Diario della caduta di un regime.

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camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

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NELL'ITALIETTA ALLO BANDO E ALLO SFASCIO SUCCEDE ANCHE QUESTO




LA LETTERA
Caso Cucchi: "I periti hanno paura della verità sulla morte di mio fratello"

"La perizia riconosce finalmente l'esistenza delle fratture sul corpo di mio Stefano e i danni che hanno causato. Ma poi si contraddice per il timore delle conseguenze politiche. Ecco perché si parla di epilessia". L'intervento di Ilaria Cucchi per l'Espresso
DI ILARIA CUCCHI
05 ottobre 2016
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Dopo dieci mesi è finalmente arrivata la perizia Introna.

Non avevamo certo fatto mistero del fatto che avevamo più di un motivo per nutrire forti perplessità sulla libertà di giudizio del professor Introna per via della sua appartenenza alla Massoneria, sia pure "in sonno", per i suoi trascorsi politici legati ad uno schieramento politico nelle cui file vi erano alcuni esponenti di spicco che mai erano stati teneri con Stefano. L'onorevole La Russa, in testa, che quando morì mio fratello si affrettò ad escludere in modo pubblicamente perentorio la responsabilità dei Carabinieri. Lo fece come Ministro della difesa.

Vi era poi la evidente inimicizia tra il perito Introna ed il nostro consulente professor Fineschi che aveva spinto il secondo a rinunciare all'incarico lasciandoci da soli, ad alimentare ulteriormente la nostra inquietudine.

Le modalità poi con le quali si sono tenute le riunioni peritali non mi hanno certamente tranquillizzata. Ora abbiamo una perizia che tradisce in modo evidente quella incapacità intellettuale di prendere una posizione netta di fronte alla verità.

La semplice verità che può essere riassunta in una breve e serrata sequela di accadimenti che riassumo nell'esatto modo che emerge da ogni verbale, da ogni carta, da ogni voce del processo: Stefano è stato arrestato il 15 ottobre del 2009 dopo essere uscito dalla palestra dove si allenava regolarmente, è stato poi sottoposto ad violentissimo pestaggio nel quale venivano fratturate due vertebre della colonna vertebrale, è stato poi per questo fatto portare al pronto soccorso del Fatebenefratelli dai sanitari del carcere di Regina Coeli "con estrema urgenza". È finito ricoverato al Sandro Pertini dove, sei giorni, dopo è morto.

Non occorre essere scienziati per capire cosa è accaduto e perché.

Il professor Introna ed il suo collegio hanno finalmente riconosciuto l'esistenza di quelle stesse fratture che erano state diagnosticate persino dai medici della struttura sanitaria coinvolta nel suo decesso.

Introna ed il suo collegio hanno finalmente riconosciuto il fatto che quelle fratture vertebrali avessero provocato danni neurologici tali paralizzargli la vescica, andando a determinare la formazione di quell'agghiacciante e drammaticamente visibile globo vescicale.

Il professor Introna ed il suo collegio peritale hanno infine riconosciuto l'evidenza di ciò che da anni noi andiamo sostenendo: è stato quel globo, è stato quel danno provocato che hanno innescato il meccanismo biologico letale che ha fermato il suo cuore.

Queste sono le preziose verità scientifiche che il perito è stato costretto a riconoscerci.

Ma poi il perito ha avuto paura. Paura delle conseguenze "politiche" che avrebbero avuto queste verità tanto evidenti da essere banali. Verità per le quali ho avuto la sensazione in questi anni che non si dovesse mai, a tutti i costi, dichiarare.

Allora il perito mette le mani avanti e dice che non è possibile comunque arrivare con certezza ad una sicura causa di morte ma si possono formulare solo ipotesi.

Allora il perito ipotizza anche una più "rassicurante" epilessia che potrebbe aver portato via Stefano, dando a questa ipotesi maggior credibilità, salvo poi affannarsi a precisare, mettendo le mani avanti, che non vi sono assolutamente elementi obiettivi che possano confortarla, e che da sola, senza le condizioni estremamente precarie di mio fratello non avrebbe mai potuto portarlo a morte.

Allora il perito si affanna a rassicurare tutti noi che i traumi inflitti a Stefano Cucchi non hanno avuto alcun ruolo sulla sua morte. Insomma non si tratta di un omicidio.

