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Forum per un "Congresso della Sinistra" ... sempre aperto • Diario della caduta di un regime. - Pagina 139
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Re: Diario della caduta di un regime.

Inviato: 22/11/2016, 18:19
da UncleTom
Attenzione, dicendo questo, Renzi, non si limita ad offendere ma è chiaro cosa intende e cosa vuol far intendere.
Se vincerà il si, avrà vinto e continuerà ad avere il banco e dare le carte come prima e più di prima con l'arroganza
che lo distingue.

erding




Questo è fuor di dubbio.

La sua massima aspirazione è fare il DUCE.

La democrazia non esiste nel suo dna.

Non devono incantare le sue chiacchiere fondalmentalmente bugiarde.

Il combinato disposto del cambio della Costituzione e dell’Italicum, appartengo al suo disegno DUCESCO.

Quando si è accorto che poteva vincere il M5S ha fatto retromarcia con l’Italicum.

Non era così quando aveva il vento in poppa alle europee.

Sfruttando quelle elezioni ha cercato di creare l’immagine del vincente.

E’ durata fin quando ha potuto.

Ma poi, la massima di Abramo Lincoln è prevalsa.

Potete ingannare tutti per qualche tempo
e alcuni per tutto il tempo,
ma non potete ingannare tutti per tutto il tempo.


Adesso ovunque vada deve far blindare la città per evitare disordini.

Re: Diario della caduta di un regime.

Inviato: 22/11/2016, 20:46
da UncleTom

GIORNI DIFFICILI.....-12 ALL'ALBA



MENTANA AL TG7 DELLE 20,00 SOSTIENE CHE LA CAMPAGNA ELTTORALE E' STATA LUNGA. TROPPO LUNGA.

EVIDENTEMENTE OLTRE AD ESSERE STATA TROPPO LUNGA, NEGLI ULTIMI GIORNI LA PRESSIONE E' DIVENTATA TROPPO ALTA.

E' PER QUESTO MOTIVO CHE SI REGISTRA UN NOTEVOLE SPAPPOLAMENTO DEI CERVELLI.

CE LO HA DIMOSTRATO OGGI CAZZOLA. DI NOME E DI FATTO.





L'economista Cazzola: "Se Grillo vince le elezioni bisogna prendere le armi"
Cazzola a L'aria che tira: "I carabinieri facciano un colpo di Stato il giorno in cui vincerà le elezioni Beppe Grillo"


Sergio Rame - Mar, 22/11/2016 - 19:38
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"Io credo che con Beppe Grillo bisogna prendere le armi".


A L'aria che tira l'economista Giuliano Cazzola si scaglia contro il leader del Movimento 5 Stelle (guarda il video). E, quando Myrta Merlino prova a fermarlo, lui rincara la dose: "Anzi mi auguro che ci siano i carabinieri che facciano un colpo di Stato il giorno in cui vincerà le elezioni Beppe Grillo".

Cazzola è sì contro Grillo e i suoi supporter, ma è anche profondamente contrario alle riforme costituzionali di Matteo Renzi. E, quando la Merlino gli fa notare che al referendum voterà "no" proprio come Beppe Grillo, lui scuote la testa e dice: "La cosa che più mi fa incazzare è che Renzi mi fa votare no come Beppe Grillo". E spiega: "Io penso che il combinato disposto tra la nuova legge elettorale e la riforma della Costituzione sia il modo di aprire una strada al potere assoluto di Beppe Grillo". "È come se, prima del fascismo, Giovanni Malagodi, Filippo Turati, Alcide De Gasperi e don Luigi Sturzo avessero votato la legge Acerbo e avessero fatto quelle riforme che poi ha fatto il fascismo".

Re: Diario della caduta di un regime.

Inviato: 22/11/2016, 20:56
da UncleTom
GIORNI DIFFICILI.....-12 ALL'ALBA


Referendum, Guerini: "Se vince il No, elezioni anticipate nel 2017"
Renzi teme il flop al referendum ma avverte: "No a governicchi". E Guerini ipotizza elezioni anticipate entro l'estate del 2017


Sergio Rame - Mar, 22/11/2016 - 18:44
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Elezioni anticipate. Il Partito Democratico traccia la road map del dopo referendum nel caso in cui dovesse vincere il No.


A tracciarla è stato il vice segretario del Pd Lorenzo Guerini che, in una intervista a Bloomberg, ha svelato le carte. In caso di sconftta, il partito di Matteo Renzi chiederà di andare a elezioni anticipate, probabilmente entro l'estate del 2017.

