De Magistris: 'Sinistra, svegliati'
di Alessandro Gilioli
(14 settembre 2012)
«Oggi è il momento del coraggio per chi vuole costruire un'alternativa al pastrocchio con l'Udc. Mi riferisco a Vendola e Di Pietro, ma anche ai cittadini e ai movimenti». L'appello del sindaco di Napoli, che aggiunge: «Se qualcuno si fa avanti davvero per coalizzare uno schieramento 'arancione', io lo appoggerò»(14 settembre 2012)Le tensioni sociali, esplose con la vicenda Alcoa. Beppe Grillo, il suo guru Casaleggio e il Movimento 5 Stelle. Ma anche - o soprattutto - lo spaesamento degli elettori di sinistra, che dopo la 'primavera arancione' dell'anno scorso (con i referendum e i nuovi sindaci) ora vedono un Pd sempre più vicino a Passera e Casini e sempre più lontano dall'idea di costruire un'alternativa radicale sui diritti sociali e civili. Sono i nodi di questa intervista a Luigi De Magistris, uno dei protagonisti di quella primavera, oggi primo cittadino di Napoli.
De Magistris, qualcuno dice che sta arrivando un 'autunno caldo' e che i disordini al corteo dell'Alcoa sono un anticipo di quello che verrà. E' vero?
«Ci siamo già, nell'autunno caldo. E l'Alcoa è la punta di un iceberg, simbolicamente più visibile per via della situazione del Sulcis: ma in tutta Italia ci sono tante piccole Alcoa ogni giorno. La tensione sociale è molto forte e si sta un po' sul filo. Per ora la situazione è ancora sotto controllo, ma in pochi giorni potrebbe sfuggire di mano. Le fibrillazioni sono enormi e io sono preoccupato».
Che scenario vede?
«Quando la gente pensa che la condizione in cui si trova non è colpa di nessuno, che non si poteva fare in alcun altro modo, tutto sommato la situazione regge: come dopo una guerra, ad esempio. Ma se invece chi ha un dramma in famiglia sa che ci sono delle responsabilità, che si sarebbe potuto fare diversamente e che sono state perpetrate delle ingiustizie, ecco che allora le cose possono peggiorare».
A cosa si riferisce?
«Alle manovre economiche che da un anno e mezzo a questa parte - quindi con i governi Berlusconi e Monti - sono andate a colpire solo alcuni ceti. E che soprattutto non hanno messo in campo alcuna politica di sostegno di lavoro».
Qual è stato l'errore maggiore del governo Monti?
«La prima manovra. Dopo Berlusconi, il professore si presentava come una novità, come un leader di grandissimo prestigio internazionale e con una larghissima maggioranza. Poteva spendere quella forza in modo diverso. Primo, con una patrimoniale: chiedere qualche sacrificio anche ai ricchi sarebbe stato un segnale forte in un momento di difficoltà e in un Paese attraversato da forti di disuguaglianze sociali. Secondo, lo scudo fiscale, un tema di cui si parla sempre troppo poco poco: tassandolo adeguatamente, si poteva arrivare a una ventina di miliardi di euro. Terzo, alcune spese intollerabili come i cacciabombardieri. Ecco, queste scelte oggi rendono più difficile tenere sotto controllo le tensioni sociali, amche perché si assommano alla sfiducia montante in tutto il Paese nei confronti del ceto parlamentare».
Ha sbagliato il Pd a far nascere il governo Monti?
«Io penso che sarebbe stato meglio andare a votare subito, ma posso anche capire che in quel momento - pur di mandare via Berlusconi e ridare credibilità al Paese - si poteva far propria la scelta di Napolitano di puntare su Monti. Il vero problema è venuto dopo, quando il Pd è stato determinante a fare scelte che io considero inaccettabili: come quelle che ho citato sopra, ma anche la riforma dell'articolo 18, i tagli ai comuni, la compressione dei diritti. Per non parlare del pareggio di bilancio in Costituzione, passato nel più assoluto silenzio».
E oggi?
«Oggi tutto il centrosinistra rischia di pagare quelle scelte: come va a giustificarle di fronte agli elettori? I cittadini non sono stupidi né inconsapevoli di quello che è stato fatto. Tanto più che il Pd non sembra aver sciolto gli equivoci su quanto vuole essere in continuità e quanto in rottura, se andrà direttamente al governo, con le scelte fatte da Monti».
A proposito del Pd, che cosa pensa di Renzi?
«Ho rispetto di lui perché è un sindaco eletto, giovane e coraggioso. E questo gli va riconosciuto. Il suo programma politico però è molto distante dal mio pensiero. Se devo pensare a un alternativa delle politiche liberiste degli ultimi anni, non penso certo a Renzi».
Invece il suo giudizio sull'Idv di adesso qual è?
«Sono molto curioso di sapere cosa dirà Di Pietro a Vasto. Spero che l'Italia dei Valori abbandoni definitivamente quella svolta moderata da cui è stata tentata un annetto fa e mi piacerebbe che il partito maturasse, arrivando a quell'assunzione di responsabilità propria di chi vuole governare. E vorrei che Di Pietro fosse più aperto e meno pauroso verso chi in questi anni si è generosamente è impegnato con lui nel partito, compresi moltissimi molti giovani».
E poi c'è la questione del Movimento 5 Stelle, esplosa in modo rumoroso nei giorni scorsi.
