Il "nuovo" governo Renzi

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camillobenso
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Re: Il nuovo governo Renzi

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Crozza - il 'Renzi Show' in regia... Silvio Berlusconi

http://www.la7.it/crozza/video/crozza-i ... 014-128349
camillobenso
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Re: Il nuovo governo Renzi

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La domenica prima dell'incarico a premier, al ritorno dalla campagna elettorale sarda, Renzi viene intervistato da una giornalista di Agorà. L'intervista andrà in onda la mattina dopo.

Alla domanda se Renzi intende andare a Palazzo Chigi, l'ex sindaco di Firenze risponde: "Ai nostri( elettori) non interessa che io vada a Palazzo Chigi in questo momento e io sono con loro. Chi me lo fa fare?"

Il lunedì successivo Napolitano invita a cena Renzi. Nei giorni successivi Lettanipote viene pugnalato alle spalle da Renzi.

Il silenzio del Colle, fa intravvedere i soliti intrighi di Palazzo. Napolitano che in tutti i dieci mesi precedenti aveva difeso il premier come se fosse una sua creatura, ora lo abbandonava al suo destino.

Cose da non credere, anche per via della modalità poco ortodossa con cui ha è stato fatto fuori Letta.

Quella di Maria Teresa Meli sembra una versione verosimile ed abbastanza attendibile.

Di cosa si era impaurito Napolitano per giocare una nuova rischiosissima partita piazzando a Palazzo Chigi un premier incapace, come lo ha definito il vecchio politologo Giovanni Sartori. Un premier incapace alla guida di un governo di incapaci. Per fortuna che il vecchio politologo non aveva ancora visto il pasticcio dei sottosegretari.

Siamo al terzo errore consecutivo di Napolitano nel nominare i primi ministri dal dicembre del 2011. Una sequenza di errori che pagheremo a duro prezzo.

*******

Corriere 14.3.14
Quella cena al Colle e la staffetta tra Enrico e Matteo
di M. T. M.

ROMA — Si chiama La volta buona : è un libro sulla bruciante staffetta tra Matteo Renzi ed Enrico Letta. È scritto, per gli Editori Riuniti, da quattro giornalisti assai bene informati: Mario Lavia, vicedirettore di Europa , Angela Mauro, firma di punta dell’ Huffington post , che segue (alle calcagna) i leader del Pd, Alessandro De Angelis, che scrive per la stessa testata — ex Riformista , un tempo legato a filo doppio a uno dei migliori amici di Napolitano, Emanuele Macaluso — e Ettore Colombo, primo biografo di Bersani.
Insomma, per farla breve, tutte ottime fonti che hanno raccolto notizie di prima mano, per raccontare la vera storia della staffetta tra l’attuale premier e Letta. Tutto comincia nella primavera scorsa, quando l’allora sindaco di Firenze, che ancora non ha pianificato la sua andata a Palazzo Chigi, dice a Matteo Richetti, deputato del Pd, di rito renziano: «Senti, ma perché non ce lo prendiamo il partito?».
L’interrogativo, è puramente retorico perché in quel momento il mai domo Renzi ha già deciso di puntare alla casella del Nazareno per arrivare a quella di Palazzo Chigi. Ma spiazza Richetti e tutti gli altri. Poco male non è la prima volta e non sarà l’ultima. Del resto, come racconta il libro, anche la tappa d’avvicinamento fondamentale tra l’ormai leader del Pd e il capo dello Stato è un sorpresa per tutti. Napolitano invita a cena Renzi e lo fa all’oscuro delle segreterie del Quirinale. «Sarò padrone di invitare chi voglio a cena a casa mia», racconta il capo dello Stato nel libro. Quella sera a tavola sono in tre: Renzi, Napolitano e sua moglie. La quale, a un certo punto, discretamente si allontana. Ed è lì, secondo la ricostruzione de La volta buona , che viene decisa la staffetta. Renzi va subito al sodo: «Il Pd non ce la fa più a sostenere questo governo. Siamo tutti d’accordo. Continuando così alle Europee, noi rischiamo di essere travolti e il governo salterebbe comunque. Si rischierebbe di arrivare a posizioni radicali tipo Grillo. Sarebbe un disastro epocale. Ecco, abbiamo deciso un cambio al governo e io farei il premier». Renzi parla pane al pane e vino al vino. E Napolitano non dice di no. Fa solo una raccomandazione: «State attenti a non sfasciare tutto, che non salti la maggioranza». Fine del colloquio, fine del governo Letta. Non del libro, che racconta altri gustosi e inediti particolari.
camillobenso
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Re: Il nuovo governo Renzi

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Silvio, un colpo al cerchio e uno alla botte.
La politica dei due forni. Ovvero: Il bastone e la carota.



Il Giornale di Sallusti ha il compito di remare pro, mentre Libero di Bufala Bill, cerca di mandare a casa Pittibimbo. Il Giornale incarica Leonardo Paco di confezionare un'articolo pro- Renzi, mentre Libero da una decina di giorni pretende chiarimenti da chi ha pagato l'affitto della casa di Renzi. Una specie di simil Scajola. Mentre Dagospia faceva notare che solo Libero conduceva una battaglia isolata, risulta invece che anche La Repubblica e il Sole 24ore se ne siano occupati.



Tempi duri per tutti i gufi che vogliono il flop di Matteo
Il club dei rosiconi che sperava in un inciampo del "prestigiatore di Firenze" rimane deluso. Renzi con le sue slide seduce imprenditori, Cgil e cuperliani


Leonardo Paco - Ven, 14/03/2014 - 08:21

Il giorno dopo dei rosiconi è come una tavola vuota senza grissini da sgranocchiare, dove per riuscire a mettere qualcosa sotto i denti bisogna alzare le maniche, scoprire i gomiti e cominciare a masticare.