Nei giorni scorsi, durante una intervista a Otto e mezzo, Renzi lo aveva messo in chiario: "Io non sono adatto a fare un governo tecnico o un governicchio. Non ho bisogno di aggiungere una riga al mio curriculum. Se si cambia ci sono, se si deve tornare alla grande accozzaglia no". Poi, l'indomani, ai microfoni di Radio 24 aveva chiarito il concetto: "Le sembro il tipo che sta dentro il governicchio tecnicicchio che permette agli uni e agli altri di vivacchiare per mantenere le poltrone? Non c'è dubbio che da quando ci siamo noi accadono in Italia cose che prima non accadevano: mi pare un dato di fatto. Se dobbiamo tornare con quelli di prima che vivono solo nella logica dei veti reciproci non fa per me - aveva concluso - ce ne sono altri molto più bravi". Fino a oggi, però, né da Palazzo Chigi né dal Nazareno è stato mai chiarito cosa volesse fare veramente il premier in caso di sconfitta. Per la prima volta lo ha fatto Guerini spiegando che, se le riforme costituzionali dovessero essere bocciate, si andrebbe dritti al voto.

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Come fa notare l'Huffington Post, non è certo un caso che Guerini abbia deciso di parlare di elezioni anticipate con Bloomberg, "giornale di riferimento per analisti e trader". In caso di sconfitta Renzi vorrebbe tentare il blitz per modificare la legge elettorale per poi spingere ad andare alle urne. "Se c'è la volontà politica possiamo lavorare per arrivare a una nuova legge elettorale in tempi brevi e andare a elezioni con una nuova legge elettorale presto, entro l'estate del 2017 - spiega Guerini - se non ci saranno le condizioni politiche e la riforma elettorale sarà usata come una scusa per un governo di sopravvivenza, noi non siamo interessati". In questo scenario va, però, valutata la posizione del presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Secondo Bloomberg, potrebbe "chiedere a Renzi di rimanere" oppure "cercare un nuovo premier per modificare la legge elettorale".

Re: Diario della caduta di un regime.

Inviato: 22/11/2016, 21:06
da UncleTom
PELLIZZETTI VEDE NEL PROSSIMO FUTURO UNA DEMOCRATURA. MA NON SI ACCORGE CHE CI SIAMO GIA'.

IL VOTO DI SCAMBIO E' UNA NORMALITA' ISTITUZIONALE.




De Luca, chi indaga su Don Vincenzo? Scambiare voti non è più reato?
di Antonio Padellaro | 22 novembre 2016
| Commenti (140)

Un consiglio e una domanda alla senatrice democratica Lucrezia Ricchiuti che intende attivare la Commissione di garanzia del Pd (organismo disciplinare) per sanzionare la “vergogna” del governatore Vincenzo De Luca. Quello che promette a 300 sindaci campani un “fiume di soldi” in cambio di un fiume di Sì al referendum.

Davvero apprezzabile, senatrice, il suo impegno ad “avviare una procedura” ma, dia retta, è tempo sprecato perché tanto De Luca non lo tocca nessuno e al massimo gli daranno un buffetto. Per saperne il perché legga per favore quanto dichiarato in proposito da Matteo Renzi: “De Luca ha un metodo che non è il mio ma se tutti facessero come lui avremmo un punto in più di Pil”. Allora, gentile Ricchiuti, ecco la domanda: le suscita maggiore “vergogna” De Luca che non si vergogna affatto di essere De Luca e anzi ne va orgoglioso? Oppure un premier che appunta sul petto dell’erede di Achille Lauro (quello che distribuiva centinaia di scarpe spaiate, le sinistre ai comizi e le destre solo se il voto era andato bene) la medaglia di benemerito di quel Pil che secondo l’Istat, legale o illegale, basta che produca ricchezza? Con il traffico di stupefacenti, i servizi di prostituzione, il contrabbando di sigarette e adesso anche, per dirla con l’espressivo ras di Salerno con il “fate quello che caXXo volete, ma portate quattromila persone al voto”.

Ora, siamo onesti, prendersela soltanto con De Luca è ingiusto poiché è come se volessimo processare l’arte, l’eterna maschera del politico un po’ mariuolo che dal teatro macchiettistico napoletano giunge ai giorni nostri con la strepitosa attualità di Cetto La Qualunque (più pilu per tutti).

Lo scoop di Fabrizio d’Esposito su Il Fatto Quotidiano ci ha regalato un documento straordinario, un nastro audio da conservare nelle teche dell’Archivio di Stato per tramandare agli storici che verranno come fu che si tentò di rottamare la democrazia italiana per effetto del combinato disposto tra attacco alla Costituzione e trionfo del “fate quello che caXXo volete”.

Infatti, non siamo del tutto convinti che De Luca si sentisse al sicuro dalle orecchie indiscrete nella sua lectio magistralis in favore del clientelismo e dell’eroe eponimo Franco Alfieri, sindaco di Agropoli, non candidato dal Pd alle Regionali perché “impresentabile”, poi promosso a consulente della Regione con delega all’agricoltura e alla pesca (“lui sa fare la clientela come Cristo comanda, ah che cosa bella”). È l’apoteosi dell’impresentabilità che De Luca svolge tra gli applausi dei 300 sindaci, uditorio troppo piccolo per le ambizioni del governatore che in cuor suo già si crede il Donald Trump del Vesuvio ma senza ciuffo giallo.

È la stessa oscena impudenza descritta dal presidente dell’Anm, Piercamillo Davigo quando sostiene che “i politici continuano a rubare ma non si vergognano più e anzi rivendicano con sfrontatezza quel che prima facevano di nascosto”.

