimi tempi non sono mancate pressioni sgraziate e attacchi sguaiati da settori importanti delle classi politiche, ma il Tg3 non ha perso la sua identità e gli auguro di rimanere saggio e irriverente come è sempre stato”. E’ in aperta polemica che Bianca Berlinguer lascia la direzione del Tg3 al termine della conduzione del telegiornale delle 19.

“Prima di chiudere stasera, il mio saluto. Questa è stata la mia ultima conduzione. Sono entrata al Tg3 come redattrice da giovane e poi sono arrivata alla direzione sette anni fa”, ha detto Berlinguer nell’editoriale conclusivo, nel quale ha fatto gli auguri al suo successore Luca Mazzà.

“Vivere senza il Tg3 non sarà facile – ha proseguito -. Non sarà facile rinunciare al rapporto quotidiano con voi spettatori, alle critiche aspre, sempre fatte con intelligenza e sentimento, ma anche ai tanti apprezzamenti affettuosi. Non sarà facile fare a meno della tensione quotidiana, dell’entusiasmo e della voglia di raccontare la cronaca, le tragedie e la speranza”.

E ha concluso: “Me ne vado con la malinconia tipica di ogni separazione dolorosa, ma anche con la soddisfazione per i riconoscimenti per il costante rispetto del pluralismo arrivate da tutte, ma proprio tutte le parti politiche”.
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Ala è in fibrillazione: con la vittoria del No pronti a tornare in Fi

Lo scontro politico in vista del referendum sulla riforma costituzionale


Fabrizio De Feo - Sab, 06/08/2016 - 08:18
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Roma - Il pessimo risultato delle Amministrative ottenuto dal Pd e quello ancora peggiore incassato dai «renziani in progress» (il copyright è di Fabio Rampelli), ovvero dalle varie componenti elette sotto le insegne di Forza Italia convertitesi in corso di legislatura alla fedeltà al premier.


Lo spettro di una sconfitta del ddl Boschi al referendum che potrebbe scompaginare equilibri e prospettive politiche. Il rischio di trovarsi in mezzo al guado, senza coperture né dalle parti del centrodestra, né da quelle del centrosinistra. E infine il segnale arrivato dall'Aula del Senato con l'autorizzazione all'arresto per Stefano Caridi che alcuni parlamentari definiscono come «un elettroshock».

Nelle file dei verdiniani aumentano le fibrillazioni, un malessere composito che ha origini spesso diverse da senatore a senatore (mentre il gruppo dei verdiniani alla Camera è molto più compatto). Due giorni fa l'Agenzia Italia raccontava di una riunione in cui i senatori avrebbero chiesto a Denis Verdini di tenere aperta la porta del dialogo con Stefano Parisi così da assicurarsi una exit strategy in caso di sconfitta al referendum. La richiesta di garanzie e copertura politica si fa pressante, tanto più che la fiducia sull'affidabilità del premier è in costante diminuzione (e molti ritengono che Renzi alla fine si riposizionerà cercando innanzitutto di evitare fughe di voti a sinistra). Verdini, secondo quanto raccontato dall'Agi, li avrebbe rassicurati, aggiungendo di non credere molto alla tenuta dell'uomo nuovo del partito azzurro. Vincenzo D'Anna, qualche giorno fa parlando a il Tempo aveva già aperto uno spiraglio. «Scegliemmo il male minore tra Grillo e Salvini, cioè Renzi. Se in Forza Italia dovessero cambiare le cose quella del ritorno è una ipotesi che non mi sento di scartare».

Poi, come detto, c'è l'episodio di Caridi, con l'accelerazione in Aula con l'inversione dell'ordine del giorno e l'arresto, senza neppure aspettare il pronunciamento del tribunale del Riesame. Non è un caso che Renato Schifani dedichi alla vicenda il suo primo comunicato dopo il ritorno in Fi. «Quel voto dimostra in maniera lampante quanta incolmabile distanza ideologica ci sia tra centrodestra e Pd. Al di là di un'inversione dell'ordine del giorno che non ha precedenti, c'è da riflettere sul comportamento di un partito che soggiace alla logica dell'appartenenza nonostante la consapevolezza che la quasi totalità dei colleghi non avevano avuto la possibilità di leggere gli atti. Ci pensino coloro che pur definendosi moderati ipotizzano uno schema di alleanza con questa sinistra e ne traggano le dovute conseguenze».
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Banche, le buste paga dei manager impermeabili a crediti deteriorati, scandali e taglio di migliaia di dipendenti

