Alcuni, anzi purtroppo molti, pensano di risolvere la questione con un'imposta patrimoniale sui ricchi. Far piangere i ricchi per consolare i poveri e riportarli sul mercato dei consumi. Una patrimoniale capace di produrre questi effetti eticamente è sacrosanta ma economicamente è impossibile. In un mercato dei capitali aperto come abbiamo in Europa e nel mondo si determinerebbe una fuga di capitali di proporzioni enormi con effetti devastanti sul mercato finanziario e sulla tenuta dell'euro. L'imposta patrimoniale ha un senso se si tratta di un gravame ordinario di piccole dimensioni che, in una futura riforma fiscale, serva di coronamento a imposte proporzionali sulla ricchezza per mantenere un andamento progressivo del sistema nel suo complesso. Ad altro non può servire, salvo che se ne limiti l'applicazione ai patrimoni immobiliari con il risultato di un effetto negativo sul valore e quindi sulla vendita dei predetti immobili. Sarebbe opportuno che di queste cose riflettessero quelle forze politiche che della patrimoniale hanno fatto un mantra che non sta in piedi.
E. Scalfari
Molto probabilmente Scalfari negli anni in cui ha diretto La Repubblica è diventato miliardario e quindi oggi difende il suo patrimonio. Nelle debite proporzioni, se Vittorio Feltri percepisce 700 mila euro all’anno , un direttore e fondatore di giornale come lui miliardario ci è diventato senz’altro. Ma fare i conti in tasca agli altri è sempre piuttosto seccante.
Diego Della Valle, invece, non la pensa come lui. Della Valle è uno di quegli imprenditori che ha una dimensione precisa del denaro. Con tutto il denaro che ha si può permettere di tutto e di più, e non solo lui, ma anche i suoi figli e nipoti in futuro. Quando hai la fortuna che nella vita in qualsiasi momento senza problema alcuno puoi soddisfare qualsiasi tuo desiderio materiale, si può sapere cosa vai cercando di più? L’impossibile?
La luna non la può avere, ma anche se potesse mi domando cosa ci possa fare.
Questo senza voler mettere Diego Della valle su tutti gli altari d’Italia.
Il megalomane di Harcore di ville ne ha 16, ma cosa se ne fa ? Non ci può stare in tutte e 16 contemporaneamente. Se poi si tiene conto del tipo di vita che fa, ha senso disporre di ville che se va bene le occupa solo qualche giorno all’anno?
Ma i tipetti come lui li conosciamo bene, al momento giusto te la sbatte là che ha 16 ville solo con l’intento di impressionarti, di stabilire un rapporto ben preciso su quale gradito sta lui e su quale stai tu.
Lo ha fatto più volte con Bossi.
Non ci stupisce per niente, quindi, quando sulla nave “Divina”, intervistato da Sallusti ha ricominciato con la solita tiritera di togliere l’Imu. Era ancora stordito della cifra della seconda rata dell’Imu che ha dovuto pagare per le sue proprietà in Italia ed ha cercato di sfogarsi in quel modo.
Della Valle per rimettere in carreggiata il Paese si è detto disposto a contribuire ad una patrimoniale straordinaria per tre anni.
Ma oltre lui, di Paperoni che vogliono rimettere a posto il Paese non ne ho sentiti altri. Sento invece tutti i santi giorni chi lo sta invece mandando in malora.
Fare poi un discorso sulla sola patrimoniale come panacea dei mali italiani è semplicemente folle e non serve a nulla.
Il discorso è molto più ampio e riguarda la revisione totale del sistema Italia, di cui la patrimoniale è un tassello.
I politici sono di una spudoratezza infinita,…..senza limiti.
Infatti, stanno raccontando negli ultimi mesi, erga omnes ai merli scemi, che dopo Monti bisogna proseguire con il rigore di Monti.
Veramente sono stati loro, e solo loro, a deviare da una concezione di minimo rigore che una nazione democratica Occidentale deve mantenere nell’esercizio del governo del Paese se non vuole andare a fondo.
Tanto è vero che le quattro nazioni dell’Europa meridionale, Grecia, Italia, Spagna e Portogallo, soffrono attualmente della stessa identica malattia perché le classi dirigenti, in prevalenza politici, si sono comportate peggio dei bucanieri.
I cittadini elettori in questi anni hanno avuto solo la grandissima responsabilità di avergli creduto, di averli votati e messi alla guida della nazione anche quando non avevano né la capacità, né la responsabilità minima per un impegno del genere.
E il tutto relativo alla responsabilità dei cittadini elettori si limita a quei quaranta secondi che bastano per mettere una croce sulle schede elettorali ogni 5 anni.
Fuori da questi tempi e questi spazi i cittadini elettori non c’entrano per niente con la responsabilità dell’andamento del Paese perché non contano assolutamente nulla. Sono solo ombre morte che camminano.
Sono solo i maneggioni della politica che negli ultimi 40 anni hanno portato il Paese al disastro due volte di seguito. E guai a farglielo presente.
La storia di come si è arricchito Paperon de Paperoni cercando l’oro nel Klondike, può rimanere solo all’interno dei racconti di Topolino.
Gli arricchimenti eccezionali esistono ma sono rari e dovuti a felici combinazioni. Bill Gates e Steve Jobs negli Usa oppure Dalla Valle in Italia.
Chi ha un minimo di esperienza nel settore sa che fuori da settori particolari non si diventa Paperon de Paperoni se segui le regole fino in fondo.
Il caso Callisto Tanzi con la Parmalat un’azienda a livello nazionale, con i sistemi normali non poteva andare avanti e quando si è affidata ai soliti trucchetti ha subito il crack.
E’ caso dell’Eternit a Casale Monferrato, in cui i proprietari , gli svizzeri Stephan Schmidheiny e Louis De Cartier De Marchienne sapevano benissimo che la loro era una fabbrica di morte ma hanno proseguito per anni ugualmente per arricchirsi il più possibile.
E’ caso della Tyssen Krupp, che ha preferito la morte dei suoi dipendenti piuttosto che provvedere con le minime misure di sicurezza.
E’ di questi ultimi tempi il caso di come si è arricchita la famiglia Riva con l’acciaio.
Il Paperone brianzolo di Hardcore nel decennio precedente il 1992 , l’hanno d’inizio di Mani pulite, era inseguito dalla Gdf di Via Fabio Filzi in Milano. Ma grazie alla protezione del CAF, le sue aziende non venivano toccate.
Quando il nucleo operativo di Milano si presentava alla reception delle sue aziende gli addetti avevano l’ordine di imporre l’alt.
Poi chiamavano direttamente il presidente del Consiglio Craxi che ordinava il rientro in caserma.
Questa procedura non è stata possibile per il 99 % delle restanti imprese italiane.
Certo è che poi la cara salma ricambiava sempre con generosi bonifici.
Quando il CAF viene messo con le spalle al muro, Forlani con la bavetta alla bocca nel tribunale di Milano, Craxi fugge ad Hammamet, Andreotti appende le scarpe al chiodo, la GdF si rifà d’un colpo di più di 10 anni di umiliazioni e parte spedita negli accertamenti che il CAF aveva bloccato.
Da qui nasce la teoria della”persecuzione” di Madre Teresa di Hardcore.