Ragion per cui, senatrice Ricchiuti, la Commissione di garanzia Pd rischia di essere la classica, inutile pezza calda per curare la metastasi della malapolitica nell’indifferenza strafottente degli embè e di chi inneggia alla fine, era ora, delle ipocrisie. Di fronte all’arroganza deluchiana di altro ci sarebbe bisogno. Di una presa di distanza dell’intero Partito democratico, di cui peraltro non si ha notizia. Per non parlare del Parlamento che in attesa di essere normalizzato o ridotto a dopolavoro tace e dunque acconsente.

Resta la figura di Matteo Renzi che, ne siamo convinti, prima dei suoi mille giorni a Palazzo Chigi avrebbe severamente giudicato Vincenzo De Luca, in tutte le sue declinazioni, per quello che è e per quello che dice. L’infelice battuta sul Pil delle clientele ci consegna invece un presidente del Consiglio unicamente preoccupato di non disturbare mandarini e capibastone qualunque sconcezza dicano o facciano nel timore di perdere altri Sì. Quante cambiali da pagare ci saranno sulla scrivania del premier il 5 dicembre? Sicuramente quelle del governatore che può minacciare impunemente Rosy Bindi o promuovere un gigantesco voto di scambio. E ora anche la cambiale del sindaco di Agropoli, uno che porta le persone al voto come Cristo comanda, ah che bella cosa.

di Antonio Padellaro | 22 novembre 2016

Re: Diario della caduta di un regime.

Inviato: 22/11/2016, 21:34
da UncleTom
Sanità, Renzi premia De Luca. Sarà promosso commissario
Il doppio ruolo è vietato da una legge del 2014: un emendamento dei deputati campani del Pd alla manovra la abrogherà. Sponsor Palazzo Chigi, ma Lorenzin è contraria
VIDEO:http://www.ilfattoquotidiano.it/premium ... mmissario/
0:00/1:01

di Marco Palombi | 22 novembre 2016
| Commenti (248)
A volte la realtà ha il pregio della chiarezza. Persino in politica, dove di regola ogni parola è doppia, tripla o anche peggio. Stavolta no, è tutto semplice: Matteo Renzi deve ripagare l’impegno “pancia a terra” per il Sì al referendum del presidente della Campania Vincenzo De Luca (e del meno pittoresco omologo calabrese Mario Oliverio) e proprio in queste ore sta tentando di farlo nonostante la tentennante opposizione della ministra della Salute Beatrice Lorenzin. La materia su cui avviene lo scambio, com’è intuibile, è la sanità, che – giova ricordarlo – rappresenta più di due terzi dei bilanci delle Regioni. Ecco, capita che la sanità in Campania e Calabria sia ad oggi commissariata dal governo. E non solo i conti e l’efficienza delle due regioni nel garantire i Lea (livelli essenziali di assistenza) sono sotto stretto controllo, ma – grazie a una legge del 2014 voluta da Renzi – i commissari alla sanità non possono più essere i governatori, ma tecnici provenienti da un’altra regione.

Quello campano, per dire, è stato nominato dal governo neanche un anno fa: si chiama Joseph Polimeni e viene dalla Asl di Lucca. Stesso discorso per la Calabria, affidata nel marzo 2015 a Massimo Scura, che aveva lavorato a Livorno e Siena. Il renziano Federico Gelli, responsabile salute del Pd, all’epoca si vantava a mezzo stampa del cambiamento e avvisava quelli di Napoli e dintorni: basta presidenti di Regione a fare i commissari, in Campania cambierà musica.

Sembra passato un secolo, ora la separazione dei ruoli non si porta più: forse anche perché, nel frattempo, entrambe le regioni sono passate al Pd e i nuovi governatori si sono rivelati così utili nella battaglia referendaria del premier. Sabato, per dire, Renzi se n’è andato a Caserta con De Luca e ha buttato lì: “Dobbiamo uscire dal commissariamento e stiamo lavorando perché questo accada in un arco di tempo molto rapido”.

Intanto che si esce, nella legge di Bilancio in discussione alla Camera è stato già presentato un emendamento che risolve il problema: lo firmano la segretaria Pd campana Assunta Tartaglione e altri dieci deputati della Regione. Il contenuto è semplice: si elimina il divieto per i governatori di fare anche i commissari alla Sanità voluto dal governo Renzi. Fosse approvato, dal 2017 “su istanza motivata delle regioni interessate, il Consiglio dei ministri delibera le nomine commissariali in applicazione delle presenti disposizioni”.

C’è un problema: il ministro della Salute Beatrice Lorenzin ha dato parere negativo e ora viene assediata dai parlamentari campani e calabresi e, quel che più conta, dallo stesso Palazzo Chigi perché lasci strada al ritorno dei governatori-commissari. L’emendamento dovrebbe andare al voto oggi: resisterà Lorenzin? E la maggioranza le darà retta o pagherà i conti con De Luca contro il parere del ministro competente?