E questo vale anche e soprattuto per il "pericolosissimo" globo vescicale. Ma perché se poco prima ha detto esattamente il contrario? Perchè se i sanitari lo avessero curato, lo avessero svuotato, Stefano non sarebbe morto.

Lascio a voi ogni commento. Non sono una giurista e faccio affidamento sui magistrati della Procura.
Ma una cosa la posso dire.

Sembra proprio che il perito Introna abbia paura della verità.
camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

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ESCLUSIVO
Caso Cucchi, parla il carabiniere: "Lui ucciso, io isolato"

Parla, per la prima volta, il militare che ha denunciato i pestaggi dei 
colleghi su Stefano. E accusa esponenti dell'Arma: «Adesso subisco pressioni e soprusi»
DI GIOVANNI TIZIAN
26 luglio 2016
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Quattordici maggio 2015. Una data spartiacque per l’appuntato scelto dei carabinieri Riccardo Casamassima. È uno dei pochi a conoscere la verità sul caso Cucchi. Dopo una notte insonne, a valutare conseguenze e possibili ripercussioni, il caffè scioglie gli ultimi dubbi e le insicurezze della sera prima. Si veste ed esce di casa per incontrare Fabio Anselmo, l’avvocato di Stefano Cucchi. Con lui c’è la convivente, anche lei nell’Arma. E come lui a conoscenza di alcuni segreti sulla morte del geometra romano, fermato da una pattuglia il 15 ottobre 2009 per possesso di droga e morto sei giorni dopo all’ospedale Pertini di Roma. Casamassima ha 38 anni, indossa la divisa da quando ne ha 19.

Bussa alla porta di Anselmo, dunque. Lì confessa per la prima volta ciò di cui era venuto a conoscenza. Ma è necessario un passo ulteriore per formalizzare le accuse. Perciò il 30 giugno del 2015 lo convoca il pm Giovanni Musarò, che coordina l’indagine bis sul trentenne pestato selvaggiamente da uomini in divisa. La prima inchiesta ha portato a un nulla di fatto. Tutti assolti gli agenti penitenziari. E l’appello bis concluso la settimana scorsa ha scagionato i medici del Pertini.

Insomma, trascorsi sette anni ancora nessun colpevole. L’enigma da risolvere è scritto nelle motivazioni che giudici di Cassazione e di Appello hanno prodotto negli anni: Stefano Cucchi è stato, senza dubbio, picchiato. Per questo, come sostiene la Suprema corte, sarà necessario ripartire dalle testimonianze che fornivano più di qualche indizio su picchiatori vestiti da carabinieri. Da questo dato di fatto è ripartita la procura guidata da Giuseppe Pignatone per aprire il nuovo fascicolo. Certo, né la sorella di Stefano, Ilaria Cucchi, né l’avvocato della famiglia, né i pm, potevano immaginare di poter contare su un teste commilitone dei presunti autori del pestaggio. Militare che sostiene di aver ricevuto le confidenze del superiore- il maresciallo Roberto Mandolini- dei presunti colpevoli. Il maresciallo è uno dei cinque indagati. A lui e a Vincenzo Nicolardi viene contestato il reato di falsa testimonianza. Per gli altri tre - Alessio Di Bernardo, Raffaele D’Alessandro, Francesco Tedesco - i pm ipotizzano il reato di lesioni. Accusa che potrebbe mutare all’esito dell’incidente probatorio, se la nuova perizia dovesse stabilire che Cucchi è morto a causa dei pugni e dei calci ricevuti.

Tra il 2008 e il 2010 Casamassima era in forza al comando di Tor Vergata. Proprio da qui era stato trasferito Mandolini con destinazione caserma Appia, la stessa da cui partiranno gli agenti per arrestare Stefano. Un mese dopo il trasferimento, Mandolini, tornò nella sua vecchia “casa” ufficialmente a salutare il comandante. Tuttavia, stando al racconto dell’appuntato, il passaggio a Tor Vergata non era un gesto di cortesia: piuttosto era dovuto a questioni più urgenti e “critiche”. «Quando lo vidi nella caserma lui si mise una mano sulla fronte, poi esclamò: “È successo un casino i ragazzi hanno massacrato di botte un arrestato”», conferma a “l’Espresso” quanto già messo a verbale in procura. «Dopo di che si recò a passo spedito verso l’ufficio del comandante della stazione, il maresciallo Enrico Mastronardi», prosegue Casamassima. E qui avrebbe confessato “il casino” al superiore, indicando il nome del ragazzo pestato dai colleghi.

