La Terza Guerra Mondiale

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UncleTom
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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LA DOMENICA DELLE SALME.

27 MORTI A TANTA, A NORD DEL CAIRO

18 MORTI AD ALESSANDRIA




Egitto, Isis fa strage nella Domenica delle Palme
Bombe in due chiese al Cairo e Alessandria


Un ordigno esplode nella basilica copta Mar Girgis a Tanta, a nord del Cairo: 27 morti. Attacco anche ad Alessandria: “18 vittime”. Forse 2 kamikaze. Stato islamico rivendica. Papa atteso nel Paese a fine mese

Mondo
Una bomba nella chiesa copta di Tanta, a nord del Cairo. Una esplosione all’estero di una basilica cristiana ad Alessandria. Si tinge di sangue la Domenica delle Palme in Egitto. La prima deflagrazione è avvenuta dopo le 9.30 nella chiesa di Mar Girgis (San Giorgio, ndr), mentre 2mila persone assistevano alla messa. Una forte esplosione si è verificata attorno alle 13.00 davanti alla chiesa di San Marco, nella città costiera: la tv di Stato parla di “almeno 6 morti e 31 feriti”
di F. Q.
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RIELOGO



ISIS - ATTENTATI


MESE : APRILE 2017



SAN PIETROBURGO – 4 APRILE – METROPOLITANA – 11 MORTI – 40 FERITI

STOCCOLMA – 7 APRILE –CAMION SULLA FOLLA – 4 MORTI – 15 FERITI

TANTA (CAIRO ) – 9 APRILE – 27 MORTI – 78 FERITI

ALESSANDRIA (D’EGITTO) – 9 APRILE – 18 MORTI -40 FERITI
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Economia Occulta

Guerre, la graduatoria delle tragedie dipende dal marketing mediatico

di Loretta Napoleoni | 9 aprile 2017

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Donald Trump ci ha sorpreso ancora una volta. Nessuno poteva immaginare che avrebbe lanciato una pioggia di missili cruise (tomahawk) contro la Siria poche ore prima di sedersi davanti a Xi Jinping, il leader cinese, per la tradizionale cena di gala che apre questo tipo di incontri bilaterali. Anche se il giorno prima il segretario di stato americano Rex Tillerson aveva fatto la voce grossa accusando pubblicamente il regime di Assad di aver usato armi chimiche contro la popolazione di Idlib, l’idea di un attacco militare di questa portata, senza l’appoggio del congresso americano, del consiglio di sicurezza dell’Onu o di un alleato importante come il Regno Unito appariva assurda. Ancora più preoccupante è il fatto che i missili cruise sono stati lanciati dal Mediterraneo, un mare che geograficamente dista centinaia di migliaia di chilometri da Washington e dove invece si affacciano paesi europei, mediorientali e nordafricani.


Eppure è successo. Benvenuti nell’era della politica surreale dove si prendono decisioni assurde, capaci di innescare reazioni a catena catastrofiche, perché a giudicare da quanto sta succedendo in Medio Oriente e nel resto del mondo, gli scenari possibili non sono certo positivi. Naturalmente tutto ciò è già successo, a cavallo del XIX e il XX secolo e negli anni Trenta, per non parlare poi delle guerre che hanno dilaniato l’Europa per due millenni.

Oggigiorno, però, tutto ciò può succedere senza accorgersene a causa dell’impatto che la moderna tecnologia ha sulla nostra vita. Tutto si muove velocissimamente e richiede una risposta immediata, che necessariamente sarà istintiva. La realtà virtuale viaggia a ritmi sempre più incalzanti, ormai troppo veloci per la diplomazia classica. Le decisioni vengono sempre più prese dai leader. Così Angela Merkel dopo aver visto l’immagine del corpo di un bambino siriano su una spiaggia del Mediterraneo ha aperto le frontiere europee, lo ha fatto d’istinto senza riflettere sulle conseguenze di gesto di questa portata; di fronte alle immagini strazianti di altri bambini siriani negli ospedali e ambulatori di Idilb, tutti vittime delle armi chimiche, Donald Trump ha lanciato un attacco punitivo contro la Siria. Anche lui la decisione è stata presa d’istinto, senza pensare troppo alle sue conseguenze.

Ma sono davvero quelle immagini di bambini siriani vittime di una guerra civile trasformatasi in un conflitto per procura che coinvolge diverse potenze a produrre questi comportamenti fuori della norma diplomatica, oppure la politica estera non ha più i nervi saldi ed è vittima anch’essa della sindrome del botta-risposta virtuale? In altre parole la pausa di riflessione dedicata all’apertura delle frontiere e al lancio dei missili è simile a quella dedicata a un tweet? Siamo così abituati a insultarci a vicenda nello spazio cibernetico inviando messaggini, immagini, video o podcast nello spazio di pochi istanti che abbiamo dimenticato le regole della convivenza in quello reale.