A questo punto è utile fare un passo indietro. La settimana scorsa vi abbiamo raccontato di come Vincenzo De Luca spingesse gli amministratori locali della sua regione a fare campagna per il Sì visto che Renzi ha mandato in Campania “un fiume di soldi”: “Prendiamo Franco Alfieri (sindaco di Agropoli, ndr), notoriamente clientelare. Come sa fare lui la clientela lo sappiamo. Una clientela organizzata, scientifica, razionale come Cristo comanda. Che cosa bella. Ecco, l’impegno di Alfieri sarà di portare a votare la metà dei suoi concittadini”. Ora, compreso il contesto, bisogna tener d’occhio la palla. Grazie alla celeberrima facondia del senatore “deluchiano” e “verdiniano” Vincenzo D’Anna, la settimana scorsa abbiamo scoperto che una delle promesse fatte al governatore da Palazzo Chigi – e per la precisione da Luca Lotti – riguardavi i centri specialistici e i laboratori privati accreditati col Servizio sanitario nazionale.

Il fatto è questo: ogni anno queste strutture raggiungono il tetto di spesa ben prima di dicembre e sono costrette a bloccarsi; la soluzione individuata da De Luca era trovare 30 milioni nel bilancio della Regione e darglieli. Commissario e sub-commissario alla sanità campana hanno detto no: niente sforamenti.

Per quest’anno è andata così, ma una cosa del genere non deve più succedere: e quindi via il commissariamento o almeno l’attuale commissario. Tutto in mano a De Luca, soldi per i centri convenzionati e gioia per D’Anna, che oltre che senatore è pure presidente di FederLab, l’associazione degli ambulatoriali privati accreditati col Ssn. Certe volte la realtà ha il pregio della chiarezza: “Razionale, scientifica, come Cristo comanda”.

Re: Diario della caduta di un regime.

Inviato: 22/11/2016, 21:57
da UncleTom
22 NOV 2016 18:19
NUOVO EPISODIO DELLA FICTION DE LUCA VS. DI MAIO

- IL GRILLINO MENA: “IN UN PAESE CIVILE, DE LUCA SAREBBE IN GALERA”

- IL GOVERNATORE CONTRO-RANDELLA: “IN PAESE CIVILE A DI MAIO TOGLIEREBBERO I 13 MILA EURO DI STIPENDIO E DAREBBERO LE MERENDINE”

Re: Diario della caduta di un regime.

Inviato: 23/11/2016, 11:35
da UncleTom
Ecco chi sono i poteri forti che vogliono far vincere il No
Banchieri e manager sono convinti che al Paese serva una cura choc per l'economia. Che il Sì rimanderebbe


Marcello Zacché - Mer, 23/11/2016 - 08:03
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L'equazione poteri forti + finanza + banche = votare «Sì» al referendum non è così granitica.


Ancora ieri il presidente di Fondazione Cariplo, Giuseppe Guzzetti, ha detto che la vittoria del «No» può avere «grosse conseguenze sulla nostra economia e sul nostro sistema bancario». Eppure ci sono autorevoli eccezioni. Che però sono quelli che non vogliono svelare di votare controvento: non ci mettono il nome e il cognome.

Sta di fatto che nei salotti milanesi più insospettabili, siedono anche il famoso banchiere, il grande azionista della spa quotata e l'imprenditore di successo che domenica 4 dicembre voteranno no. Insieme con tanti altri di loro. Non sono grillini; non sono antieuro; non sono per Trump; e non sono nemmeno pazzi. Ognuno di loro, dal rispettivo angolo visuale, conosce bene la salute economica del Paese; il debito pubblico e le sofferenze bancarie. È partendo di qui che hanno deciso di voltare le spalle a Matteo Renzi.


Qualcuno voterà «No» perché è convinto che la vera polizza assicurativa sull'Italia non sia il governo Renzi, ma il presidente della Banca centrale europea, Mario Draghi. Il quale, con l'acquisto di titoli di Stato del suo «quantitative easing», permette allo spread tra Btp e Bund di stare dove sta e non essere già esploso da tempo.

Qualcuno voterà «No» perché vuole restare in Europa e nell'euro, ma teme che non si possa evitare una cura da cavallo. Mentre vede tutta la propaganda del «Sì», con il suo recente portato di toni anti-comunitari, come un rischio forte che questo esecutivo diventi sempre più inviso e isolato a Bruxelles.

Qualcuno voterà «No» perché crede che le banche italiane non si possano salvare: servono almeno 20, qualcuno dice 30, i più apocalittici 50 miliardi per mettere in sicurezza Mps & compagnia: missione impossibile, inutile illudersi che il 5 dicembre, vincendo il «Sì» il gioco sia fatto. Lo stesso problema si ripresenterà più in là. Tanto vale affrontarlo subito, costi quel che deve costare. E meglio ancora se lo si fa con la Costituzione che dà le migliori garanzie di fronte a una situazione che potrebbe diventare drammatica.