A sentire quelle parole, e il cognome Cucchi, è stata la convivente dell’appuntato. Insieme hanno deciso di denunciare. La donna si trovava nella stanza prima che Mandolini entrasse. E mentre si dirigeva verso l’uscita il maresciallo aveva iniziato già a parlare. Non si ricorda il giorno esatto della visita, l’appuntato. Ma di una cosa è certo: «Cucchi era ancora vivo». Riferisce, inoltre, dell’incontro avuto con il figlio di Mastronardi, anche lui nell’Arma. «Mi disse di aver visto Cucchi la sera dell’arresto, e di aver constatato che era ridotto male a causa delle botte ricevute dai colleghi del comando Appia. Disse: non puoi capire come me l’hanno portato, era messo proprio male». Mastronardi junior, però, sentito dai magistrati non ricorda di aver pronunciato quelle parole, ma non esclude di aver sentito voci di caserma sul fatto: «Non posso escludere di aver partecipato ad una conversazione fra colleghi nella quale si diceva che Cucchi avesse subito un pestaggio dai colleghi di Roma Appia, ma in questo momento non ricordo bene».

Il racconto di Casamassima troverebbe conferma anche nella testimonianza, agli atti dell’inchiesta, del militare, Stefano Mollica, che ha accompagnato Cucchi in tribunale: «Come ho già riferito in precedenza, il gonfiore del viso di Stefano Cucchi faceva impressione, io non ho mai visto niente del genere in vita mia».
Perché Casamassima ha deciso di parlare solo ora? A distanza di anni? «Non ho più seguito il caso Cucchi e solo pochi mesi fa, essendo in convalescenza, ho visto in televisione la sorella di Stefano Cucchi. In quel momento ho trovato la forza di dire tutto ciò che sapevo».

L’appuntato ai magistrati ha anche indicato una chiave di lettura sui trasferimenti di alcuni colleghi all’interno dell’Arma. Sostiene che esistono trasferimenti premio e altri punitivi. Nel caso di Mandolini, per esempio, il suo spostamento al battaglione Tor di Quinto rientrerebbe nella seconda categoria: «Il battaglione e la Compagna speciale sono reparti con tanti colleghi che hanno problemi con la giustizia. E Mandolini non aveva neppure i requisiti per fare domanda, non aveva per esempio meno di 35 anni, per questo deduco che è stato un trasferimento d’ufficio, cioè punitivo».

Anche Casamassima è stato trasferito. Il paradosso, però, è che i vertici l’hanno mandato nello stesso ufficio del maresciallo Mandolini. Ora convivono, denunciante e denunciato. Ciò che preoccupa di più il militare, però, è la distanza, 45 chilometri, che deve percorrere ogni giorno. Per questo ha tentato di chiedere il trasferimento sfruttando la legge sul ricongiungimento famigliare. La richiesta è partita dopo la notizia della sua testimonianza in procura. L’appuntato ha due figli e una compagna che vivono appena fuori Roma. Ne avrebbe diritto, ci spiega durante l’incontro. Niente da fare, però: «La domanda per riavvicinarmi a casa è stata approvata da tutti gli ufficiali territoriali, poi una volta arrivata al comando generale è stata respinta».

Ma i guai per l’appuntato iniziano ben prima della denuncia sul caso Cucchi. Nel 2014 ha presentato una denuncia dettagliata, letta da “l’Espresso”, alla procura militare. Una relazione con nomi e cognomi di chi tra i suoi colleghi dell’ultima stazione avrebbe superato lo steccato di ciò che è lecito. Con dovizia di particolari indica militari assenteisti, altri che gestirebbero aziende intestate alle mogli, altri ancora in affari con Onlus. Racconta persino di “buste” con soldi. La denuncia è ferma sul tavolo degli inquirenti da due anni. Un fascicolo è stato aperto, ma per ora, senza alcuno sviluppo.

Intanto lui sta affrontando un processo al tribunale di Roma, per una serie di omissioni nella gestione degli informatori. Già, perché, come ripete spesso, è uno “sbirro” di strada. Ha condotto numerose operazioni. Lavorava soprattutto con informatori. Fonti sempre borderline. Tra i suoi contatti anche personaggi di calibro del milieu delle borgate romane. Questo è l’argomento che i suoi nemici usano più spesso: «Ma chi? Casamassima? Ha solo voglia di vendicarsi», racconta. Eppure per i pm di Roma il suo racconto è credibile. A loro nell’estate 2015 confessava: «Avrei preferito tenere fuori la mia donna, temo forti ripercussioni all’interno dell’Arma».