Queste critiche non sono dirette solo ai politici, ma a tutti noi. L’opinione pubblica mondiale, quella dei cosiddetti “paesi liberi”, ha inizialmente lodato quasi all’unanimità sia la decisione della Merkel che quella di Trump. E la spiegazione è semplice: anche a noi le immagini dei bambini siriani hanno fatto ‘prudere le mani’ ed è sembrato giusto punire Assad perché chi altro poteva commetter un gesto del genere? Come diceva George W. Bush: “O state con noi o con i terroristi”. Non esiste una terza opzione. Quindi noi siamo i buoni e chi non è d’accordo con Trump è con i nemici, gli aguzzini siriani, gli assassini dei bambini, i jihadisti e così via.

Gli accessori della realtà virtuale e la velocità con la quale questa si muove grazie a loro incoraggia questo tipo di semplificazione (140 caratteri per fare un Twitter) e questo tipo di polarizzazione (gli amici di Facebook che si scambiano notizie da loro selezionate). Nessuno ha il tempo, lo spazio o l’energia per affrontare il problema in tutta la sua complessità. Il moto naturale della realtà virtuale è semplicista e selettivo, non per motivi politici o di propaganda, ma in funzione della natura dei social media. E qui è bene fare un esempio per capire cosa sta succedendo.

Le vittime di Mosul – tra cui anche dei bambini – colpite a causa di un “errore militare” americano il 17 marzo scorso sono subito passate nel dimenticatoio (del resto, gli americani ci hanno messo 10 giorni per ammettere l’errore, ndr). Le foto, i video della loro agonia non sono stati costantemente proiettati nei social media. Quelle immagini non sono comparse sui nostri cellulari, sugli ipad, o sui nostri computer come quelle dell’attacco chimico. Il motivo? Non erano disponibili, non esistevano in rete. La graduatoria delle tragedie non ha più nulla a che vedere con il numero delle vittime o con chi le ha uccise o la natura della catastrofe ma come l’evento viene presentato al mondo, dipende dal marketing mediatico.

Raccontata così la politica internazionale sembra un film dell’orrore che descrive un mondo dove la verità è stata rimpiazzata non dalla propaganda politica ma dal marketing digitale. Un bilancio davvero deprimente.
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Buoni e Cattivi, la fiaba della guerra per il Fatto Quotidiano

Scritto il 10/4/17 • nella Categoria: segnalazioni Condividi




«Uno spettro si aggira in Medio Oriente. E’ quello della tentazione. La tentazione, cioè, della guerra. Non più “prove di Terza Guerra Mondiale”, come è stato detto. Lo scenario è drammatico, i primi a capirlo sono i mercati finanziari che infatti hanno cominciato a soffrire». A scrivere è Leonardo Coen, sul “Fatto Quotidiano”, all’indomani del raid missilistico ordinato da Trump sulla base area siriana da cui, secondo gli Usa, sarebbero decollati aerei con bombe al gas Sarin destinate a far strage della popolazione di Idlib. Non ci sono ancora prove certe: per il “Fatto Quotidiano” non è importante? Poi, continua Coen, «ad inquietare e ricordare come certe situazioni di oggi assomiglino molto all’inanità del 1938 verso Hitler e alle sue mire d’espansione, c’è il silenzio di Cina ed Europa, che sembrano convitati di pietra». Suggestivo parallelismo: il giornalista del “Fatto” paragona nientemeno che Adolf Hitler, fondatore del nazismo e capo dell’allora maggior potenza militare europea, al presidente di un piccolo paese mediorientale come la Siria, che – come è a tutti noto (tranne che al “Fatto Quotidiano”?) – da cinque anni tenta di sopravvivere all’assalto di sanguinarie milizie terroriste finanziate e protette dall’Occidente.

Cina ed Europa, i “convitati di pietra”, secondo Coen «si accontentano di formali condanne appellandosi ai diritti umani». Mosca e Washington? «Per ora si confrontano, ma ancora non si affrontano. Non possono. E’ un braccio di ferro troppo rischioso. E forse, sia per gli Stati Uniti, sia per la Russia, è venuto il tempo di liquidare il dittatore di Damasco e il suo regime criminale». Voilà: il presidente (eletto) diventa “dittatore”, naturalmente a capo di un “regime criminale”: nulla a che vedere con gli altri regimi, amici dell’Occidente, notoriamente campioni in tema di diritti umani: Giordania, Arabia Saudita, Qatar, Turchia e via inorridendo. Ma forse non è il caso di ricordarlo ai lettori del “Fatto”. Meglio il perfido Bashar Assad, che «per la Russia, è un alleato che la scredita e la impiomba». E per l’America, è «l’occasione buona per ricollocarsi in Medio Oriente, e dimostrare che non si è abbassata la guardia». Ricollocarsi in Medio Oriente? Viene da chiedersi dove fosse, Leonardo Coen, quando si scatenavano le “rivoluzioni colorate” in tutti i paesi arabi dopo lo storico discorso di Obama al Cairo. Dov’era, Coen, quando gli americani spianavano la Libia e facevano scannare Gheddafi? Non l’hanno vista, alla redazione del “Fatto”, la foto-ricordo di John McCain in Siria, in intimità con il “califfo” Al-Baghdadi?