Infatti qualcuno voterà «No» perché è convinto che la riforma costituzionale della legge Boschi indebolisca i contrappesi della democrazia, consegnando troppo potere nelle mani del premier. Non perché aumenti il potere del presidente del Consiglio: la nuova versione della carta non lo prevede. Ma perché diminuendo quello di altri soggetti, giocoforza si rafforza il potere del premier.

Allora qualcuno voterà «No» perché non vuole correre il rischio che un Paese sull'orlo di una nuova enorme crisi finanziaria e bancaria in particolare finisca con l'essere governato da un premier inadatto. Non un Renzi né un Berlusconi, per intenderci. Ma un soggetto considerato «pericoloso». Una sorta di «dittatore dello Stato libero di Bananas» perché - per effetto del combinato disposto della nuova Carta e dell'Italicum - può prima essere eletto con una esigua maggioranza di elettori; e poi esercitare un enorme potere di governo.

In altri termini ci sarebbe, in questo passaggio, la poison pill, la pillola avvelenata di un paradosso: per eleggere un governo che conta molto di più, basteranno molti meno elettori.

Qualcuno voterà «No» anche nei piani alti e nei salotti buoni, dunque. Ma ben sapendo che il 5 dicembre, comunque vadano le cose, non ci sarà niente da festeggiare.

Re: Diario della caduta di un regime.

Inviato: 23/11/2016, 11:40
da UncleTom
Anche i militari si schierano contro la riforma. Giallo sulle voci diffuse alla stampa
Prosegue lo sciopero dal servizio mensa nelle caserme sul riordino delle carriere


Chiara Giannini - Mer, 23/11/2016 - 08:13
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È scontro tra governo e militari sul riordino delle carriere. Tanto che moltissimi soldati, da lunedì, attuano l'astensione facoltativa dal servizio mensa.


Un modo per manifestare il proprio dissenso, visto che agli uomini in divisa, per legge, non è consentito scioperare che, solo nella prima giornata, ha toccato il 70% delle adesioni in tutte le caserme d'Italia.

Il malcontento è così tangibile che, lo abbiamo raccontato in un articolo uscito venerdì su Il Giornale, alcuni rappresentanti delle forze armate «hanno lasciato intendere che voteranno No il prossimo 4 dicembre al referendum». Un pezzo che ha indotto il generale Paolo Gerometta, presidente del Cocer interforze, a «rassicurare gli animi» specificando che «il Cocer, dopo il recente confronto con lo Stato Maggiore della Difesa, sta sviluppando una serie di propri approfondimenti e proposte volti a migliorare le iniziali bozze di lavoro» e a spiegare che «il rispetto per le istituzioni e per i doveri derivanti dallo status specifico di militari non si prestano né a personali e neanche a spontanee interpretazioni».

Le dichiarazioni di voto di alcuni, appare chiaro, hanno creato imbarazzo tra gli alti gradi della Difesa. Gerometta, in realtà, si è dimenticato di dire che ha parlato a suo nome, visto che il comunicato non è frutto di una riunione del Cocer, come previsto dalla legge, nel cui ambito i documenti si votano all'unanimità. Come non lo è un secondo comunicato uscito domenica, giorno in cui è difficile che la rappresentanza possa essersi riunita, su alcune agenzie, in cui un sedicente Cocer comparto Difesa afferma che i «militari» sul «riordino delle carriere oggi vedono finalmente uno spiraglio con cui affrontare e risolvere le loro numerose problematiche funzionali», per poi proseguire con un «usare il malcontento di alcuni e generalizzare sulla contrarietà alla riforma costituzionale è strumentale e rappresenta un pessimo modo di fare giornalismo». Peccato che sul «pessimo modo di fare giornalismo» non concordino la maggior parte dei rappresentanti del Cocer i quali, il giorno seguente, non hanno tardato a prendere le distanze dai soggetti che hanno mandato illegalmente il comunicato a nome dell'intero organismo di rappresentanza.

«Sulle intenzioni di voto dei militari al referendum - scrivono i delegati del Cocer nazionale sezione Aeronautica, Alessandro Gagliarducci e Francesco Di Pietra - c'è una grave strumentalizzazione di servizi giornalistici che descrivono con verità i sentimenti del personale, esternati dal comunicato stampa. Stigmatizziamo, quindi, dichiarazioni di pochi che accampano posizioni di interi consigli di rappresentanza». La conferma arriva anche dal delegato Cocer interforze Marco Votano il quale spiega che «le dichiarazioni apparse sulle agenzie di stampa il 18 novembre sono pensieri, auspici e impressioni del delegato generale Paolo Gerometta, mentre quelle apparse il 20, l'espressione personale di alcuni delegati». Si sono dissociati anche numerosi altri delegati, tra i quali Girolamo Foti. «Molti soldati - spiega l'avvocato Leonardo Bitti, legale esperto di diritto militare - hanno scritto alle commissioni Difesa di Camera e Senato per esprimere il loro malcontento, oltre ad astenersi volontariamente dalla mensa». Tanto, a stomaco vuoto, già ce li lascia il governo Renzi.

