gli ultimi giorni di Berluscò
«Non prendiamo ordini dalla Santanché»
Al Senato inizia la conta in vista del Letta bis
Tra i democratici c'è chi si prepara a dare vita a una nuova maggioranza: basterebbero 20 «transfughi» pdl
ROMA - «Un conto è Silvio Berlusconi, che detta la linea politica e rispetto a cui noi saremo leali sempre. Altra cosa sono le posizioni di Daniela Santanché, dalla quale non prendiamo ordini». La spaccatura c'è. E comincerà a vedersi molto presto visto che ieri mattina, davanti all'ennesimo capitolo della controffensiva della «Pitonessa», i ministri del Pdl hanno concordato una posizione comune. «Una cosa sei tu, un'altra cosa è Daniela», è la sintesi del messaggio recapitato telefonicamente ad Arcore. Il cui sottotesto, riassunto da uno dei ministri, è che «d'ora in poi le colombe» non accetteranno «al buio» che la nuova Forza Italia venga «consegnata chiavi in mano» alla Santanché. Un tema sul quale la pattuglia di ministri del Pdl, adesso, chiede a Berlusconi che si faccia «chiarezza».
La stessa chiarezza ostentata ieri, in un'intervista rilasciata al Quotidiano Nazionale, da Altero Matteoli, uno che da anni non s'è mai allontanato di un millimetro dal berlusconismo ortodosso. «Noi possiamo anche togliere il sostegno al governo. Ma non possiamo fingere di non sapere che il primo atto di una eventuale crisi non sarebbero le consultazioni ma le dimissioni di Napolitano», è il pensiero dell'ex ministro. Che tra l'altro ha pure aggiunto che, in caso di crisi di governo, «rischiamo di ritrovarci con Romano Prodi al Quirinale». L'esatto contrario della provocazione con cui la Santanché, domenica alla Versiliana, aveva messo a verbale la sua «preferenza» per il Professore rispetto all'attuale inquilino del Quirinale.
Che uno smottamento dentro il Pdl sia possibile, sempre nel caso in cui Berlusconi opti per la linea dura, ormai l'hanno capito anche dentro il Pd. Dove ci sono lavori in corso per creare una «rete di protezione» su Palazzo Chigi che potrebbe anche portare - nell'ordine - a una nuova maggioranza e a un nuovo governo guidato da Enrico Letta.
«Adesso ci sono cose che non si vedono perché stiamo a riposo. Ma questa situazione è come l'elettrocardiogramma. La verità si scopre sempre sotto sforzo», sussurra Giorgio Tonini, uno dei parlamentari del Pd meglio sintonizzati con le antenne del Quirinale. Il senatore non fa esplicitamente riferimento a colleghi del Pdl che possano smarcarsi da Berlusconi. Ma una cosa la dice: «Napolitano non contempla la crisi di governo. È il segno che chiunque si assume la responsabilità di farlo cadere, imboccando quella strada sa come entra ma non sa come esce». In fondo, è la stessa tesi su cui medita Marco Meloni, uno dei deputati più vicini al presidente del Consiglio. «La forza di Berlusconi sono sempre stati i suoi voti. Ma questi voti, adesso, ce li ha anche perché sostiene un esecutivo che prova a portare il Paese fuori dai guai. Se prova a staccare la spina, un pezzo di elettorato si staccherà da lui».
I lettiani la buttano sulla «slavina» nell'elettorato berlusconiano. Ma è evidente, anche se nessuno ne parla, che la prima rottura potrebbe materializzarsi tra i parlamentari del Pdl. Basta una ventina di senatori che escano dal gruppo e una maggioranza de-berlusconizzata sarebbe servita. Pronta a garantire quella stabilità, dice Tonini, «che l'Italia adesso non può permettersi di perdere. Soprattutto di fronte a un'opinione pubblica europea che, tra poco, assisterà alle elezioni tedesche».
È l'«effetto Merkel», insomma. Nessuno ha dimenticato come l'anno scorso la Cancelliera tedesca, convocando Monti a una riunione del Ppe, provò a spaccare il Pdl arrivando vicina all'obiettivo. E che cosa succederebbe - si chiede l'ala governista del Pd - se il Ppe, con la Merkel rafforzata da una probabile nuova vittoria elettorale, tornasse a forzare la mano contro un Berlusconi indebolito dalle sentenze? «Succede che il Cavaliere è già finito», mormora Beppe Fioroni. E proprio per questo, aggiunge l'ex ministro della Pubblica Istruzione, «ci penserà bene prima di provocare quella crisi di governo che non conviene neanche e lui». Piuttosto, conclude, «stiamo attenti ai falchi che ci sono nel Pdl e a qualcuno che sta anche nelle nostre file». Fioroni non lo dice ma è evidente che, in cima alle sue preoccupazioni, ci sono i renziani. «Noi speriamo che il governo non cada. Ma se malauguratamente cadesse, non ci rimarrebbe che cambiare la legge elettorale e tornare al voto», scandisce Paolo Gentiloni, confermando che il voto anticipato potrebbe essere una delle possibili fiches che i renziani proveranno a lanciare sul tavolo verde.
Renzi, per adesso, sta in America e rimane in silenzio. Ma il suo nome, negli ultimi giorni, sarebbe risuonato più volte nelle chiacchierate tra i parlamentari di Sel e il loro leader Nichi Vendola. Se Berlusconi abbandonasse Letta, confessa il capogruppo alla Camera Gennaro Migliore, «noi proveremmo a convincere il Pd a formare un governo di scopo, che faccia la legge elettorale, rifinanzi la cassa integrazione e risolva il problema degli esodati». Per quell'ipotetico governo, anche se nessuno in casa Sel ne parla a microfoni aperti, il nome per Palazzo Chigi in cima ai desiderata di Vendola e dei suoi sarebbe proprio quello del sindaco di Firenze. E questo è uno spettro, l'ennesimo, che anche il Pdl sta cominciando a intravedere. E che fa paura pure a Berlusconi.
20 agosto 2013 | 8:17
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