La narrazione che il “Fatto” offre in questo caso sembra di tipo lunare, genere fantasy. «Così, Trump minaccia. E agisce. Putin minaccia, ma non può agire. Entrambi, giocano una mano di poker: per capire chi bluffa di più. Il magnate americano rischia il salto nel buio. Putin sventola il pericolo del suo “ombrello” militare in Siria. La flotta del Mar Nero è in preallarme. Quella del Baltico, pure. I missili di Kaliningrad, l’enclave russa tra Polonia e Lituania – cioè in piena Unione Europea – sono puntati sulle capitali del Vecchio Continente. L’Alleanza Atlantica è già in allerta». E’ tutto vero, naturalmente. Ma è come spiegare la pioggia senza citare le nuvole. Primo round: nel 2013 gli Usa cercano di far cadere Assad per poter poi minacciare direttamente l’Iran, ma Putin glielo impedisce schierando la flotta russa a difesa della Siria. Secondo round: Washington “risponde” organizzando il golpe in Ucraina con l’intento di sfrattare Mosca dal Mar Nero, ma – di nuovo – Putin riesce a tenersi la Crimea. Terzo round: furioso per le sconfitte a catena, Obama dispone un mostruoso dispiegamento militare in Est Europa a ridosso della frontiera russa, senza precedenti nella storia recente. Al che, ai russi non resta – come contromossa difensiva – che la base missilistica di Kalilingrad. Missili russi puntati sull’Europa? Mai quanto quelli che l’America ha puntato contro la Russia, trasformando la Romania in una rampa di lancio. Possibile che ai lettori del “Fatto” non interessi?

«In verità», continua Coen, «Trump ha riscoperto – o meglio, il Pentagono – il ruolo di gendarme globale degli Stati Uniti». Trump, il Pentagono: i Buoni. E Putin, il Cattivo? «E’ rimasto platealmente vittima delle sue ambizioni imperiali», scrive Coen, come se, evidentemente, le uniche “ambizioni imperiali” ammissibili – e davvero imperiali, lontane mille miglia dalle proprie frontiere – fossero quelle americane. Il presidente russo è rimasto addirittura «invischiato nelle complesse trame che ha tessuto per riassegnare al suo paese il ruolo di superpotenza perduto dopo la caduta del Muro di Berlino e lo sbriciolamento dell’Unione Sovietica». Non si premura di rammentare ai suoi lettori, il giornalista del “Fatto”, che – prima di mettere il naso fuori dalla Russia – Putin ha dovuto innanzitutto spegnere l’incendio della Cecenia, acceso dalla Cia, e poi quello dell’Ossezia del Sud, devastata dalla Georgia su mandato di George W. Bush. Due focolai micidiali: uno nella Federazione Russa, l’altro sulla porta di casa. Succedeva nel 2008: non così tanto tempo fa, specie se si hanno a cuore le fatali vicende del lontano 1938.

“Il Fatto”, però, non è prodigo di spiegazioni. Sembra preferire il racconto lineare, unilaterale e semplificato, rassicurante. «In apparenza, dunque, l’imprevedibile Donald ha cambiato di colpo tattica nei confronti dell’amico Vladimir. E ha ritirato la mano tesa, che tanto aveva turbato i sonni dei patrioti Usa». I missili di Trump, continua Coen, «hanno sparigliato le carte della grande partita internazionale: il mondo si è diviso in due, come ai tempi della Guerra Fredda. “Sostegno totale” degli alleati degli Stati Uniti. Condanna dei suoi avversari. Le cancellerie hanno rispolverato il lessico dei blocchi contrapposti». Leonardo Coen sembra pefettamente al corrente dell’accaduto: «Assad, insistono i russi, è innocente (per forza: sono loro che l’armano e lo proteggono). I gas, una balla. I russi negano l’evidenza e le testimonianze: tutto il mondo ha visto gli effetti del gas. E questo li ha moralmente isolati». Ecco, infatti: tutto il mondo ha visto gli effetti dei gas, ma nessuno al mondo, per ora, può provare che li abbia sganciati Assad. Solo che, a quanto pare, l’identità del vero killer non è importante. Nemmeno se, come già accadde nel 2013, poi si scoprisse che l’assassino non è “il dittatore”, ma i suoi avversari?