Lobby
Fabrizio Viola, ad del MontePaschi per il quale è appena stato varato un rischioso piano di salvataggio, lo scorso anno ha guadagnato 1,9 milioni. Unicredit, che ha bisogno di un altro aumento di capitale, ne ha versati 10 come scivolo per l'ex numero uno Ghizzoni. Zonin, ex padre padrone di Pop Vicenza finito sotto inchiesta, ha preso più di 1 milione. L'ex direttore generale di Veneto Banca, appena arrestato, ha fatto causa all'istituto perché gli paghi 3,5 milioni di liquidazione
di Chiara Brusini | 6 agosto 2016
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Ventidue milioni complessivi per Intesa Sanpaolo. Oltre 29 milioni per Unicredit. Più di 24 milioni per il Banco Popolare. Tredici milioni e mezzo per Ubi. Sette milioni per Mps, che salgono a quasi 19 se si considerano anche i 92 dipendenti che “assumono rischi in modo significativo”. Oltre 12 milioni ciascuna per le disastrate Popolare di Vicenza e Veneto Banca, che tra maggio e giugno sono finite entrambe in pancia al fondo Atlante. Tanto, nel 2015, sono costati alle maggiori banche italiane e a quelle più in crisi stipendi, bonus e buonuscite versati ai loro amministratori, dirigenti con responsabilità strategiche e membri dei collegi sindacali o consiglieri di sorveglianza. Che nel frattempo, in molti casi, varavano piani di ristrutturazione lacrime e sangue conditi da migliaia di esuberi. Per non parlare del mix pericoloso di crediti deteriorati (360 miliardi di cui 200 di sofferenze lorde) e scarsa redditività che ha reso gli istituti della Penisola il primo bersaglio delle turbolenze borsistiche seguite all’entrata in vigore della direttiva sul bail in.


A fare la parte del leone, ovviamente, i numeri uno: dall’ormai ex ad di Unicredit Federico Ghizzoni, che ha portato a casa 2 milioni di compensi fissi, 1,1 di benefit e emolumenti variabili e 1,9 milioni in azioni, a Fabrizio Viola, il banchiere che ha preso la guida di Mps dopo gli anni di malagestione di Giuseppe Mussari e Antonio Vigni: per lui 1,8 milioni di fisso e oltre 100mila euro tra benefici non monetari e altri compensi. Ma colpiscono ancora di più i guadagni degli ex dirigenti (sotto inchiesta) delle sofferenti ex popolari venete. Basti pensare che l’ex presidente e padre padrone di Pop Vicenza Giovanni Zonin ha incassato un lauto stipendio da oltre 1 milione per 11 mesi di lavoro prima di dare le dimissioni e ritirarsi nella propria villa di Terzo d’Aquileia.

Vero è che i colleghi stranieri guadagnano di più: in base all’analisi annuale di Equilar e del Financial Times, nel 2015 la media per gli amministratori delegati delle 11 maggiori banche europee è stata di 10,4 milioni di dollari, pari a circa 9,4 milioni di euro, in aumento del 9,6% sull’anno prima. Ma il risultato è molto influenzato dai maxi premi in azioni ricevuti dai vertici di Standard Chartered, Credit Suisse e Barclays. Se il numero uno della inglese Hsbc Stuart Gulliver ha intascato 8,6 milioni di euro, Jean-Laurent Bonnafé che guida Bnp Paribas si è “accontentato” per esempio di 3,6 milioni.

Fatti i dovuti distinguo – anche per quanto riguarda i risultati dei singoli istituti in termini di utili – le buste paga dei banchieri italiani restano comunque pesantissime. In attesa che, nel gennaio del prossimo anno, entrino in vigore le linee guida dell’Autorità bancaria europea sugli stipendi di manager e dipendenti degli istituti, l’austerity sembra lontana. Ecco, nel dettaglio, quanto hanno percepito nel 2015 (guarda la tabella).