Ergo, salvo casi eccezionali di valore individuale e di fortuna di aver azzeccato il filone giusto, in tutti gli altri casi gli arricchimenti sono sospetti.
A differenza di Eugenio Scalfari, una quindicina di giorni fa, Marco Travaglio ha avuto il coraggio civile di mettere nero su bianco come stanno le cose.
I SOLDI LI DEVONO ANDARE A PRENDERE AI RICCHI E AI LADRI,…….CHE SPESSO SONO LA STESSA COSA.
Scalfari non si permetterà mai di dire questo dei poteri forti.
Noi siamo arrivati sulla linea di confine e dobbiamo decidere del nostro destino.
O continuiamo come in questi anni ad accettare che i ricchi facciano pagare ai poveri le loro mancanze, oppure si da corso a quella distribuzione dei carichi all’interno di una democrazia.
Sostiene Scalfari:
In un mercato dei capitali aperto come abbiamo in Europa e nel mondo si determinerebbe una fuga di capitali di proporzioni enormi con effetti devastanti sul mercato finanziario e sulla tenuta dell'euro.
Che differenza fa morire lentamente soggiogati al potere finanziario dominante fino a quando ne avrà voglia e che preferisce da tempo la speculazione e la rendita finanziaria alla rendita da produzione, al fatto che se se ne vanno i ladri, si farà certamente fatica ma si ricomincia da capo dove per un periodo di tempo ai ladri non sarà possibile che si trasformino anche in sfruttatori?
Scalfari si legga la relazione della banca d’Italia n° 67 del 20 dicembre 2010 e la Tavola riassuntiva 3A
Si renderà conto che la patrimoniale è possibile, basta volerlo.
1. La ricchezza ................................................................................................................... 7
2. Le attività reali ............................................................................................................. 10
3. Le attività finanziarie ................................................................................................... 12
4. Le passività finanziarie ................................................................................................ 13
5. Il confronto internazionale........................................................................................... 14
NOTA METODOLOGICA.................................................................................................... 17
TAVOLE STATISTICHE...................................................................................................... 23
Il testo è stato curato da Andrea Alivernini e Stefano Iezzi.
La costruzione del database è stata curata da un gruppo di lavoro formato da Stefano Iezzi e Andrea Neri per
le componenti reali; Giovanni Di Iasio e Gabriele Semeraro per le componenti finanziarie.
LA RICCHEZZA DELLE FAMIGLIE ITALIANE - 2009
I PRINCIPALI RISULTATI
•Alla fine del 2009 la ricchezza lorda delle famiglie italiane è stimabile in circa 9.448
miliardi di euro, quella netta a 8.600 miliardi, corrispondenti a circa 350 mila euro in media
per famiglia. Le attività reali rappresentavano il 62,3 per cento della ricchezza lorda, le
attività finanziarie il 37,7 per cento. Le passività finanziarie, pari a 860 miliardi di euro,
rappresentavano il 9,1 per cento delle attività complessive.
•La ricchezza netta complessiva è aumentata tra la fine del 2008 e la fine del 2009 di circa
l’1,1 per cento, per effetto di un aumento del valore delle attività finanziarie (2,4 per cento)
superiore a quello delle passività (1,6 per cento); le attività reali hanno registrato un rialzo
più lieve (0,4 per cento). A prezzi costanti, usando come deflatore quello dei consumi,
l’aumento della ricchezza complessiva è stato dell’1,3 per cento.
•Alla fine del 2009 la ricchezza in abitazioni detenuta dalle famiglie italiane poteva essere
stimata in circa 4.800 miliardi di euro. In termini reali la ricchezza in abitazioni è
aumentata rispetto alla fine del 2008 dello 0,4 per cento.
•Secondo stime preliminari, nel primo semestre 2010 la ricchezza netta delle famiglie
sarebbe diminuita dello 0,3 per cento in termini nominali, in seguito a una diminuzione
delle attività finanziarie e a un aumento delle passività, che hanno più che compensato la
crescita delle attività reali.
•Secondo studi recenti, la quota di ricchezza netta mondiale posseduta dalle famiglie
italiane sarebbe pari al 5,7 per cento, superiore alla quota italiana del PIL e della
popolazione del mondo (rispettivamente pari a circa il 3 e l’1 per cento).
•Nel confronto internazionale le famiglie italiane risultano relativamente poco indebitate;
l’ammontare dei debiti è pari al 78 per cento del reddito disponibile lordo (in Germania e in
Francia esso è circa del 100 per cento, mentre negli Stati Uniti e in Giappone è del 130 per
cento).
7
LA RICCHEZZA DELLE FAMIGLIE ITALIANE NELL’ANNO 2009
1. La ricchezza
Alla fine del 2009 la ricchezza netta delle famiglie italiane1, cioè la somma di attività
reali (abitazioni, terreni, ecc.) e di attività finanziarie (depositi, titoli, azioni, ecc.), al netto delle
passività finanziarie (mutui, prestiti personali, ecc.), è stimabile in circa 8.600 miliardi di euro
(Tavv. 1A e 3A)2 3.
La ricchezza netta complessiva, a prezzi correnti, è aumentata tra la fine del 2008 e la
fine del 2009 di circa l’1,1 per cento (93 miliardi di euro), per effetto di aumenti delle attività
finanziarie (2,4 per cento) superiori a quelli delle passività (1,6 per cento), mentre le attività
reali hanno registrato solo un lieve rialzo (0,4 per cento; Tav. 1A). In termini reali4, l’aumento
della ricchezza complessiva rispetto alla fine del 2008 è stato dell’1,3 per cento (più di 100
miliardi di euro del 2009; Tav. 1A).
Secondo stime preliminari5, nel primo semestre 2010, la ricchezza netta delle famiglie
sarebbe leggermente diminuita in termini nominali (-0,3 per cento) per effetto di una
diminuzione delle attività finanziarie e di un aumento delle passività, che hanno più che
compensato la crescita delle attività reali (Fig. 1).
La variazione della ricchezza complessiva in termini reali può essere attribuita a due
componenti: i capital gains, che esprimono le variazioni dei prezzi delle attività reali e
finanziarie, al netto di quella parte attribuibile al deflatore dei consumi, e il flusso di risparmio
al netto degli ammortamenti6. I capital gains nel 2009 sono stati positivi per circa 36 miliardi di
euro, principalmente per effetto del miglioramento dei corsi azionari avvenuto nel corso
dell’anno7; il risparmio delle famiglie è ammontato a circa 70 miliardi di euro.
1
In questa pubblicazione si considera l’insieme delle famiglie consumatrici e delle famiglie produttrici, mentre sono escluse
le Istituzioni Sociali Private (ISP), ossia quegli organismi privati senza scopo di lucro che producono beni e servizi non
destinabili alla vendita (sindacati, associazioni sportive, partiti politici, ecc.). I dati forniti possono pertanto differire rispetto
ad altre fonti che adottano definizioni diverse, come ad esempio i Conti Finanziari che riportano le attività e le passività
finanziarie per il settore famiglie, includendo in queste ultime anche le ISP.
2
La nota metodologica (appendice A) descrive i metodi di stima delle diverse componenti della ricchezza; per ulteriori
dettagli si vedano i testi del convegno “Household Wealth in Italy”, tenutosi a Perugia il 16-17 Ottobre 2007, raccolti nel
volume “Household Wealth in Italy”, Banca d’Italia, 2008
(
http://www.bancaditalia.it/studiricerch ... _Italy.pdf).