«Certo – concede Coen – la politica e la guerra se ne fregano dell’etica e della morale. Ma al tempo dell’informazione istantanea e globale, la menzogna tanto può essere utile – vedi in caso di elezioni – quanto può diventare micidiale, con le immagini cruente ed atroci dei bimbi sarinizzati». Vero, anche questo: tutto dipende però da chi la impugna, “la menzogna”. Quanto al «nuovo repentino cambio d’atteggiamento di Trump», anche su questo Leonardo Coen ha le idee chiarissime: il presidente americano «ha dovuto arrendersi allo stato delle cose: gli interessi geopolitici Usa non collimano con quelli russi». Perlomeno, «non fin quando al Cremlino ci sarà il clan putiniano, nemico della libertà d’opinione, e il potere resterà saldo in mano agli ex uomini del Kgb». E così l’album dei Cattivi è al completo. E se i russi – quasi 150 milioni di persone – sostengono all’85% un capoclan del Kgb, significa semplicemente che sono cretini? Centocinquanta milioni di cretini?

Ma non è tutto: Coen informa i suoi lettori che «Trump ha cozzato contro il mondo reale: quello dei fatti, non delle verità truccate dal suo guru Stephen Bannon, ed ex direttore del sito dell’ultradestra suprematista Breitbart News, messo (finalmente) in un angolo». Bannon, altro membro d’onore del club dei Cattivi, era – per inciso – lo stratega della distensione con Mosca: via lui, infatti, ecco i missili (buoni, ovviamente). Ma, “sistemato” Bannon, l’offensiva (giornalistica) nei confronti di Putin non è ancora esaurita: «Pensava di essere il più astuto del reame, di poter contare per quel che riguardava la Siria di una certa libertà di manovra, forte anche del fatto che in Occidente c’erano movimenti estremisti anti-Ue a lui favorevoli. Invece – scrive Coen – è rimasto intrappolato dalla sua sicumera». Ben gli sta: «I gas che hanno ammazzato decine di bimbi a Khan Sheikhoun hanno dissipato in pochi minuti il paziente lavorìo militare e diplomatico del presidente russo». Non solo: «Persino il nuovo alleato turco Erdogan lo ha clamorosamente contraddetto, invocando addirittura la collera di Allah per l’ignobile azione attribuita ad Assad, o a qualche suo generale, il che non cambia la sostanza». Erdogan, cioè la Turchia (Nato) che ha protetto l’Isis nell’invasione della Siria: nemmeno questo ai lettori interessa?

In più, Coen esibisce altre granitiche certezze sul bombardamento con i gas: «Gli americani avevano acquisito le prove – stavolta non inventate da Bush e Blair come al tempo della guerra in Iraq ma documentate dai satelliti – che l’attacco chimico proveniva da un aereo siriano». Le prove, ecco: ma dove sono? Ok, le hanno “acquisite gli americani”. Come le altre volte, in Siria e in Iraq? No, stavolta sono prove vere, “documentate dai satelliti”. Garantisce il “Fatto Quotidiano”. Che si diverte, ancora, a spese di Putin: mentre i Buoni “acquisivano le prove”, dunque, «lo zar si affannava a dire che si trattava di “fake news”, di balle». Chiosa Coen: «Beffardo contrappasso, l’ex tenente colonnello del Kgb che denuncia la disinformatija americana…». E ancora: «Assad è il responsabile di tutto ciò». Chi lo sostiene? Lo dicono «all’unisono» Hollande e la Merkel. Una garanzia: Hollande ha silenziato le indagini su Charlie Hebdo imponendo il segreto militare, dopo che erano emersi collegamenti tra il commando dell’Isis e i servizi francesi, mentre la Merkel, risultata coinvolta nel golpe neonazista di Kiev, ha approvato il piano Obama per militarizzare le frontiere europee con la Russia.