Re: Diario della caduta di un regime.

Inviato: 23/11/2016, 14:37
da UncleTom
GIORNI DIFFICILI.....-11 ALL'ALBA



Referendum, 3 consiglieri Rai: "C'è un trucco per favorire il Sì"
I tre consiglieri di viale Mazzini Freccero, Diaconale e Mazzuca chiedono alla Maggioni di convocare un Cda straordinario


Luca Romano - Mer, 23/11/2016 - 14:07
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"Nelle ultime due settimane c'è stato un bilanciamento in favore di Renzi e del Sì così evidente e così pressante che abbiamo deciso di chiedere alla presidente Monica Maggioni una riunione del cda straordinario".


Lo spiega a LaPresse Carlo Freccero, consigliere d'amministrazione Rai, che ha firmato la lettera insieme ad Arturo Diaconale e Giancarlo Mazzuca. Un appello che comunque cade nel nulla perché "per la richiesta c'è bisogno della firma di 4 consiglieri, e c'è stata una risposta negativa. Lo dico con tono molto amaro, sono molto sorpreso - dice Freccero - perché la nostra era una richiesta di conoscenza, e la reazione mi sembra una presa di posizione in favore di quello che sta avvenendo. Lo dico con sincerità ero sicurissimi che Franco Siddi o Paolo Messa fossero in qualche modo a favore del nostro appello. Detto questo prendo atto di quello che è accaduto, spero in meglio per il futuro".

Secondo Freccero il punto è che "ogni evento viene vissuto attraverso l'ottica del Sì, seconda cosa tutti i dati vengono letti in quella visione, ma soprattutto si confonde il tempo di parola con il tempo di notizia. Attraverso questo trucco, attraverso il tempo di notizia si riesce ad aggiustare i conti: se Salvini parla di migranti non si può contare nel tempo del No. Di conseguenza ci sono delle statistiche che sono totalmente sballate".

Re: Diario della caduta di un regime.

Inviato: 23/11/2016, 14:52
da UncleTom
GIORNI DIFFICILI.....-11 ALL'ALBA


Bologna, firme irregolari: quattro M5S indagati
Ex militante che denunciò: “Vertici città avvertiti”

Per i pm violata la legge elettorale a Regionali 2014. Inchiesta su Marco Piazza, vicepresidente Consiglio
PD: “GRILLOPOLI E’ SISTEMA”/PALERMO, DIECI INDAGATI. “CENTINAIA DI FIRME NON RICONOSCIUTE”
Giustizia & Impunità
Duecento testimoni sentiti per diversi mesi, ma solo oggi da Bologna arriva la notizia che ci sono quattro indagati per presunte irregolarità nella raccolta firme a sostegno del Movimento 5 Stelle alle Regionali
2014. Come a Palermo, dove proprio oggi sono partiti i primi inviti a comparire e le iscrizioni nel registro degli indagati sono otto. In Emilia-Romagna il fascicolo era nato dall’esposto di due ex militanti: Paolo Pasquino e Stefano Adani. E se per il capogruppo Bugani non “c’è niente”, anzi, “forse è una trappola”, è proprio Adani a ribadire le accuse: “I vertici di Bologna sapevano, li avevamo avvertiti”. A parlare poi, anche Andrea Defranceschi, espulso proprio a ottobre 2014: “Le firme – dice oggi – furono raccolte in modo allegro, non c’era tempo”

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M5s Bologna, caso firme: 4 indagati. Ex militante che denunciò: “Vertici in città sapevano, li avevamo avvertiti”

Giustizia & Impunità
L'ipotesi degli inquirenti è sia stata violata la legge elettorale in occasione delle Regionali 2014. Il fascicolo d'inchiesta era nato da un esposto di due attivisti. Tra gli indagati Marco Piazza, vicepresidente del Consiglio comunale, che era deputato alla certificazione. Il capogruppo al Comune Bugani: "Non ho alcun dubbio sulla sua integrità"
di David Marceddu e Giulia Zaccariello | 23 novembre 2016
COMMENTI (837)
86
Più informazioni su: Elezioni, Elezioni Regionali, Movimento 5 Stelle
Sono stati sentiti 200 testimoni nel corso di diversi mesi e oggi da Bologna arriva la notizia che ci sono quattro indagati per presunte irregolarità nella raccolta firme a sostegno del Movimento 5 Stelle. L’ipotesi degli inquirenti è che sia stata violata la legge elettorale in occasione delle Regionali 2014 (l’articolo 90 comma 2 del Dpr 570 del 1960), come è accaduto a Palermo dove però gli accertamenti sono in corso e le iscrizioni nel registro degli indagati sono otto. In Emilia-Romagna il fascicolo d’inchiesta era nato da fuoco amico: ovvero da un esposto del 27 ottobre 2014 di due militanti: Paolo Pasquino e Stefano Adani. L’indagine, che ancora non è chiusa, è in piedi da allora e i carabinieri di Vergato hanno lavorato per raccogliere tutti gli elementi utili ai pm. In Sicilia è stato un reportage del programma Le Iene a far riaprire un’indagine che sembrava destinata all’archiviazione. A Palermo, proprio oggi, sono partiti i primi avvisi a comparire.