«Guardi, io ho iniziato a fare politica conoscendo moltissimi attivisti del M5S, dei quali sono ancora amico. E ho molta stima di loro perché credono veramente nelle battaglie che fanno. Trovo però del tutto sbagliato il fatto che Beppe Grillo continui a dire che in politica anno tutti schifo nello stesso modo, naturalmente tranne lui: lo capisco, intendiamoci, perché serve a prendere consensi, ma non aiuta a costruire un paese. E poi diciamolo, il tema di Casaleggio esiste, io lo dicevo da mesi. C'è un'eterodirezione dei movimento politico. Una cosa è avere un consulente, un'altra cosa è avere uno che di fatto detta la linea».
Lei l'ha conosciuto, Casaleggio?
«Sì, l'ho incontrato in un paio di occasioni. La mia impressione è che sia una persona estremamente competente, soprattutto di Internet e di movimenti. Non stiamo parlando di una quaqquaraqua: è un personaggio strutturato, che ha avuto incarichi importanti anche in ambienti economici. E mi dà l'idea di uno che controlla e guida Grillo».
E come fa?
«Casaleggio ha un notevole fascino nei confronti di quelli con cui parla: se non hai una robusta personalità, lui ha una grande capacità di influenza, un carisma a cui non è facilissimo sfuggire. E che lui esercita sulle persone con cui lavora, a iniziare proprio da Grillo».
Ma con che scopi? Economici o politici?
«La mia opinione, che non vuole essere diffamatoria, è che da parte sua ci sia solo un disegno economico, non politico. Per questo non vedo in lui - e quindi in Grillo - una proposta vera per cambiare il paese: vedo invece un modo per conquistare spazi finalizzati a un ritorno individuale. Diverso è il movimento, invece, composto da ottimi ragazzi che considero degli interlocutori. Se vogliono cambiare la politica, però, devono capire che insieme a loro ci sono altre persone per bene nel Paese, persone che tra l'altro vivono in situazioni di grave difficoltà che certo Grillo non conosce, essendo uno che vive nell'agio e nell'opulenza. Comunque, il dibattito nel M5S c'è, anzi c'era già prima del caso Favia. E credo che non potrà essere compresso».
In ogni caso, Grillo andrà alle elezioni da solo. Il Pd invece? Alla fine che alleanze farà?
«Quello che temo è che o lascino il Porcellum o facciano una riforma elettorale con lo stesso effetto: quello di potersi presentare agli elettori in un'alleanza senza l'Udc, per poi fare un accordo di governo con Casini subito dopo. Se non peggio»
Peggio come?
«Credo che diversi stiano pensando a ripetere l'esperienza di una grande coalizione, anche perché nel 2013 si dovrà eleggere il presidente della Repubblica: e quindi i vecchi partiti vogliono mettersi al sicuro, temono la nuova politica che sta avanzando. Quando si ha una sindrome di accerchiamento, è abbastanza frequente che ci si ricompatti, che ci si metta insieme. Non è un caso che la grande coalizione di Monti sia arrivata poco dopo la primavera arancione, i referendum sull'acqua, l'elezione di sindaci come Pisapia, Zedda e il sottoscritto».
Che effetti ha avuto quella primavera?
«Ha creato molta paura sia ai partiti sia ai poteri forti. Questi ultimi, in particolare, erano gli stessi che avevano sostenuto Berlsuconi, ma si erano poi resi conto che le loro politiche liberiste non potevano essere più portate avanti da un premier privo di credibilità come il Cavaliere. La grande coalizione è stata la loro reazione al timore che potesse montare una primavera arancione in tutto il Paese».
E perché nessun soggetto finora ha raccolto quella primavera per provare farne un'alleanza politica diversa?
«Perché ci voleva, e ci vuole ancora, molto coraggio. Un po' lo stesso coraggio che abbiamo avuto noi quando ci siamo candidati qui a Napoli, senza l'appoggio né del Pd né di Vendola, e con tutti i pronostici contro».
A chi è rivolto questo appello al coraggio?
«Se parliamo di partiti, prima di tutto all'Idv e a Sel, e naturalmente ai loro leader: Vendola e Di Pietro, che non facendo parte della maggioranza sono quelli che più di altri potrebbero raccogliere l'eredità della primavera 2011».
Non è troppo tardi?
«No, se Vendola e Di Pietro fanno scelte coraggiose, aprendosi ai cittadini, agli elettori, ai movimenti. Il Paese è molto più radicale di quello che si possa immaginare. E comunque anche i moderati non si conquistano con operazioni algebriche: oggi i moderati li conquisti con chiarezza, coerenza, credibilità, etica, rigore. Non facendo accordi di corridoio con l'Udc».
Lei andrà a votare alle primarie del centrosinistra, con gli attuali candidati?
«No, non credo proprio, quello che lei descrive non è uno scenario che mi appassiona»
Quindi?
«Quindi questo, ripeto, è il momento del coraggio e della generosità. A me farebbe piacere che di qui alle prossime settimane si facessero avanti per candidarsi delle persone belle di questo paese, che è pieno di risorse conosciute e meno conosciute. I partiti i partiti da soli non cambieranno mai, senza una botta dai cittadini e dai movimenti».
E lei cosa farà?
«Naturalmente il sindaco di Napoli. Ma mi piacerebbe anche dare il mio contributo a chi vuole costruire un'alternativa al governo Monti».
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