3
Nella presente pubblicazione vengono riportati i dati a partire dal 1995. Eventuali variazioni rispetto alle cifre esposte nelle
pubblicazioni precedenti sono da attribuirsi a revisioni nei dati elementari utilizzati nella costruzione degli aggregati,
oppure a revisioni nella metodologia impiegata per le stime. In particolare, nella presente edizione è stata introdotta una
revisione nel metodo di stima del valore degli immobili, che ha effetti sullo stesso aggregato nell’intero periodo
considerato.
4
La scelta di quali prezzi impiegare per deflazionare la ricchezza non è unanimemente condivisa (si vedano ad esempio
“Household Wealth in Italy”, Banca d’Italia, 2008 e M. Reiter, “Asset Prices and the Measurement of Wealth and Saving”,
Department of Economics and Business, Universitat Pompeu Fabra, Barcelona, Economics Working Papers, No. 396,
1999). In quanto segue i valori in termini reali sono ottenuti impiegando il deflatore dei consumi delle famiglie di
contabilità nazionale, che indica una diminuzione dei prezzi tra il 2008 e il 2009 dello 0,16 per cento. Esso risulta
preferibile all’indice dei prezzi al consumo in quanto contiene informazioni su alcuni beni e servizi consumati dalle
famiglie non inclusi nell’indice dei prezzi al consumo (ad esempio, gli affitti imputati).
5 Il valore delle abitazioni alla fine del primo semestre del 2010 è stimato in base ai dati dei prezzi degli immobili
dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) dell’Agenzia del Territorio e di proiezioni della superficie media e del
numero complessivo di abitazioni. Quest’ultimo dato è in linea con le previsioni di fonte CRESME che stimano un numero
di nuove costruzioni pari a 239 mila per l’intero 2010. Il valore delle restanti attività reali è stimato sulla base del rapporto
osservato in passato tra valore delle abitazioni e il totale delle attività reali, che negli ultimi anni si attesta piuttosto
stabilmente attorno all’82 per cento. Per le componenti finanziarie, i valori desunti dai Conti finanziari, depurati dalla
componente attribuibile alle ISP, sono stati integrati con ulteriori stime relative alle voci “altri conti attivi” e “altri conti
passivi”, che risultano disponibili solo con riferimento alla fine dell’anno.
6 Altri fattori possono influire sul livello di ricchezza delle famiglie, come ad esempio le guerre e i terremoti (le cosiddette
“altre variazioni in conto capitale”). Per l’Italia questi fattori non hanno assunto dimensione significativa nel corso degli
ultimi anni, consentendo la stima dei capital gains come saldo tra l’incremento di ricchezza e il risparmio.
7
Nel 2009 gli indici azionari delle Borse Valori delle principali piazze finanziarie internazionali hanno fatto registrare
consistenti rialzi. Ad esempio, l’indice della Borsa di Milano FTSE MIB è aumentato di circa il 13 per cento.
8
Fig. 1
Ricchezza delle famiglie italiane e sue componenti, 1995-2009
(miliardi di euro a prezzi correnti; stime preliminari sul I semestre 2010)
-1.000
0
1.000
2.000
3.000
4.000
5.000
6.000
7.000
8.000
9.000
10.000
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 I-sem
2010
Attività reali Attività finanziarie Passività finanziarie
Abitazioni Ricchezza netta
Nel periodo 1995-2009 il risparmio ha contribuito alla crescita del valore della
ricchezza netta per circa il 60 per cento, il restante 40 per cento è stato dovuto ai capital gains.
Il risparmio negli ultimi anni si è attestato attorno all’1 per cento della ricchezza netta e il suo
contributo alla crescita della stessa ha avuto una variabilità più ridotta di quella dei capital gains
(Fig. 2).
Alla fine del 2009 la ricchezza netta è stata pari a 8,2 volte il reddito disponibile lordo,
valore, in aumento rispetto agli anni più recenti (era 6 nel 1995, 7 nel 1999, 8 nel 2007 e 7,8 nel
2008; Tav. 2A).
Alla fine del 2009 la ricchezza netta per famiglia8 era stimabile in circa 350 mila euro.
La distribuzione della ricchezza è caratterizzata da un elevato grado di concentrazione:
molte famiglie detengono livelli modesti o nulli di ricchezza; all’opposto, poche famiglie
dispongono di una ricchezza elevata. Le informazioni sulla distribuzione della ricchezza –
desunte dall’indagine campionaria della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane9 10 –
8 Il numero di famiglie è calcolato dividendo la popolazione residente di fonte Istat (escluse le convivenze) per il numero
medio di componenti desunto dall’indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia. I dati riferiti agli anni per i quali
l’indagine non è disponibile sono interpolati. Per il 2009, è stato stimato un numero medio di componenti per famiglia pari
a circa 2,48, in lieve calo rispetto al 2008. Di conseguenza, fra il 2008 e il 2009 il numero di famiglie è aumentato di circa
340 mila unità. Queste stime si discostano lievemente da quelle di fonte anagrafica pubblicate dall’Istat.
9
I principali risultati dell’indagine sui bilanci delle famiglie italiane sul 2008 sono pubblicati nel Supplemento al Bollettino
Statistico “I bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2008”, n. 8, Banca d’Italia, 2010, disponibile sul sito internet della
Banca (
http://www.bancaditalia.it/statistiche/ ... 0_corr.pdf).
9
indicano che alla fine del 2008 la metà più povera delle famiglie italiane deteneva il 10 per
cento della ricchezza totale, mentre il 10 per cento più ricco deteneva quasi il 45 per cento della
ricchezza complessiva. L’indice di Gini, che varia tra 0 (minima concentrazione) e 1 (massima
concentrazione), risultava pari a 0,613, sostanzialmente in linea con quello osservato nel 2006.
Il numero di famiglie con una ricchezza netta negativa, alla fine del 2008 pari al 3,2 per cento,
risulta invece in lieve ma graduale crescita dal 2000 in poi (Tav. 4A). Secondo le stime
disponibili, nel confronto internazionale l’Italia registra un livello di disuguaglianza della
ricchezza netta tra le famiglie piuttosto contenuto, anche rispetto ai soli paesi più sviluppati11.
Tra la fine del 2008 e la fine del 2009 la ricchezza netta per famiglia è diminuita dello
0,3 per cento a prezzi correnti e dello 0,2 a prezzi costanti (Tav. 2A); sempre a prezzi costanti,
la ricchezza netta per famiglia è tornata su livelli di poco inferiori a quelli che si registravano
alla fine del 2005 (Fig. 3).