Tra gli indagati il vicepresidente del Consiglio comunale
Tra gli indagati bolognesi c’è Marco Piazza, vicepresidente del Consiglio comunale, chiamato in causa in qualità di certificatore, insieme ad un suo collaboratore e ad altre due persone. Piazza ha già dato la disponibilità a sospendersi. Tra le contestazioni, nel fascicolo del pm Michela Guidi c’è quella di aver autenticato firme non apposte in loro presenza oppure in luogo diverso rispetto al requisito di territorialità, oppure in mancanza della qualità del pubblico ufficiale. Piazza era stato eletto nel 2011 ed è stato rieletto lo scorso giugno. Un altro indagato, Stefano Negroni, che lavora per il gruppo pentastellato in Comune ed è il segretario di Piazza, sostiene che le firme sono state raccolte in totale “correttezza” e “alla luce del sole”. Di certo “non ci sono firme false”. “Ho scoperto che sono tra gli indagati perché ero uno degli autenticatori – afferma Negroni- e ci tengo a sottolineare che ero anche colui che ha presentato in Tribunale le liste, quindi avevo tutte le firme in mano“. E se nell’esposto che ha dato il via all’inchiesta sembra si affermi che gli autenticatori non erano effettivamente presenti mentre si raccoglievano le firme, Negroni dice: “Ero al Mazzini la sera del Mazzini ed ero in piazza il giorno del firma day”, peraltro “con una giacca bianca”, giusto “per passare inosservato”. Negroni, poi, sottolinea: “Il nostro modo di raccogliere è sempre stato collegiale“, dunque “tutti ci hanno messo le mani e un errore ci può stare nel modo che abbiamo noi di lavorare, che è condiviso”. Di certo, però, tutto è stato fatto “alla luce del sole” e in questi giorni, commenta Negroni, ci sono “una serie di elementi curiosi” che stanno venendo fuori.

Le indagini dei carabinieri sui certificatori
Gli investigatori dell’Arma hanno chiesto ai testimoni di riconoscere la propria firma e di confermare se il certificatore di lista era presente o meno al banchetto. Sono state mostrate loro anche le foto dei certificatori, per essere sicuri che si trattasse della stessa persona presente al momento della firma. La notizia dell’apertura di un fascicolo era emersa a ottobre 2014, proprio nel giorno della presentazione dei candidati del Movimento 5 stelle in Regione Emilia-Romagna. Le elezioni furono poi vinte da Stefano Bonaccini del Pd, mentre i 5 stelle raccolsero il 15%. Le presunte irregolarità, a quanto apprende il fattoquotidiano.it. riguarderebbero una ventina di finire. Eppure sono diversi gli episodi sotto accusa. Nel testo dell’esposto si evidenziano alcune irregolarità sull’evento nazionale di Roma, due anni fa al Circo Massimo. Le firme per le regionali, sostenevano gli attivisti, sono state raccolte anche lì, nel corso della kermesse M5s, e quindi al di fuori del territorio di competenza dei consiglieri comunali certificatori. Come prova i due attivisti allegavano alcune foto scattate dai militanti seduti al banchetto, davanti all’elenco delle firme. Immagini pubblicate dagli stessi protagonisti sui loro profili Facebook. Sempre sul social network, sulla pagina di Massimo Bugani, una persona confermava di aver “firmato a Roma”. Ma non solo: le firme sarebbero state raccolte anche a Bologna, nel circolo Mazzini (uno dei luoghi di ritrovo abituali dei 5 stelle), in assenza dei consiglieri comunali Massimo Bugani e Marco Piazza, deputati all’autenticazione. Stessa cosa sarebbe successa in alcuni momenti del Firma day, organizzato il 18 ottobre.

Il capogruppo Bugani: “Non c’è nulla siamo sicuri”
“Non c’è nulla, siamo sicuri, ho totale fiducia in Marco – dice alla Dire Bugani, capogruppo del M5s al Comune di Bologna e componente dello staff di Davide Casaleggio – Non ho alcun dubbio sulla sua integrità“. Se c’è stato qualche errore sarà “facilmente dimostrabile” che si è trattato di una semplice “coglionata” fatta “in buona fede” da qualche “fessacchione. Allo stesso modo, si potrà dimostrare se invece c’è stata una “trappolina” ordita per “colpire me”, aggiunge Bugani, affermando che l’esposto da cui è nata l’inchiesta “forse è stato architettato ad arte da qualcuno”: cioè dai sostenitori dell’ex consigliere regionale pentastellato Andrea Defranceschi, citato esplicitamente da Bugani, che da quelle stesse elezioni del 2014 fu escluso perché indagato e successivamente espulso da Grillo. Intanto, precisando che al momento con Piazza “non ho ancora parlato”, Bugani, che a quanto apprende il fattoquotidiano.it non è indagato, non esclude che il consigliere comunale possa autosospendersi: “Ne parleremo con i garanti, ci può stare per le regole del movimento, ma stiamo parlando – ribadisce il capogruppo- di una persona che correrà subito dagli inquirenti a dimostrare le sue ragioni e a chiedere cosa gli viene contestato, perché non lo sa”.

