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Re: Economia

Inviato: 20/01/2016, 20:44
da camillobenso
SULL'OTTOVOLANTE. AGGRAPPARSI ALLE APPOSITE MANIGLIE DI SICUREZZA




Mercati globali a picco, Piazza Affari a -4,83%
Montepaschi sprofonda e perde il 22 per cento


Mps: -58% nel 2016. Valore dei titoli del Tesoro giù del 75%. Carige -17%. Male Banco popolare e Saipem
JUNCKER: “CON L’ITALIA NON C’E’ NESSUN PROBLEMA”. MA BOCCIA (PD): “ERRORE SUA NOMINA NEL 2014″

Economia & Lobby

Non si arresta il crollo del Monte dei Paschi di Siena, che dopo le pessime sedute di lunedì e martedì (leggi) è ancora maglia nera a Piazza Affari e trascina di nuovo in rosso il listino (-5%). Non bastano le rassicurazioni della Bce, che ha gettato acqua sul fuoco acceso dalla notizia degli esami sui crediti a rischio (leggi) di alcuni istituti. Pesano anche mercoledì le tensioni tra Palazzo Chigi e la Commissione Ue, che salgono di tono con l’attacco del commissario agli Affari economici Pierre Moscovici (leggi). Rocca Salimbeni da inizio anno ha più che dimezzato il proprio valore. Con pesanti ripercussioni anche per lo Stato, che dall’estate scorsa è azionista


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Borse, Piazza Affari ancora maglia nera d’Europa. Mps tracolla. L’ad: “Clienti stanno spostando risparmi”

Economia

Il numero uno dell'istituto, Fabrizio Viola, ha ammesso che è in corso un deflusso di depositi, ma "contenuto" e "inferiore a quello riscontrato nella precedente crisi". Riunione di Renzi con Padoan e i vertici di Bankitalia. Il Tesoro, che di Rocca Salimbeni è azionista, registra una perdita teorica del 75%, pari a circa 180 milioni. Salgono i credit default swap, contratti di assicurazione dall'eventuale fallimento della banca. Quelli sui bond subordinati sono schizzati a 1315 punti contro i 600 di due settimane fa
di F. Q. | 20 gennaio 2016
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Non si arresta il crollo del Monte dei Paschi di Siena, che dopo le pessime sedute di lunedì e martedì è ancora maglia nera a Piazza Affari arrivando a perdere il 22,2 per cento. E, insieme agli altri titoli bancari e ai petroliferi, ha affossato di nuovo il listino milanese che, in una giornata particolarmente negativa per tutte le principali piazze globali, ha perso quasi il 5 per cento. Nelle settimane in cui il braccio di ferro tra il capo del governo italiano e Bruxelles si è fatto più intenso, Rocca Salimbeni ha più che dimezzato il proprio valore: il titolo della banca senese da inizio anno ha infatti registrato un tracollo vicino al 60 per cento. Con pesanti ripercussioni anche per lo Stato, che dall’estate scorsa è azionista della banca e ha visto l’investimento svalutarsi di quasi il 73 per cento con le maggiori perdite che si sono verificate proprio quando per il Tesoro si era aperta la via di fuga dal capitale dell’istituto. E intanto l’amministratore delegato della banca, Fabrizio Viola, nel tentare di rassicurare il mercato, ha ammesso che è in corso una fuga dei depositi, anche se “contenuta”.

Se il Monte piange le altre banche certo non ridono: Carige è precipitata del 18,56%, il Banco Popolare ha registrato un crollo del 10,88%, Unicredit del 7,7%, Banca Popolare dell’Emilia Romagna del 7,3%, la Popolare di Milano del 6,52%, Banca Mediolanum del 5,79%. Solo per citare alcuni esempi. A far recuperare terreno ai titoli italiani del credito non sono infatti bastate le rassicurazioni della Bce, che ha gettato acqua sul fuoco acceso dalla notizia degli esami avviati sulla consistenza e la gestione delle sofferenze di alcuni istituti. Continuano a pesare, invece, le tensioni tra Palazzo Chigi e la Commissione Ue, che sono anzi salite di tono con l’attacco del commissario agli Affari economici Pierre Moscovici che ha messo il dito nella piaga dei conti pubblici italiani. Inevitabile che lo scontro con l’Europa, con al centro il giudizio sulla manovra atteso la prossima primavera, influenzi il comparto bancario: il governo Renzi ha infatti bisogno del via libera di Bruxelles per varare la bad bank che dovrebbe aiutare gli istituti a sgravarsi di una parte dei 350 miliardi di crediti deteriorati che hanno in pancia.

Lo sa bene il presidente del Consiglio che martedì mattina ha incontrato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco e il direttore generale Salvatore Rossi per discutere delle “recenti turbolenze finanziarie”. Fonti di governo riferiscono che c’è “consapevolezza della complessità della situazione, anche alla luce degli eventi internazionali”, ma anche “convinzione che le misure passate e future del legislatore aiuteranno alcune banche italiane nel processo di aggregazione quanto mai necessario e aiuteranno gli intermediari finanziari nella gestione più rapida ed adeguata dei crediti in sofferenza”.