«I missili Usa – scrive ancora Coen – sono “un avvertimento”, e pure una forma di “condanna” del “regime criminale” di Assad». La situazione: «Con Washington stanno Arabia Saudita e Giappone, Israele offre il suo “totale” sostegno, sperando che “questo messaggio forte” possa essere inteso da Teheran e da Pyongyang, ha dichiarato il premier Benyamin Netanyahu», campione del mondo in carica riguardo all’uso di armi di distruzione di massa sulla popolazione civile, il fosforo bianco sganciato su Gaza (oltre 1.300 morti, secondo l’Onu, inclusi donne e bambini). E la Turchia, cioè la base logistica settentrionale dell’operazione-Isis contro Damasco? «Ankara vorrebbe una zona “d’esclusione aerea” in Siria, considera che i missili siano stati una buona medicina». Meglio tornare al lessico calcistico: «Il Pentagono ha battuto il Cremlino? La “punizione” americana per la strage provocata dall’attacco chimico che ha un valore soprattutto dimostrativo, trova consenso nella pubblica opinione statunitense e anche in quella mondiale, scossa dall’atrocità del tiranno di Damasco. Assad si è scavato la fossa». Vinceranno i Buoni, è ovvio. E buonanotte, a tutti i lettori. Sogni d’oro.
UncleTom
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Re: La Terza Guerra Mondiale

Messaggio da UncleTom »

LEGGENDO QUESTA NOTIZIA DI 11 ORE FA, MI TORNA IN MENTE UN VECCHIO DETTO MILANESE, MA CHE PER RAGIONI DI DECENZA NON POSSO RIPETERE.
INIZIA COSI': ALEGHER, ALEGHER,....(traduzione: Allegri, allegri,....)




09 apr 17

L’America allerta 150mila riservisti. Guerra in vista?


Obama orders more US troops to Baghdad

Sta per iniziare una vera guerra? I segnali che giungono in queste ore sono molto allarmanti. L’esercito americano sta inviando in queste ore a 150 mila riservisti delle lettere con un preavviso di mobilitazione. L’annuncio ufficiale del ministero della Difesa dovrebbe essere dato a breve, ma alcuni riservisti che hanno già ricevuto la missiva lo stanno raccontando ad amici e parenti, i quali iniziano a far circolare le notizia. Secondo queste indiscrezioni, provenienti dagli Stati Uniti, l’obiettivo del Pentagono sarebbe di poter disporre di questa forza entro un paio di settimane dall’annuncio della mobilitazione vera e propria. Il messaggio che viene lanciato in queste ore è chiaro: decisioni potrebbero essere imminenti, tenetevi pronti a partire.

Centocinquantamila riservisti: per fare cosa? Un attacco in grande stile alla Siria? Colpire prima Damasco e poi Teheran? In Corea del Nord? Purtroppo la sciagurata svolta di Donald Trump – che si è arreso ai neoconservatori facendo propria l’agenda strategica che in campagna elettorale aveva promesso di combattere – autorizza qualunque ipotesi. Anche quella più drammatica e sconvolgente di una guerra alla Russia di Putin.

E non è un caso che Assad, il governo iraniano e il Cremlino in queste ore abbiano dichiarato che “l’attacco americano alla base siriana ha superato molte linee rosse * che da adesso in avanti “risponderemo con la forza a qualunque aggressione”.

Questo significa che Putin ha perso ogni speranza di raggiungere un accordo con Washington. E che si prepara agli scenari peggiori.

Attenzione, e mi angoscia molto scriverlo ma da diversi decenni la pace nel mondo non è mai stata così a rischio.
UncleTom
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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Quando vedo la fotografia di Marcello Foa su “Il Giornale”, accanto ai suoi articoli, mi sento immancabilmente a disagio.

Perché in quella stramaledetta foto assomiglia al fratello maggiore di Maurizio Gasparri.

Il che è tutto un dire.

Ma non sono prevenuto per quello che scrive.

Anche se passo ai raggi X, i suoi articoli, per il solo fatto del quotidiano in cui le pubblica.

Quando conclude, nell’articolo precedente:

Attenzione, e mi angoscia molto scriverlo ma da diversi decenni la pace nel mondo non è mai stata così a rischio.



Penso sia abbastanza sincero.

Io non sono angosciato, per la notizia, e nemmeno deluso.

Mi sento solo una rana bollita e rassegnata.

Questo thread è iniziato nell’agosto del 2014. (Inviato’: 18/08/2014, 22:43 )

Ma non è servito a niente.

Detta in milanese fa: GHE SEM (Ci siamo)

Non è servito a niente, come non è servito a niente passare 16 anni sui forum di centrosinisistra cercando di far aprire gli occhi.

Si vede che non sono stato sufficientemente chiaro e convincente.

Ognuno di noi,poi, ha il suo credo.

Gli atei pensano convintamente che tutto finisca con la morte.

I credenti, sono convinti in una vita ulteriore dopo la morte.

Il mio amico sacrestano sostiene che questa sia la preparazione alla vita vera dopo la morte.

I mussulmani che seguono il Corano, sono convinti che nell’aldilà gli spettino 72 vergini.

E le donne, le femmine, che si devono aspettare, sono escluse dal premio dell’aldilà?

L’unica cosa tangibile, sia per i credenti che per gli atei, è che la vita su questo pianeta è un dato reale indipendente dal singolo credo.