Doveva essere il giorno della fuffa, della bolla, dell'imbroglio, del maghetto inesperto che con i suoi fuochi d'artificio si sarebbe dovuto scottare le mani. E, invece, il prestigiatore di Firenze è riuscito a far uscire dal suo cilindro un pirotecnico consiglio dei ministri e in cui senza aver avuto neppure il bisogno di approvare chissà quale manovra ha sedotto tutti con la sola imposizione delle mani. A me gli occhi. E così i nemici di Renzi, i suoi avversari, i suoi rottamatori, i suoi franchi tiratori, dopo essersi appollaiati per alcuni giorni nei vari rami del Parlamento travestiti da gufetti iettatori, sperando in un inciampo, in uno starnuto, in un tranello, in uno scivolone, si ritrovano ora a fare i conti con un presidente del Consiglio che si sarebbe dovuto già schiantare alla prima curva e che invece, dopo lo show di mercoledì, è lì che, superata la curva, sgasa con il suo chiodo alla Fonzie, le sue slide, il suo powerpoint, come l'ultimo dei tamarri.
Brum brum. Con questo risultato. Renzi dà una sportellata alla concertazione ma riesce ugualmente a conquistare la Cgil (Susanna Camusso: «Renzi ha accolto molte delle nostre richieste»). Renzi seduce l'Europa ma riesce ugualmente a sedurre la sinistra (Gianni Cuperlo: «Devo ammetterlo, Matteo ha fatto un discorso di sinistra»). Renzi dà le briciole agli industriali ma riesce ugualmente a conquistare una parte degli imprenditori (leggere per credere la prima pagina del Sole 24 Ore di ieri). Renzi abolisce l'articolo 18 per i primi tre anni dei contratti di lavoro ma riesce ugualmente a far esultare i senatori vendoliani (leggere per credere le parole di ieri di Gennaro Migliore: «Valutiamo positivamente gli sgravi fiscali proposti da Renzi») e pure le gazzette vicine ai sindacati (leggere per credere il titolo estasiato dell'Unità di ieri: «Più soldi in busta paga»). Renzi discute animosamente con il ministro Padoan per le coperture e poi si ritrova con il Quirinale costretto a riconoscere la bontà dei provvedimenti del presidente (leggere per credere gli elogi del quirinalista Marzio Breda sul Corriere di ieri). Tutti spiazzati dal contratto con gli italiani. Tutti scodinzolanti per l'alleggerimento sull'Irpef. Tutti disorientati per non avere per alcuni mesi l'arma del «ma questo non sta facendo nulla». Con poche eccezioni. Tutte interne al Pd. Dove i roditori più incalliti grattando grattando qualche grissino sono riusciti a trovarlo, e una scusa per non accodarsi allo scodinzolio renziano l'hanno beccata. Chi per la legge elettorale. Chi per le coperture. Chi per le promesse vuote. Chi per il fatto che Renzi, di grazia, non ha approvato un bel nulla in Consiglio dei ministri. E così i lettiani, astuti, capiscono che li si nota di più se non si adeguano: e nel giorno in cui viene approvata la legge elettorale propongono un referendum per abrogare la legge nel caso in cui non siano introdotte le preferenze. E così i bersaniani, mentre sono lì alla ricerca di un grissino, dicono che il merito è tutto loro, dei parlamentari della vecchia guardia, che per spirito di sacrificio hanno deciso di non affossare il governo e gli hanno gentilmente permesso di andare avanti. Reggerà? I non amici di Renzi continueranno a piazzar ostacoli sul percorso. Soprattutto sulla legge elettorale.
L'obiettivo sarà quello di rottamare la profonda sintonia di Renzi con il Cavaliere. Ma finché l'asse con Berlusconi reggerà, Renzi riuscirà a far alzare molte maniche, a far scoprire i gomiti e far masticare amaro i suoi franchi tiratori. È successo mercoledì. Succederà anche lunedì prossimo. Quando Renzi sarà da Angela Merkel. E quando da Berlino farà ciao ciao con la manina a tutti i suoi falsi amici che ieri dicevano «fa ridere immaginare che al prossimo vertice con la Merkel l'Italia non mandi Monti ma Renzi» (Casini, 2 settembre 2012) e che oggi invece sono costretti a stare lì come le sardine sul carro dei rosiconi.

http://www.ilgiornale.it/news/interni/t ... 01386.html
camillobenso
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Re: Il nuovo governo Renzi

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Il mega Eataly di Milano: da fame sono anche i salari
(Davide Vecchi).

16/03/2014 di triskel182


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APRE IL NUOVO STORE SULLE CENERI DEL TEATRO SMERALDO: 400 DIPENDENTI ASSUNTI CON I SOLITI CONTRATTI ATIPICI DA 1.000 EURO.

Se vince la Lega non apro a Milano”. Era il febbraio 2013. Roberto Maroni ha poi conquistato la Regione Lombardia e Oscar Farinetti martedì prossimo a Milano inaugura non un negozio ma una cattedrale di Eataly: 5500 metri quadrati immersi in pieno quadrilatero della moda, a due passi da corso Como e quattro da Brera.

È il secondo punto vendita di Eataly in città. Nell’ultimo anno, mentre il Carroccio si accomodava sulle poltrone lasciate da Roberto Formigoni, Farinetti ha aperto in piazza Cinque Giornate e ora si appresta ad alzare le quinte di quello che un tempo era il teatro Smeraldo, palco storico di Mina e Adriano Celentano; nel 2010 scelto da Beppe Grillo per annunciare la nascita del Movimento 5 Stelle, chiuso nel 2011 e venduto a Farinetti dalla famiglia Longoni, da 70 anni proprietaria dell’immobile.

Il patron di Eataly, (il compagno Farinetti-ndt) ha pagato un milione 290 mila euro per i soli oneri di urbanizzazione e avrebbe voluto aprire il 25 aprile 2012, festa della Liberazione.

Ma il Comune guidato da Giuliano Pisapia ha bloccato i lavori: la struttura era piena di amianto, con esattezza 12,5 tonnellate.

“La solita burocrazia all’italiana” , polemizzò. Dopo cinque rinvii e due anni ora è tutto pronto. In onore alla coerenza o magari alla Lega, nel megastore campeggiano quattro enormi colonne verdi e i circa 400 dipendenti, assunti con i soliti contratti creativi da mille euro al mese, indosseranno Superga dall’inconfondibile colore bossiano.