Per il Tesoro perdita teorica del 75% – Non a caso i titoli più nel mirino restano quelli della mancata sposa partecipata dallo Stato. Rocca Salimbeni mercoledì è arrivata a perdere più del 22% a 0,51 euro. L’amministratore delegato Fabrizio Viola in mattinata ha dichiarato che l’andamento del titolo in questi giorni “non ha riscontro nei fondamentali della banca” di cui dalla scorsa estate è azionista anche lo Stato, che ha ricevuto una quota del 4% al posto dei 243 milioni di interessi dovuti sui Monti bond. Considerato che il Tesoro ha avuto le azioni a un controvalore di 2,05 euro, in sette mesi il suo investimento si è deprezzato del 75%, che significa una perdita teorica di circa 180 milioni. Non male se si pensa che dall’inizio dell’anno, essendo scaduto il periodo di divieto di vendita (lock up), via XX Settembre avrebbe potuto iniziare a vendere i titoli e monetizzare l’investimento.

L’ad ammette il deflusso dei depositi, ma “contenuto” – Eventualità che a questi prezzi si allontana sempre di più. E il serpente finisce col mordersi la coda se si considera che mentre il Tesoro tratta con Bruxelles per la bad bank che ripulisca i conti delle banche italiane dai prestiti che difficilmente verranno restituiti, la Bce si appresta a passare al lentino i 45 miliardi di sofferenze lorde del Monte con esiti al momento non prevedibili. Viola in una nota ammette che “ovviamente i clienti che oggi si rivolgono alle nostre filiali sono preoccupati per tutte le cose che si leggono” e che è in corso una fuga dei depositi, anche se “contenuta: al momento la dimensione della raccolta di quei clienti che hanno deciso di spostare parte dei loro risparmi è contenuta e comunque inferiore a quella riscontrata nella precedente crisi che la banca ha vissuto nel febbraio 2013 che è stata brillantemente superata. Per questo motivo, anche alla luce dei fondamentali decisamente migliori oggi rispetto a due anni fa, sono convinto che la banca saprà superare, come accaduto nel passato, anche questa fase non facile”. E’ chiaro, però, che le attese del mercato non sono positive né su un fronte né sull’altro.

Le “assicurazioni contro il default” della banca - Lo si vede guardando i drammatici corsi di Borsa dell’istituto, ma anche l’andamento dei credit default swap, una sorta di assicurazione contro il rischio di fallimento di un’emittente, e dei bond subordinati, i titoli che con l’entrata in vigore del bail in sono percepiti come maggiormente a rischio dopo le azioni. I cds sul debito senior della banca a cinque anni solo saliti a 573 punti base dai 280 di inizio anno. Per fare un confronto, si consideri che quelli sul debito sovrano dell’Italia sempre a 5 anni sono a 108, contro i 98 di inizio 2016. I cds sulle obbligazioni subordinate di Rocca Salimbeni sono poi schizzati a 1315 punti contro i 600 di due settimane fa. Chi sicuramente non crede alla possibilità di un fallimento, ma anzi spera di guadagnare dall’andamento dei titoli di queste settimane, è il finanziere vicino al premier Davide Serra, a capo del fondo londinese Algebris. “Per la prima volta stiamo guardando e iniziando a investire sul debito di Montepaschi, proprio noi che pubblicamente per anni siamo stati ribassisti: guardiamo sia ai bond senior che i subordinati. Dopo l’esito della verifica degli attivi da parte della Bce hanno preso misure e i numeri mi dicono che sono ben patrimonializzati”, ha detto Serra a margine del forum di Davos. Il crollo dei titoli? “Una reazione eccessiva dei mercati che deriva in parte dall’instabilità globale, ma anche dal panico a livello dei piccoli investitori dopo l’intervento sulle quattro piccole banche a novembre”, ma rispetto ad allora “c’è una differenza dal giorno alla notte: adesso il mercato pensa che tutte le banche in Italia possono fare la fine di queste quattro banche. E’ follia, non succederà. Nemmeno a Mps”.

La Bce getta acqua sul fuoco – Se Mps soffre, non va meglio del resto agli altri istituti da tempo in bilico come la Popolare di Vicenza e Carige. E a poco servono affermazioni come quelle del governatore della banca centrale austriaca ed esponente della Bce, Ewald Nowotny, che alla domanda se ci sia “un caso Italia in Europa” ha risposto: “No, credo che questa sarebbe del tutto in esagerazione. C’è una discussione su alcune banche italiane ma nel complesso anche per l’Italia vediamo un andamento positivo e nessun segnale di crisi”.