Un anno dopo queste ultime parole si ritrova a lavorare con il collega che avrebbe coperto il pestaggio di Cucchi, lontano dalla famiglia e con un procedimento disciplinare aperto successivamente alla testimonianza, per un vecchio danno all’auto di servizio. Per questo si appella al comandante generale Tullio Del Sette: «Lo ritengo un militare scrupoloso e capace. Vorrei solo che lui ascoltasse le nostre ragioni».
camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

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INCHIESTA
Il caso Cucchi e i segreti della massoneria
Del collegio di esperti che dovrà fare la nuova perizia sul corpo di Stefano fa parte un professore ex massone. "In sonno" dal 1983. Sulla vicenda è stata aperta un'indagine, ora archiviata. Ma la procura ha acquisito i documenti ufficiali della Loggia di Bari. Dal giuramento alla costituzione massonica. Materiale inedito e segreto che apre le porte del Grande oriente
DI GIOVANNI TIZIAN
12 aprile 2016
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«Certificato di apprendista numero 33547. Loggia Saggezza Trionfante 984 Bari. Grande Oriente d'Italia. Con fraterni saluti». Il documento del 1980 attesta l'affiliazione di Francesco Introna, ordinario di Medicina Legale dell'Università di Bari. Perito in importanti processi, come il caso Claps, consulente di parte per Raffaele Sollecito. E nominato nel collegio dei periti per l'incidente probatorio nell'inchiesta bis sulla morte di Stefano Cucchi che vede indagati cinque carabinieri. E proprio in quest'utlima sede, durante la prima udienza, l'avvocato Fabio Anselmo della famiglia Cucchi ha sollevato la questione dell'incompatibilità di Introna vista la sua presunta fede massonica e la passata candidatura nel 2009 nelle fila del Pdl alle comunali di Bari. Fazione politica che su Stefano Cucchi ha dimostrato, con dichiarazioni e prese di posizione, una profonda ostilità.

L'affiliazione massonica del perito è finita così in una denuncia presentata in procura dalla famiglia del geometra romano. Dopo un'approfondita verifica di atti e documenti, l'indagine è stata chiusa e per Introna è stata richiesta l'archiviazione: «L'accusa non potrebbe essere sostenuta in giudizio per evidente carenza dell'elemento soggettivo del delitto ipotizzato». In pratica, Introna, ha sì dichiarato il falso davanti al giudice, affermando di non essere nemmeno più “in sonno”, ma l'ha fatto senza dolo. Perché convinto di quella sua affermazione. Introna è stato un libero muratore ufficialmente fino al 1983. Poi, come emerge dai documenti acquisiti dai magistrati, risulta “assonnato”.

Non c'è dunque motivo per dubitare della buona fede del professore. Potrà così continuare a fare parte del pool che dovrà svolgere una nuova perizia sul corpo di Stefano Cucchi, morto nell'ottobre 2009 dopo l'arresto per possesso di droga. Messa da parte la vicenda specifica, il materiale inviato dal Grande Oriente ai pm del caso Cucchi apre le porte di un mondo misterioso e segreto. Tessere di iscrizione, codici scritti, la costituzione massonica, elenchi, simboli esoterici e timbri ufficiali di maestri venerabili. Tutto materiale che “l'Espresso” ha potuto consultare.

IL PRIMO CONTATTO

«Mi laureai nel 1979, e quell'anno all'interno dell'istituto di Medicina Legale di Bari conobbi due colleghi, i quali erano iscritti alla Loggia Saggezza Trionfante. Uno di questi si chiamava Roberto Gagliano Candela (medico luminare ndr). Sentendoli parlare della Loggia ritenni l'argomento interessante e, presentato, da questi due colleghi mi iscrissi alla medesima nel 1980». Francesco Introna ripercorre davanti ai magistrati romani i giorni del reclutamento massonico. «Aggiungo che la mia convinzione di essere stato espulso dalla massoneria risultava confermata dal fatto che un paio di anni fa ricevetti l'onorificenze di Commendatore per meriti professionali e in questo caso la mia persona fu oggetto di accertamenti da parte dei carabinieri su incarico della prefettura. Perciò ritengo che se io fossi stato in “sonno” questa circostanza sarebbe venuta fuori. Invece i carabinieri non mi chiesero nulla».

