Ingroia, l'ultimo chiuda la porta di Cristina Cucciniello
Dopo l'addio del gruppo fondativo 'Cambiare si può', anche le Agende Rosse di Borsellino e il Popolo Viola mollano Rivoluzione Civile. E le liste piene di riciclati in posti sicuri (Diliberto in testa) agitano la base
«Vogliamo selezionare i candidati alle prossime elezioni con il criterio della competenza, del merito e del cambiamento», così recita il "Manifesto Io ci sto", realizzato da Rivoluzione Civile, neonato soggetto politico presieduto dal magistrato Antonio Ingroia e sorto non solo dal confluire di una serie di precedenti formazioni, dall'Italia dei Valori di Antonio Di Pietro al Movimento Arancione di Luigi de Magistris, ma anche dall'attivismo della società civile e di movimenti.
Tuttavia del fermento della società civile nella composizione delle liste della creatura di Ingroia cosa è rimasto? Ben poco, a giudicare da quelli che poi sono emersi come connotati forti della nuova lista: le logiche di partito e l'auto-conservazione dei soliti notabili, con buona pace del cambiamento e della società civile.
I primi a prendere le distanze da Ingroia sono stati gli esponenti di 'Cambiare si può', il principale movimento che aveva dato vita all'ipotesi di un 'quarto polo' a sinistra. I cui portavoce Marco Revelli, Livio Pepino e Chiara Sasso, insieme al sociologo Luciano Gallino e allo storico Paul Ginsborg, già a fine dicembre se ne sono andati sbattendo la porta per l'esito di un progetto che avrebbe dovuto caratterizzarsi per l'ampia partecipazione civile e che invece mostrava primi segni di spartizione e lottizzazione tra i quattro partiti che avevano preso in mano il pallino. Cioè l'Italia dei Valori, Rifondazione Comunista, il Pdci di Diliberto e i Verdi.
Poco dopo a mollare è stato invece Salvatore Borsellino, fratello di Paolo e animatore del movimento Agende Rosse, che doveva essere una delle spine dorsali di Rivoluzione Civile: «Probabilmente qualcuno era interessato solo alla mia candidatura; venuta a mancare, non ha ritenuto di voler dare fiducia a giovani noti per il loro impegno civile», ha spiegato Borsellino, confermando l'intenzione di non appoggiare più l'iniziativa di Ingroia.
Borsellino è stato rapidamente seguito da Massimo Malerba, uno dei fondatori de il Popolo Viola, che si è dissociato ufficialmente da Rivoluzione Civile. «Non è rimasto più nulla di 'civile' nel soggetto politico di Ingroia. E' una discarica di poltronari, trombati, riciclati. I nomi dei capilista sono tutti riferibili ad esponenti di partito, amici dello stesso Ingroia e di Luigi de Magistris. Si è trattato di una operazione vergognosa: i movimenti civili sono stati utilizzati per dare sostegno e visibilità a questa operazione, per poi essere tenuti fuori dalle liste».
Continua Malerba: «Tutte le le indicazioni della base in merito alle candidature sono state disattese. I nomi dei candidati sono stati scelti da un gruppo ristretto di persone, all'interno di una stanza fumosa romana. La trovo una tattica mastelliana, altro che 'rivoluzione'!».
Sulla stessa linea Loris Viari - una vita spesa nell'attivismo ligure, fin dal G8 di Genova - che ha toni amareggiati nel guardare ai nomi proposti da Rivoluzione Civile per la sua Liguria: «Si parla di Roberto Soffritti, ferrarese, ex sindaco del capoluogo emiliano, 71 anni, tesoriere nazionale della Federazione della Sinistra (Rifondazione e comunisti italiani) Non ho nulla contro la persona, ma ci avevano promesso di vagliare nomi di giovani impegnati socialmente, esperti di economia sostenibile e commercio equo e solidale. Quei nomi non sono stati presi in considerazione, hanno prevalso le logiche di partito e le indicazioni di voto alle truppe cammellate». Con un unico risultato: l'ennesima candidatura paracadutata, non legata al territorio, in un collegio considerato tradizionalmente sicuro per la sinistra.
A rendere ancora più tesa la situazione il fatto che ormai circola come notizia certa la candidatura in posizione blindata e in più collegi di tutti e quattro i segretari dei partiti 'azionisti' di Rivoluzione Civile: Antonio Di Pietro, Paolo Ferrero, Oliviero Diliberto e Angelo Bonelli dei Verdi.
Non solo: ma ciascun segretario si porterebbe dietro un piccolo gruppo di fedelissimi in collegi altrettanto sicuri, secondo una logica di pura spartizione (cinque all'Idv, tre a Rifondazione, tre ai Comunisti Italiani, due ai verdi).
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