Il petrolio in caduta libera affossa anche il resto d’Europa – Fuori dai confini della Penisola, in ogni caso, la situazione non è molto migliore: la giornata è stata molto negativa sia per tutte le principali piazze europee, da Parigi (-3,45%) a Francoforte (-2,82%), sia per Wall Street che a metà seduta perde oltre il 3 per cento. Colpa ancora una volta del petrolio che ha aggiornato i minimi: il Wti è ormai sotto i 27 dollari al barile e il Brent poco sopra. L’Agenzia internazionale dell’energia ha lanciato un allarme, spiegando che con il ritorno sul mercato dell’oro nero dell’Iran il mondo rischia di “affogare nel petrolio” e il barile potrebbe scendere ancora. E il comparto petrolifero paga anche le indicazioni preliminari di Shell che per il quarto trimestre 2015 prevede un utile in forte calo tra 1,6 e 1,9 miliardi di dollari, dai 3,3 miliardi del quarto trimestre 2014. I listini scontano anche la revisione delle stime di crescita mondiali resa nota martedì dal Fondo monetario internazionale. Il Fmi ha tagliato di 0,2 punti, rispettivamente a +3,4 e +3,6%, le previsioni per il 2016 e il 2017. Quanto alla Cina, gli economisti di Washington hanno confermato che quest’anno crescerà del 6,3% e il prossimo del 6%, contro il 6,9% del 2015 che già è stato il dato peggiore dal 1990.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... i/2390311/

Re: Economia

Inviato: 22/01/2016, 3:59
da camillobenso
SULL'OTTOVOLANTE. AGGRAPPARSI ALLE APPOSITE MANIGLIE DI SICUREZZA





Mercati
Mario Draghi: "La Bce dovrà riconsiderare la politica monetaria". E le banche respirano
Il presidente allontana i dubbi sui rischi legati ai crediti in sofferenza degli istituti. Minenna: "Segnali importanti. Ma le incertezze sull'economia globale restano numerose"
di Luca Piana
21 gennaio 2016


http://espresso.repubblica.it/affari/20 ... =HEF_RULLO

Re: Economia

Inviato: 24/01/2016, 21:21
da camillobenso
Così Monti, Letta e Renzi hanno affossato l'industria

Crolla la produzione industriale dell'Italia in quattro anni: nel 2014 risulta di 8,7 punti percentuali più bassa rispetto al 2010
Mario Valenza - Dom, 24/01/2016 - 14:06


Crolla la produzione industriale dell'Italia in quattro anni: nel 2014 risulta di 8,7 punti percentuali più bassa rispetto al 2010.


La sua performance la colloca tra le peggiori dell'Eurogruppo (al quindicesimo posto), e nell'Europa a 28 (al venticinquesimo posto). Dalle tabelle Eurostat emerge che, rispetto all'anno di riferimento 2010, per 10 paesi della zona euro la produzione industriale ha registrano una riduzione, mentre per gli altri 8 c'è stato un miglioramento; la media Uem registra un aumento di 1 punto percentuale. In Italia dopo un avvio positivo (nel 2011 la produzione ha registrato un incremento di 1,2 punti), è iniziata una discesa inarrestabile: -6,4 punti nel 2012, -3 punti nel 2013 e -0,5 punti nel 2014.

Il crollo maggiore si è registrano nel settore dell'energia, con una riduzione della produzione, dal 2010 al 2014, di ben 14,6 punti. Nello stesso periodo la produzione industriale nel settore dei beni intermedi è diminuita di 9,9 punti, quella dei beni di consumo di 9,4 punti e quella dei beni strumentali di 6,7 punti. Nell'euro zona l'unico settore in cui la produzione del 2014 è inferiore rispetto a quella del 2010 è l'energia (-10,4 punti); in leggero calo la produzione di beni intermedi (-0,3 punti). Mentre registra un leggero aumento il settore dei beni di consumo (+0,5 punti), e buoni risultati ottiene il settore dei beni strumentali (+8,5 punti).


http://www.ilgiornale.it/news/politica/ ... 16384.html

Re: Economia

Inviato: 25/01/2016, 11:50
da camillobenso
Economia & Lobby
Bad Bank, in cosa consiste il nuovo ‘giocattolo’ economico?
di Lucio Di Gaetano | ECONOMISTA|24 gennaio 2016
Commenti (80)




In che cosa consisterà la “Bad Bank per le sofferenze” di cui tanto si discute in questi giorni e per la quale, secondo Renzi e il Governo, l’ok dell’Unione Europea “non è necessario”? Beh, nulla di particolarmente innovativo e, naturalmente, nulla che si possa fare senza il consenso di Commissione e Bce (ma su questo particolare torneremo in chiusura del post).

Vediamo di capire come funzionerà il giocattolo: lo schema di accordo che Padoan illustrerà martedì prossimo a Margrethe Vestager prevede che il Tesoro presti – dietro una remunerazione che dovrà essere “di mercato” per evitare l’accusa di “aiuto di Stato” – una garanzia fidejussoria alle società veicolo costituite ad hoc (la o le bad bank) per l’acquisto dei crediti in sofferenza oggi detenuti dalle banche italiane.

Le società veicolo compreranno dunque i crediti in sofferenza, effettuando un investimento che sarà remunerato attraverso due meccanismi:
a) Incassando i crediti da quegli stessi debitori in sofferenza che già facevano fatica a ripagare (o meglio non ripagavano proprio) le banche;

o, se non dovesse essere sufficiente,

b) Escutendo la garanzia rilasciata dallo Stato.