Fig. 2
Risparmio, capital gains e variazioni della ricchezza netta
(in percentuale della ricchezza netta; prezzi costanti)
-4
-3
-2
-1
0
1
2
3
4
5
6
7
1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009
Risparmio netto Capital gains Variazione della ricchezza netta
10
Per valutare la distribuzione della ricchezza è necessario ricorrere ai dati campionari. Queste informazioni non sono però
completamente coerenti con i valori aggregati. Le principali ragioni di tali discrepanze vanno ricercate nella minore
propensione delle famiglie più ricche a partecipare alle indagini campionarie e nella reticenza delle famiglie che vi
partecipano a fornire informazioni veritiere. Le stime della ricchezza basate su dati campionari tendono quindi a
sottostimare i dati aggregati: il fenomeno è più rilevante per le componenti della ricchezza finanziaria, che caratterizza
maggiormente le famiglie più abbienti, rispetto alle componenti della ricchezza reale. Si vedano: G. D'Alessio e I. Faiella,
Nonresponse behaviour in the Bank of Italy's Survey of Household Income and Wealth, Temi di discussione, n. 462, Banca
d'Italia, 2002; R. Bonci, G. Marchese e A. Neri, La ricchezza finanziaria nei conti finanziari e nell’indagine sui bilanci
delle famiglie italiane, Temi di discussione, n. 565, Banca d'Italia, 2005; L. D’Aurizio, I. Faiella, S. Iezzi e A. Neri,
L’under-reporting della ricchezza finanziaria nell’indagine sui bilanci delle famiglie, Temi di discussione, n. 610, Banca
d'Italia, 2006.
11
I confronti internazionali vanno effettuati con cautela, tenendo presente che le informazioni disponibili non sono sempre
del tutto omogenee. Per le attività finanziarie si veda L. Bartiloro, M. Coletta, R. De Bonis, Italian households’ wealth in a
cross-country perspective, in “Household Wealth in Italy”, op. cit.; per le attività reali si veda R. Bonci, L. Cannari, A.
Karagregoriou, G. Marchese, A. Neri, Defining Household Wealth in Business, IFC Bulletin, n. 25, Marzo 2007. Per una
ricostruzione a livello mondiale della ricchezza delle famiglie e per aspetti legati alla distribuzione si veda invece Credit
Suisse Research Institute, Global Wealth Report, 2010.
10
Alla fine del 2009 le attività reali (5.883 miliardi di euro; Tav. 1A) rappresentavano il
62,3 per cento della ricchezza lorda, le attività finanziarie (3.565 miliardi di euro) il 37,7 per
cento e le passività finanziarie (860 miliardi di euro) circa il 9,1 per cento. Rispetto ai primi anni
del decennio la quota di ricchezza lorda in attività reali è cresciuta, mentre quella detenuta in
attività finanziarie ha subito una riduzione. La crescita della quota in passività finanziarie è stata
lenta ma costante.
Fig. 3
Ricchezza netta per famiglia
(euro a prezzi correnti e costanti)
200.000
220.000
240.000
260.000
280.000
300.000
320.000
340.000
360.000
380.000
400.000
1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009
prezzi correnti
prezzi 2009
2. Le attività reali
A fine 2009 la quota di attività reali in abitazioni risultava pari a oltre l’82 per cento del
totale delle attività reali e quella in fabbricati non residenziali a meno del 6 per cento. Impianti,
macchinari, attrezzature, scorte e avviamento incidevano per poco meno del 6 per cento, mentre
i terreni e gli oggetti di valore ammontavano rispettivamente al 4 e al 2 per cento circa (Fig. 4).
La composizione delle attività reali ha subito modeste variazioni a partire dal 1995
(Tav. 3A); la quota in abitazioni è aumentata di 3,6 punti percentuali, mentre è diminuita quella
relativa ai terreni (-1,7), agli impianti, macchinari, scorte e avviamento (-1,4) e agli oggetti di
valore (-0,7). La quota dei fabbricati non residenziali è rimasta sostanzialmente invariata.
11
Fig. 4
Composizione delle attività reali, 2009
(valori percentuali)
Impianti, macchinari,
attrezzature, scorte e
avviamento
5,9% Terreni
Oggetti di valore 4,1%
2,1%
Fabbricati non residenziali
5,7%
Abitazioni
82,1%
Alla fine del 2009 la ricchezza in abitazioni detenuta dalle famiglie italiane ammontava
a circa 4.800 miliardi di euro, corrispondenti a circa 200.000 euro in media per famiglia.
La ricchezza in abitazioni, a prezzi correnti, è cresciuta tra la fine del 2008 e la fine del
2009 di circa lo 0,3 per cento (circa 13 miliardi di euro), un valore molto inferiore al tasso
medio annuo del periodo 1995-2008 (circa il 6,3 per cento), a causa del rallentamento delle
quotazioni sul mercato immobiliare (Fig. 5)12. In termini reali, la variazione della ricchezza in
abitazioni rispetto al 2008 è risultata pari a circa lo 0,4 per cento.
Secondo i dati dell’Osservatorio del Mercato Immobiliare (OMI) dell’Agenzia del
Territorio, durante la prima metà del 2010 i prezzi degli immobili sono risultati sostanzialmente
stabili rispetto alla fine del 2009. Sulla base di queste e di altre informazioni13, si ipotizza un
incremento del valore della ricchezza in abitazioni per il primo semestre del 2010 inferiore all’1
per cento (Fig. 5).
12
Il sisma che ha investito l’Abruzzo nell’aprile del 2009 ha avuto un impatto limitato sull’entità della ricchezza delle
famiglie italiane; si stima infatti che il valore dell’intero patrimonio abitativo residenziale delle aree colpite sia dell’ordine
di 6-7 miliardi di euro, corrispondenti a meno dello 0,1 per cento dell’intera ricchezza netta; si veda Economie Regionali,
L’Economia dell’Abruzzo nel 2008
(
http://www.bancaditalia.it/pubblicazion ... zo2008.pdf).
13
Si veda nota 5.
12
Fig. 5
Ricchezza in abitazioni e prezzi delle abitazioni
(miliardi di euro, euro al metro quadro())
0
1.000
2.000
3.000
4.000
5.000
1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
0
200
400
600
800
1.000
1.200
1.400
1.600
1.800
2.000
Valore della ricchezza in abitazioni (scala sx)
Prezzo medio al metro quadro delle abitazioni (scala dx)
Stima preliminare per il
primo semestre 2010
() L’indice di prezzo incorpora anche variazioni qualitative degli immobili.
3. Le attività finanziarie
Alla fine del 2009 il 44,2 per cento delle attività finanziarie era detenuto in obbligazioni
private, titoli esteri, prestiti alle cooperative, azioni, partecipazioni e fondi comuni di
investimento. Il contante, i depositi bancari e il risparmio postale rappresentavano meno di un
terzo del complesso delle attività finanziarie; la quota investita direttamente dalle famiglie in
titoli pubblici italiani era pari a poco più del 5 per cento. Le riserve tecniche di assicurazione,
che rappresentano le somme accantonate dalle assicurazioni e dai fondi pensione per future
prestazioni in favore delle famiglie, ammontavano al 17,7 per cento del totale delle attività
finanziarie (Fig. 6).
Durante il 2009 è proseguita la ricomposizione dei portafogli delle famiglie verso forme
di investimento più liquide, quali i depositi in conto corrente e il risparmio postale, le cui quote
di ricchezza finanziaria sono cresciute rispettivamente di 1,4 e 0,3 punti percentuali. Rispetto al
2008 si osserva comunque una riduzione della quota di ricchezza detenuta in titoli pubblici
italiani, pari a oltre 2 punti percentuali, mentre è cresciuta quella detenuta in azioni e
partecipazioni (aumento della quota di oltre un punto percentuale). Più in particolare si osserva
una ricomposizione dei portafogli verso titoli esteri a discapito dei titoli italiani: la quota di
ricchezza finanziaria detenuta in obbligazioni e azioni estere è cresciuta di oltre un punto
percentuale mentre quella detenuta in obbligazioni e azioni italiane è diminuita di 1,8. Dopo la
forte riduzione di ricchezza detenuta in fondi comuni d’investimento osservata durante il 2008,
il 2009 vede una ripresa seppur debole di questo comparto (Tav. 3A).