Sul significato dell'essere “assonnato” gli inquirenti chiedono spiegazioni al gran maestro del Goi, Stefano Bisi. Convocato a piazzala Clodio negli uffici della procura risponde dettagliatamente alle domande. «La collocazione in “sonno” viene comunicata con raccomandata con ricevuta di ritorno. I fratelli attivi partecipano alle riunioni e pagano una quota, il fratello in “sonno” e quello depennato hanno comunque l'obbligo di lealtà nei confronti degli altri fratelli, così come risulta dall'articolo 9 della Costituzione del Grande oriente d'Italia». Poi, Bisi, riferisce delle quote d'iscrizione: «L'importo dovuto è predeterminato, non si tratta comunque di importi considerevoli, vari da 400 a 500 euro l'anno, a seconda della singola loggia.

IL GIURAMENTO E IL TESTAMENTO

«Io Francesco Introna liberamente, spontaneamenti, con piano e profondo convincimento dell'animo, con assoluta e irremovibile volontà, alla presenza del Grande Architetto dell'Universo, sul mio onore e in piena coscienza solennemente giuro: di non palesare i segreti dell'iniziazione muratoria, di aver sacri l'onore e la vita di tutti; di soccorrere, confortare e difendere i miei fratelli; di non professare principi che osteggiano quelli propugnati dalla Libera Muratoria». Il giuramento è impresso su una pergamana con la firma del venerabile maestro. E risale al 1980. L'atto ufficiale è successivo alla votazione, con scrutinio delle schede su cui ogni fratello vota il “gradimento” del nuovo adepto.

A seguire il testamento, altro passaggio fondamentale per entrare a far parte della loggia. Si tratta di una seconda pergamena in cui l'iniziato risponde alle domande sulle regole di comportamento generale che i fratelli devono tenere: «Quali sono i doveri dell'uomo verso se stesso? Migliorarsi in continuazione; Quali sono i doveri verso la Patria? Amarla. Rispettarla; Quali sono i doveri verso l'umanità? Porsi al suo servizio per essere utile».

LA COSTITUZIONE E LE REGOLE

Di Dio e la religione; Del magistrato civile supremo e subordinato; Delle Logge; Dei maestri, sorveglianti, compagni e apprendisti; Della condotta dell'Arte nel lavoro; Del Comportamento. Questi sono i titoli generali della Costituzione della libera muratoria del Goi. Al punto 3 del capitolo sul Comportamento è spiegato l'atteggiamento da tenere nel caso in cui due “fratelli” si incontrano non in una loggia e senza estranei: «Vi dovete salutare l'un l'altro in modo cortese, chiamandovi fratello l'un l'altro, liberamente fornendovi scambievoli istruzioni che possano essere utili, senza essere visti o uditi e senza prevalere l'uno sull'altro o venendo meno al rispetto dovuto a ogni fratello».

Al punto successivo, invece, le istruzioni sul come comportarsi in presenza di non massoni: «Sarete cauti nelle vostre parole e nel vostro portamento affinché l'estraneo più accorto non possa scoprire o trovare quando non è conveniente che apprenda; e talvolta dovrete sviare un discorso e manipolarlo prudentemente per l'onore della rispettabile Fratellanza». Ma cosa fare davanti a uno straniero? «Lo esaminerete cautamente, conducendovi secondo un metodo di prudenza, affinché non siate ingannati da un ignorante falso pretendente, che dovrete respingere con disprezzo e derisione». Se lo straniero è degno di affiliazione, invece, cambia tutto: «Dovete allora rispettarlo e se egli ha bisogno dovete aiutarlo se potete oppure indirizzarlo dove possa venire aiutato: dovete occuparlo per qualche giornata di lavoro oppure raccomandarlo perché venga occupato. Ma non siete obbligato a fare oltre la vostra possibilità».