Ma l’uomo, da buon commerciante, è trasversale. Sostenitore e grande amico di Matteo Renzi, che lo voleva ministro nel suo esecutivo, ha intrattenuto rapporti con tutte le amministrazioni. Per trovare uno spazio adatto a un punto vendita a Roma si incontrò più volte con l’allora sindaco Gianni Alemanno. Il cuore però, ha sempre detto, “batte a sinistra”.

Padre partigiano condannato per rapina (sentenza cancellata) e sorella assessore

Nel 1980 Oscar era segretario del Psi ad Alba, paese di origine della famiglia Farinetti. Il padre Paolo, anche lui socialista, è stato un partigiano, ricorda con notevole frequenza e orgoglio il figlio, omettendo con altrettanta frequenza che venne arrestato e condannato per rapina: svaligiò, insieme a tre complici, un’ambulanza che trasportava le paghe degli operai della Fiat Ferriere. Ma era passato da poco il 25 aprile ’45 e la condanna fu poi cancellata.

Fu lui ad avviare quello che oggi è l’impero Fari-netti. Prima un forno in pieno centro, accanto all’edificio che ora ospita il museo Beppe Fenoglio, poi la catena Unieuro che nel 2003 il figlio Oscar ha ceduto per 528 milioni di euro alla Dixon di Londra .

Capitale con cui ha gettato le basi di Eataly. Partendo da Alba,quartier generale dell’impero. In Comune ci sono due “uomini” di Farinetti: la sorella Paola, assessore a cultura e turismo, e Giovanni Bosticco, commercialista di Eataly e assessore a trasporti ed economia.

Candidata nel 2009 Paola prese solo 42 voti e non venne eletta, così il sindaco Maurizio Marello l’ha chiamata al posto del democratico Antonio De Giacomi, nominato vicepresidente della Fondazione bancaria Cassa di Risparmio Cuneo. Paola è anche nel consiglio della fondazione Mirafiore, presieduta da Oscar, che organizza incontri pubblici con personaggi dello spettacolo e della politica, gli ultimi ospiti sono stati Massimo D’Alema e Luca Cordero di Montezemolo. La Fondazione è nata nel 2010 e si trova nel cuore della Langa del Barolo, a Serralunga d’Alba, nella riserva bionaturale diFontanafredda, storiche cantine piemontesi oggi in mano a Eataly, un tempo tenuta di re Vittorio Emanuele II e della Bella Rosin. Una prima parte dell’azienda vinicola, il 64%, era passato a Farinetti nel 2008, il restante 36% era della Fondazione Monte dei Paschi di Siena che nel 2010 ha ceduto la sua quota per 32,5 milioni di euro. Fontanafredda è ora uno dei marchi più diffusi nei 25 store Eataly. Dal negozio a New York, che nel 2013 ha registrato più visite del Moma, a Tokyo, Dubai, Istanbul. Il primo è nato a Torino nel 2007, grazieancheall’allorasindacoSergioChiamparino che concesse gratuitamente all’amico Oscar l’ex sede della Carpa-no. Lui li voleva per 99 anni ma Chiamparinoglirispose,insabaudo: “Esageruma nen”, non esageriamo. Si accordarono per 60 anni: uno spazio da 2.500 metri quadri in cambio dei restauri, costati 7 milioni. Poi Roma, la Firenze dell’amico Renzi, Bologna, Bari, Genova e il mondo.

“Ma quale filosofia di slow food, ormai è solamente commercio”

Lo spazio di Torino fu il primo e, secondo molti l’unico, in cui davvero Farinetti ha rispettato la filosofia iniziale di Eataly: tutela del cibo, alimenti km zero, qualità alla portata di tutti. “Ora sono dei supermercati, in cui si tenta di vendere il made in Italy, ma i parametri di qualità dei prodotti è impossibile da rispettare se hai 25 punti vendita sparsi in ogni angolo del mondo”. Il ragionamento è di Bruno Ceretto, patron delle cantine Ceretto che da Alba ogni anno distribuisce quasi 1,5 milioni di bottiglie. Lui era amico di Paolo Farinetti. “Oscar l’ho visto crescere”. Quando diede vita a Eataly, ricorda, “venne a chiedermi se volevo entrare nella sua distribuzione e mi spiegò le condizioni:ilprimo anno di fornitura gratis e poi disse ‘si vedrà’, non gli risi in faccia perché lo conosco: è un commerciante”. Sono molti i produttori che lamentano questa tendenza. Sugli scaffali di Eataly c’è la pasta Barilla, la birra Moretti: alimenti propri della grande distribuzione. “Ma è normale se fai questi numeri; ripeto Oscar è un bravissimo commerciante”. E la qualità? La filosofia di Slow Food? la tutela dei piccoli produttori locali? “Lasciati ingannare, non disturbare il buon funzionamento del commercio”, diceva Wieslav Brudzinski.

Da Il Fatto Quotidiano del 16/03/2014.
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Re: Il nuovo governo Renzi

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Corriere 16.3.14
«Matteo? Silvio con 40 anni meno»
«Matteo Renzi è un Berlusconi con quarant’anni di meno. Silvio ha il marketing incorporato, e Renzi pure». A dirlo, in un’intervista al Foglio , è Fedele Confalonieri, presidente Mediaset e amico di una vita di Berlusconi: «La cifra della genialità di Berlusconi, come di Renzi, sta nella sua semplicità».
camillobenso
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Re: Il nuovo governo Renzi

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INDUSTRIA
La ripresa va, il lavoro no
E il Job Act rischia di non bastare

Domeniche in fabbrica. Nuovi macchinari. Più turni. 
Viaggio nelle regioni dove la produzione riparte. Ma le imprese non assumono. E il Jobs Act rischia di non bastare
di Gloria Riva


Si chiama Kers, conosciuto per le sue dimensioni come “valigetta del Kers”, l’oggetto misterioso della Ferrari di Formula Uno. È uno degli ingranaggi più innovativi dei bolidi del Cavallino, una specie di propulsore che recupera l’energia dispersa durante le frenate per dare più potenza quando serve.

Lo fabbricano trenta operai della Magneti Marelli di Corbetta, nel milanese. Quindici di loro sono metalmeccanici assunti a tempo indeterminato, l’altra metà precari disposti a tutto pur di essere stabilizzati.