Rispetto alla fine del 1995 la composizione delle attività finanziarie ha subito
significative variazioni, riconducibili principalmente all’aumento della quota di attività in
13
obbligazioni private italiane di 8,7 punti percentuali (dal 2,3 all’11 per cento) e di quella in
riserve tecniche di assicurazione di quasi 8 punti percentuali (dal 10 al 18 per cento). Di
converso, le quote di attività finanziarie in depositi bancari e in titoli pubblici italiani hanno
fatto invece registrare una forte diminuzione (rispettivamente dal 30 al 18 e dal 19 al 5 per
cento).
Fig. 6
Composizione delle attività finanziarie, 2009
(valori percentuali)
Biglietti, monete, depositi
bancari e risparmio postale
29,8%
Obbligazioni private, titoli
esteri, prestiti alle
cooperative, azioni,
partecipazioni in quasisocietà
e fondi comuni di
investimento
44,2%
Titoli pubblici italiani
5,3%
Riserve tecniche di
assicurazione
17,7%
Crediti commerciali e altri
conti attivi
3,0%
4. Le passività finanziarie
A fine 2009 le passività finanziarie delle famiglie italiane erano costituite per circa il 41
per cento da mutui per l’acquisto dell’abitazione; la quota di indebitamento per esigenze di
consumo ammontava a circa il 12,5 per cento14, quella per altri usi personali al 21,4 per cento. I
debiti commerciali e gli altri conti passivi15 costituivano circa il 22 per cento delle passività
delle famiglie (Fig. 7; Tav. 3A).
Tra la fine del 2008 e la fine del 2009 il valore dei mutui per l’acquisto dell’abitazione è
aumentato del 2 per cento, un tasso in forte decelerazione rispetto agli anni precedenti: tra la
fine del 2007 e la fine del 2008 era stato pari al 5 per cento; il tasso medio annuo di crescita tra
il 1995 e il 2007 a quasi il 17. Una decelerazione ha caratterizzato anche il credito al consumo,
dal 23 per cento in media nel periodo 1995-2007, al 6 e 4,7 per cento negli ultimi due anni.
Anche i debiti commerciali, dopo una repentina accelerazione tra la fine del 2007 e la fine del
2008 (+8,5 per cento, contro un tasso medio annuo pari a circa il 4 per cento tra il 1995 e il
14 A partire dalla presente pubblicazione, grazie all’ampliamento della base informativa, è possibile risalire ad una stima dei
prestiti per l’acquisto delle abitazioni e del credito al consumo, originariamente bancari, ma in seguito ceduti ad
intermediari non bancari attraverso cartolarizzazione. Nei dati precedentemente pubblicati tali aggregati rientravano
indistintamente nella voce “altri prestiti”. Tale revisione riguarda i dati a partire dal 2000, avendo la cartolarizzazione dei
crediti avuto inizio con la legge 130 del 1999.
15
Negli altri conti passivi confluiscono imposte, tasse, prestazioni sociali e altri trasferimenti che le famiglie pagano alle
Amministrazioni Pubbliche in anni successivi a quelli cui si riferiscono.
14
2007), hanno subito una forte riduzione (-6,7 per cento) tornando sui livelli registrati alla fine
del 2007.
Fig. 7
Composizione delle passività finanziarie, 2009
(valori percentuali)
Credito al consumo
12,6%
Debiti commerciali
10,0%
Altri prestiti
21,4%
Mutui per acquisto
abitazioni
40,6%
Altri conti passivi
11,5%
Riserve tecniche di
assicurazione
4,0%
5. Il confronto internazionale
Alla fine del 2008 la ricchezza netta era pari a 7,8 volte il reddito disponibile lordo delle
famiglie italiane, rapporto in linea con quello della Francia (7,5) e del Regno Unito (7,7),
lievemente superiore a quello del Giappone (7), e significativamente superiore a quello del
Canada (5,4) e degli Stati Uniti (4,8) (Tav. 1).
Le attività reali detenute alla fine del 2008 dalle famiglie italiane erano pari a 5,4 volte
il reddito disponibile, un valore di poco inferiore a quello della Francia (5,7), in linea con quello
del Regno Unito (5,2), ma superiore a quello degli Stati Uniti (2,2), del Canada (3,3) e del
Giappone (3,4) (Tav. 1). Si conferma per l’Italia una maggiore propensione all’investimento
immobiliare, che riflette tra l’altro una struttura del sistema produttivo che vede la
preponderanza delle microimprese familiari, per le quali gli immobili sono anche capitale
d’impresa.
Alla fine del 2008 le attività finanziarie delle famiglie italiane risultavano pari a oltre 3
volte il reddito disponibile, un rapporto inferiore a quello di Giappone, Stati Uniti, Regno Unito
e Canada ma superiore a quello di Germania e Francia. Va peraltro ricordato che nei paesi
anglosassoni la relativa minore rilevanza del sistema pensionistico pubblico implica un maggior
investimento in riserve tecniche di assicurazione. Sempre alla fine del 2008 l’ammontare di
passività delle famiglie italiane era il 78 per cento del reddito disponibile, il valore più basso tra
i paesi considerati: tale rapporto risultava pari a circa il 100 per cento in Germania e Francia, il
130 per cento negli Stati Uniti e in Giappone, e il 140 e il 180 nel Canada e nel Regno Unito
rispettivamente.
15
Secondo studi recenti16, la ricchezza netta mondiale delle famiglie ammonterebbe a
circa 160.000 miliardi di euro. La quota relativa all’Italia sarebbe pertanto di circa il 5,7 per
cento; tale quota appare particolarmente elevata se si considera che l’Italia rappresenta poco
oltre il 3 per cento del PIL mondiale e meno dell’1 per cento della popolazione del pianeta.
L’Italia appartiene alla parte più ricca del mondo, collocandosi nelle prime dieci posizioni tra gli
oltre 200 paesi considerati nello studio, in termini di ricchezza netta pro-capite.
Il 60 per cento delle famiglie italiane ha una ricchezza netta superiore a quella del 90
per cento delle famiglie di tutto il mondo; quasi la totalità delle famiglie italiane ha una
ricchezza netta superiore a quella del 60 per cento delle famiglie dell’intero pianeta.
Tav. 1
La ricchezza delle famiglie: un confronto internazionale
(valori in rapporto al reddito disponibile)17
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008
Attività reali
Usa ........................... 2,28 2,40 2,49 2,59 2,77 3,06 3,00 2,70 2,21
Canada ..................... 2,62 2,68 2,81 2,92 3,03 3,18 3,28 3,38 3,34
Giappone .................. 4,08 3,99 3,79 3,67 3,51 3,42 3,43 3,49 3,41
Germania.................. 3,85 3,81 3,88 3,90 3,94 4,01 4,17 4,30 ..