PROSSIMO CAPITOLO
2. Per il numero uno di Mps 1,9 milioni. 8mila esuberi tra i dipendenti
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Monti fa ancora danni: ci è costato altri 3 miliardi. Lo Stato li rivuole indietro
La Corte dei conti: il Prof ha pagato, ma i contratti erano impropri, Morgan Stanley risarcisca il danno


Gian Maria De Francesco - Ven, 05/08/2016 - 21:19
commenta
Mario Monti sbagliò a pagare 2,567 miliardi di euro a Morgan Stanley che tra la fine del 2011 e l'inizio del 2012, poco dopo il declassamento di Standard & Poor's e la defenestrazione di Silvio Berlusconi, chiuse i contratti derivati con la Repubblica italiana.


La Procura regionale per il Lazio della Corte dei Conti, infatti, lo scorso 11 luglio ha presentato richiesta di risarcimento per 2,879 miliardi alla banca americana. È quanto si legge nella relazione trimestrale dell'istituto Usa pubblicata dalla Sec, l'Authority che vigila su Wall Street.

Si tratta di un fatto di notevole importanza dal punto di vista finanziario, politico e giudiziario. Le contestazioni dei magistrati contabili si basano sul fatto che non solo le clausole contrattuali fossero «improprie», ma che fosse «impropria» anche l'azione di Morgan Stanley che aveva chiuso in anticipo quelle posizioni aperte tra il 1999 e il 2005.

Vale la pena, perciò, ricordare qualche antefatto. I governi di centrosinistra della seconda metà degli anni '90 (con Carlo Azeglio Ciampi ministro e Mario Draghi direttore generale del Tesoro) avevano acceso contratti derivati con varie banche per abbassare gli interessi sul debito, ricevere un flusso finanziario ed entrare nell'euro. Simili operazioni, infatti, erano state stipulate anche con Deutsche Bank, Bnp Paribas, Dexia, Unicredit e Intesa Sanpaolo, che contribuì a limitare l'esborso nel 2012 subentrando tramite Banca Imi a Morgan Stanley. A tutte sarebbe stata concessa la clausola di estinzione anticipata.

«La controparte non aveva mai esercitato questa clausola, poi, arrivati alla fine del 2011, in quel periodo particolarmente turbolento, fecero presente che dovevano farla valere», spiegò il direttore del debito pubblico Maria Cannata ai magistrati di Trani che indagano sulle agenzie di rating. Mario Monti ha sempre spiegato che l'Italia, in una fase di difficoltà come quella del 2011-12, non avrebbe potuto non onorare i contratti pena la perdita di credibilità. In ogni caso, Morgan Stanley riuscì a liquidare la posizione proprio mentre l'agenzia di rating Standard & Poor's (di cui detiene una piccolissima quota tramite un fondo di investimento) declassava doppiamente il nostro Paese.

La tesi di Monti fu accolta anche dalla Procura di Roma con i pm Pignatone e Rossi, che archiviarono la posizione del senatore a vita in un'indagine conclusa senza esito l'anno scorso. La mossa della Corte dei Conti apre, però, uno scenario nuovo: quei contratti derivati hanno prodotto un danno erariale tanto all'apertura quanto alla chiusura. Questo vuol dire che allo stesso modo in cui le grandi banche hanno consentito a Prodi e D'Alema di portare l'Italia nell'euro così hanno avuto un ruolo determinante nella deposizione dell'ultimo premier legittimamente eletto. Basti ricordare il pessimo segnale per i mercati rappresentato nel giugno 2011 dalla vendita di tutti i Btp detenuti da Deutsche Bank. E basti ricordare che i primi due atti politici di Monti furono appunto la riforma delle pensioni chiesta dalla Germania e l'esborso verso Morgan Stanley come prova di affidabilità. Un meccanismo che aveva stritolato Silvio Berlusconi con la crisi da spread e con le pressioni di Francia e Germania al G20 di Cannes affinché l'Italia si mettesse sotto tutela della Troika. Un apparato di potere non estraneo al premier insediato a fine 2011 dall'ex capo dello Stato, Giorgio Napolitano.
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