L’ex militante Adani: “Vertici Bologna sapevano”
“Come militanti M5S vigilavamo sui banchetti del Pd e del Pdl per appurare che raccogliessero le firme in maniera corretta, senza commettere brogli. Quindi sapevamo perfettamente come andavano raccolte le firme per correre alle elezioni. Abbiamo presentato un esposto in Procura perché abbiamo visto traditi i valori del Movimento e non potevamo certo restare a guardare – dice Adani – Prima di recarci in Procura, io e l’altro militante deluso, abbiamo provveduto ad avvisare, a più riprese, i vertici bolognesi del Movimento”. Adani non fa nomi, ma assicura di aver trovato “un muro di gomma“. A chi gli chiede se questi avessero avvisato Grillo o la Casaleggio associati della vicenda, “non ne ho la benché minima idea”, risponde.

“Cinque episodi diversi – spiega – quello più clamoroso, la raccolta firme al Circo Massimo, in occasione della prima kermesse grillina a Roma. Dunque firme raccolte fuori dal territorio. Poi c’erano tre episodi di firme raccolte senza nessun certificatore presente, e infine il caso di un certificatore di altro Comune. Anche quest’ultimo un fatto gravissimo. Le regole a cui dovevamo attenerci nel raccogliere le firme erano note e chiare a tutti – prosegue Adani – oltretutto, nel momento in cui vengono autenticate la persona chiamata a farlo diventa pubblico ufficiale, dunque deve conoscere perfettamente la legge vigente: chi ha sbagliato, l’ha fatto consapevolmente e non perché non conoscesse le regole. Altrimenti – fa notare l’ex militante – non saremmo stati in grado nemmeno di vigilare sui banchetti di Pd e Pdl”. “Quel che è accaduto per noi – aggiunge – raffigura uno dei tanti errori commessi dal M5S nella sua metamorfosi, un vero e proprio tradimento dei suoi valori. Non potevamo tacere, per questo siamo andati in Procura…”.

Andrea Defranceschi: “Firme prese in fretta e in modo allegro”
“Le firme per le regionali 2014 sicuramente furono prese in fretta e furia e in modo allegro perché il Movimento era in super ritardo. A settembre ancora non era iniziata la raccolta firme, quando mancavano meno di due mesi alle elezioni” racconta all’AdnKronos Andrea De Franceschi, cacciato nell’ottobre del 2014, a un mese dalle regionali, a settembre era comunque ancora nel movimento e, dopo l’espulsione di Giovanni Favia, unico consigliere in Regione dei pentastellati, spettava anche a lui, dunque, occuparsi in modo massiccio della campagna elettorale. “Continuavo a mandare mail a Beppe Grillo e Roberto Casaleggio – racconta Defranceschi -, per chiedere istruzioni sulla raccolta firme e la campagna elettorale ma non arrivava nessuna risposta e non partiva nessuna raccolta. Aspettavamo tutti istruzioni ma a settembre non era stato ancora organizzato nulla”. De Franceschi è stato accusato a più riprese dal capogruppo in Comune e leader del movimento a Bologna, Massimo Bugani, fedelissimo di Grillo, di essere l’organizzatore di un complotto per colpirlo e del fatto che, dietro l’esposto sulle firme irregolari, presentato ai carabinieri di Vergato dagli ex militanti del M5S, Paolo Pasquino e Stefano Adani, ci sarebbe proprio lui. “Bugani è ossessionato da me – replica De Franceschi -. Pasquino e Adani, al contrario, non mi dissero nulla dell’esposto per non coinvolgermi, un gesto di grande amicizia ed eleganza. Lo seppi solo a cose fatte. In seguito ne parlai con loro e mi espressero i loro dubbi su come erano state raccolte le firme”.

Bugani all’epoca minacciò di querelare Adani e Pasquino ma la denuncia non partì mai. “Bugani dovrebbe guardare in casa sua anziché pensare a me – conclude De Franceschi -, anche perché lui sapeva benissimo che vennero raccolte delle firme al Circo Massimo come risulta anche dai commenti su Facebook di vari attivisti”. Le firme, dunque, vennero prese in appena due mesi ma, per De Franceschi, sono da escludere errori dovuti alla scarsa informazione sulla modalità di raccolta. “Venne mandata una mail a tutti i candidati – ricorda – dai vertici del Movimento, per spiegare passo passo come si raccoglievano le firme e avvertire che non sarebbero state valide se prese fuori dal territorio o senza adeguata certificazione”. Da escludere anche delle ingenuità dovute all’inesperienza. “A coordinare la raccolta firme – spiega – furono Marco Piazza e Stefano Negroni (entrambi indagati), insieme a Serena Saetti. Tutti e tre raccoglievano firme dal 2008-2009 quindi erano espertissimi”.