Francia ..................... 3,47 3,64 3,88 4,32 4,87 5,48 5,82 5,91 5,66
Regno Unito ............. 3,88 3,91 4,55 4,82 5,27 5,23 5,61 6,01 5,19
Italia ......................... 4,11 4,14 4,36 4,61 4,76 4,97 5,20 5,39 5,41
Attività finanziarie
Usa ........................... 4,56 4,21 3,77 4,21 4,42 4,67 4,85 4,88 3,86
Canada ..................... 3,53 3,50 3,49 3,45 3,39 3,46 3,50 3,49 3,52
Giappone .................. 4,70 4,77 4,74 4,95 5,01 5,29 5,32 5,14 4,84
Germania.................. 2,66 2,62 2,58 2,69 2,77 2,87 2,95 3,01 2,85
Francia ..................... 2,83 2,66 2,59 2,69 2,79 2,91 3,07 3,11 2,86
Regno Unito ............. 4,97 4,45 3,95 4,11 4,30 4,67 4,91 4,97 4,29
Italia ......................... 3,50 3,31 3,25 3,24 3,34 3,47 3,48 3,42 3,21
Passività finanziarie
Usa ........................... 1,01 1,05 1,10 1,18 1,24 1,31 1,35 1,38 1,31
Canada ..................... 1,13 1,14 1,17 1,21 1,24 1,29 1,32 1,38 1,42
Giappone .................. 1,35 1,36 1,34 1,34 1,31 1,32 1,30 1,27 1,27
Germania.................. 1,14 1,12 1,12 1,11 1,10 1,07 1,05 1,02 0,98
Francia ..................... 0,77 0,78 0,76 0,80 0,84 0,91 0,96 1,00 1,00
Regno Unito ............. 1,17 1,21 1,34 1,45 1,60 1,62 1,78 1,86 1,80
Italia ......................... 0,50 0,49 0,57 0,61 0,65 0,70 0,74 0,78 0,78
Ricchezza netta
Usa ........................... 5,83 5,55 5,16 5,62 5,95 6,42 6,50 6,20 4,76
Canada ..................... 5,02 5,03 5,13 5,16 5,18 5,34 5,46 5,50 5,44
Giappone .................. 7,44 7,40 7,19 7,28 7,20 7,39 7,45 7,35 6,97
Germania.................. 5,37 5,31 5,34 5,48 5,61 5,81 6,06 6,29 ..
Francia ..................... 5,52 5,52 5,71 6,21 6,82 7,48 7,92 8,03 7,52
Regno Unito ............. 7,68 7,14 7,16 7,48 7,97 8,27 8,75 9,12 7,68
Italia ......................... 7,11 6,96 7,04 7,23 7,46 7,74 7,93 8,03 7,84
Note: Ad eccezione dell’Italia, i dati si riferiscono all’insieme delle famiglie incluse le Istituzioni Sociali Private
(ISP). Per gli Stati Uniti i dati escludono le società non quotate e le imprese individuali ma includono le ISP. Per il
Canada, la Germania e gli Stati Uniti le attività reali includono anche i beni durevoli. Per una descrizione più
dettagliata delle variabili si veda “OECD Economic Outlook Sources and Methods”
(
http://www.oecd.org/eco/sources-and-methods).
Fonte: OCSE; Italia: Banca d’Italia, Istat.
16
I risultati vanno interpretati con cautela in quanto le informazioni sulla ricchezza mondiale sono ottenute sulla base dei
pochi dati disponibili – per i paesi che, come l’Italia, li producono – e di stime. Si veda la nota 11.
17
I dati di fonte OCSE sul valore delle attività reali in rapporto al reddito disponibile lordo per l’Italia si discostano da quelli
presentati nella Tavola 1 perché la metodologia di stima dell’aggregato è diversa e si basa su informazioni differenti. Si
veda L. Cannari, G. D’Alessio, G. Marchese, Italian household wealth: background, main results, outlook, in “Household
Wealth in Italy”, Banca d’Italia, 2008, disponibile sul sito Internet della Banca d'Italia all’indirizzo:
http://www.bancaditalia.it/studiricerch ... _Italy.pdf.
16
17
NOTA METODOLOGICA
1. Aspetti generali
La ricchezza netta è data dalla somma delle attività reali e finanziarie, al netto dei debiti.
Le componenti reali (o non finanziarie) sono per lo più costituite da beni tangibili, come ad
esempio le abitazioni, i terreni e gli oggetti di valore; comprendono però anche le attività
immateriali, come per esempio il valore di un brevetto o quello dell’avviamento di un’attività
commerciale.
Le attività finanziarie, come ad esempio i depositi, i titoli di Stato e le obbligazioni,
sono strumenti che conferiscono al titolare, il creditore, il diritto di ricevere, senza una
prestazione da parte sua, uno o più pagamenti dal debitore che ha assunto il corrispondente
obbligo. Le passività finanziarie, cioè i debiti, rappresentano la componente negativa della
ricchezza e assumono prevalentemente la forma di mutui e prestiti personali.
Le stime della ricchezza sono effettuate per il complesso delle famiglie residenti in
Italia; l’insieme di riferimento delle stime non include le Istituzioni senza fini di lucro (o
Istituzioni Sociali Private, ISP)18 .
Negli schemi della contabilità nazionale si distinguono i valori imputabili alle famiglie
nella loro funzione di consumo (Famiglie Consumatrici, FC) e quelli imputabili alle famiglie in
quanto svolgono una funzione produttiva (di beni e servizi non finanziari e servizi finanziari
destinabili alla vendita purché, in quest’ultimo caso, il loro comportamento economico e
finanziario non sia tale da configurare una quasi-società; Famiglie Produttrici, FP). Nella
classificazione delle voci della ricchezza si è tenuto conto di questa distinzione19.
La stima della ricchezza netta fornita in questo supplemento segue lo schema di
aggregazione mostrato nella tavola A1.
I prossimi due paragrafi espongono le modalità di stima delle componenti reali e
finanziarie della ricchezza delle famiglie.
Piano di aggregazione della ricchezza netta
A. Attività reali C. Passività finanziarie
A1 Abitazioni C1 Prestiti
A2 Oggetti di valore C2 Riserve tecniche di assicurazione
A3 Fabbricati non residenziali C3 Debiti commerciali
A4 Impianti, macchinari, attrezzature, scorte e avviamento C4 Altri conti passivi
A5 Terreni
B. Attività finanziarie Ricchezza netta = A + B - C
B1. Biglietti, monete
B2. Depositi bancari
B3. Risparmio postale
B4. Titoli
B5. Prestiti dei soci alle cooperative
B6. Azioni e partecipazioni in società di capitali
B7. Partecipazioni in quasi-società
B8. Fondi comuni d’investimento
B9. Riserve tecniche di assicurazione
B10. Altri conti attivi
B11. Crediti commerciali
18
Nell’effettuare confronti o raccordi con dati di altra fonte va tenuto presente che in base al sistema europeo dei conti
(SEC95) le ISP sono considerate assieme alle famiglie. Così ad esempio avviene nel caso dei Conti Finanziari.
19
Una descrizione dettagliata della definizione di famiglie produttrici e di come questa impatti nella classificazione delle
componenti della ricchezza è contenuta in L. Cannari, I. Faiella, G. Marchese e A. Neri, The real assets of Italian
households, presentato al convegno “Household Wealth in Italy”, Banca d’Italia, Perugia, Ottobre 2007.