Ma qui, da quattro anni, non si investono risorse su nessuno. L’azienda, che fa parte del gruppo Fiat, va bene. Da tempo non c’è più cassa integrazione, il portafoglio ordini è gonfio e ci si attende un buon bilancio 2013.

Per far fronte alla crescita delle commesse si punta sull’aumento della produttività con i tre turni, il lavoro nel week end e il guru giapponese Hajime Yamashina - quello del metodo Toyota - che gira fra gli stabilimenti suggerendo dritte per lavorare meglio e più in fretta.

Ai picchi produttivi si risponde con gli interinali: di nuovi contratti a tempo indeterminato, neanche l’ombra.

Conferma Mirco Rota, della Fiom: «Come tante altre industrie, la Magneti Marelli ha ingranato la quinta, cresce nei volumi ma l’occupazione resta al palo». Perché un dipendente è come un diamante: costa ed è per sempre.

Da settembre le statistiche dei maggiori centri studi hanno smesso di somigliare a bollettini di guerra e prevedono che l’Italia crescerà di un timido 0,7 per cento nel 2014, grazie all’export. Ma c’è poco da festeggiare. In sei anni il Prodotto interno lordo (Pil) è sceso di nove punti percentuali e i disoccupati sono raddoppiati, 3,2 milioni.

Per giunta la Confindustria parla di una caduta strutturale dell’occupazione, cioè di una tendenza difficile da invertire. Al punto che, nel 2013, la Cgil stima in oltre 515mila i lavoratori relegati in cassa integrazione a zero ore. Per toccare con mano la crudezza di una ripresa senza occupazione basta un tour nelle fabbriche delle regioni italiane dove, già oggi, esportazioni e fatturati sono tornati a crescere e nel 2014 lo faranno più che altrove: Lombardia, Veneto, Emilia Romagna.

Alla Carraro Drive Tech di Capodarsego, nel padovano, dopo una faticosa trattativa sindacati e manager hanno firmato un accordo: 40 milioni di investimenti in cambio del ciclo continuo per far andare gli impianti giorno e notte. Così si ottiene maggiore produttività, cioè più macchine agricole prodotte (di questo si occupa la Carraro) a parità di costi.

La società assumerà cento persone, ma ci vorrà tempo, e intanto i 900 dipendenti non lesinano sugli straordinari.


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Per chi cerca lavoro, dunque, le prospettive restano grigie. «Se il ritmo di crescita del Pil arrivasse all’1,5 per cento annuo - valore che abbiamo sfiorato solo nel periodo di relativo splendore fra il 2003 e il 2007 - il reddito pro capite delle famiglie tornerà come quello precrisi soltanto nel 2026», analizza Sergio De Nardis, capo economista di Nomisma. Al contrario, potremmo essere fuori dal guado nel 2020, se il governo investisse 30 miliardi l’anno, metà per ridurre le tasse alle imprese, l’altra per tirare fuori dal baratro chi è caduto in povertà. Purtroppo, però, fra spending review e altri tagli, lo staff economico del nuovo premier Matteo Renzi sembra che quest’anno non possa racimolare più di 10 miliardi: troppo pochi per soffiare con forza sul fuocherello della ripresa. Ecco perché la disoccupazione, che a livello nazionale tocca il record del 12,9 per cento, non si ferma neppure nelle regioni locomotiva.

Il capo della Telwin di Villaverla, Vicenza, leader delle saldature, 70 milioni di fatturato e 350 dipendenti, per uscire dalle turbolenze della crisi ha tolto le commesse agli artigiani esterni e attivato un contratto di solidarietà per ridurre l’orario ai dipendenti: «Il prezzo da pagare in termini di occupazione è alto, ma l’azienda si è mantenuta profittevole», dice Raffaele Consiglio, della Fim-Cisl. Se Telwin non avesse fatto così, avrebbe dovuto indebitarsi e chissà come starebbe oggi; ma grazie alla flessibilità ha abbassato i costi e intercettato nuovi mercati. Quindi, l’azienda cresce nei volumi, senza però assumere. In cinque anni in Veneto sono saltati centomila posti, due terzi nel manifatturiero, dagli elettrodomestici Electrolux ai cantieri navali Fincantieri, dai pullover Benetton al vetro soffiato La Murrina, dagli occhiali Safilo alle moto Aprilia. Numeri neri: solo per ricollocare i cassintegrati servirebbe una nuova fabbrica da 35 mila operai; una seconda da 100 mila posti sarebbe necessaria per piazzare le tute blu disoccupate e una terza altrettanto grande servirebbe per assorbire i giovani che si affacciano al mondo del lavoro.

«Più produzione e più Pil non significano più occupazione. Di mezzo ci sono l’automazione industriale, che riduce la necessità di lavoratori, e le nuove forme di organizzazione, dalle quali però non possiamo prescindere per non perdere competitività. Bisogna far crescere i settori ad alta occupazione, come il turismo», dice una preoccupata Franca Porto, segretario della Fim veneta, che nessun economista oggi riuscirebbe a rassicurare. E anche Francesco Daveri, professore di Politica Economica all’Università di Parma, sparge cautela. È vero che quando finisce una recessione il lavoro arriva sempre tardi: «Ma stavolta la ripresa ha luogo in un contesto più globale. Le grandi aziende, come Fiat e Barilla, per rimettere in ordine i conti, hanno fatto acquisizioni all’estero.

Quindi il moltiplicatore dei posti di lavoro è meno garantito». Anche negli Stati Uniti, dove l’economia è ripartita, l’occupazione va al rallentatore. Chi ha studiato, conosce le lingue, viaggia e sa maneggiare l’economia e Internet, non ha grossi problemi. Ma gli operai restano parcheggiati, perché nel frattempo i datori di lavoro hanno spinto sull’automazione, la delocalizzazione o le strategie per migliorare la produttività. Come alla bergamasca Brembo, capofila di un settore auto che in Lombardia è tornato a viaggiare. O, ancora, alla Arag di Reggio Emilia, un’azienda che cresce del 15-20 per cento l’anno e fa computer di bordo. Lì di operai non ne cercano, sono sufficienti i 250 attuali, addestrati per rendere più pimpante la produzione. Il proprietario, Giovanni Montorsi, assumerebbe volentieri una decina di ingegneri ma fatica a trovarne di adatti.