Per questo semplice motivo dato che funzioniamo a tempo, e che la vita media riconosciuta si aggira sui 72 anni, la massima oltre i 90, non c’è una logica conclusione per cui un singolo individuo si può arrogare il diritto di accorciare la vita degli altri.

In modo particolare dei bambini che hanno il sacrosanto diritto di viverla completamente fino alla fine della scadenza naturale.

La mia generazione ha potuto godere di questa opportunità. Al di là dei singoli casi che la vita impone.

In questi giorni nella società italiana è diventato normale sopprimere chi ci infastidisce.

Ma sta diventando terribilmente vero anche nelle altre società che popolano il pianeta.

I venti di guerra stanno soffiando forte.

Devo quindi dare ragione a Marcello Foa quando sostiene:

“…da diversi decenni la pace nel mondo non è mai stata così a rischio….”

Malgrado assomigli terribilmente al fratello maggiore di Maurizio Gasparri.
lucfig
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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da www.ilfattoquotidiano.it

Nord Corea, Pyongyang: “L’attacco Usa in Siria giustifica l’atomica”. E Trump rassicura Seul

Per il regime nordcoreano, l'attacco Usa alla base aerea siriana di Sahyrat, giustifica il rafforzamento e la prosecuzione del proprio programma nucleare. Trump rassicura gli alleati Sud coreani sull'impegno americano in difesa di Seul. Il Consiglio di sicurezza statunitense ha presentato al presidente, tra le varie opzioni, anche l'eliminazione di Kim Jong-un
di F. Q. | 8 aprile 2017

L’attacco Usa in Siria? Giustifica la nostra decisione di dotarci, sviluppare e rafforzare gli armamenti nucleari“. Da Pyongyang arriva la prima reazione ufficiale all’attacco missilistico contro la base aerea siriana di Shayrat ed è un’altra provocazione agli Stati Uniti e all’amministrazione di Donald Trump, definita “non diversa” da quelle precedenti. La Corea del Nord condanna come “assolutamente inaccettabile” il raid deciso dal presidente Usa, si legge in una nota del ministero degli Esteri, rilanciata dalla agenzia ufficiale Kcna.

Pyongyang definisce la mossa come una “chiara invasione” e una conferma della bontà del programma nucleare portato avanti dal leader Kim Jong-un. Un programma che continua a tenere altissima la tensione in Estremo Oriente: l’ennesimo esperimento provocatorio risale al 5 aprile scorso, con il nuovo lancio di un missile balistico a medio raggio della Corea del Nord verso il Mar del Giappone.

Donald Trump, dal canto suo, rassicura gli alleati della Sud Corea sull’impegno americano a difesa di Seul per le eventuali minacce atomiche e missilistiche dei vicini del Nord. Il presidente americano ha avuto in mattinata una telefonata di circa 20 minuti con Hwang Kyo-ahn, premier e presidente reggente sudcoreano dicendo d’aver discusso “in profondità il grave problema del nucleare nordcoreano e su come affrontarlo” con il presidente cinese Xi Jinping nel loro primo summit chiusosi poche ore fa a Mar-a-Lago, in Florida. L’amministrazione Trump “non è diversa” da quelle precedenti, è la conclusione della prima reazione ufficiale di Pyongyang all’attacco Usa in Siria. Anzi, agli osservatori è apparso che l’attacco alla Siria, per la sua tempistica, possa essere letto come un monito rivolto a Cina (per la “debole” persuasione) e a Corea del Nord di fronte a un regime che non vuole recedere dalle sue ambizioni atomiche. Trump, non a caso, ha ventilato l’ipotesi che gli Stati Uniti possano adottare atti unilaterali contro il Nord qualora la Cina non eserciti tutta la pressione possibile.

Il Consiglio per la sicurezza nazionale Usa, principale organo che consiglia e assiste il presidente in materia di sicurezza interna e di politica estera, ha presentato a Donald Trump le proprie opzioni per rispondere al programma nucleare della Corea del Nord, tra cui il posizionamento di testate nucleari in territorio sudcoreano o l’eliminazione del dittatore Kim Jong-un. Lo riporta l’emittente NBC News, che cita alti funzionari dell’intelligence e dell’esercito americano.
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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Navi Usa in Corea, Pyongyang minaccia: "Catastrofiche conseguenze"
4/33


La Repubblica

9 ore fa

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Pyongyang minaccia contromisure per rispondere alla "insensata" decisione degli Stati Uniti di dislocare navi militari nell'area della penisola coreana. In una nota diffusa dalla Korean Central News Agency, l'agenzia di stampa nazionale del regime, un portavoce del ministero degli Esteri nordocoreano afferma che gli Usa saranno ritenuti responsabili delle "catastrofiche conseguenze" che potrebbero derivare dalla mossa che viene definita "oltraggiosa" dal governo di Kim Jung-un.