Possiamo dunque concludere che lo Stato si accollerà almeno parzialmente il “rischio di credito” connesso al mancato rimborso dei crediti in sofferenza attualmente nella pancia delle banche e che lo sforzo sarà tanto più oneroso quanto più alto sarà il prezzo che le bad bank dovranno pagare alle banche per l’acquisto. Quello che rende complicato un meccanismo apparentemente semplice è proprio il fatto che il prezzo di cessione dei crediti sarà inevitabilmente condizionato dal valore al quale essi sono attualmente iscritti nei bilanci delle banche.

Per capire, proviamo a fare un esempio: s’immagini un prestito in sofferenza del valore nominale di 100 euro; il prestito sarà stato “svalutato” in funzione delle concrete probabilità di recupero (per definizione inferiori al 100% trattandosi, appunto, di sofferenze); la banca, cioè, avrà già registrato nel conto economico degli anni passati una perdita pari alla quota del credito che non ritiene più recuperabile; ora, se ipotizziamo che la svalutazione sia stata del 50% (e quindi che la banca immagini ancora di recuperare il residuo 50) e che la banca non voglia subire altre perdite, il credito dovrà essere venduto a un prezzo non inferiore a 50. In caso contrario, la stessa cessione alla bad bank genererà ulteriori perdite nei bilanci delle banche (e la necessità di ulteriori aumenti di capitale).
Ora, si dà il caso che il grado di svalutazione medio delle sofferenze nei bilanci bancari vada da un minimo del 43% (Banco Popolare) a un massimo del 65,3% (Monte dei Paschi).

di gae

E si dà anche il caso che, secondo le previsioni, il prezzo medio stimato per le cessioni di portafogli di sofferenze sia intorno al 25%-30%; se queste stime si rivelassero corrette, il sistema bancario si troverebbe difronte alla concreta possibilità di dover sopportare nuove perdite per una cifra vicina ai 40 miliardi di euro (ovvero quel 10-20% medio di “distanza” tra grado di svalutazione e prezzo di cessione) se vorrà davvero liberarsi delle sofferenze.

Ci ritroveremo, dunque, da un lato le banche che tenteranno di tenere il prezzo dei crediti più alto possibile, dall’altro le bad bank che cercheranno di abbassarlo temendo di perdere parte dell’investimento necessario ad acquistarli; in mezzo rimarrà il Tesoro, che con le sue mirabolanti fidejussioni a garanzia rischierà di fare la fine del vaso di coccio tra i due vasi di ferro, prendendosi perdite scaricate dagli altri.

Non ci credete? Per convincersene basta chiedersi dove le bad bank prenderanno i soldi per comprare i crediti. Nel posto più vicino e semplice da immaginare: saranno prestati dalle stesse banche cedenti. La bad bank emetterà obbligazioni, le obbligazioni verranno acquistate dalla banca cedente e la bad bank utilizzerà il danaro raccolto per acquistare i crediti, così “restituendolo” alla stessa banca cedente; successivamente, la banca cedente metterà sul mercato i titoli, completando così nei fatti una cessione fino a quel momento effettuata solo sulla carta.

Anche se sembra un po’ strambo, questo meccanismo è abbastanza usuale nelle operazioni di cosiddetta “cartolarizzazione”, ma comporta un rischio: che il prezzo di cessione dei crediti non corrisponda al loro valore “reale” perché negoziato tra due controparti non indipendenti tra loro. Nelle operazioni “di mercato” questo rischio è trascurabile, poiché la banca sa bene che se vuole poi liberarsi dei titoli emessi dalla bad bank, deve farlo a prezzi corretti pena il rischio di non trovare compratori. Ma siamo sicuri che accadrà la stessa cosa anche in un’operazione in cui interviene lo Stato con la sua garanzia? E’ evidente che in questo caso le banche e le bad bank potrebbero avere la tentazione di gonfiare i prezzi, approfittando della presenza del Tesoro e delle sue garanzie per scaricare sui contribuenti gli effetti della sopravvalutazione dei crediti ceduti.

Ora possiamo finalmente tornare alla domanda dalla quale siamo partiti: questo meccanismo può funzionare senza il consenso dell’Unione Europea? Considerato che la garanzia statale sarà finanziata dallo Stato in deficit, che il deficit sarà coperto dal debito pubblico, che il debito pubblico italiano viene abitualmente acquistato dalla Bce nel contesto del programma di Quantitative Easing e che seduti nel board della Bce non ci sono proprio dei fessi… beh, direi che la risposta è abbastanza semplice…


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... o/2401267/

Re: Economia

Inviato: 25/01/2016, 12:02
da camillobenso
Gli estratti dell'intervista
Alessandra Ghisleri: "Banca Etruria porta Renzi al minimo storico"


Su Libero di lunedì 25 gennaio, l'intervista di Pietro Senaldi ad Alessandra Ghisleri, fondatrice di Euromedia Research e "regina" dei sondaggi. La sondaggista spiega che tra islam, banche e politica, in Italia, rispetto a qualche tempo fa, è cambiato tutto. E anche per Matteo Renzi, ora, le prospettive sembrano mutate, profondamente. Infatti Ghisleri spiega che "dopo gli ultimi crolli delle banche in borsa e le vicissitudini del padre della Boschi, per la seconda volta Renzi è sceso sotto il 30% di gradimento. La prima volta era accaduto a novembre, quando scoppiò la vicenda Banca Etruria". Insomma, il caso dell'istituto che fu vicediretto dal padre della Boschi pesa, eccome, per il premier. Ghisleri aggiunge: "Siamo in Toscana, la geografia non lo aiuta. E neppure il fatto che uno dei responsabili del fallimento della banca sia individuato dall'opinione pubblica nel padre del ministro a cui il premier si è dimostrato più vicino. In più pesa la rivendicazione della paternità del decreto che ha salvato le banche ma non gli obbligazionisti".