Difficile per i giovani non farsi scoraggiare. Prendiamo il caso di Lactalis Galbani, di proprietà della famiglia francese Besnier, che in quindici anni si è mangiata la maggior parte dei formaggi lombardi (Invernizzi, Cademartori, Locatelli, Vallelata, più l’emiliana Parmalat). Il colosso è cresciuto del 18 per cento nel 2013. I formaggi vanno forte all’estero, meno in Italia, e così Lacatalis taglia i costi e chiude l’Invernizzi di Caravaggio (Bergamo), lo stabilimento dei formaggini “Susanna tutta panna”. Besnier trasferirà i 218 dipendenti a Pavia, mentre salteranno circa cento giovani precari. Anche nelle multinazionali, dunque, tira una brutta aria: nel giugno 2013 i manager del colosso chimico tedesco Henkel avevano dato un premio di produzione a tutti i 75 operai di Mezzago (Monza). Un paio di settimane dopo, hanno chiuso la fabbrica. «Per ridurre i costi i gruppi fanno costanti riorganizzazioni, anche se vanno bene», spiega Aldo Isella della Cisl, che ha firmato un accordo con l’Eni per prepensionare (via mobilità) mille colletti bianchi in cambio di cinquecento neo assunti.

Così, anche se gli indicatori della crescita migliorano, sono in molti a temere una falsa ripartenza. Dice Fabiano Schivardi, che insegna Economia alla Luiss: «Se entro l’estate la crescita si rafforzerà, ripartirà anche l’occupazione. Ma per ora nessuno si azzarda ad assumere, perché una gelata potrebbe cancellare i germogli d’inizio anno». L’atteggiamento dell’Unione Europea, pensa il professore, sarà determinante. Se alle imminenti elezioni europee vincerà la politica del rigore, allora la crescita si arresterà; se s’investirà per rilanciare i Paesi in difficoltà, allora l’Italia potrà guarire. «Abbiamo bisogno di stabilità e servono scelte condivise con l’Europa, come l’unione bancaria, utile per rianimare il credito all’industria», spiega Schivardi. Nel frattempo, per porre un freno alla disoccupazione, Renzi ha promesso di presentare il Jobs Act in Parlamento entro metà marzo: all’interno della riforma è prevista l’introduzione di un assegno universale per chi perde il lavoro (anche gli atipici) e un unico contratto a tutele progressive, in sostituzione della giungla dei 40 contratti attuali.

Un problema che il governo dovrà risolvere è recuperare l’enorme divario che si è creato fra salari e produttività. Questo rapporto in Germania è rimasto stabile, da noi i salari sono cresciuti mentre la produttività è calata. Uno scollamento che va ricucito tagliando le tasse sul lavoro. Come? «Chiedendo a Bruxelles di dirottare tutti i finanziamenti europei sulla riduzione del cuneo fiscale», suggerisce l’economista. Intanto le grandi aziende si portano avanti. Secondo Schivardi, alcune vertenze scottanti (come l’Electrolux), potrebbero nascondere il tentativo di abbattere la contrattazione nazionale, come ha fatto Fiat, puntando sulla contrattazione decentrata per scambiare la flessibilità con maggiori investimenti. Come è successo alla Ducati Moto di Bologna dove Luigi Torlai, direttore risorse umane, dopo quattro anni di trattativa ha convinto i sindacati a firmare un accordo per assumere a tempo indeterminato 30 persone con un part time verticale, che li terrà in azienda da gennaio a luglio.

Una strategia che consente di coprire i picchi stagionali risparmiando sui costi di formazione del personale interinale e preparare il ricambio generazione tra gli operai.

Trenta assunzioni part time su un organico di 980 persone sono poche. Ma per chi farà parte del gruppo, sarà come aver vinto un Gran Premio.

13 marzo 2014© RIPRODUZIONE RISERVATA
camillobenso
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Re: Il nuovo governo Renzi

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il Fatto 16.3.14
Televendite
Nuovismo renziano: il catalogo è questo
Renzi, il nuovo catalogo e il catalogo del nuovo

di Furio Colombo

Matteo Renzi, giovane leader di un partito indeterminato sostenuto da una maggioranza indeterminata (che, però, alla prova dei fatti, tiene) assomiglia a un manifesto sovietico del primo periodo, quando nel Pcus la grafica era importante.

Il tratto di sfida e di guida dell’immagine suggerisce folla dietro di lui, ma è solo lui che si vede. E si ascolta.

E si finisce per dire “bravo”, in un coro di ammirazione che cresce.

Questo Renzi “è pulito”, come direbbero i guardaspalle, in un thriller, mentre il personaggio che forse segna pericolo e forse porta il fatto nuovo, entra nella stanza segreta. E infatti tutti abbassano le armi e si dispongono ad ascoltare. Che vuol dire accettare, come dimostrano i titoli dei giornali e telegiornali che si scavalcano in titoli e lanci enfatici e accatastano preannunci.

IL PRIMO PUNTO da notare è proprio questo, il preannuncio, che, nel paese degli annunci, appare un espediente mai sperimentato prima.

Certo ha colpito e travolto un po’ di corpo giornalistico e due terzi di opinione pubblica (come ci dicono molti sondaggi attendibilissimi del tipo “senza valore scientifico”).

Il preannuncio vuol dire che, come nelle Scritture, invece di un evento, vi racconto il mondo che viene.

Nelle scritture si faceva secoli prima, adesso si tratta di contare i giorni.

Però funziona, se pensate a Marchionne. Certo, nel privato ci sono vie di fuga (per esempio l’America) precluse al politico (salvo la vicenda del primo ministro libico appena fuggito in Germania).

Ma, a somiglianza del primo ministro libico, Renzi dice e ripete con forza che se “l’Italia non cambia verso” lui se ne va, esce dalla politica.

Dunque non vuole discutere dettagli.

O tutto riesce, o via per sempre.

Questa forte drammatizzazione (il tutto invece di una cosa, il preannuncio invece dell’annuncio) sta funzionando alla grande, anche perché, in luogo dello stato d’animo precedente, che era un impasto di noia, attesa e paura, ha fatto irruzione la novità, che non è una cosa o un fatto o un oggetto, nella società renziana, ma, appunto, uno stato d’animo. La novità non la tocchi ma è lì, davanti a te.