L'arrivo annunciato della portaerei Carl Vinson e della squadra di navi da guerra a suo supporto alza, secondo Pyongyang, il livello di tensione nell'area e prefigura uno scenario di guerra. Un clima già arroventato dopo le dichiarazioni della Corea del Nord secondo le quali l'attacco missilistico ordinato da Trump contro la Siria è un atto che giustificherebbe l'uso della bomba atomica.

E proprio i ripetuti test portati avanti dalle forze militari di Kim Jong-un sono la ragione che spinge la Casa Bianca a far sentire la pressione sul dittatore. Il presidente Usa ne ha parlato al telefono con il reggente del governo di Seul e il tema è stato anche al centro dei colloqui avvenuti durante la visita del leader cinese Xi Jinping in Florida. Ma già un mese fa il segretario di Stato americano Tillerson aveva mandato un avvertimento chiaro a Kim: "Voglio essere molto chiaro: la politica della pazienza strategica è finita, se Pyongyang continua ad elevare la minaccia militare, l'opzione dell'azione è sul tavolo".
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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VARI COMMENTATORI SUI QUOTIDIANI, IL GIORNO DELL'ATTACCO ALLA SIRIA, RITENEVANO CHE SI TRATTASSE DI UNA AVVERTIMENTO PER CICCIO KIM.


SABATO 8 APRILE SALLUSTI AVEVA TITOLATO IL SUO EDITORIALE COSI':

Bombardare la nuora perché suocera intenda


INVECE, ADESSO, SEMBRA UN INVITO A NOZZE.





Navi Usa in Corea, Pyongyang minaccia gli Stati Uniti: “Pronti a reagire a qualsiasi tipo di guerra”

Mondo


È un duro avvertimento quello indirizzato da Pyongyang a Washington, dopo che gli Usa hanno deciso di muovere la portaerei nucleare americana Carl Vinson al largo della penisola asiatica


di F. Q. | 11 aprile 2017

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 2 mila

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“Se gli Stati Uniti osano optare per un intervento militare, come un attacco preventivo e la rimozione del quartier generale, la Corea del Nord è pronta a reagire a ogni tipo di guerra desiderato dagli Usa”. È un avvertimento durissimo quello indirizzato da Pyongyang a Washington, dopo che gli Stati Uniti hanno deciso di muovere la portaerei nucleare americana Carl Vinson al largo della penisola asiatica.

VIDEO
00:10
http://www.ilfattoquotidiano.it/2017/04 ... a/3514489/

“Non imploriamo mai la pace ma adotteremo le più forti contromisure contro i provocatori per difenderci attraverso la potente forza delle armi e continuare a percorrere la strada che ci siamo scelti”, ha dichiarato un portavoce del ministero degli Esteri di Pyonyang citato dall’agenzia nordcoreana Kcna, parlando di “mosse sconsiderate di Washington per invadere” il Paese, che hanno raggiunto “una fase seria”.

“La grave situazione prevalente dimostra ancora una volta che la Corea del Nord era del tutto giustificata ad aumentare in ogni modo le sue capacità militari di autodifesa”, ha sottolineato il portavoce del ministero degli Esteri. “L’amministrazione Trump è abbastanza stupida da schierare forze strategiche sorprendenti una dopo l’altra in Corea del Sud, parlando di pace con la forza delle armì, ma la Corea del Nord rimane impassibile. Prenderemo le più dure contromisure per difenderci”, ha rimarcato il portavoce. Sabato le navi americane, tra cui la portaerei Carl Vinson, due cacciatorpedinieri e un incrociatore a missili teleguidati avevano cancellato un viaggio in Australia per dirigersi da Singapore verso le acque davanti alla Corea.
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Re: La Terza Guerra Mondiale

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38° parallelo: la guerra senza fine

(di Giampiero Venturi)

07/08/16 -


Il secondo dopoguerra ci ha insegnato a distinguere i conflitti anche in base alla temperatura. Alla guerra combattuta sul campo abbiamo imparato a sovrapporre il concetto di “guerra fredda” figlia di una contrapposizione ideologica e al tempo stesso madre di uno stato di allarme permanente.

Quasi la totalità delle "guerre calde” tradizionali e dei conflitti sospesi della seconda metà del '900 ha preso forma intorno alle regole di una rigida contrapposizone in blocchi: da una parte chi rientrava sotto la protezione USA, dall'altra chi faceva parte della sfera d'influenza dell'Unione Sovietica.