Può anche succedere però un litigio tra fratelli o tra affiliati e “stranieri”. Che fare? Anche per questo il regolamento è chiaro:«Non consentite agli altri di diffamare qualsiasi onesto fratello...E se qualcuno vi ingiuria dovete rivolgervi alla vostra o alla sua loggia e dopo appellarvi alla Gran Loggia annuale, come è stato l'antico lodevole costume dei nostri antenati in ogni nazione. Non dovete intraprendere un processo legale a meno che il caso non possa venire risolto in altro modo e pazientemente affidatevi all'onesto e amichevole consiglio del Maestro e dei Compagni, allorché essi vogliono evitare che voi compariate in giudizio contro estranei...Amen così sia». Insomma, le questioni è meglio risolverle in Loggia. Tra fratelli.

LA COLPA MASSONICA

I liberi muratori una volta giurato sono sottoposti alla giustizia massonica dell'Ordine: «E vi restano soggetti anche se non più attivi». È l'articolo 56 del titolo X, “Della Giustizia massonica”, della costituzione del Goi. I fratelli possono sbagliare, come tutti gli esseri umani. Perciò il regolamento prevede delle “colpe massoniche” e pene collegate. «Costituiscono colpa massonica: ogni azione contraria alla lealtà, all'onore o alla dignità della persona umana». I provvedimenti sono tre: Espulsione, censura solenne e censura semplice. A giudicare i cattivi massoni sono gli organi interni: il tribunale della loggia; tribunale dei Colleggi dei maestri venerabili; la corte centrale del Grande oriente.

LA FIDUCIA

Fidarsi l'uno dell'altro. Per chi è dentro una loggia, questo è un presupposto imprescindibile. La fiducia deriva dalla modalità “sicura” di affiliazione. Il neofita è sempre presentato da almeno tre fratelli anziani. Ognuno dei quali deve mettere per iscritto, su un modulo, le motivazioni della scelta. Tendendo però presente le regole del buon massone: «Moralità, costumi e reputazione; probità costante nel corso della vita; esattezza nel disimpegno dei doveri del proprio stato; fermezza di carattere nei principi professati; cultura, impegno, attitudini a penetrare e assimilare la dottrina massonica». Inoltre, chi presenta il nuovo arrivato deve specificare se questo appartiene «ad associazioni di carattere ricreativo, filantropico, benefico, religioso, politico, culturale o di altra natura; se ha avuto eventuali cariche in enti e altre notizie eventuali sulla persona». La radiografia del pretendente è approfondita. Ma spesso, come ha insegnato la storia passata e recente, non è stata sufficiente a rintracciare “l'intruso”, con interessi che poco hanno a che fare con la il rispetto dell'umanità.
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MASSONERIA STEFANO CUCCHI
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camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

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IN QUESTO MOMENTO IL NEMICO NON E' L'ISIS, MA QUESTA EUROPA E QUESTI EUROPEI. OLTRE CHI LI PILOTA DA OLTRE ATLANTICO.




Conti e banche, commissario Ue Moscovici: “In Italia c’è minaccia populista, sosteniamo gli sforzi di Renzi”

Lobby
di F. Q. | 6 ottobre 2016
COMMENTI (3)

In Italia “c’è una minaccia populista. E’ per questo che sosteniamo gli sforzi di Renzi affinché sia un partner forte all’interno dell’Ue”. Parola del commissario europeo agli Affari Economici, Pierre Moscovici, in un’intervista a Bloomberg a margine dei lavori del Fondo Monetario Internazionale. “Ho fiducia che l’Italia, come sempre, se la caverà e risolverà i suoi problemi con il nostro aiuto”, ha detto ancora il commissario riferendosi ai problemi di bilancio e del sistema bancario della Penisola.

Quanto alla concretezza dell’aiuto Moscovici intervenendo all’Atlantic Council a margine dei lavori del Fmi, non si è esposto sulle spine del sistema bancario italiano con il caso MontePaschi, ma anche quello di Unicredit e delle quattro banche salvate un anno fa. Ha dato una grande apertura sui conti pubblici del Paese e sul tema della flessibilità: “Abbiamo detto chiaramente cosa è la flessibilità nel gennaio 2015. Dobbiamo incoraggiare i Paesi che creano molti investimenti, lo abbiamo fatto con l’Italia. Aiutare i Paesi che portano avanti riforme strutturali affinché possano avere più tempo, lo abbiamo fatto con l’Italia – ha dichiarato -. Abbiamo detto che saremmo pronti a considerare spese per la crisi di rifugiati o un terremoto o un Paese che soffre attacchi terroristici come il Belgio. Si tratta di flessibilità precise, limitate e chiaramente spiegate. In generale un Paese deve rispettare i criteri e ridurre il debito, è il principale problema di Italia e Belgio”.