http://www.liberoquotidiano.it/news/per ... orico.html

Re: Economia

Inviato: 28/01/2016, 15:04
da camillobenso
Tempesta perfetta sul petrolio: ​"Il peggio deve ancora venire"

Il crollo del petrolio non aiuta l'economia. Ma il peggio deve ancora venire. Leonardo Maugeri: "Stiamo vivendo un’anomalia storica"

Sergio Rame - Gio, 28/01/2016 - 13:14



"È una tempesta perfetta quella di un petrolio che nonostante i prezzi così bassi non riesce a far ripartire l’economia: attenti ai facili ottimismi su un’inversione, il peggio deve ancora venire"


In una intervista esclusiva all’Huffington Post Leonardo Maugeri, uno dei massimi esperti mondiali di energia, già direttore Strategie e Sviluppo di Eni, prova a tracciare il futuro del petrolio alla luce del crollo del prezzo del greggio e delle difficili relazioni tra i Paesi produttori. "Oggi siamo in presenza di un’anomalia perché con il prezzo basso l’economia non si riprende - mette in chiaro - stiamo vivendo un’anomalia storica”.

"Il petrolio a prezzi così bassi costringe i fondi sovrani dei Paesi produttori a vendere di tutto per incamerare risorse e compensare i minori introiti petroliferi. Devono vendere sui mercati per compensare i minori introiti del petrolio e questo contribuisce a deprimere i mercati. È una tempesta perfetta abbastanza preoccupante". Nel 2012 Maugeri aveva preannunciato che il prezzo sarebbe crollato. Gli hanno detto che ero pazzo. "Oggi, come allora, la mia voce è un po’ fuori dal coro - mette in chiaro - penso che il peggio debba ancora venire. C’è ancora troppa produzione in eccesso nel mondo e nuova produzione sta arrivando per effetto di investimenti fatti 5-6 anni fa e che adesso si completano. Di fronte a questo eccesso produttivo la domanda cresce poco e non c’è possibilità di riassorbire l’eccesso". Da qui la necessità di cercare un accordo tra grandi produttori per tagliare la produzione. Tutti producono più che possono e, al tempo stesso, difendono la propria quota mondiale. "L'Arabia Saudita è l’unico grande produttore al mondo che produce meno di quello che potrebbe - spiega Maugeri - la Russia ha continuato a superare i record produttivi e continua a produrre a tutto spiano. Negli Stati Uniti si è prodotto un po’ meno, ma per ragioni di mercato non perché volessero. Iran e Iraq sono due Paesi che dopo decenni di difficoltà si stanno riaffacciando adesso e non hanno alcuna intenzione di tagliare. Poi c’è il Canada, che in pochi ricordano, ma che è il quarto produttore al mondo di greggio".

Nel 2008 a scatenare la crisi economica furono i mutui subprime. "Ma tutto il problema della finanza derivata, di cui i subprime sono una parte, non è stato risolto - fa notare Maugeri - quando si parla ad esempio dei derivati presenti nella pancia delle banche italiane si capisce che c’è questo mostro della finanza derivata. Ora gli allarmi dicono che il problema del 2007-2008 non è stato risolto perché questa quantità di derivati in circolazione è da qualche parte. Il problema è che può ancora esplodere in qualche forma". Anche il petrolio si porta dietro una finanza derivata, ma è una parte ridotta rispetto a quella esistente nel mondo. Per questo, secondo Maugeri, difficilmente la debolezza dei prezzi del petrolio farà esplodere la crisi così come hanno fatto i subprime nel 2008. Certo è che negli Stati Uniti piccole e grandi aziende che investono sullo shale oil stanno andando in forte sofferenza. Nel 2015 ne sono già fallite 42.

Secondo Maugeri, il sistema Italia non sta soffrendo del calo del petrolio. Anche se non ne sta nemmeno beneficiando. "I problemi che si sono accumulati nell’economia italiana - fa notare - sono così vasti e grandi che ci vorranno anni per risolverli. L’Italia, essendo un Paese importatore, dato che importa oltre l’80% del suo fabbisogno, avrebbe dovuto ottenere un beneficio da una bolletta petrolifera meno alta, ma il beneficio è per il governo, non per il consumatore". Sul prezzo di 1,43 euro al litro un euro finisce in accise e Iva, che si calcola anche sulle accise. La materia prima incide per non più del 25%. "Ammettiamo che per assurdo venisse regalato il petrolio - fa notare - la benzina alla pompa costerebbe lo stesso un euro".

http://www.ilgiornale.it/news/economia/ ... 17890.html

Re: Economia

Inviato: 28/01/2016, 19:00
da camillobenso

Borse, Europa in preda alla sfiducia. Milano maglia nera con i bancari a picco: l’intesa Padoan-Ue vale sempre meno