Ottima pensata, perché fin da bambini tutti noi abbiano sempre associato la cosa nuova alla cosa migliore, con l’ingrediente della sorpresa e l’inevitabile aspettativa di un premio.

Per capire, dedichiamo un minuto al ricordo.

Dopo l’infinita e costosissima carnevalata Berlusconi-Lega, c’era stato il severo governo in loden che, come nella storia del Piccolo Lord, invece di punire Berlusconi, puniva e sgridava tutti noi cittadini che avevamo vissuto per vent’anni sotto Berlusconi.
Subito dopo il processo e la punizione del Tribunale Monti, siamo stati ricoverati, per decisione e sollecitudine del Primario, nella Clinica Letta, specialista in grandi intese, dove gentili camici bianchi somministravano medicine sgradevoli, però in dosi e combinazioni, si è capito dopo, inutili.

A questo punto l’irrompere di Renzi e della sua squadra giovane (salvo l’addetto alla sala macchine dell’Economia) è sembrato un pigiama party, l’ingresso in un mondo festoso (che deve venire) in cui tutto è possibile perché Renzi, proprio lui, Renzi, ci ha messo la faccia.

Certo, a mano a mano che si diradano i fumi dei fuochi artificiali di festa, dal pigiama party si staccano gruppi scontenti, a cominciare dai pensionati.

Hanno appena imparato che lo slogan “Le pensioni non si toccano” è come una preghiera che non occorre essere credenti per ripetere. Ma hanno anche imparato che le famose “pensioni d’oro” non sono quelle da 90 mila al mese, che cosa avevate capito?

Quelle sono poche e ben difese. Stiamo parlando di pensioni da duemila o poco più, cioè tantissime, esattamente la classe media, esattamente quelle di chi ha lavorato molto, ha guadagnato decentemente, secondo le retribuzioni del tempo, ha pagato molte tasse alla fonte (quasi sempre lavoro dipendente), ha versato molti contributi (quelli che tengono in piedi la baracca previdenziale) e contribuito a tenere a galla le famiglie che si sono salvate fino a poco fa (compresi molti giovani senza lavoro però dottorandi), e che fra poco cadranno fra i corpi morti della classe media.

Ma i nuovi giovani non commettono l’errore di guardare ai dettagli e agli errori. Ce ne saranno stati anche nel piano Eisenhower per lo sbarco in Normandia. Troppi morti, dice qualcuno. Sarà, ma Eisenhower ha vinto.


VEDIAMO piuttosto il metodo operativo di questo successo che, non negatelo, si accumula.

Renzi è come i Future, come i derivati.


Ogni cosa si gioca sul fatto che la cosa precedente sarà certamente andata bene. Però, come per i derivati, devi tenere lo sguardo sull’ultima cosa promessa. È su di essa che si scommette e, se si vince, si vince grosso. A scommettere sulla prima sono capaci tutti, hai un tuo piccolo margine e “non cambi verso”. Per “cambiare verso” all’Italia, devi tenere lo sguardo fisso avanti e lontano, verso un mondo tutto nuovo che, ti garantisco, sta per venire. No, non quello di adesso, quello dopo. Se questo è il contesto, è chiaro che la vendita conta più del prodotto.

Il Segreto di Matteo Renzi è tutto qui. Invece di rivisitare il passato o di lasciarsi inchiodare dagli irrisolvibili problemi del presente, si gioca il futuro. Ha lasciato indietro le retroguardie pericolose della spending review inventata da altri, ma tenuta in vita per raccogliere tutto ciò che si può ramazzare dalle spese inutili. Sono spese inutili tutte quelle che il Commissario dichiarerà tali. Ci sono vittime, ma nel passato. Le risorse recuperate saranno offerte in dono, dal Commissario delle spese, al giovane vincitore del futuro, che tiene lontane le vecchie vittime (chi ha bisogno dei pensionati?) e brandisce le ex spese inutili come una conquista di cui gli altri, prima di lui, erano stati incapaci
camillobenso
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Re: Il nuovo governo Renzi

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Repubblica 16.3.14
Landini: “Tfr in busta paga”. E il Pd si spacca

MILANO - Difesa dai centristi al governo. Critiche e richieste di cambiamento da sinistra, anche dagli esponenti politici che appoggiano l’esecutivo Renzi. Il decreto che si sostituisce alla riforma Fornero sui contratti a termine fa discutere. Ma il coordinatore del Nuovo centrodestra, Angelino Alfano si è già detto indisponibile a modifiche: «Non si torna indietro e non accettiamo diktat dalla Cgil. Abbiamo smontato la parte più odiosa della riforma Fornero e Ncd difenderà quello che ritiene una conquista». E da parte sua, il leader della Fiom, Landini, propone a Renzi di «mettere il Tfr di ogni lavoratore in busta paga. Sarà lui poi a decidere se accantonarlo o spenderlo. D'altra parte sono soldi suoi, deve deciderlo lui, perchè potrebbe averne bisogno in un dato momento e non alla fine della sua attività lavorativa».
Emerge più di una perplessità, invece, dalle file del partito democratico. E se ne è fatto portavoce l’ex ministro del Welfare, Cesare Damiano. Che chiede - così come il segretario della Cgil, Susanna Camusso, una revisione in sede di esame parlamentare: «La durata triennale senza le causali per le assunzioni ci sembra esagerata e corre il rischio di provocare un eccesso di flessibilità». Inoltre, aggiunge «la domanda che dobbiamo farci è se un contratto a termine così liberalizzato, come quello contenuto nel decreto, non renderà inutili e poco convenienti sia il contratto di inserimento che l’apprendistato».