Questo, populismi a parte, perché secondo Moscovici “questa commissione non vuole sanzionare. Le sanzioni sono sempre un fallimento. Lo sarebbe per le regole perché dimostra che non funzionano, lo sarebbe per un Paese”. Il segnale, sostiene il commissario, “sarebbe stato un disastro su Spagna e Portogallo, avrebbe indicato un fallimento, che non stiamo costruendo fiducia”. Moscovici si è quindi detto orgoglioso di non aver punito Spagna e Portogallo. “Non crediamo che le sanzioni vadano evitate se sono evitabili ma devono essere evitate se possiamo fare meglio”, ha aggiunto, Moscovici sostenendo che sanzionare è meglio avviare un dialogo e cercare un compromesso.
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da camillobenso »

Le promesse sono veloci. Le risposte concrete molto meno.

Il 13 settembre, nel pieno dello scandalo sollevato dall'inchiesta de l'Espresso sull'inferno del Cara di Foggia, il ministro dell'Interno Angelino Alfano si affrettò a promettere «una task force operativa che farà un check-up straordinario di tutte le strutture di accoglienza di migranti presenti in Italia». Il 26 settembre ribadì: «Stiamo lavorando a una task force per controllare che i centri funzionino».

Il problema è che quel compito, le prefetture, l'avrebbero già. Non solo. Il ministero dell'Interno dall'ottobre del 2014 ha (avrebbe, almeno) il dovere, sempre per legge, di pubblicare a giugno di ogni anno una relazione dettagliata sulle strutture. Con nomi, costi, numeri. E non l'ha mai fatto. «È un silenzio grave», spiega Davide Mattiello, deputato indipendente del Pd che firmò l'emendamento che obbliga l'Interno a elaborare quel rapporto, e che ha presentato conKhalid Chaouki anche un'interrogazione parlamentare su Foggia: «L'anno scorso, non ha mandato nulla. Solo a marzo del 2016 è arrivata una lista generica, aggregata per province, senza i dati richiesti, e i pochi presenti vecchi di due anni».
Secondo la legge entro il 30 giugno di ogni anno Angelino Alfano e il suo ministero dovrebbero infatti rendere noti: «il numero delle strutture, la loro ubicazione e le caratteristiche di ciascuna, nonché le modalità di autorizzazione, l’entità e l’utilizzo effettivo delle risorse finanziarie erogate e le modalità della ricezione degli stessi». Niente di tutto questo è mai stato reso noto, organicamente, a livello nazionale. «Eppure la lista sarebbe il primo passo necessario per avere una visione completa del sistema d'accoglienza. E quindi, programmare la vigilanza», continua Mattiello: «Anche quest'anno, l'aspettiamo da tre mesi. Ci dicono sia pronta ma ferma al ministero delle Finanze. Restiamo in attesa».
Il rapporto – se realizzato come prevede l'emendemanto - servirebbe a capire dove e come, nel dettaglio, vengono spese le centinaia di milioni di euro drenati dalle strutture “straordinarie”, pagate direttamente dalle prefetture, e che ospitano oggi oltre 110mila persone. Milioni che – come ha segnalato il Corriere della Sera – starebbero scarseggiando. «Alla prefettura di Torino ci hanno segnalato già un significativo ritardo nei pagamenti da Roma», segue Mattiello: «Non è chiaro però se i problemi siano gli stessi in tutto il territorio. Così come le spese». Ogni bando infatti viene gestito in maniera diversa. Con costi saldati e servizi diversi. E i controlli? «Stanno nel dovere normale, istituzionale delle prefetture», conclude il deputato. Eppure mancano. Anche quelli.
camillobenso
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da camillobenso »

L'ITALIETTA DI PINOCCHIO



ONOREVOLI PER CASO
“Le leggi? Votiamo
di tutto, che cosa
ne sappiamo noi”

di CAPORALE A PAG. 19
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

Dalla prima pagina de Il fatto Quotidiano



INTERCETTAZIONI Il pm della Trattativa condannato a morte
“Di Matteo lo devono
ammazzare al tennis”



Che farà questo Stato inetto, lo lascerà morire come Falcone e Borsellino??????
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

.....DI TRUFFA IN TRUFFA.....