Lobby

I mercati globali si preparano al rallentamento.
Caso a sé Milano, dove pesa la delusione per l'intesa sui crediti deteriorati delle banche. A picco Bpm (-9,81%), Bper (-7,52%), Mps (-7,88%), Unicredit (-6,48%)e Unipol (-6,21%)
di F. Q. | 28 gennaio 2016
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La sfiducia ha la meglio sull’Europa a cui non basta il rialzo dei prezzi del petrolio per riprendere quota e così le piazze finanziarie del Vecchio Continente, già deboli in scia alle deludenti decisioni della Federal reserve della sera prima, hanno vissuto una nuova giornata di passione da Francoforte (-2,55%) a Parigi (-1,42%) passando per Londra (-0,98%) e Madrid (-1,72%). Ma la sorte peggiore è toccata ancora una volta a Piazza Affari che, trascinata al ribasso dal settore bancario è crollata del 3,49 per cento. “Le preoccupazioni circa la crescita globale con la disfatta dei prezzi del petrolio e il rallentamento in Cina pesano sui titoli nel 2016″, ha sintetizzato a Bloomberg Michael Ingram, market strategist di BGC Partners. Eppure nel pomeriggio il petrolio aveva registrato una fiammata tornado sopra i 35 dollari al barile, dopo la notizia che a febbraio l’Opec discuterà di una possibile riduzione del 5% della produzione. Più forte, evidentemente, è stata la memoria delle “preoccupazioni” espresse dalla banca centrale americana per il rallentamento della crescita globale, alla base della decisione di mantenere invariati i tassi d’interesse. La Fed ha in particolare fatto riferimento alla possibilità che le turbolenze dei mercati e il rallentamento della crescita globale intacchino lo stato di salute della congiuntura Usa, il cui polso sarà tastabile venerdì con i dati sul Pil del quarto trimestre 2015. “I mercati sembrano essere già pronti a un rallentamento della crescita rispetto al trimestre precedente, ma dati lontani dal consenso potrebbero accentuare i movimenti”, rileva Vincenzo Longo, Market Strategist di IG.

Caso a sé Milano, in preda alle reazioni del mercato al deludente accordo raggiunto martedì sera dal ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, sulla gestione delle sofferenze bancarie. Tra i titoli più colpiti la Popolare di Milano, precipitata del 9,81%, quella dell’Emilia Romagna (-7,52%), il Monte dei Paschi di Siena (-7,88%), Unicredit (-6,48%), Unipol (-6,21% complice la situazione della banca controllata), Ubi (-5,85%) e il Banco Popolare (-5,8%). A precipizio, poi, anche Fiat Chrysler (-7,19%) i cui conti con il relativo aggiornamento del piano industriale non sono evidentemente piaciuti al mercato. A complicare una situazione già delicata, in mattinata, è emerso che i titoli derivanti dalle cartolarizzazioni (in gergo asset backed securities) dei prestiti deteriorati in pancia alle banche italiane eseguite in linea con l’operazione strutturata da Padoan a Bruxelles, potrebbero non essere acquistabili dalla Banca Centrale Europea nell’ambito del quantitative easing, il mezzo con cui Francoforte sta immettendo liquidità nel sistema. Uno dei principi guida dell’Eurotower è che gli strumenti finanziari acquistabili, oltre ad aver un rating minimo pari ad A-, abbiano come sottostante dei prestiti in bonis: “Al momento dell’inclusione nella cartolarizzazione – si legge nella documentazione – un prestito non dev’essere oggetto di contenzioso, in default, o in probabile insolvenza”. Un criterio che le sofferenze bancarie, benché di buona qualità, non soddisfano, anche se la Bce potrebbe introdurre una delega per i titoli che otterranno la garanzia di uno Stato sovrano.

In mattinata, poi, l’agenzia Fitch ha messo nero su bianco le perplessità espresse mercoledì dagli osservatori sul compromesso raggiunto a Bruxelles per sgravare gli istituti italiani dai crediti deteriorati, che secondo l’agenzia rischia di avere “una limitata capacità di migliorare in modo significativo la qualità dell’attivo del settore bancario italiano”. In più il fatto che si tratti di uno schema che si attiva su basa volontaria “potrebbe limitare le sue dimensioni e “abbiamo anche motivo di dubitare che lo schema sia sufficientemente attraente per invogliare le banche a farne un uso significativo”. Senza contare, per chi aderirà, il rischio che la valutazione di mercato dei crediti in pancia alle banche comporti nuove perdite e nuove ricapitalizzazioni.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/01 ... e/2414107/

Re: Economia

Inviato: 01/02/2016, 14:51
da camillobenso
Tombòla
Oliver Hardy




Troppe crisi, tutte insieme: verso la bancarotta mondiale?


Scritto il 01/2/16 • LIBRE nella Categoria: segnalazioni




Sull’orlo del baratro? A quanto pare, sì.


«C’è un modo empirico per sapere se una grande crisi è in arrivo: quando gli economisti scrivono che “non è un nuovo ’29 (o 2008)” vuol dire che è in arrivo qualcosa di peggiore del 1929 (o del 2008)», scrive Aldo Giannuli.