Corriere 16.3.14
Lavoro flessibile e apprendistato, sindacati divisi
Camusso: via il decreto, in cambio discutiamo di contratto unico
Alfano: no ai diktat Cgil
di Stefania Tamburello

ROMA — Si svolgerà in luglio il prossimo vertice tra i leader europei sulla disoccupazione giovanile. Dopo Berlino e Parigi toccherà a Roma ospitare il confronto già previsto nell’agenda del precedente governo Letta. «Noi siamo messi peggio sul fronte della disoccupazione giovanile», ha affermato ieri il presidente del Consiglio Matteo Renzi, al termine dell’incontro nella capitale francese con il presidente François Hollande. «Il pacchetto di riforme dovrà vedere un passo significativo», ha aggiunto con uno sguardo a Roma, dove il primo dei provvedimenti sul lavoro, quello che ridisegna le regole sui contratti a termine e sull’apprendistato, sta però suscitando tensioni nel sindacato e in parlamento dove si preannuncia aria di bufera.
Il decreto arriverà domani al Quirinale per la firma del presidente della Repubblica. Sul provvedimento per ora non si arretra, come aveva chiesto venerdì la leader della Cgil, Susanna Camusso, dicendosi disponibile in cambio «a discutere» di un contratto unico. «Il governo non torna indietro. Non possiamo accettare i diktat della Cgil», ha scritto su Twitter il ministro dell’Interno Angelino Alfano (Ncd). Camusso non si arrende: «Il decreto andrà in parlamento e proveremo a cambiarlo come si fa nella normale attività sindacale e nella dialettica tra le parti» ha detto, aggiungendo che i primi provvedimenti del governo Renzi sulla materia «sembrano contraddittori rispetto agli annunci che erano stati fatti, che parlavano di tutela del lavoro e di fiducia per i giovani: si sta determinando, invece, un cumulo di situazioni precarie». A Camusso ribatte, tornando a differenziare il percorso dopo mesi di cammino unitario, il leader della Cisl, Raffaele Bonanni. Meno preoccupato della collega per la prospettiva di congelamento della concertazione («Ce ne faremo una ragione» dice), Bonanni critica «il furore ideologico» della Cgil. Le misure del governo, ha insistito ieri, «assicurano ai contratti a termine gli stessi salari, le stesse tutele previdenziali, gli stessi diritti sindacali dei contratti a tempo indeterminato. Meglio un contratto a termine pagato di più e tutelato che la disoccupazione e l’inedia per migliaia di giovani». Senza contare che «moltissimi contratti a termine statisticamente si trasformano a tempo indeterminato, con gli accordi sindacali e perché le aziende non vogliono perdere le professionalità acquisite dai lavoratori». Se battaglia ci deve essere, preferiamo farla, ha aggiunto, sulle «vere forme-pirata di lavoro: le false partite Iva, i co.co.pro. e gli associati in partecipazione che non danno alcuna tutela».
Ma non c’è solo il sindacato. Sulle misure sui contratti a termine, che prevedono la possibilità di applicarli senza causale con un massimo di otto proroghe in tre anni fino al 20% del personale dipendente, ieri si sono cominciate a delineare le contrapposizioni sul fronte politico. E se l’ex ministro Maurizio Sacconi, presidente dei senatori di Ncd, ha giudicato il decreto «un elemento decisivo in sé e per la nuova prospettiva che apre» e ha avvertito che «l’esame parlamentare, al di là degli aggiustamenti al margine, dovrà confermare questa impostazione, pena la tenuta della maggioranza», Cesare Damiano,presidente della commissione Lavoro della Camera, ha invece insistito, come Camusso, sulla possibilità di modificare il decreto in parlamento: «La filosofia del prendere o lasciare non sta scritta da nessuna parte».
camillobenso
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Re: Il nuovo governo Renzi

Messaggio da camillobenso »

Non tutti sono bolliti - 1


In questo passaggio di grandissima confusione e caos dove domina prepotentemente il berlusconismo trionfante, in modo trasversale, nel difficile terreno del buon senso, una parte del mondo intellettuale avverte un forte disagio per un nuovismo privo di consistenza.
Il primo ad esprimere grande perplessità su Turbo Renzi è stato il Prof. Giovanni Sartori, dopo aver conosciuto la formazione del nuovo governo.
"UN GOVERNO DI INCOMPETENTI GUIDATO DA UN INCOMPETENTE".

Giudizio lapidario ma aderente alla realtà.




RAGIONI E RISCHI DELLA ROTTURA RENZIANA
Non si vive di belle parole
di Angelo Panebianco