ELEZIONI FINTE La Casta si nomina le Città metropolitane: sindaci in minoranza
La barzelletta delle ex-Province: la riforma fallita prima del voto
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

Renzi vede la fine del Pd: "Li saluterò da lontano"
La strategia se perde il Sì: governo di scopo guidato da Padoan e resa dei conti al congresso


Laura Cesaretti - Mer, 12/10/2016 - 08:25
commenta
Che vinca il Sì o vinca il No, una cosa è chiara: dopo il referendum, il Pd non sarà più quello di oggi.


La rappresentazione plastica della frattura profonda che divide il principale partito italiano l'hanno data ieri quei militanti del Pd che lunedì, davanti al Nazareno, si sono spontaneamente riuniti («Magari fossimo così bravi da organizzare queste cose», dicono i renziani) e hanno contestato con durezza gli esponenti della minoranza Pd, da Roberto Speranza, accolto al grido di «Ma vai a lavorare!», ai vari Bersani, Cuperlo, Gotor eccetera: «State rompendo il nostro partito, volete solo bloccare tutto e far perdere il vostro segretario». Un segnale di esasperazione della base democrat contro la fronda interna che non è sfuggito a Matteo Renzi: «Una cosa è sicura: non consentirò che si blocchi il paese per fare contenti quelli della minoranza Pd», commenta lui. Il premier sa bene che il dissenso dei vari Bersani, Speranza e D'Alema non ha nulla a che fare con il merito della riforma costituzionale o della legge elettorale. Ad animare la fronda interna è «una profonda avversione, del tutto pre-politica, per un leader estraneo alla Ditta ex Pci, che non risponde ai riflessi pavloviani di quella scuola e che ha strappato la loro coperta di Linus identitaria», secondo l'analisi di uno dei consiglieri renziani.
Dunque, il premier ha ben chiaro che l'intento dei suoi avversari interni è quello di cavalcare comunque la battaglia del No alla riforma che loro stessi hanno votato, per poi scalzarlo prima da Palazzo Chigi e poi dalla segreteria del partito. Il ramoscello d'ulivo del «comitato» interno per le modifiche all'Italicum serve solo a levare a Bersani e compagni «l'alibi» che usano per motivare il No dopo aver votato la riforma e sostenuto pubblicamente le ragioni del Sì. «Voto Sì perché correggere il bicameralismo è importante, nella riforma ci sono cose molto buone e nell'insieme è un passo avanti», sosteneva convinto Bersani, solo pochi mesi fa, intervistato in tv. Il testacoda dell'ex segretario Pd, che ora dice di voler votare No, è motivato dal timore che, in caso di sconfitta del premier il 4 dicembre, sia l'alfiere anti-riforma della prima ora, Massimo D'Alema, a gestire il post referendum a sinistra al posto suo. Un dopo referendum sul quale, ovviamente, riflette anche Renzi, consapevole del rischio di implosione del Pd. «Se perdiamo, quelli cominceranno a litigare su chi ha ucciso il Pd, e io li saluterò da molto lontano», si sfoga nei momenti di massima esasperazione per la «sindrome Tafazzi» del centrosinistra. In realtà, lo scenario su cui ragionano a Palazzo Chigi in caso di vittoria del No prevede un Renzi assai più vicino e presente: dimissioni immediate da capo del governo, varo di un «governo di scopo» dall'orizzonte assai breve (giugno 2017?) per fare una legge elettorale, con a Palazzo Chigi un nome che abbia ovviamente l'avallo del segretario Pd, come ad esempio quello di Pier Carlo Padoan. Poi il congresso, nel quale Renzi cercherà di farsi dare una nuova legittimazione da leader, e la minoranza cercherà di dargli il colpo di grazia e «riprendersi il partito». Ai bersanian-dalemiani manca allo stato un piccolo particolare: un candidato abbastanza forte da poter essere contrapposto a Renzi. Ed è già in corso un corteggiamento pressante verso Enrico Letta, l'unico - nelle loro speranze - potenzialmente in grado di rompere l'attuale maggioranza bulgara renziana nel Pd.
UncleTom
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Re: Diario della caduta di un regime.

Messaggio da UncleTom »

.......VESTIVAMO ALLA CARCIOFARA.........

SENZA MATTEO BIS
IL COLLE PUNTERA'
SU CANTONE


di Giancarlo Mazzuca
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