«Di solito, gli economisti sono bravissimi a prevedere le crisi quando già sono in pieno svolgimento».





Paul Krugman, a metà gennaio, su “Internazionale” scrive: «I problemi della Cina provocheranno una crisi globale?



La buona notizia è che le cifre non sembrano abbastanza grandi.



Quella cattiva è che potrei sbagliarmi, perché spesso il contagio globale si rivela più grave di quanto i numeri non dicano».



Situazione «spinosa» in Cina, ma per il resto del mondo «è solo una turbolenza».


Conclusione: «Spero davvero di non sbagliarmi, perché a quanto pare non abbiamo un piano-B».



Incoraggiante, vero?



Molto meno ottimista è Nouriel Roubini, che confida a “Repubblica” (18 gennaio) di scorgere sinistre somiglianze con il 2008 e parla di un imminente pericolo di crack.


Giannuli crede più a Roubini: «Il testo di Krugman, più che un’analisi, mi sembra una supplica alla Madonna».





Intanto, i numeri della crisi cinese galoppano.



Quello di Pechino è il secondo Pil mondiale, il debito aggregato è al 251% del Pil e, da un anno e mezzo, ha superato in percentuale quello americano.



La Cina può far fronte alla voragine grazie alla robusta riserva di dollari liquidi e titoli americani.





Ma se Pechino smette di rinnovare i titoli americani, che ripercussioni avrà tutto questo sugli Usa e, di riflesso, sul resto del mondo?




Probabilmente, continua Giannuli nel suo blog, Wasghington ricorrerebbe – ancora – all’emissione a valanga di dollari, che però pagherebbe in termini geopolitici.



«Poi, bisogna considerare quanto peserebbe sul mondo una battuta d’arresto della manifattura cinese, che metterebbe nei guai Australia, Brasile e diversi paesi africani, facendo ulteriormente scendere la domanda di petrolio, che è l’altro fattore di crisi in agguato: l’Arabia Saudita, con la sua politica del prezzo stracciato, si sta riducendo molto male ed è costretta (cosa impensabile sino a poco tempo fa) alla spending review, ma sta riducendo ancor peggio le compagnie petrolifere americane».




Il problema è semplice: lo “shale-oil”, il petrolio estratto con il fracking (tecnica devastante per l’ambiente) richiede costi di estrazione molto alti, per cui il barile non può scendere sotto i 60-65 dollari, altrimenti va sottocosto.


Ma il barile ormai è sotto i 29 dollari, e diverse imprese petrolifere Usa vedono avvicinarsi lo spettro del fallimento, con tutti gli effetti a catena che si possono immaginare (perdita di posti di lavoro, calo di consumi, sofferenze bancarie).


«E il petrolio low cost mette nei guai anche la Russia, che già balla pericolosamente sulla soglia del default».



Come se non bastasse, aggiunge Giannuli, bisogna mettere nel conto gli effetti della “guerra” euro-americana per l’auto, l’evanescente ripresa europea, le spinte geopolitiche a cominciare dal terrorismo che ne è espressione.



«Ciascuno di questi fattori, in sé, è preoccupante ma non è tale da scatenare una crisi globale. Quello che fa temere un esito del genere è che questi fattori interagiscano fra loro, determinando un effetto moltiplicatore».


La più grande somiglianza con il 2008, continua l’analista, è che c’è troppo debito: all’inizio del 2009, la somma dei titoli di credito assommava alla folle cifra di 12 volte il Pil mondiale.




Dopo, il problema si è ridotto: in parte perché una parte dei titoli venne bruciato dalla crisi, in parte per la pur limitata ripresa del Pil (soprattutto nei paesi emergenti), e in parte per il riassorbimento di una porzione dei debiti per effetto delle politiche di contenimento della spesa e per la liquidazione di una frazione degli asset (o delle privatizzazioni da parte degli Stati).


La crescita del rapporto debito/Pil ha avuto un iniziale rallentamento, ma per poco: le politiche di iper-liquidità hanno spinto di nuovo alla moltiplicazione del debito.


«Rispetto al 2007, nel 2015, infatti il debito globale mondiale è cresciuto di ulteriori 57.000 miliardi di dollari, aggiungendo un 17% in più al rapporto debito e Pil».


A fine 2014, il debito complessivo mondiale era di 199.000 miliardi di dollari, quasi 3 volte il Pil globale.




«L’inondazione di liquidità è stata utilizzata in massima parte solo per essere reimpiegata in investimenti finanziari».






Ecco il problema: «Alle imprese e ai privati sono giunte poche briciole, occupazione e consumi sono fermi al palo».






E infatti, nonostante l’alluvione di dollari, yen, euro e yuan, non ci sono quei segni di inflazione che dovrebbero esserci se il flusso fosse andato all’economia reale, anzi: «Siamo in un momento in cui quel che fa paura è la deflazione».






Per Giannuli, «siamo in un classico “momento Minsky”, per cui anche la nuova emissione di liquidità congiunta fra le principali banche centrali avrebbe solo l’effetto di guadagnare tempo dal punto di vista finanziario per poi tornare in breve a una situazione identica a quella di ora, ma con un debito accresciuto».