Schema a sé fa il caso della penisola coreana, esempio forse unico per durata e contesto: lo scontro che a rigor di Storia ha consacrato militarmente l'idea di Guerra fredda, paradossalmente ha finito col sopravviverle; una guerra non più combattuta ma ufficialmente ancora in corso, legata ad un armistizio (quello del ’53) che non è mai maturato in un vero e proprio trattato di pace.

La guerra né calda né fredda tra Seul e Pyongyang è di fatto lo scontro più vecchio del globo, apparentemente immune da ogni cataclisma politico o semplice evoluzione dei tempi. Anche in termini di propaganda e linguaggio, il contenzioso è rimasto congelato negli anni, indifferente al cambio delle stagioni.

Se il confronto è rimasto strisciante senza eventi nel bene o nel male capaci di porre fine allo stallo, è anche vero però che scaramucce e impennate di tensione non sono mai mancate e che il ricordo dei 2 milioni di morti della guerra del 1950-’53 ha sempre proiettato la crisi coreana su scenari catastrofici. L'apocalisse sul 38° parallelo si poggia infatti non solo sulle continue minacce di escalation nucleare ma anche sul ricordo di una tra le più violente e meno conosciute guerre della Storia, a tutt’oggi l’unico scontro diretto su vasta scala tra superpotenze non delegato a Paesi terzi.

L’impasse surreale seguito alla guerra di allora di cui ancora oggi siamo testimoni, ci impone quindi una domanda di fondo. Il 38° parallelo è una pagina di Storia, ultima propaggine di un mondo antico, o serve ancora?

Partendo dal dato che lo schieramento di forze in assetto di guerra sulla linea di frizione tra le due Coree è uno scenario unico per dimensioni (solo l’attrito tra India e Pakistan in Kashmir regge il confronto) possiamo rispondere sotto tre angolazioni.

Se prendiamo in esame la guerra del ’50-’53 in senso stretto è evidente che lo scontro sia storicamente superato. Linea di demarcazione tra la Seconda guerra mondiale e la paura della Terza, la Guerra di Corea è stato l’evento con cui il mondo occidentale a guida americana ha identificato ufficialmente nel comunismo il nuovo nemico globale. La fine della Guerra fredda ha quindi svuotato la penisola coreana di contenuti e interesse, declassando il Nord a fortezza grottesca destinata presto o tardi a uscire di scena.

Se consideriamo invece la funzione strategica della Corea del Nord al di là del gelo coi cugini del Sud, il discorso cambia. L’esistenza del regime di Pyongyang permette agli Stati Uniti un posizionamento permanente nel Pacifico asiatico con un potenziale offensivo ben superiore alla totalità delle basi presenti negli altri Paesi alleati dell’area. La presenza americana giustificata negli anni ’80 da logiche anti sovietiche, oggi assume valore solo in virtù di un serio rischio di crisi politico militare con possibile complicazione nucleare, in un angolo di mondo tra l’altro a forte trazione industriale. È sostenibile quindi ritenere che il regime di Kim Jong-un sia utile ad un fine strategico più ampio, secondo l’antica legge “se c’è un nemico, ho il dovere di difendermi”.

L’importanza di Pyongyang, per forza di cose sminuita con l’implosione del blocco comunista nel ’91 e col successivo inizio delle riforme economiche in Cina, si è di nuovo rivalutata nell’ultimo decennio, lasso di tempo in cui non a caso le crisi fra Coree si sono spesso riacutizzate. La rinascita della Russia e l’evoluzione di Pechino a rango di potenza hanno trasformato quindi Seul in una piazza irrinunciabile per gli schemi del Pentagono, il cui attuale interesse per una smilitarizzazione dell’area, al di là dei proclami, è pressoché nullo.

Ultima ma non meno importante questione è il ruolo attivo della stessa Cina, da sempre fratello maggiore del regime nordcoreano. Ai tempi di Mao la linea di continuità tra Pechino e Pyongyang era ideologica. Oggi le velleità geopolitiche cinesi investono di un ruolo nuovo la Corea comunista, eletta a laboratorio sperimentale di sistemi d’arma e provocazioni diplomatiche. Ben oltre le dichiarazioni ufficiali, tollerare e foraggiare le farse di Kim Jong-un offre alla Cina un termometro della tolleranza americana, senza un coinvolgimento diretto.

La Russia intanto osserva e ribadisce la sua presenza nelle Kurili rivendicate dal Giappone. Semmai fosse necessario, tutto questo ci ricorda che il Pacifico sembra tornato di moda.

In fondo USA, Cina e Russia, maestri burattinai della Guerra di Corea, sanno benissimo che una volta archiviata l’eterna partita tra Seul e Pyongyang, per tornare a soffiare sul fuoco bisognerebbe accenderne un altro.

La guerra caldo-fredda tra cugini non può che continuare.

http://www.difesaonline.it/geopolitica/ ... senza-fine
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