18
2. Le attività reali
2.1. Le abitazioni
La stima del patrimonio abitativo delle famiglie si compone di tre elementi: a) il numero
di abitazioni detenuto dalle famiglie; b) il valore medio della superficie in metri quadrati delle
abitazioni delle famiglie; c) il prezzo delle abitazioni per metro quadrato rappresentativo dello
stock di abitazioni detenuto dalle famiglie. Il patrimonio abitativo per ciascun anno sarà dunque
stimato come prodotto delle tre componenti.
a) Il numero di abitazioni di proprietà di persone fisiche si basa sui dati di censimento del 1991
e 2001. I valori intercensuari e successivi al 2001 sono ricavati impiegando i dati del
CRESME sulle nuove costruzioni (sempre imputabili alle persone fisiche)20. Nella stima non
è incluso il valore delle abitazioni che le famiglie italiane possiedono all’estero né è possibile
scorporare quello delle abitazioni possedute in Italia da famiglie residenti all’estero21.
b) Il valore della superficie media delle abitazioni è desunto dai dati di censimento 1991 e 2001
ed è stimato per gli anni intercensuari e quelli successivi al 2001 in base alle tendenze di tali
dati. Poiché il dato di censimento si riferisce alla superficie calpestabile, per rendere tale dato
coerente con quello dei prezzi medi al metro quadro, la superficie media è moltiplicata per
un coefficiente, pari a circa 1,22, desunto dal rapporto tra il dato censuario estrapolato e il
dato catastale di fonte OMI disponibile a partire dal 2006.
c) Il benchmark dell’indice dei prezzi è stabilito per il 2008 attraverso il prezzo medio al metro
quadro pubblicato dall’Agenzia del Territorio22. Le variazioni dei prezzi per gli anni
successivi al 2002 si basano su elaborazioni dei dati elementari di fonte OMI. Per gli anni
precedenti al 2002, la variazione dei prezzi delle abitazioni si basa sulla dinamica desumibile
dal Consulente Immobiliare per i capoluoghi di provincia e dall’andamento stimato sui dati
dell’IBF per i restanti comuni23.
Al valore delle abitazioni viene aggiunto quello delle cessioni degli immobili pubblici
residenziali al settore delle famiglie.
Le presenti stime si discostano poco da quelle presentate nelle precedenti pubblicazioni,
in quanto le variazioni introdotte dalle revisioni sulla superficie media delle abitazioni e sul
valore al metro quadro, sebbene piuttosto ragguardevoli singolarmente (ad esempio per il 2008
rispettivamente +22 per cento e -15 per cento) tendono nel complesso a compensarsi.
2.2. Gli oggetti di valore e i beni durevoli
Gli oggetti di valore sono costituiti da quei beni non finanziari non soggetti a
deterioramento fisico nel tempo, come ad esempio preziosi, oggetti di antiquariato, d’arte e da
collezione. Il loro ammontare si ottiene applicando a una stima dello stock di beni durevoli uno
stimatore dato dal rapporto tra oggetti di valore e stock di beni durevoli posseduto dalle famiglie
desunto dall’indagine sui bilanci delle famiglie24.
20
La stima di nuove costruzioni di fonte CRESME include una valutazione degli immobili abusivi.
21
Utilizzando stime della Banca d’Italia, si può dimostrare che l’ammontare degli investimenti in abitazioni residenziali delle
famiglie italiane all’estero, al netto degli investimenti fatti in Italia da residenti esteri, risulta trascurabile.
22
“Gli immobili in Italia: distribuzione del patrimonio e dei redditi dei proprietari”, Agenzia del Territorio, 2010.
23
Si veda L. Cannari e I. Faiella, House prices and housing wealth in Italy, presentato al convegno “Household Wealth in
Italy”, Banca d’Italia, Perugia, Ottobre 2007.
24
Il rapporto viene calcolato dopo aver “winsorizzato” numeratore e denominatore usando come valore soglia il 1° e il 99°
percentile della loro distribuzione.
19
La stima dello stock di beni durevoli è basato sul metodo dell’inventario permanente
applicato a partire dalle informazioni sui flussi di spesa per diverse categorie di beni e con
diverse ipotesi circa il periodo di ammortamento25.
Negli schemi di contabilità nazionale, i beni durevoli, per quanto per alcuni aspetti
simili alle attività reali, sono esclusi dal computo della ricchezza; data la loro importanza e
diffusione presso le famiglie viene comunque data, per memoria, un’informazione circa la loro
consistenza26.
2.3. I fabbricati non residenziali
I fabbricati non residenziali, unitamente ai terreni e alle altre componenti reali di seguito
descritte, fanno parte delle attività non finanziarie che le famiglie possiedono in quanto
funzionali alla loro attività imprenditoriale. La voce comprende il valore di mercato dello stock
di immobili di proprietà delle famiglie destinato ad uso lavorativo, come uffici, negozi,
laboratori e capannoni27.
Il valore totale dello stock è ottenuto moltiplicando fra loro le stime delle seguenti
componenti per ciascuna categoria di fabbricato considerata (uffici, negozi e laboratori,
capannoni):
a) il numero totale degli immobili non residenziali;
b) la superficie media dei fabbricati considerati;
c) il prezzo medio al metro quadro, calcolato come valore medio dei prezzi minimi e
massimi rilevati a livello comunale per ciascuna categoria di fabbricato.
Il numero di unità e i prezzi al metro quadro sono stati stimati tramite i dati dell’OMI
dell’Agenzia del territorio; per le superfici sono stati utilizzati i dati dell’IBF delle ultime tre
edizioni (2004, 2006 e 2008).
Al valore dei fabbricati non residenziali viene aggiunto quello delle cessioni degli
immobili pubblici non residenziali al settore delle famiglie.
Poiché le informazioni disponibili permettono di ricostruire la serie storica solo a partire
dal 2002, per gli anni precedenti il valore dei fabbricati non residenziali è quantificato in base al
rapporto del loro valore con quello complessivo di abitazioni e terreni. Tale rapporto, pari a
circa il 7 per cento, risulta stabile nel periodo 2002-2009 ed è comparabile a quello stimato sui
dati dell’IBF.
2.4. Impianti, macchinari, attrezzature, scorte e avviamento
La ricostruzione dello stock di impianti, macchinari e attrezzature delle famiglie è
effettuata a partire dai dati sugli investimenti. In primo luogo si stima un valore iniziale dello
stock di capitale netto a prezzi correnti delle famiglie all’anno base 1990; a tale valore vengono
successivamente aggiunti gli investimenti netti elaborati dall’Istat, deflazionati utilizzando i
25
Tale metodo è stato sviluppato in P. Pagliano e N. Rossi, The Italian Saving Rate: 1951 to 1990 Estimates, in G. Marotta,
P. Pagliano e N. Rossi, Income and Saving in Italy: a Reconstruction, Temi di Discussione del Servizio Studi, Banca
d’Italia, n. 169, Giugno 1992.
26
L’inclusione dei beni durevoli tra le attività reali sarebbe giustificata se il sistema dei conti trattasse tali beni come
strumenti utilizzati nel processo di produzione di servizi. La contabilità, invece, classifica l’intera spesa per beni durevoli
tra i consumi finali. Si veda, per esempio, V. Siesto, La contabilità nazionale italiana, Il Mulino, Bologna, 1996.