E non si vede mai una reale via d’uscita, conclude Giannuli: «Il problema è che quello che non funziona è il sistema neoliberista, incapace di uscire dalla sua crisi senza produrre le premesse per un’altra crisi peggiore della precedente».

Re: Economia

Inviato: 03/02/2016, 19:00
da camillobenso
LA TURBOLENZA DEI mercati
Piazza Affari chiude a -2,85%
Raffica di sospensioni sui bancari

Banco Popolare (-10,02%), Ubi (-8,99%), Popolare Emilia Romagna (-8,28%) le peggiori. Yoox-net-a-Porter scende del - 8,29%. Salgono leggermente Salvatore Ferragamo, Tenaris e Tod’s. Stabile Ferrari dopo il ruzzolone della vigilia
di Alessandra Puato

http://www.corriere.it/economia/16_febb ... 3351.shtml

Re: Economia

Inviato: 08/02/2016, 18:37
da camillobenso
Economia & Finanza




Lunedì nero per le borse Ue: Atene -7,87%

Milano chiude a -4,69%. Tracollano le banche

Male tutti i listini europei. E anche New York apre in pesante ribasso. Torna a salire lo spread che
arriva a toccare i 146 punti, ai livelli di luglio 2015. Istituti di credito a picco. Mps -11%, Bper -11,9
Economia & Lobby
L’incertezza ha di nuovo la meglio sui mercati finanziari globali che archiviano l’ennesimo lunedì nero. I rinnovati timori legati alla ripresa dell’economia in Europa, Usa e Cina, oltre che la crisi del petrolio di nuovo in caduta libera, hanno affondato tutte le piazze mondiali, mandando letteralmente a picco banche e petroliferi. Con un caso particolarmente critico, quello di Atene, che è crollata del 7,87%, con l’indice delle banche sprofondato ai minimi storici in scia ai timori per la tenuta del governo Tsipras, alle prese con la riforma delle pensioni
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Borse, vince l’incertezza: mercati mondiali in profondo rosso. Milano migliore solo di Atene
Numeri & News

di F. Q. | 8 febbraio 2016
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L’incertezza ha di nuovo la meglio sui mercati finanziari globali che hanno archiviato l’ennesimo lunedì nero.

I rinnovati timori legati alla ripresa dell’economia in Europa, Usa e Cina, oltre che la crisi del petrolio di nuovo in caduta libera, hanno affondato tutte le piazze mondiali, mandando letteralmente a picco banche e petroliferi.

Con un caso particolarmente critico, quello di Atene, che è crollata dell’11% circa tornando a valori degli anni ’90, con l’indice delle banche sprofondato ai minimi storici in scia ai timori per la tenuta del governo Tsipras, alle prese con la riforma delle pensioni.

Atene a parte, la maglia nera spetta a Piazza Affari che, con un crollo del 4,69%, è tornata sui livelli di luglio 2013 e registra un calo del 23,2% da inizio anno.

Seguono a stretto giro da Madrid (-4,44%), Francoforte (-3,3), Parigi (-3,2%) e Londra (-2,71%). In sintesi, l’indice Stoxx 600, che fotografa l’andamento dei principali titoli quotati sui listini del Vecchio Continente, ha ceduto il 3,5 per cento. Non va meglio a Wall Street dove i mercati non si sono ripresi dal drastico ribasso registrato venerdì 5, quando il Nasdaq ha chiuso perdendo il 3,4% e il Dow Jones l’1,29 per cento. A un’ora dall’apertura i listini americani perdono già più di 2 punti percentuali e hanno trascinato ancora più in basso i listini europei con i principali titoli bancari in profondo rosso, da JP Morgan a Goldman Sachs, passando per Bank of America, Citibank e Wells Fargo. L’ansia, tra i trader, riguarda le stime sulla crescita globale e il prezzo del petrolio sceso sotto i 30 dollari al barile.

Tra i titoli italiani che hanno pagato le conseguenze più pesanti spiccano Saipem, nel mirino per la ricapitalizzazione in corso, che ha perso il 25% a 0,38 euro, mentre Mps è crollata dell’11% a 0,519 euro, valore vicino al minimo storico. Anche Bper ha accusato un ribasso dell’11,9%, seguita da Ubi e Poste italiane che hanno ceduto entrambe il 10,4%. Poco distante Carige (-10,1%) mentre Unicredit con un -5,82% è arrivata vicino alla soglia psicologica dei 3 euro per azione.

Torna a salire anche la febbre del debito sovrano come dimostra l’andamento dei titoli di Stato italiani a dieci anni che pagano l’1,7% di interessi contro lo 0,22% del Bund tedesco per uno spread salito così fino a 148 punti base, sui massimi da luglio scorso. In salita anche il differenziale di rendimento tra i titoli spagnoli e i tedeschi, che ha superato i 155 punti base, mentre il divario tra i Bond del Portogallo e il Bund si è ampliato a 315 punti base, ai massimi da marzo 2014.


http://www.ilfattoquotidiano.it/2016/02 ... e/2444143/