L’affermazione del presidente del Consiglio secondo cui se a maggio non ci saranno i soldi in più promessi nelle buste paga per effetto della manovra Irpef, allora egli sarà da considerare un buffone, è sembrata a molti la conferma di quanto azzardato sia il suo gioco politico. Ma è forse possibile una diversa interpretazione: quella frase irrituale svela quale sia il vero punto di forza di Renzi. Egli ha intercettato e correttamente interpretato un grande cambiamento (positivo) che si è verificato negli atteggiamenti dell’opinione pubblica. Il fatto è che ormai non è più possibile abbindolare nessuno: nessuno si fida più, non solo degli annunci, ma nemmeno - finalmente! - delle decisioni formalmente e ufficialmente prese da governi e Parlamenti. «Pagare moneta, vedere cammello» è ora l’atteggiamento dominante nell’opinione pubblica.
Fino a poco tempo fa il sistema funzionava così: veniva annunciato un nuovo, meraviglioso, provvedimento. I media, per lo più, lo presentavano come cosa già fatta. Dopo qualche tempo arrivava, se arrivava, la decisione, con i crismi del decreto legge o magari (ma doveva passare molto più tempo) con quelli della legge votata dal Parlamento in pompa magna. Già lì c’era la prima doccia fredda: gli addetti ai lavori scoprivano che fra il provvedimento annunciato e quello varato c’era un grande scarto. Ma questa informazione arrivava attutita all’opinione pubblica. E la cosa non finiva lì. Dopo, scattava il complicatissimo iter burocratico dell’attuazione durante il quale il provvedimento veniva ulteriormente triturato e, spesso, pervertito. Gli scopi iniziali venivano sovente abbandonati e sostituiti tacitamente da altri. Alla fine della fiera, e dopo parecchi mesi, i soliti addetti ai lavori scoprivano che il provvedimento non aveva sortito alcun effetto oppure solo effetti negativi: niente che assomigliasse, neppure alla lontana, alle meravigliose novità a suo tempo annunciate. L’opinione pubblica, ormai distratta da altro, neppure veniva a saperlo.
Adesso, anche i sassi sanno che non bisogna fidarsi: che non bisogna guardare solo alle decisioni che vengono prese ma aspettare di vedere quale ne sarà la attuazione, ciò che conta davvero.Perché questo cambiamento dell’atteggiamento dell’opinione pubblica è positivo? Perché apre la possibilità di imporre anche in Italia ciò che gli anglosassoni chiamano accountability : sei responsabile di ciò che mi prometti e ti giudicherò non per le promesse ma per i fatti che seguiranno, o non seguiranno, alle promesse. E ciò, oltre alla politica, potrebbe finalmente mettere sotto scopa anche «l’infrastruttura amministrativa» (burocrazia e giustizia amministrativa), il cui malfunzionamento è il male più grave da cui è afflitto il Paese. Accountability significa che l’epoca delle furbizie volge forse al tramonto.
Certo, gli umori del Pae-se potrebbero cambiare di nuovo. L’opinione pubblica potrebbe tornare ad essere ciò che è sempre stata: un impasto di apatia, credulità e voglia di ribellione, unite a ignoranza e disinteresse per i veri meccanismi che condizionano le scelte pubbliche. Ma è già tanto che la «politica degli annunci» non incanti più nessuno e che, inoltre, si sia diffusa la consapevolezza che ciò che blocca il Paese sta nell’intreccio fra una politica impotente e una infrastruttura amministrativa che opera al servizio di se stessa. È questo il vero punto di forza di Renzi. È la più potente arma di ricatto di cui dispone per mettere in riga le lobby parlamentari e la burocrazia a tutti i livelli: tutti quelli che, se si profila all’orizzonte una innovazione, si mettono subito al lavoro per neutralizzarla, distorcerla, edulcorarla. E che fino ad oggi, sfruttando cavilli e procedure complicate, sono sempre, o quasi sempre, riusciti a spuntarla. Basti vedere che cosa è successo a tanti provvedimenti varati dai governi Monti e Letta.
Sbloccherà davvero Renzi il pagamento dei debiti alle imprese? Il provvedimento sui contratti a termine, quando verrà varato, partirà già annacquato grazie al lavoro sottotraccia delle lobby contrarie oppure verrà neutralizzato in sede di attuazione? La riforma del lavoro di Renzi farà la fine di quella della Fornero? Il taglio dell’Irpef risulterà solo un regalo elettorale (in vista delle Europee di maggio) incapace di stimolare la ripresa della domanda interna oppure, sommandosi ad altri provvedimenti pro-crescita, contribuirà a mutare il clima del Paese, a dare il colpo di frusta di cui l’economia italiana ha bisogno? Cosa verrà fatto, a breve, contro quella palla al piede dell’economia che è il malfunzionamento della giustizia civile? Cosa verrà fatto per rendere i ricorsi ai Tar l’eccezione anziché la regola? A seconda delle risposte che potremo dare fra qualche mese a queste e ad altre domande, capiremo - lo capiremo solo allora - se Renzi si rivelerà un autentico vincente oppure un’altra (l’ennesima) promessa mancata.
I vincoli che il premier deve aggirare o allentare sono potenti. Egli ha in mano due sole carte: il rapporto carismatico che ha stabilito con l’opinione pubblica e la paura dei parlamentari che un suo fallimento li porti dritti alle elezioni. Ma sono carte a rischio di deterioramento rapido. Il carisma, per sua natura, è fragile, transitorio, effimero. Renzi ha ragione nel voler fare tutto o quasi tutto in fretta, nel tempo più breve possibile. Deve cambiare le regole del gioco, ivi comprese quelle istituzionali e amministrative, prima che il suo carisma subisca l’inevitabile logoramento. Altrimenti, tutto finirà con il solito «vorrei ma non posso», la vera epigrafe di altre avventure carismatiche che l’Italia repubblicana ha conosciuto.
17 marzo 2014 | 09:19
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http://www.corriere.it/editoriali/14_ma ... 7b5e.shtml
camillobenso
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Re: Il nuovo governo Renzi

Messaggio da camillobenso »

Televendite-Pentolame: Compri 3,….paghi 1 ……- 1


Massimo Franco, editorialista del Corriere della Sera, nonché afficionados di Otto e mezzo, la settimana scorsa in occasione del primo anno del pontificato di Francesco, in collaborazione con Corrado Augias, dalla Gruber, ha sottolineato che noi siamo stati presi in considerazione dai primi della classe delle potenze Occidentali, in quanto nazione di confine della sfera sovietica (con la Jugoslavia).

In questa linea di confine sono stati piazzati ai tempi della guerra fredda i missili puntati verso la ex Unione sovietica.

Non dimentichiamoci ad esempio la base di Comiso.

Eravamo presi in considerazione per questo.

Quando cade il Muro di Berlino nel 1989, e successivamente chiude bottega l’Unione sovietica, tra il 19 gennaio 1990 e il 31 dicembre 1991, noi siamo diventati immediatamente ininfluenti. Siamo tornati ad essere i prosecutori del teatro di Purecenella.

Tanto è vero che l’anno successivo si conclude la prima Repubblica sotto i colpi di Mani pulite e Piedi sporchi.

Io sono d’accordo con la tesi di Massimo Franco.

Anche perché il ventennio successivo inizierà con i politici che fanno i comici, per aggiungere a fine ventennio i comici che fanno i politici.

La scorsa settimana ad Agorà, nella prosecuzione della televendita del pentolame, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Graziano Del Rio, ha specificato che:

1) Il nostro è un Paese seriooooooooooooo. (Se ci fosse Totò non ci farebbe mancare il suo riverito parere: ""Uh, uh, uh, mi scompisco dalle risate"),
2) La nostra è una grande potenza mondiale ( Altra scompisciata)

Ieri, riportata in tutta evidenza dai quotidiani, che non si accorgono neppure di fare concorrenza a “Il Male” (http://it.wikipedia.org/wiki/Il_Male), la notizia della Televendita di pentolame addirittura dalla Porta di Brandeburgo.

DALL'ITALIA
Renzi al Tg5: <<Non siamo somari da
Mettere dietro la lavagna>>


http://video.corriere.it/renzi-tg5-non- ... 8350ae7b5e


Voi quante pentole avete acquistato????????
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