27
La voce magazzini rilevata dall’OMI è stata esclusa dalle stime in quanto composta per la maggior parte dalle cantine di
pertinenza delle abitazioni.
20
deflatori impliciti degli investimenti fissi e degli ammortamenti della contabilità nazionale28.
Operando in questo modo si perviene a una stima dello stock di capitale netto a prezzi costanti
in ciascuno degli anni considerati. La serie dello stock di capitale netto ai prezzi di sostituzione
viene poi ricostruita utilizzando i relativi deflatori calcolati dall’Istat per il complesso
dell’economia.
Per il calcolo del valore iniziale dello stock di capitale netto nell’anno base (1990) si
utilizza il seguente metodo. In primo luogo si calcola il rapporto tra gli investimenti delle FP al
netto delle costruzioni e il totale degli investimenti sempre al netto delle costruzioni; la media di
questo rapporto, calcolata per il complesso degli anni ottanta, fornisce un’indicazione del peso
delle FP sul totale degli investimenti del sistema economico al netto delle costruzioni. Questo
peso è applicato allo stock di capitale netto elaborato dall’Istat per il complesso del sistema
economico, sempre escludendo lo stock in costruzioni. La stima si fonda sull’ipotesi che la
quota di investimenti delle FP sul totale degli investimenti (escluse le costruzioni) possa
costituire una ragionevole proxy della quota di capitale delle FP sul totale dello stock di capitale
(escluse le costruzioni)29.
Il valore dello stock di scorte relativo al complesso del sistema economico è ottenuto a
partire da un benchmark fornito dall’Istat con riferimento al 1989. A questo valore è aggiunta,
per ciascun anno, la variazione delle scorte a prezzi costanti elaborata dalla contabilità
nazionale30. I dati a prezzi costanti sono stati poi convertiti a prezzi correnti utilizzando il
deflatore del PIL.
La quota di scorte da attribuire alle famiglie è calcolata utilizzando il rapporto tra la
produzione ai prezzi base delle famiglie produttrici e la produzione ai prezzi base delle imprese
non finanziarie (Società non finanziarie più famiglie produttrici), assumendo che la dimensione
delle scorte sia commisurata al volume della produzione. Tale rapporto, negli anni 1990, risulta
in media pari al 21 per cento.
Per la stima dell’avviamento si sono utilizzati i dati dell’archivio della Cerved, riferiti
alle società di minore dimensione, ovvero quelle con un fatturato inferiore a una determinata
soglia. La scelta di utilizzare una soglia di fatturato, piuttosto che di addetti, deriva dal fatto che
nell’archivio della Cerved il numero di addetti è spesso mancante.
Per ogni anno, la soglia è stata prescelta in base al fatturato medio per addetto che
risulta dalle rilevazioni dell’Istat sui conti economici delle imprese per le aziende di piccola
dimensione (fino a 9 addetti). Utilizzando questo sottoinsieme del campione Cerved si è stimato
il rapporto medio tra l’avviamento e le immobilizzazioni, per il periodo 1995-200231. Questa
quota, pari al 9 per cento, è stata poi applicata allo stock di beni capitali (fabbricati non
residenziali e impianti, macchinari e attrezzature) ricostruito a partire dai dati di contabilità
nazionale.
28
Nel 2006 l’Istat ha presentato una revisione metodologica delle serie degli investimenti fissi per branca proprietaria, dello
stock di capitale e degli ammortamenti. I nuovi dati sono frutto della revisione generale dei conti nazionali effettuata in
ottemperanza alle regole comunitarie (cfr. il riquadro del Bollettino Economico n. 46 - marzo 2006: Revisione delle
metodologie di calcolo dei conti nazionali nell’Unione europea e La revisione delle serie degli investimenti fissi per branca
proprietaria, dello stock di capitale e degli ammortamenti, Nota Metodologica, Istat). Una conseguenza di tale revisione è
stata l’introduzione degli indici dei prezzi concatenati in sostituzione degli indici a base fissa (con base 1995). Dato che gli
indici a prezzi concatenati non consentono di sommare le quantità a prezzi costanti (proprietà di additività), nel lavoro sono
stati utilizzati gli indici a prezzi dell’anno precedente, che invece conservano tale proprietà.
29
Una discussione del fondamento di questa ipotesi è contenuta in L. Cannari, I. Faiella, G. Marchese e A. Neri, The real
assets of Italian households, op. cit..
30
Come ricordato, gli indici a prezzi concatenati non godono della proprietà di additività. Di conseguenza la serie della
variazione delle scorte a prezzi costanti che, prima della revisione del 2006, era calcolata a residuo, non è adesso più
disponibile. Per deflazionare la serie a prezzi correnti è stato utilizzato il deflatore del PIL.
31
La stima è stata realizzata in due fasi. Nella prima fase utilizzando l’archivio della Centrale dei Bilanci è stata stimata
l’incidenza dell’avviamento sul totale delle attività immateriali per classe di investimenti in attività immateriali. Nella
seconda fase le stime ottenute sono state applicate all’archivio della Cerved per ottenere una stima del totale del valore
dell’avviamento.
21
2.5. I terreni
Il valore dei terreni agricoli è disponibile dall’indagine annuale sul mercato fondiario
curata annualmente dall’Istituto Nazionale di Economia Agraria (INEA)32. Per valutare i terreni
destinati a uso non agricolo è stata applicata alla precedente stima l’incidenza percentuale del
valore dei terreni non agricoli rispetto a quelli agricoli stimata nell’IBF (nel periodo 1991-2008,
tale percentuale risulta, in media, pari a circa l’11 per cento). Dal valore complessivo ottenuto è
infine stimata la quota di competenza delle famiglie, applicando la percentuale di superficie
agricola da esse utilizzata secondo l’ultimo Censimento sull’agricoltura33.
3. Le attività e le passività finanziarie
Per i dati sulle componenti finanziarie della ricchezza ci si è basati sui Conti
finanziari34. I valori qui presentati, tuttavia, sono diversi da questi ultimi perchè l’insieme di
riferimento delle stime qui presentate non include le ISP, unità che vengono, invece, considerate
congiuntamente alle famiglie (consumatrici e produttrici) nella settorizzazione del sistema
europeo dei conti (SEC95) utilizzata nei Conti finanziari35.
32
I risultati dell’indagine sono disponibili all’indirizzo Internet
http://www.inea.it/progetti/mercato_f.cfm.
33
Il Censimento generale sull’agricoltura fornisce i dati relativi alla superficie agricola utilizzata per forma giuridica
dell’azienda proprietaria. Il settore delle famiglie produttrici è stato approssimato considerando le aziende individuali, le
comunanze o affittanze collettive e una parte delle società semplici.
34
Si veda Conti Finanziari, Supplemento al Bollettino Statistico, Indicatori monetari e finanziari, n. 58, Banca d’Italia,
novembre 2010.
35
Per ulteriori dettagli sulle metodologie utilizzate per stimare le componenti finanziarie della ricchezza delle famiglie si
vedano l’Appendice metodologica al Supplemento al Bollettino statistico “Conti finanziari”, Banca d’Italia (vari numeri) e
il manuale “I conti finanziari dell’Italia”, Banca d’Italia, 2003 (disponibile sul sito
http://www.bancaditalia.it, nella sezione
Pubblicazioni / Tematiche istituzionali).
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SI -